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Confisca di prevenzione: i limiti per il terzo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi contro un provvedimento di sorveglianza speciale e confisca di prevenzione. La sentenza ribadisce i criteri per accertare la pericolosità sociale del proposto e sottolinea che il terzo intestatario di beni non può giustificarne l’acquisto con proventi da evasione fiscale, confermando la legittimità della misura ablativa quando manca la prova di una lecita provenienza del tutto estranea alle attività del proposto.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca di Prevenzione: Quando i Beni del Terzo Sono a Rischio

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27380/2024, torna ad affrontare il delicato tema della confisca di prevenzione, delineando con chiarezza i presupposti per la sua applicazione e i limiti alla difesa del terzo i cui beni siano stati colpiti dalla misura. La decisione conferma che la sproporzione tra i beni posseduti e i redditi dichiarati è un elemento chiave per giustificare l’ablazione, anche quando i beni sono intestati a familiari, come un figlio. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un decreto del Tribunale di Lecce, che aveva applicato a un soggetto una misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per quattro anni. Contestualmente, il Tribunale aveva disposto la confisca di un ingente patrimonio, inclusa un’autovettura di lusso e un compendio immobiliare, ritenuto sproporzionato rispetto ai redditi leciti e frutto di attività delittuose. Una parte significativa di questi beni risultava intestata al figlio del proposto, qualificatosi come “terzo interessato”.

La Corte di Appello aveva confermato in larga parte il provvedimento, rigettando l’appello del padre e accogliendo solo parzialmente quello del figlio, revocando il sequestro della sola autovettura ma confermando la confisca su tutti gli altri beni. Avverso tale decisione, entrambi hanno proposto ricorso per cassazione.

Le Ragioni del Ricorso e l’Analisi della confisca di prevenzione

I ricorrenti hanno sollevato diverse doglianze. Il padre (il “proposto”) contestava la valutazione sulla sua pericolosità sociale, ritenendola basata su elementi datati e non attuali, e lamentava una motivazione apparente da parte dei giudici di merito. Il figlio (il “terzo interessato”) sosteneva invece l’illegittimità della confisca, asserendo di aver acquistato i beni con risorse proprie e lecite, o al più derivanti da evasione fiscale, ma comunque non riconducibili alle attività illecite del padre.

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente entrambi i ricorsi, giudicandoli manifestamente infondati. I giudici hanno chiarito che i ricorsi in materia di prevenzione sono ammessi solo per violazione di legge e non per riesaminare il merito delle valutazioni fatte dai giudici precedenti, a meno che la motivazione non sia del tutto assente o meramente apparente. In questo caso, la Corte di Appello aveva fornito una motivazione “analitica, puntuale, approfondita e del tutto priva di aporie”.

La Pericolosità Sociale del Proposto

Per quanto riguarda la posizione del padre, la Cassazione ha confermato che la pericolosità sociale era stata correttamente accertata. I giudici di merito avevano valorizzato non solo precedenti penali, ma un quadro complessivo indicativo di una vita dedita ad attività delittuose produttive di reddito illecito. La Corte ha richiamato i principi sanciti dalla Corte Costituzionale (sent. n. 24/2019), secondo cui la pericolosità generica si fonda su: a) delitti commessi abitualmente; b) che hanno generato profitti; c) i quali costituiscono l’unica o una significativa fonte di reddito. Nel caso di specie, un ingente furto commesso in una banca aveva fornito una disponibilità economica immediata e sproporzionata, giustificando l’ablazione dei beni acquistati successivamente.

La Posizione del Terzo e l’Irrilevanza dell’Evasione Fiscale

Il punto più interessante della sentenza riguarda la posizione del figlio. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il terzo interessato, per salvare i propri beni dalla confisca, deve dimostrare due elementi: la propria effettiva titolarità e l’assenza di qualsiasi collegamento con il proposto. Non è sufficiente addurre una provenienza illecita alternativa.

La difesa del figlio, che sosteneva che i fondi per gli acquisti provenissero da proprie attività e, al limite, da evasione fiscale, è stata giudicata irrilevante. La Corte ha affermato che la realizzazione di condotte di evasione fiscale sistematica e la reimmissione di tali capitali nel circuito economico non escludono, anzi possono integrare, i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione. In altre parole, il terzo non può difendersi dicendo: “Questi soldi non sono illeciti perché provengono da mio padre, sono illeciti perché li ho evasi io”. L’origine dei beni deve essere lecita e provata, e nel caso specifico, la Corte di Appello aveva logicamente smentito la capacità economica del figlio di sostenere tali acquisti, basandosi anche sui dati ISTAT relativi ai costi di sostentamento familiare.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha dichiarato i ricorsi inammissibili perché le censure sollevate erano manifestamente infondate e miravano a una rivalutazione dei fatti, preclusa in sede di legittimità. La motivazione della Corte di Appello è stata ritenuta completa e logicamente coerente, avendo affrontato punto per punto tutte le difese, compresi gli argomenti relativi alle consulenze di parte sul “cash flow” e alla presunta capacità reddituale del terzo. I giudici hanno concluso che la ricostruzione operata dai giudici di merito, che collegava l’acquisto dei beni alla disponibilità economica illecita del proposto, era immune da vizi logici o giuridici, giustificando pienamente la confisca di prevenzione.

Conclusioni

Questa sentenza consolida alcuni principi cardine in materia di misure di prevenzione patrimoniale. In primo luogo, la valutazione della pericolosità sociale deve basarsi su un’analisi complessiva della vita del proposto, finalizzata a verificare se egli viva abitualmente con i proventi di attività delittuose. In secondo luogo, e di cruciale importanza, il terzo intestatario di beni confiscati ha un onere probatorio rigoroso: deve dimostrare non solo di essere l’effettivo titolare, ma anche che l’acquisto è avvenuto con fondi di provenienza lecita e totalmente estranei alla sfera di influenza del soggetto pericoloso. La mera allegazione di un’origine illecita alternativa, come l’evasione fiscale, non è sufficiente a vincere la presunzione di illecita provenienza che giustifica la confisca.

Quali sono i presupposti per la confisca di prevenzione?
La confisca di prevenzione si applica quando un soggetto, ritenuto socialmente pericoloso perché vive abitualmente con proventi di attività illecite, possiede beni di valore sproporzionato rispetto al proprio reddito dichiarato o alla propria attività economica, e non è in grado di giustificarne la legittima provenienza.

Il terzo intestatario di un bene può evitarne la confisca dimostrando di averlo acquistato con soldi derivanti da evasione fiscale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il terzo deve dimostrare che i fondi utilizzati per l’acquisto abbiano un’origine lecita e siano del tutto estranei alle attività del proposto. Allegare una diversa fonte illecita, come l’evasione fiscale, non costituisce una giustificazione valida per evitare la confisca.

Cosa deve provare il terzo interessato per riottenere i beni confiscati?
Il terzo interessato deve fornire la prova della sua effettiva titolarità o disponibilità del bene e, soprattutto, l’assenza di qualsiasi relazione di collegamento con la posizione e le attività illecite del proposto. Deve dimostrare in modo convincente la provenienza lecita delle risorse economiche impiegate per l’acquisto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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