Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20193 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20193 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME COGNOME NOME, nata a Napoli il DATA_NASCITA
rappresentata ed assistita dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, di fiducia
COGNOME NOME, nata a Napoli il DATA_NASCITA
rappresentata ed assistita dall’AVV_NOTAIO, di fiducia
COGNOME NOME, nata a Napoli il DATA_NASCITA
rappresentata ed assistita dall’AVV_NOTAIO, di fiducia avverso il decreto in data 14/09/2023 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
letta la memoria con motivi nuovi nell’interesse di NOME COGNOME NOME in data 27/03/2024;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto in data 14/09/2023, la Corte di appello di Napoli rigettava i ricorsi proposti da NOME COGNOME, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, terze interessate, nel procedimento per l’applicazione di misura di prevenzione nei confronti di NOME COGNOME.
Avverso il predetto decreto, nell’interesse di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, sono stati proposti ricorsi per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
Si premette che:
–NOME COGNOME, coniugata con NOME COGNOME dal 1987, con pratiche di separazione nel 2011, è proprietaria reale: dell’immobile sito in INDIRIZZO (acquistato nel 1992 per 81 milioni di lire, di cui 60 milioni provenienti dalla suocera NOME COGNOME e 20 milioni dal proprio padre, NOME COGNOME, operatore ecologico); dell’immobile sito in INDIRIZZO (acquistato nel 1999 per 50 milioni, in relazione al quale il coniuge si era dichiarato del tutto all’oscuro); del 50% delle quote della società RAGIONE_SOCIALE sito in INDIRIZZO (acquistate il 25% nel 2002 e l’altro 25% nel 2009, in relazione alle quali i 3.750 euro da parte di ciascun socio – NOME COGNOME e NOME COGNOME – erano stati pagati mediante effetti cambiari, successivamente onorati alla scadenza con gli incassi della società); di due autovetture (modello TARGA_VEICOLO. TARGA_VEICOLO e modello TARGA_VEICOLO 500 TARGA_VEICOLO. TARGA_VEICOLO);
–NOME COGNOME, figlia di NOME COGNOME è proprietaria reale dell’immobile sito in INDIRIZZO INDIRIZZO, acquistato il 14/01/2010 per euro 100.000, acquisto finanziato per il 50% dal nonno NOME COGNOME e per il restante 50% dalla madre.
Si denuncia con formale motivo unico: inosservanza, erronea applicazione di legge o quantomeno mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione quanto alla violazione delle regole giuridiche di valutazione della prova ex art. 192 cod. proc. pen. L’unica certezza che si evince dal decreto de quo è che, per giustificare l’esistenza di una disponibilità indiretta di NOME COGNOME sui beni di NOME COGNOME ed NOME COGNOME, si faceva riferimento esclusivamente all’esistenza del solo presupposto soggettivo, ovvero dei rapporti parentali tra le parti, senza preoccuparsi minimamente di verificare quale fosse stato il reale vissuto familiare. I giudici di merito sono pervenuti alla conclusione della mancata interruzione del rapporto coniugale tra il proposto e la COGNOME dal
fatto che le pratiche della separazione erano state avviate solo nel 2011, mentre invece la mancanza di un effettivo rapporto di coniugio ed il trasferimento all’estero del COGNOME si desumeva e trovava ampia conferma nelle dichiarazioni rese da più collaboratori di giustizia, la cui attendibilità è stata vagliata solo in ordi alla circostanza di segno opposto relativa all’appartenenza del proposto ad associazioni di stampo camorristico. Appare incomprensibile come i giudici di merito abbiano desunto la prova dell’esistenza di uno stabile rapporto coniugale, dal quale evincere la disponibilità indiretta del COGNOME sui beni della COGNOME, unicamente dalle risultanze di un verbale di sommarie informazioni testimoniali rese da quest’ultima a seguito di un agguato subito da quest’ultimo. Venendo poi all’esame dei presupposti di carattere oggettivo, occorre evidenziare come in sede di merito la disponibilità indiretta del proposto sui beni acquistati ed intestati NOME COGNOME e a NOME COGNOME non ha alcun supporto di carattere probatorio. La disponibilità indiretta non può discendere dalla ritenuta sproporzione dei redditi del terzo rispetto al valore dei beni, potendo l’arricchimento patrimoniale del terzo, soggetto non pericoloso, essere collegato a fattori estranei al proposto, non incombendo in capo al terzo il dovere di giustificarne la titolarità, ancor di più se tale prova risulta eccessivamente gravosa se non addirittura impossibile, trattandosi – nella fattispecie – di acquisti posti essere nei lontani anni ’90. Le ricorrenti, non rimanendo inerti alle notifiche dell’iniziale provvedimento di sequestro dei beni di loro proprietà indicavano minuziosamente soggetti e circostanze comprovanti la liceità degli acquisti effettuati, provando l’assoluta estraneità di NOME COGNOME sia nella fase di acquisizione quanto in quella della gestione dei beni stessi.
4. Ricorso di NOME NOME COGNOME.
Primo motivo: violazione di legge per inosservanza degli artt. 3-ter, comma 2, I. 575/1965 e 4, comma 10, I. 1423/1956. La Corte territoriale doveva provvedere per legge entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso: detto termine risulta non essere stato rispettato perché l’atto di appello venne depositato in data 23/12/2014 e la decisione del giudice del gravame risulta intervenuta solo in data 14/09/2023.
Secondo motivo: violazione di legge per inosservanza dell’art. 2-bis, comma 6-bis, I. n. 575/1956. A seguito della comunicata morte del terzo intestatario NOME COGNOME (comunicazione effettuata all’udienza del 14/09/2023), la Corte avrebbe avuto il potere/dovere di individuare coloro che erano divenuti, a causa dell’evento morte, i concreti destinatari del provvedimento in parola.
A
Terzo motivo: violazione di legge per inosservanza delle norme di cui alla I. n. 575/1965 e 4 I. 1423/1956. Tenuto conto della qualità di terza intestataria e che le allegazioni fornite erano finalizzata a fornire la prova della liceità d patrimonio alla stessa riconducibile, l’omesso accertamento sul punto da parte della Corte territoriale appare del tutto censurabile.
Con memoria in data 27/03/2024, la difesa della ricorrente ha presentato motivi nuovi.
Primo motivo: violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 2-bis, comma 6-bis I. n. 575/1965.
Secondo motivo: inosservanza o erronea applicazione degli artt. 4 I. n. 1423/1956 e 2-ter I. n. 575/1965; mancanza di motivazione del decreto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Occorre premettere che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3-ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575; ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., poten esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4, legge n. 1423 del 1956, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (cfr., Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435).
Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come ricorsi, in generale, solo formalmente denuncino l’apparenza della motivazione o l’omessa considerazione delle deduzioni difensive; in realtà, gli stessi deducono vizi di motivazione, in quanto contestano le argomentazioni con le quali la Corte territoriale ha respinto le censure difensive sia in punto di pericolosità qualificata di COGNOME NOME che di sproporzione relativa ai beni acquisiti in coincidenza con l’epoca di manifestazione esteriore della pericolosità.
Ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
3.1. Manifestamente infondato è l’unico motivo.
3.1.1. Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in materia di misure di prevenzione patrimoniali, il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi ritenere che il prevenuto ne abbia la disponibilità facendoli apparire formalmente come beni nella titolarità delle persone di maggior fiducia, sulle quali pertanto grava l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene per sottrarlo alla confisca (cfr., Sez. 1, n. 39799 del 20/10/2010, COGNOME, Rv. 248845; Sez. 6, n. 49878 del 06/12/2013, Modellar°, Rv. 258140; v. anche, Sez. 2, n. 7346 del 17/01/2023, COGNOME, Rv. 284387).
3.1.2. Ai fini della confisca di cui all’ad. 2-bis, comma 3, della legge n. 575/1965, l’accertamento giudiziale della disponibilità, in capo al proposto, dei beni formalmente intestati a terzi, operava per il coniuge, i figli ed i conviventi d infraquinquennali, in modo differente rispetto alle altre persone fisiche o giuridiche: nei confronti dei primi, a differenza dei secondi, la disponibilità era presunta ex lege, senza bisogno di specifici accertamenti, se risultava l’assenza di risorse economiche proprie del terzo intestatario, mentre, con riferimento alle seconde, si sarebbero dovuti acquisire specifici elementi di prova sul carattere fittizio dell’intestazione (cfr., Sez. 1, n. 5184 del 10/11/2015, dep. 2016, Trubchaninova, Rv. 266247; Sez. 6, n. 10063 del 11/01/2023, COGNOME, Rv. 284608).
E le Sezioni Unite (sent. n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, De Angelis, Rv. 270081, in motiv.) riconoscono come il rapporto esistente fra il proposto ed il coniuge, i figli e gli altri conviventi costituisce, pur al di fuori dei casi oggetto specifiche presunzioni di cui all’ad. 26, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, una circostanza di fatto significativa, con elevata probabilità, della fittizietà del intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta formalmente titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica (cfr., Sez. 1, n. 17743 del 07/03/2014, COGNOME, Rv. 259608; Sez. 1, n. 23520 del 05/03/2013, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 19623 del 22/02/2012, COGNOME, non mass.)
3.1.3. Inoltre, la medesima giurisprudenza di legittimità, ha riconosciuto che:
-l’onere di allegazione difensiva in ordine alla legittima provenienza dei beni non possa essere soddisfatto con la mera indicazione della esistenza della provvista sufficiente per concludere il negozio di acquisto degli stessi, dovendo, invece, essere indicati gli elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre che il bene non sia stato acquistato con i proventi di attività illecita ovvero ricorrendo ad esborsi non sproporzionati rispetto alla capacità reddituale del soggetto (cfr., Sez. 5, n. 20743 del 07/03/2014, COGNOME, Rv. 260402; Sez. 6, n. 31751 del
09/06/2015, COGNOME, Rv. 264461; Sez. 6, n. 21347 del 10/04/2018, Salanitro, Rv. 273388);
-la presunzione relativa di illecita accumulazione, fondata sulla sproporzione dei beni confiscati e sull’assenza di prova della loro legittima provenienza, opera anche nel caso in cui l’acquisto del bene confiscato sia avvenuto mediante ricorso al credito bancario, posto che tale finanziamento deve essere rimborsato ed ha un costo, sicché è in relazione a tale onere finanziario che deve essere valutata l’eventuale incapienza di risorse lecite da parte del prevenuto e del suo nucleo familiare (Sez. 5, n. 33038 del 08/06/2017, Valle, Rv. 271217).
3.2. Nella fattispecie, nessuna delle due ricorrenti ha fornito prove idonee a vincere la presunzione di fittizietà dell’intestazione, sia per quanto attiene alle relazioni familiari, sia per quanto riguarda il flusso finanziario impiegato per l’acquisto dei beni.
Va premesso che NOME COGNOME aveva contratto matrimonio con il proposto nel 1987 e solo nell’anno successivo alla proposta introduttiva del presente procedimento (precisamente, nel 2011) aveva avviato le pratiche di separazione; mentre NOME COGNOME, figlia del proposto, non percettrice di redditi propri, aveva da poco compiuto vent’anni al momento dell’acquisto dell’immobile costituente oggetto di confisca.
3.2.1. La Corte territoriale ha chiarito che:
-l’acquisto degli immobili intestati alla COGNOME ricadono nel periodo di acclarata pericolosità del proposto (1989-2012);
-la COGNOME è in totale condizione di impossidenza;
-il collaboratore di giustizia NOME COGNOME, nel corso dell’interrogatorio de 15/11/2010, richiesto di fornire particolari in merito a NOME COGNOME, riferiva testualmente “… mi sembra di ricordare che sia anche proprietario di un bar tra lungomare di Mergellina e Santa Lucia” (ndr., bar di INDIRIZZO in Napoli, ove il COGNOME tornava la notte del 26/06/2007 quando rimase vittima di agguato di stampo camorristico);
-anche gli acquisti delle autovetture intestate alla COGNOME ricadono nel periodo di pericolosità accertata e vedono esborsi di denaro da parte della donna non giustificati;
-con riferimento all’acquisto immobiliare di NOME COGNOME (Napoli, coso INDIRIZZO), della prima fonte reddituale (nonna paterna, NOME) non era stata descritta né era stata adeguatamente documentata la propria capacità economica ad operare un simile finanziamento (la donna avrebbe elargito una prima volta, nel 1992, 60 milioni di lire ed una seconda volta, nel 2010, 50.000 euro); né, infine, era stata fornita la prova documentale del materiale transito della somma dalla donante alla ricevente; d’altro lato, quantomeno sospetta era
la dazione di 50.000 euro dalla madre (COGNOME) alla figlia, avendo la prima preso a mutuo la somma di euro 122.280,00.
3.2.2. Fermo quanto precede, va ribadito l’insegnamento della sentenza “De Angelis” secondo cui “… nel novero delle situazioni concretamente rilevanti ai fini dell’individuazione del carattere puramente formale dell’intestazione possono farsi rientrare le circostanze e gli elementi indiziari più diversi, come quelli inerent alla prossimità delle relazioni in ambito familiare (ivi comprese quelle con le persone destinatarie delle regole presuntive fissate dall’art. 26), ovvero ai rapporti di tipo affettivo e sentimentale, lavorativo e di collaborazione, poiché sintomatici, tutti, di un più intenso legame che può rendere particolarmente agevole l’operazione di fittizia intestazione da parte del proposto. Ulteriori elementi indicativi ai fini dell’accertamento della disponibilità indiretta possono utilmente inferirsi dalla eventuale intromissione del proposto nella gestione del bene, ovvero dalla incapacità del terzo, sotto il profilo economico, di acquisirne la titolarit specie nell’ipotesi in cui il terzo intestatario non alleghi circostanze idonee a prospettare una diversa configurazione del rapporto, o una diversa provenienza delle risorse necessarie all’acquisto del bene. Si tratta di indizi pregnanti, la cui valorizzazione all’interno del procedimento di prevenzione patrimoniale è ritenuta particolarmente opportuna (Sez. 6, n. 47983 del 27/11/2012, COGNOME, Rv. 254282; Sez. 6, n. 18807 del 30/10/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255091; Sez. 5, n. 20743 del 07/05/2014, COGNOME, non mass.), poiché essi, specie se esaminati unitariamente, contribuiscono a formare la prova necessaria per la individuazione del reale dominus dell’operazione e la conseguente adozione del provvedimento ablativo. Siffatto modus procedendi è perfettamente compatibile, del resto, con i principi che regolano la distribuzione dell’onere della prova, giacché non si tratta di addossare al terzo, sia esso estraneo ovvero legato da un rapporto di parentela, l’onere di provare la corrispondenza fra titolarità formale ed effettiva, ma di valorizzare gli elementi indiziari legittimamente acquisiti (relazione del terzo col proposto, sproporzione tra acquisti e capacità reddituali, intromissione del proposto nella gestione del bene) per risolvere le problematiche connesse all’accertamento della disponibilità indiretta (Sez. 5, n. 29137 del 15/05/2015, COGNOME, non mass.) …”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Di tali precetti, il decreto impugnato ha fatto puntuale applicazione.
Ricorso di NOME.
4.1. Evidenzia il Collegio come la proposta introduttiva del presente procedimento sia stata depositata il 5 maggio 2010, quanto era in vigore l’art. 2bis della legge n. 575 del 1965.
Ciò considerato, palese è la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, peraltro genericamente articolato, atteso che i termini entro i quali, nuova normativa, il tribunale (art. 7, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011) e la Corte di appello (art. 10 comma 2) provvedono rispettivamente sulla proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e sul ricorso in appello avverso il decreto di primo grado non possono che essere ritenuti ordinatori in mancanza della previsione di qualsivoglia conseguenza per il mancato rispetto del termine. Tanto era stato ritenuto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, anche nella vigenza della disciplina in materia di applicazione delle misure di prevenzione della legge n. legge n. 1423 del 1956, secondo cui il mancato rispetto di tale termine non produce né la nullità né l’inefficacia del decreto di applicazione della misura (cfr., Sez. 1, n. 2531 del 16/04/1996, COGNOME, Rv. 204905; Sez. 5, n. 3277 del 21/10/1993, COGNOME, Rv. 195549; Sez. 1, n. 3797 del 01/10/1993, COGNOME, Rv. 196211; Sez. 1, n. 1077 del 06/03/1992, COGNOME, Rv. 189744).
E’ stata, inoltre, ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma nono, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in relazione agli artt. 3 e 13 Cost., nella parte in cui non attribuisce carattere di perentorietà al termine, entro il quale deve intervenire la decisione della Corte d’appello, ne’ prevede la conseguente inefficacia della misura di prevenzione in caso di inosservanza del termine (Sez. 4, n. 2121 del 14/09/1996, Coraglia, Rv. 205569).
4.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
4.2.1. La ricorrente si duole di presunte violazioni di legge che, invero, sarebbero state più correttamente qualificabili quali vizi di motivazione che, come noto, non sono suscettibili di deduzione in sede di legittimità nei procedimenti di prevenzione.
Pur a voler superare tale aspetto, tuttavia, si ritiene che l’inammissibilità rilevata dalla Corte di appello sia immune da censure.
Invero, per consolidata giurisprudenza di legittimità, nel caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, questi può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, mentre non è legittimato a qualsivoglia questione giuridica relativa ai presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, trattandosi di doglianze che solo il preposto può avere interesse a far valere (cfr., Sez. 6, n. 5094 del 09/01/2024, COGNOME, Rv. 286058; Sez. 6, n. 48761 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285650; Sez. 1, n. 35669 del 11/05/2023, COGNOME, Rv. 285202; Sez. 5, n. 333
del 20/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280249; Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 277225-04; Sez. 6, n. 7469 del 04/06/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278454).
Ciò vale, a fortiori, per le doglianze relative alla posizione di ulteriori eventuali eredi del soggetto deceduto.
4.2.2. Invero, deve sottolinearsi l’esistenza di un orientamento contrario, assolutamente minoritario e di fatto superato, secondo cui il terzo che rivendica l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo è legittimato ed interesse non solo a contestare la fittizietà dell’intestazione, ma anche a far valere l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto (Sez. 5, n. 12374 del 14/12/2017, dep. 2018, La Porta, Rv. 272608). Nello stesso senso si è espressa, sia pur in relazione alla confisca ex art. 240-bis cod. pen., anche Sez. 1, n. 19094 del 15/12/2020, dep. 2021, Flauto, Rv. 281362, secondo cui il terzo intestatario del bene aggredito è legittimato a contestare, oltre la fittizietà dell’intestazione, anche la mancanza dei presupposti legali per la confisca tra cui la ragionevolezza temporale tra acquisto del bene e commissione del reato che legittima l’ablazione.
Secondo tali pronunce, l’esclusione dell’interesse all’impugnazione sui presupposti della misura in capo al terzo deriverebbe dalla considerazione ex post della sorte dei motivi di impugnazione secundum eventum litis (nel senso che verrebbe valorizzato solo il tema relativo all’individuazione dell’avente diritto all restituzione del bene) che invece debbono essere valutati ex ante nella loro attitudine distruttiva della pretesa fatta valere, e che quindi, nel rispetto de fondamentale diritto di difesa, possono essere anche articolati su piani concorrenti e/o graduati. Né si può ritenere che l’intestazione simulata di un bene costituisca di per sé una situazione illecita, se non è preordinata al conseguimento di fini contrari alla legge, se il reale proprietario dissimulato non è un soggetto socialmente pericoloso o autore di gravi delitti e se i beni non hanno provenienza illecita, come del resto conferma la disciplina civilistica della simulazione.
4.2.3. Preso atto dell’esistenza del richiamato contrasto giurisprudenziale, si ritiene di dare continuità all’orientamento maggioritario, dovendosi ritenere che il terzo intestatario del bene può ottenere il più favorevole dei risultati e, cioè, revoca della confisca, solo dimostrando che la titolarità del bene è reale e non meramente fittizia. Una volta fornita la prova di tale dato, per il terzo sono del tutto indifferenti le sorti della misura di prevenzione – personale e reale – disposta nei confronti del proposto, proprio perché si tratta di una vicenda processuale inidonea a produrre effetti negativi nei suoi confronti.
4.2.4. Quanto detto comporta che in capo al terzo che invochi l’insussistenza per l’applicazione della misura di prevenzione sussiste, al più, un
mero interesse di fatto all’esito della procedura che, tuttavia, non può costituire il fondamento della legittimazione processuale, individuabile solo a fronte di interesse giuridicamente tutelato.
A ben vedere, tutti gli aspetti che concernono i presupposti applicativi della misura sono estranei alla sfera soggettiva del terzo intestatario, sicché, ammettere la possibilità di una contestazione di tali aspetti, andrebbe a ledere il fondamentale principio secondo cui la legittimazione ad agire deve essere individuata in relazione alla titolarità del diritto oggetto del giudizio, non potendosi consentire una sorta di intervento ad adíuvandum del terzo in favore del destinatario della misura. Parimenti non dirimente è l’osservazione secondo cui l’interposizione fittizia, essendo riconducibile all’istituto civilistico della simulazione relativa del contratto non individua di per sé una condotta illecita.
L’osservazione, per quanto corretta, deve essere ulteriormente sviluppata, dovendosi sottolineare come proprio la disciplina civilistica dettata dall’art. 1414 cod. civ. prevede che, se le parti hanno inteso concludere un contratto diverso da quello apparente, tra le stesse ha effetto il contratto dissimulato. Ne consegue che, nei rapporti interni tra terzo simulato proprietario e reale titolare del bene, prevale non già il dato formale insito nella fittizia intestazione, bensì il dato real Traslando tali concetti nell’ambito della confisca di prevenzione, ne deriva che l’unico soggetto legittimato a chiedere la restituzione del bene – anche nell’ambito del rapporto interno con il fittizio intestatario – è il titolare reale dello stesso, potendo il terzo agire in giudizio per far valere quello che è un diritto altrui.
4.3. Manifestamente infondato è il terzo motivo.
L’accertamento della disponibilità indiretta della società di pertinenza della ricorrente e di NOME COGNOME – come evidenziato dalla Procura generale – è stato compiuto dal decreto impugnato secondo un iter logico pienamente coerente con la suindicata giurisprudenza di legittimità, valorizzando il contenuto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME NOME, i rapporti tra il marit della ricorrente e il proposto, la inadeguata situazione reddituale della stessa ricorrente rispetto all’acquisto dell’attività commerciale. Si tratta, all’evidenza, elementi univocamente sintomatici di un intenso legame idoneo ad agevolare l’operazione di fittizia intestazione da parte del proposto, nonché della incapacità della ricorrente, sotto il profilo economico, di acquisire la contitolarità della socie in mancanza di una diversa provenienza delle risorse necessarie all’acquisto.
E’ poi evidente come l’eventuale finanziamento dell’acquisto del bene mediante il ricorso al credito non dimostri la liceità di tale acquisto, posto che i suddetto finanziamento deve essere rimborsato e deve esserne sostenuto altresì il costo. E’ dunque con riferimento alla impossibilità di sostenere tale onere
finanziario che deve essere valutata l’incapienza di risorse di fonte lecita ( n. 33038 del 08/06/2017, cit.).
4.4. Va, infine, rilevato come la dichiarata inammissibilità dei motivi del ricorso principale cui si ricolleghino i due motivi aggiunti, idonei, in astratto, colmarne i difetti, travolge anche questi ultimi, non potendo essere tardivamente sanato il vizio radicale dell’impugnazione originaria; e ciò vale anche nel caso in cui il ricorso non sia integralmente inammissibile (cfr., Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, L., Rv. 278387).
Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, così quantificata in ragione dei profili di colpa emergenti dai ricorsi in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 19/04/2024.