Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27380 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27380 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 15/12/2023 della COaAPPELLO di LECCE G41,;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME, che ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili;
lette le conclusioni dei difensori dei ricorrenti AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, che hanno chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso, con ogni conseguente statuizione.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Lecce, con provvedimento del 15/12/2023, ha rigettato l’appello proposto da NOME avverso il decreto del Tribunale di Lecce del 07/04/2023 che ha disposto nei suoi confronti l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di anni quattro; in parziale accoglimento dell’appello proposto da NOME ha respinto la richiesta di confisca della autovettura Jaguar TARGA_VEICOLO, con revoca del sequestro della predetta autovettura e conferma della misura di prevenzione patrimoniale della confisca adottata con riferimento a tutti i restanti beni elencati nel decreto del Tribunale di Lecce in data 07/04/2023.
Avverso il predetto provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione, per mezzo dei rispettivi difensori COGNOME NOME, quale proposto e COGNOME NOME, quale terzo interessato.
Ricorso NOME.
3.1. GLYPH Violazione di legge e violazione di norme processuali in relazione all’art. 1, lett. b) e art. 4 del d.lgs. n. 159 del 2011, per omessa e apparente motivazione in assenza di apprezzamento di documentazione e difese favorevoli al preposto; la difesa ha ampiamente richiamato gli elementi evidenziati dalla Corte di appello quale supporto per la valutazione di pericolosità del proposto (sentenze di condanna, materiale captativo), eccependo una erronea interpretazione di dati riferibili esclusivamente ad una generica inclinazione criminale, senza effettivo riferimento a condotte illecite che siano concretamente produttive di lucro, in assenza di elementi tipizzanti per come richiesto dalla normativa evocata (pag. 6 e segg. del ricorso), anche riconducendo le condotte del ricorrente a contesti di criminalità organizzata in assenza di alcun accertamento specifico sul punto; la difesa ha ritenuto la ricorrenza di motivazione apparente in relazione alla valorizzazione effettuata dalla Corte di appello di minimi precedenti penali riferibili al proposto e assai risalenti nel tempo, ritenendoli comunque non privi di significato attesa la loro natura di reati contro il patrimonio, sebbene mancassero del tutto gli elementi per ritenerli rilevanti ai sensi dell’art. 1, lett. b) d.lgs. n. 159 de 2011; anche le intercettazioni richiamate nel provvedimento impugnato avevano carattere del tutto generico, oltre a non essere emersa alcuna altra attività di spessore o reato spia quale conseguenza delle stesse; infine la difesa ha rilevato che la Corte di appello aveva del tutto omesso di considerare le memorie difensive, con le quali erano state allegate una serie di circostanze
rilevanti, relative allo svolgimento di attività lavorativa da parte del ricorrente, in considerazione del suo percorso riabilitativo; mancherebbe dunque il requisito della abitualità previsto dalla normativa di riferimento, ricorrendo una condotta effettivamente integrante produzione illecita di lucro solo ed esclusivamente con riferimento al furto perpetrato presso la BNL.
3.2. Violazione di legge e di norme processuali in relazione agli artt. 1 e 6 d.lgs. n. 159 del 2011, attesa la mancanza del requisito della attualità sulla base del percorso intrapreso dal ricorrente ed attestato dall’UEPE; la difesa richiamava a tal fine non solo la memoria deposita in primo grado, ma anche una ulteriore memoria difensiva depositata in appello in data 27/10/2023; ne lamentava l’omessa considerazione da parte della Corte di appello quanto allo stato del procedimento di sorveglianza, anche con riferimento alla relazione UEPE favorevole all’affidamento in prova al servizio sociale, con conseguente ed evidente violazione degli artt. 1 e 6 del d.lgs. n. 159 del 2011, mancando del tutto il requisito della attualità del pericolo. In tal senso si sottolineava, ancora una volta, come le captazioni del 2019 richiamate nel provvedimento impugnato avessero in realtà un contenuto altamente equivoco e non risolutivo.
3.3. GLYPH Violazione di legge e violazione di norme processuali in relazione agli artt. 1 e 8 d.lgs. n. 159 del 2011 per avere la Corte di appello motivato apparentemente, sostanzialmente eludendo le argomentazioni difensive a favore del proposto quanto alla durata della misura della sorveglianza speciale con l’obbligo di dimora ed essendosi limitata a confermare tale conclusione sulla base della gravità di una unica condotta criminosa.
Ricorso NOME NOME, nella qualità di terzo interessato.
4.1. GLYPH Violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 24 e 24bis del d.lgs. n. 159 del 2011, attesa l’illegittimità della confisca del compendio immobiliare, c.d. ex Alaska; il provvedimento di prevenzione sottoponeva ad ablazione i beni aziendali della società, senza sottoporre a sequestro le quote di capitale della stessa società riferibile al terzo interessato COGNOME NOME.
4.2. Violazione di legge in relazione all’art. 24 del d.lgs. n. 159 del 2011 con riferimento alla provenienza delle risorse impiegate per l’acquisto dei beni confiscati al NOME NOME.
4.3. GLYPH Violazione di legge in relazione all’art. 26 del d.lgs. n. 159 del 2011 con riferimento alla ritenuta operatività della presunzione di natura fittizia dell’intestazione del compendio immobiliare ex Alaska;
4.4. GLYPH Violazione di legge in relazione all’art. 24 del d.lgs. n. 159 del 2011 con riferimento, con riferimento alla ritenuta preclusione per il terzo interessato di provare l’acquisto del bene con i proventi dell’evasione fiscale.
4.5. GLYPH Violazione di norme processuali per mera apparenza della motivazione in violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.
Nei motivi così proposti congiuntamente e unitariamente trattati, la difesa ha rilevato la mancanza dei presupposti della ablazione nei confronti del proposto; richiamate, quindi, una serie di affermazioni di principio e di principi giurisprudenziali in ordine alla posizione del terzo interessato, la difesa ha rilevato la ricorrenza di palesi limiti argomentativi del provvedimento impugnato quanto alla fittizietà della intestazione e, dunque, alla riferibilità al proposto dei beni oggetto di confisca, con illegittimo richiamo alla presunzione di cui all’art. 26 del d.lgs. n. 159 del 2011, inapplicabile ad una persona giuridica come avvenuto nel caso in esame. La Corte di appello piuttosto che provare la diretta riferibilità di tali beni al proposto, perché acquistati con risorse economiche dello stesso, motiva il proprio convincimento sulla pretesa natura illecita dei proventi personali impiegati da COGNOME NOME, ovvero in considerazione di pretese attività illecite svolte dallo stesso, così come nel caso di risorse provento di evasione fiscale.
4.6. GLYPH Violazione di legge per mera apparenza della motivazione in ordine agli esiti degli accertamenti difensivi relativi alla riferibilità dei beni a COGNOME NOME; nell’escludere che il compendio immobiliare ex Alaska fosse stato acquistato con risorse proprie del terzo interessato, la Corte di appello ha fatto riferimento ad un canone valutativo evidentemente erroneo, in mancanza di un onere probatorio a carico dello stesso, essendo sufficiente confutare la tesi accusatoria, ed essendo dunque apparente la motivazione secondo la quale sarebbe mancata la produzione di elementi attestanti la lecita provenienza dei beni oggetto di misura patrimoniale, mentre era evidente come il ricorrente avesse acquistato i beni per mezzo di due mutui previo rilascio di garanzie reali e personali, ed ancora mediante la corresponsione di somme in contanti, immotivatamente ritenute provento di evasione fiscale, attesa tra l’altro l’epoca al quale riferirli da collocare tra il febbraio 2015 e il dicembre 2017, sicché si tratterebbe di versamenti cessati un anno prima della realizzazione del reato lucro-genetico da parte di NOME, che dunque non possono assolutamente rappresentare il reimpiego della attività illecita del preposto; nello stesso senso apparente si doveva ritenere la motivazione in ordine ai contributi provenienti da i genitori di NOME, tra l’altro con considerazioni
del tutto opposte a quelle del Tribunale che aveva ritenuto la ricorrenza di un unico nucleo familiare.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, perché proposti con manifestamente infondati e non consentiti.
I motivi introdotti da COGNOME possono essere trattati congiuntamente in quanto relativi alla stessa questione analizzata da diverse prospettive interpretative. Tali motivi non sono consentiti, oltre che manifestamente infondati. Il ricorrente contesta sostanzialmente la valutazione operata nel merito dalla Corte di appello, richiamando tra l’altro, in modo cumulativo, come parametro di riferimento, una pluralità di norme della disciplina in materia di prevenzione per contestare la ricorrenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi della misura di prevenzione imposta, con argomentazioni del tutto reiterative rispetto a quelle proposte alla Corte di appello, senza effettivo confronto con la motivazione analitica, puntuale, approfondita e del tutto priva di aporie, che ha ricostruito in modo approfondito e argomentato la ricorrenza dei presupposti legittimanti la misura imposta.
In tal senso, si deve premettere che, per come articolati e in considerazione delle doglianze proposte, i motivi non siano consentiti, tendendo all’evidenza ad introdurre una lettura del merito alternativa, ritenuta più plausibile, non consentita in questa sede.
Questa Corte ha ripetutamente evidenziato che nel procedimento di prevenzione, in forza del disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3-ter, comma 2, legge 31 maggio 1965, n. 575, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il provvedimento omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435-01; Sez. 6, Sentenza n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080-01).
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente destinatario della misura di prevenzione, la Corte di appello ha ampiamente motivato sia quanto alla ricorrenza dei presupposti legittimanti la misura applicata, che quanto alla puntuale determinazione del requisito della pericolosità, in considerazione della sua delimitazione temporale, avendo motivatamente ritenuto la ricorrenza della pericolosità sociale sulla base di numerosi elementi di riscontro, affrontando specificamente le doglianze difensive su ogni punto dedotto, compresi quelli introdotte con memoria sia in primo che in secondo grado, evidenziando l’irrilevanza degli elementi in tal senso adotti quanto al procedimento in corso in sede di sorveglianza (richiamando le condotte delittuose che hanno portato ad un progressivo ed evidente accumulo di beni quale provento di dette attività, la sproporzione del livello di vita familiare rispetto ai redditi dichiarati, la riferibilità temporale delle condotte ed elementi complessivamente valutati alla disponibilità di beni in evidente rapporto di sproporzione, con specifica limitazione al periodo immediatamente precedente al furto realizzato presso la BNL, la disciplina normativa applicabile, la sproporzionata consistenza del patrimonio accumulato anche per interposta persona, l’assoluta carenza di idonea capacità economica, la specifica motivazione in ordine alle caratteristiche del bene immobile oggetto di abitazione familiare ed alle attività lavorative svolta solo in seguito dal ricorrente ma mai in precedenza, la sproporzione della disponibilità dì redditi la mancanza di documentazione di qualsiasi tipo a sostegno della lecita provenienza dei redditi familiari pag. 11 e segg.).
Non ricorre, dunque, alcuna apparenza della motivazione, essendo stati analiticamente affrontati gli argomenti difensivi dedotti dalla difesa con motivazione ampia, logica, puntuale, che non si presta a censure in questa sede. D’altra parte, e in conclusione, occorre ricordare che il giudizio sull’attualità della pericolosità sociale, può basarsi anche su comportamenti non costituenti reato, principio costantemente affermato da questa Corte, che qui si intende ribadire, e con il quale il ricorrente nella articolazione delle sue doglianze non si confronta (Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, COGNOME, Rv. 282655-01; Sez. 2, n. 31549 del 06706/2019, RAGIONE_SOCIALE Rv. 27725505; Sez. 6, n. 49583 del 03/10/2018, COGNOME, Rv. 274434- 01).
In tal senso, occorre considerare che a seguito della pronuncia resa da Corte cost., sent. n.24 del 2019, i contorni dell’ipotesi di pericolosità generica disciplinata dall’art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 sono stati compiutamente descritti, anche e soprattutto nell’ottica di valorizzare la tassatività della previsione normativa. Si è affermato, pertanto, che la
pericolosità generica configurabile nei confronti dei soggetti che «vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuosa» presuppone l’individuazione di “categorie di delitto” idonee a fondare il tipo di pericolosità in esame. La verifica della pericolosità passa attraverso l’accertamento di specifici elementi di fatto dai quali desumere che si tratti di: a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto; b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui; c) i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito (così in motivazione Corte cost. n.24 del 2019). Tali requisiti sono stati puntualmente ricostruiti nel provvedimento impugnato, con motivazione del tutto priva di aporie.
Il provvedimento ha, dunque, legittimamente confermato il decreto che disposto la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno e la confisca dei beni ivi indicati, sia in considerazione di una analitica esposizione di elementi estremamente significativi quanto alla personalità, caratteristiche di vita familiare e patrimoniale del proposto, che quanto alle caratteristiche della conseguente confisca di prevenzione, che introduce una presunzione relativa di illecito acquisto dei beni, che vale in quanto si possa ragionevolmente ipotizzare che i beni o il denaro confiscati costituiscano il frutto delle attività criminose nelle quali il soggetto risultava essere impegnato all’epoca della loro acquisizione (circostanza che viene specificamente analizzata in considerazione di una serie significativa di acquisti in periodo successivo al furto presso la BNL, pag. 13 del provvedimento impugnato), ancorché non sia necessario stabilirne la precisa derivazione causale da uno specifico delitto. Deve, pertanto, ritenersi che l’ablazione patrimoniale – con riguardo alla pericolosità generica ex art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 si giustifica, come avvenuto nel caso in esame, nei limiti in cui, le condotte criminose compiute in passato dal soggetto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti; e in tal senso la Corte di appello ha richiamato la evidente ed immediata disponibilità economica derivante dal furto presso la BNL per un consistentissimo importo, in assenza di lecite e precedenti risorse a tal fine idonee, in quantità ragionevolmente congruente, rispetto al valore dei beni che s’intendono confiscare, e la cui origine lecita il ricorrente non è stato in grado di giustificare (Corte cost., sent. n.24 del 2019).
3. I motivi proposti, nella qualità di terzo interessato dal COGNOME NOME sono manifestamente infondati. In tal senso, si deve ribadire che il terzo interessato può dedurre, in sede di merito e di legittimità, unicamente la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene e l’inesistenza di relazioni di collegamento con la posizione del proposto. La difesa ha sostenuto che l’effettiva riferibilità dei beni oggetto del provvedimento impugnato al ricorrente trovava fondamento nel reimpiego di proventi della evasione fiscale, senza confrontarsi con il costante principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale in tema di c.d. pericolosità generica, la realizzazione di condotte di appropriazione indebita aziendale e di evasione fiscale sistematica, di rilievo penale, e la conseguente reimmissione nel circuito economico di capitali di provenienza non lecita rappresentano elementi rilevanti al fine dell’inquadramento del soggetto proposto nella categoria di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sul punto non inciso dall’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019 ( Sez. 2, n. 13566 del 19/02/2019, COGNOME, Rv. 275771-01; Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, COGNOME, Rv. 278679-02; Sez.1, n. 20160 del 16/11/2021, COGNOME, Rv. 283089-01). Il ricorrente richiama come elemento risolutivo un dato, tra l’altro, allegato del tutto genericamente come correttamente osservato dalla Corte di appello, che, comunque, non potrebbe avere rilevanza al fine di giustificare in capo allo stesso la titolarità dei beni oggetto di confisca (rappresentando al contrario elemento significativo per giungere alla confisca nei confronti del proposto, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260244-01), articolando una serie di deduzioni volte a contestare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto; censure che integrano veri e propri vizi della motivazione, piuttosto che un vizio di violazione di legge, costituente l’unico motivo per il quale è ammissibile il ricorso in Cassazione nel giudizio di prevenzione (Sez. 6, n. 7469 del 4/6/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278454-01; Sez.5, n. 333 del 20/11/2020, dep.2021, COGNOME, Rv. 280249-01). Anche le ulteriori censure articolate, nei numerosi motivi di ricorso, trattati tuttavia congiuntamente con allegazioni aspecifiche, si presentano come del tutto generiche e caratterizzate dalla mera lettura alternativa degli elementi compiutamente valutati, in modo logico e articolato, non censurabile in questa sede, dal provvedimento impugnato, a fronte di una evidente mancanza di giustificazione da parte del proposto in ordine alla provenienza lecita dei beni ed in considerazione della specifica ricostruzione effettuata che non si presenta in violazione di legge (sul punto specificamente pag.16 e segg.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel considerare analiticamente le censure, riproposte in modo del tutto reiterativo in questa sede dal terzo estraneo, la Corte di appello ha non solo compiutamente analizzato gli elementi allegati, sicché è del tutto impossibile riscontrare, come dedotto, una motivazione apparente o omessa, ma anche correttamente applicato i principi di diritto già enunciati da questa Corte, che qui si intendono ribadire, con particolare riferimento alle considerazioni delle consulenze di parte quanto al c.d. cash flow, che quanto al possibile impiego di risorse precedentemente acquisite in modo lecito. Entrambi gli argomenti sono stati ampiamente smentiti in modo logico ed articolato (pag. 16 e seg.), evidenziando da una parte i dati allegati dalla informativa della RAGIONE_SOCIALE e dall’altra le caratteristiche delle somme e dei conferimenti su conti deposito, del tutto anomale, ingiustificate rispetto ad attività professionali, spesso non tracciabili nella loro provenienza e, comunque, certamente non riscontrabili in mancanza di adeguate allegazioni difensive. In tal senso, si è correttamente affermato il principio di diritto secondo il quale in tema di confisca di prevenzione, ai fini della valutazione in ordine alla sproporzione tra reddito prodotto e valore degli acquisiti effettuati, in caso di attività di impresa, non assume rilievo il cd. “cash flow” aziendale, che consiste nell’ammontare delle risorse finanziarie nette prodotte in un anno, potendo essere presi in considerazione solo i redditi dichiarati e l’attività economica svolta (Sez. 2, n. 36833 del 28/09/2021, Caroppo, Rv. 282361-02).
Anche le argomentazioni critiche proposte in ordine ai criteri utilizzati ed agli elementi valorizzati, secondo gli indici RAGIONE_SOCIALE, per rilevare la mancanza di redditi adeguati e proporzionati al fine di realizzare gli acquisti oggetto di misura di prevenzione si sostanziano nella mera riproposizione di argomenti ampiamente considerati dalla Corte di appello, in assenza di qualsiasi violazione di legge. Si è correttamente considerata la incidenza dei costi di sostentamento del nucleo familiare di riferimento, desunti dalle analisi RAGIONE_SOCIALE, posto che il reddito rilevante al fine di ritenere esistente la capacità di acquisto va inteso nella redditività netta. Il valore da porre in comparazione con le spese sostenute per gli acquisti deve, infatti, essere rappresentato dalla quota di risparmio, ossia da ciò che risulta disponibile operato lo scorporo delle spese di sostentamento e mantenimento del tenore di vita. Dunque, l’applicazione concreta di detti criteri è compito del giudice di merito e non risulta sindacabile in sede di legittimità ove i criteri adoperati non risultino manifestamente
illogici o incongrui, come avvenuto nel caso in esame anche in considerazione degli elementi di segno contrario emergenti dagli accertamenti allegati emergenti dalla informativa della DIA (specificamente considerata nella motivazione del provvedimento impugnato, con argomentazioni con le quali il ricorrente non si confronta).
Infine, occorre osservare che anche le osservazioni relative alla erronea applicazione dei principi in tema di prevenzione perché riferiti ad una persona giuridica piuttosto che al terzo interessato non si confrontano con l’ampia esplicazione resa dalla Corte di appello sul tema, limitandosi a reiterare censure ampiamente disattese con motivazione caratterizzata da logicità e congruità (pag. 14 e seg.), atteso l’intervenuto sequestro solo di alcuni cespiti della società, in considerazione della ricostruzione temporale degli acquisiti in questione e della evidente riferibilità alle attività illecite de proposto, in mancanza di risorse tracciate e legittime da riferire al ricorrente, attesa la diretta riferibilità della società allo stesso quale socio unico, in mancanza della condizione di alterità con la persona giuridica.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 30 aprile 2024.