Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31758 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31758 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nata a Sezze il 18/08/1977
avverso il decreto emesso dalla Corte di appello di Roma, Sezione Misure d prevenzione, il 28/11/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso (
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME in qualità di terza interessata, impugna il decreto emesso il 28 novembre 2024, depositato il 26 febbraio 2025, con cui la Corte di appello di Roma, Sezione misure di prevenzione, ha confermato il decreto emesso dal Tribunale di Roma, in data 13 novembre 2023.
Oggetto di censura è la statuizione di confisca adottata nei confronti del proposto NOME COGNOME (contestualmente sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di 3 anni), avente ad oggetto l’immobile sito in Sezze, INDIRIZZO intestato alla COGNOME, quale sua convivente, ma ritenuto a lui riconducibile ed acquisito mediante reimpiego di proventi illeciti.
Ne chiede l’annullamento per un unico articolato motivo di omessa motivazione: a) in relazione alla pericolosità sociale di Marongiu; b) alla provenienza illecita del danaro impiegato per l’acquisto, dedotta dalla sproporzione di tale importo con i redditi leciti, dovendosi al riguardo considerare che la provvista è stata fornita dalla ricorrente, con risorse proprie e lecite.
La Corte di appello ha perimetrato la pericolosità di Marongiu a partire dal 2004, benché a tale epoca – a cui risale l’acquisto del cespite – egli fosse stato attinto da un’unica condanna per cessione di sostanze stupefacenti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Di nessuna rilevanza risulta al riguardo l’iscrizione del proc. n. 16881 del 2004, celebrato innanzi al Tribunale ordinario di Latina, di cui il decreto di primo grado ha riportato alcune intercettazioni e vari elementi fattuali, in quanto COGNOME è stato assolto dalle relative imputazioni.
Sotto altro profilo, l’esborso di euro 37.000,00, a suo tempo effettuato per la vendita, risulta congruo con le “attività legali” svolte dalla ricorrente nel cors degli anni e con i proventi leciti di un’attività commerciale in precedenza gestita da COGNOME. La illiceità della provvista non può essere ritenuta sulla base del coinvolgimento di COGNOME in un’indagine per reati in materia di stupefacenti, che sarebbe stata intrapresa solo 7 anni più tardi, per cui è ancora pendente il giudizio di primo grado.
La necessità che la difesa versi in atti la documentazione fiscale, divenuta irreperibile presso gli uffici finanziari per decorso del tempo, come ritenuto dai Giudici di merito, peraltro in assenza di riferimenti temporali precisi, determina una chiara inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del proposto e dei terzi interessati una probatio diabolica. Di contro, estendendo a questo ambito i principi affermati da Sez. U n. 920 del 17/12/2003, Montella, in relazione al reato di cui all’art. 12-sexies, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356 – fondato su analogo meccanismo interpositivo – sarebbe stato onere dell’Accusa dimostrare la sproporzione tra il valore di acquisto del bene e i redditi e le attività economiche percepite dal proposto nel periodo.
Il decreto merita censura anche per avere omesso ogni motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione istruttoria mediante perizia avente ad
oggetto il valore dell’immobile, che il Tribunale avrebbe dovuto disporre ai sensi dell’articolo 220 cod. proc. pen., avendo ritenuto intrinsecamente inattendibili le consulenze di parte, e non potendosi ritenere intervenuta acquiescenza alla relazione dell’amministratore giudiziario – come invece argomentato nel decreto in quanto l’avviso di deposito della relazione risulta essere stato notificato al solo proposto ai sensi dell’art. 36, comma 4, legge 17 ottobre 2017, n. 161.
La Corte di merito avrebbe, infine, disatteso i principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con sentenza Sez. I, COGNOME e altri c. Italia, 20 gennaio 2025 – 13 febbraio 2025, la quale ha ribadito i requisiti elaborati dalla giurisprudenza di legittimità interna per la applicabilità della misura ablativa di prevenzione, tra cui la necessaria correlazione temporale, potendo la stessa avere ad oggetto solo i beni acquisiti durante il periodo in cui il proposto abbia presumibilmente commesso reati produttivi di illeciti profitti per un importo ragionevolmente congruo con il valore dei profitti da confiscare.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni che di seguito si espongono.
Deve premettersi che le Sezioni Unite, con sentenza n. 30355 del 27 marzo 2025, Putignano, risolvendo il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità in ordine all’ambito delle questioni deducibili dal terzo intestatario de bene oggetto di confisca di prevenzione, hanno sancito il principio secondo il quale il terzo è legittimato a rivendicare esclusivamente la effettiva proprietà del bene confiscato, senza poter prospettare l’insussistenza dei presupposti applicativi della misura, deducibile soltanto dal proposto.
il Massimo Collegio ha richiamato la sentenza della Corte EDU, 21 gennaio 2025, COGNOME e altri c. Italia – invocata anche dal ricorrente – che ha affermato la natura recuperatoria, e non punitiva, della confisca di prevenzione, siccome diretta a rimuovere dal circuito economico legale beni acquistati illecitamente; sicché, proprio per assolvere alla sua funzione, tale tipologia di ablazione vede “patrimonio di sospetta origine illecita e proposto legati fra loro da una corrispondenza biunivoca”, rispetto alla quale “il terzo fittizio intestatario assume una qualità eventuale ed accessoria in ragione della quale, soltanto ove…rivendichi la propria qualità di titolare effettivo dei beni, la sua qualità
proprietario reale può legittimare il suo “intervento” nel procedimento di prevenzione.”
Del resto, tale posizione marginale trova coerente riscontro nella disciplina anche processuale dell’istituto, posto che – come evidenziato dalle Sezioni Unite Putignano – l’art. 23 d.lgs., regolativo del procedimento applicativo, prevede in favore del proprietario o comproprietario del bene la “chiamata” ad intervenire all’udienza in camera di consiglio, locuzione ritenuta espressiva di uno ius ad loquendum diverso dal diritto a partecipare in senso proprio, che compete invece al proposto, quale parte necessaria.
Il Massimo Collegio ha tuttavia anche affermato che devesi riconoscere al terzo intestatario, per rendere effettiva la sua tutela, la facoltà di dedurre ogni elemento utile in rapporto al thema probandum come innanzi perimetrato. In tale ottica, si è ritenuto che l’ambito delle allegazioni al terzo consentite – e a cu egli è onerato, senza che debba al riguardo parlarsi di inversione dell’onere della prova – finalizzate a dimostrare che quel bene è di sua proprietà e rientra nella sua disponibilità esclusiva “deve essere il più ampio possibile, altrimenti rendendosi privo di contenuto il diritto azionabile, e deve comprendere tutti i fatti positivi anche contrari o presuntivi rispetto a quelli su cui si fonda la ritenuta disponibilità del bene in capo al proposto. Non solo, pertanto, circostanze volte a dimostrare di avere sostenuto, iure proprio e con esclusione di qualsiasi interferenza determinata dai proventi illeciti del proposto, l’acquisto del bene, ma anche quelle dirette a contestare la valenza indiziante degli elementi ricostruttivi e dichiarativi in forza dei quali si sostiene che l’intestazione del bene sia avvenuta nomine alieno”.
In definitiva, il terzo fittiziamente interposto – anche alla luce di una lettur di sistema della nozione di interesse ad impugnare previsto dall’art. 568 cod. proc. pen. – è legittimato esclusivamente a dedurre, in ricorso, sulla “coincidenza tra situazione formale e situazione sostanziale”.
Facendo applicazione degli esposti principi, la ricorrente non è, dunque, legittimata a contestare, tra i presupposti per l’applicazione della misura, anzitutto la condizione di pericolosità del proposto.
E comunque, al di là di quanto statuito dalle Sezioni Unite – in epoca posteriore alla data di proposizione del ricorso, ma a conferma di un radicato, pur se non univoco, orientamento di legittimità, sicché non è dato affermare che la decisione costituisca un overruling non prevedibile – il decreto impugnato reca un’articolatissima motivazione in punto di pericolosità, con la quale il ricorso non si confronta.
La Corte di appello ha evidenziato come ricorrano i presupposti enucleati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 24 del 2019, in forza dei quali i delitti legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di pericolosità “generica” di cui alla lettera b) dell’art. 1 d.lgs. n. 159 del 2011, categoria all quale si ascrive il proposto (al quale è anche contestata la pericolosità qualificata ex art. 4, lett. c), stesso d.lgs.), devono presentare i tre requisiti: dell’abitualità, ossia della commissione in un arco di tempo significativo; ii) dell’aver generato profitti in capo al proposto; iii) dell’aver costituito, in q determinato periodo, l’unica o, almeno, più rilevante fonte di reddito per il medesimo.
Ed invero, i Giudici della prevenzione, nei gradi di merito, hanno ampiamente ricostruito come COGNOME, a partire dal 2004, sia rimasto coinvolto in attività legate al narcotraffico ed abbia abitualmente vissuto dei proventi derivanti dal lucroso settore del commercio di sostanze stupefacenti; sebbene l’unico episodio di cessione provata, nel 2004, abbia condotto alla condanna per l’ipotesi lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, i decret di primo e secondo grado hanno valorizzato i collegamenti investigativi emersi nell’ambito di procedimenti anche intentati a distanza di anni, che dimostrano come il COGNOME risultasse orbitare da tempo negli stessi ambienti criminali legati al narcotraffico, che erano in contatto con il clan dei casalesi per il tramite di COGNOME e COGNOME.
Anche in relazione al procedimento richiamato dalla difesa, definito dal Tribunale di Latina con sentenza assolutoria, nel 2004, quanto al reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (per difetto di prova sull’esistenza di una cassa comune e di una struttura organizzativa unitaria dedita alla realizzazione di un programma indeterminato di delitti in materia di stupefacenti), vi è stata autonoma valutazione – pienamente consentita dalla specificità del procedimento di prevenzione – dei fatti storicamente accertati in quella sede, che risultano rilevanti ai fini del giudizio di pericolosità, tra c rientra la cessione da parte del proposto a NOME COGNOME di gr. 25 di sostanza stupefacente.
Il decreto impugnato ha poi richiamato, quali ulteriori indicatori dello svolgimento di attività lucrogenetiche, i numerosissimi sequestri di sostanze stupefacenti operati nei confronti di Marongiu negli anni, ma anche i tentativi di estorsione posti in essere al fine di recupero di pregressi prestiti da investire nell’acquisto di cocaina.
Sono, infine, riprodotte le risultanze della ordinanza di custodia cautelare e, in particolare, le captazioni telefoniche riguardanti il rifornimento da parte del
proposto, per il tramite di NOME COGNOME, noto trafficante internazionale, di quantitativi importanti (tra i 15 e i 30 chili) di sostanze stupefacenti.
Venendo agli ulteriori temi dedotti in ricorso, è utile preliminarmente precisare che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 10 e 27 d. Igs. n. 159 del 2011, il ricorso per cassazione avverso provvedimenti applicativi di misure di prevenzione patrimoniali è ammesso solo per violazione di legge. Ne consegue che fuoriesce dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta della motivazione contemplata dall’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato, come riconosciuto da giurisprudenza granitica sul punto, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente.
Tanto puntualizzato, e venendo alla dedotta sproporzione, rispetto ai redditi leciti, degli acquisti e degli incrementi di valore dell’immobile attinto d confisca, dovuti agli ampliamenti ed interventi di manutenzione straordinaria eseguiti negli anni, i Giudici del merito hanno riportato la tabella riassuntiva dei dati reddituali riferibili al nucleo familiare di Marongiu (con redditi complessivi pari a 6604,00 euro per l’anno 2004 e comunque risultati oggettivamente insufficienti negli anni a venire anche per soddisfare le basilari esigenze di vita), i quali risultano del tutto incompatibili con il prezzo pagato per l’acquisto del bene (37.000,00 euro).
Il ricorso, al riguardo, involge la congruità della motivazione e non, invece, violazioni di legge, poiché la motivazione resa è tutt’altro che apparente.
Analogamente, deve osservarsi come riguardino pretesi vizi di motivazione le censure inerenti alla sottovalutazione delle allegazioni contenute nella consulenza tecnica redatta dalla dott.ssa COGNOME che avrebbero dovuto dimostrare la provenienza lecita delle risorse finanziarie investite dalla ricorrente.
In realtà, nel decreto impugnato è stata ampiamente confutata la tesi per cui sarebbero confluiti nell’acquisto dell’immobile; a) l’indennizzo assicurativo di euro 35.000,00, percepito dalla COGNOME per il decesso del fratello da sinistro stradale, sul rilievo che tale importo è stato riscosso nell’anno 2005, dunque in epoca successiva all’acquisto; b) la donazione di 70.000,00 euro, che i genitori della COGNOME avrebbero fatto alla figlia, attingendola dal risarcimento percepito in ragione del medesimo sinistro.
In ogni caso, si è stigmatizzato, a fondamento della ritenuta inattendibilità di tali allegazioni, il fatto che erogazioni di così rilevante impor
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non siano supportate da evidenze documentali di nessun tipo, benché gli indennizzi assicurativi siano ordinariamente tracciabili.
Stessa cosa è a dirsi per il prestito che sarebbe stato erogato dalla società Agos nel 2009.
Sotto altro profilo, si è opportunamente puntualizzato, nel decreto impugnato, che il valore di stima indicato dal consulente della difesa, inferiore a quello ritenuto dall’amministratore giudiziario, è in realtà non congruo perché non pertinente, siccome riferito ad unità immobiliare singola, mentre l’edificio di cui alla confisca consta di due distinti appartamenti.
Resta, di conseguenza, ininfluente l’ulteriore questione, secondo cui non potrebbe ritenersi integrata l’acquiescenza della Rapone al valore di stima espresso dall’amministratore giudiziario, per non essere stato comunicato l’avviso previsto ex art. 36 d.lgs. n. 159 del 2011, e ciò anche a prescindere dalla tardività della deduzione difensiva, che non ha mai formato oggetto di eccezione nel corso del procedimento, pur se svolto con la partecipazione della ricorrente quale terzo interessato.
Le argomentazioni sul punto rese dal Tribunale equivalgono, dunque, ad implicita valutazione di inammissibilità dei rilievi sulla stima degli immobili, sicché non può dirsi che la motivazione sul punto sia stata omessa.
9.Conclusivamente, la Corte d’appello ha ritenuto che la difesa della terza interessata non abbia fornito documentazione idonea a provare le allegazioni inerenti alla sussistenza di redditi leciti antecedenti al 2004, né sono stati evidenziati i presupposti per ritenere addirittura mancante, perché privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, il ragionamento seguito da quei Giudici nel disattendere le deduzioni difensive.
NOME Al rigetto del ricorso, che discende da tutto quanto precede, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 giugno 2025