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Confisca di prevenzione: i limiti del terzo intestatario

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di confisca di prevenzione riguardante un immobile intestato a una terza persona, convivente del soggetto ritenuto socialmente pericoloso. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo un principio fondamentale: il terzo intestatario può contestare solo la titolarità effettiva del bene e la liceità dei fondi propri utilizzati per l’acquisto, ma non può mettere in discussione la pericolosità sociale del proposto. La decisione si fonda sulla manifesta sproporzione tra il valore del bene e i redditi leciti del nucleo familiare, confermando la presunzione di provenienza illecita dei capitali.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca di prevenzione: quali tutele per il terzo intestatario?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31758 del 2025, affronta un tema cruciale nell’ambito delle misure patrimoniali: i limiti della tutela riconosciuta al cosiddetto ‘terzo interessato’ nel procedimento di confisca di prevenzione. Il caso analizzato riguarda un immobile, formalmente intestato alla convivente di un soggetto ritenuto socialmente pericoloso, ma considerato frutto di proventi illeciti. La pronuncia chiarisce in modo netto cosa può e cosa non può contestare il terzo che si vede sottrarre un bene.

I Fatti di Causa

Il procedimento nasce dalla proposta di applicazione di una misura di prevenzione personale e patrimoniale nei confronti di un uomo, ritenuto socialmente pericoloso per via del suo stabile coinvolgimento in attività di narcotraffico. Oggetto della confisca di prevenzione è un immobile formalmente intestato alla sua convivente, la quale ricorre in Cassazione in qualità di ‘terza interessata’.

La ricorrente lamentava principalmente due aspetti: la carenza di motivazione sulla pericolosità sociale del convivente e sull’origine illecita del denaro utilizzato per l’acquisto dell’immobile. Sosteneva, infatti, di aver acquistato la casa con fondi propri e leciti, derivanti da attività lavorative, risarcimenti e donazioni familiari. Contestava inoltre l’inversione dell’onere della prova, che a suo dire le imponeva una probatio diabolica per dimostrare la liceità di somme a distanza di molti anni.

La Posizione del Terzo e la confisca di prevenzione

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella delimitazione dei poteri di impugnazione del terzo intestatario. Richiamando un fondamentale principio sancito dalle Sezioni Unite, la Corte afferma che il terzo è legittimato a contestare esclusivamente la ‘coincidenza tra situazione formale e situazione sostanziale’.

In parole semplici, il terzo può difendersi solo su due fronti:
1. Dimostrare di essere l’effettivo e unico proprietario del bene (iure proprio).
2. Provare che l’acquisto è avvenuto con fondi propri e di provenienza lecita, senza alcuna interferenza dei proventi illeciti del proposto.

Di conseguenza, il terzo non ha titolo per contestare i presupposti della misura applicata al proposto, come la sua pericolosità sociale. Questa valutazione spetta solo al soggetto destinatario della misura. La contestazione della ricorrente su questo punto è stata quindi dichiarata inammissibile.

L’onere della prova e la Sproporzione Patrimoniale

La Corte ha poi analizzato la questione della provenienza del denaro. I giudici di merito avevano accertato una palese sproporzione tra i redditi leciti dichiarati dal nucleo familiare (circa 6.600 euro in un anno) e il prezzo di acquisto dell’immobile (37.000 euro), oltre alle normali spese di sostentamento. Questa sproporzione costituisce il presupposto fondamentale per la presunzione di illecita provenienza dei fondi.

Le giustificazioni fornite dalla ricorrente sono state ritenute inattendibili perché prive di riscontri documentali. Ad esempio, un indennizzo assicurativo era stato incassato in data successiva all’acquisto, mentre una cospicua donazione da parte dei genitori non era supportata da alcuna prova documentale, nonostante importi di tale entità siano solitamente tracciabili. La Cassazione ha confermato che, in tema di confisca di prevenzione, le mere allegazioni non sono sufficienti a superare la presunzione derivante dalla sproporzione patrimoniale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso basandosi su una serie di argomentazioni giuridiche chiare e rigorose. In primo luogo, ha stabilito l’inammissibilità delle censure relative alla pericolosità sociale del proposto, poiché la ricorrente, come terzo, non era legittimata a sollevarle. In secondo luogo, ha qualificato le doglianze sulla provenienza dei fondi come questioni di merito, non sindacabili in sede di legittimità, dato che la motivazione dei giudici dei gradi inferiori era logica e non meramente apparente. I giudici avevano ampiamente spiegato perché le fonti di reddito lecite indicate dalla ricorrente non fossero credibili o pertinenti, sottolineando l’assenza totale di prove documentali a supporto di ingenti flussi di denaro. Infine, anche le questioni relative alla valutazione dell’immobile sono state respinte, poiché la Corte d’appello aveva implicitamente ritenuto inammissibili le richieste difensive, fornendo una motivazione adeguata.

Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso sul ruolo del terzo nel procedimento di confisca di prevenzione. Emerge con forza che la tutela del terzo intestatario è subordinata a un onere probatorio particolarmente stringente. Non basta affermare la propria estraneità ai fatti illeciti del proposto o indicare possibili fonti lecite di reddito; è indispensabile fornire prove documentali concrete, chiare e tracciabili che dimostrino in modo inequivocabile la provenienza legittima dei capitali impiegati per l’acquisto del bene. In assenza di tale prova rigorosa, la sproporzione tra patrimonio e redditi leciti resta l’elemento decisivo che legittima l’ablazione del bene in favore dello Stato.

Cosa può contestare il terzo proprietario di un bene in caso di confisca di prevenzione?
Il terzo intestatario può esclusivamente rivendicare l’effettiva proprietà del bene confiscato e dimostrare che esso è stato acquistato con fondi propri di origine lecita, senza poter contestare i presupposti della misura, come la pericolosità sociale del soggetto proposto.

Come viene valutata la provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto di un bene soggetto a confisca?
La Corte valuta la sproporzione tra il valore del bene e i redditi leciti del nucleo familiare del proposto nel periodo di riferimento. Se emerge una significativa e ingiustificata sproporzione, si presume che il bene sia stato acquistato con proventi di attività illecite.

È sufficiente dichiarare di aver ricevuto donazioni o risarcimenti per giustificare un acquisto?
No. Secondo questa sentenza, tali affermazioni devono essere supportate da prove documentali certe e tracciabili (es. movimenti bancari, atti formali). La semplice allegazione, specialmente per importi rilevanti, è considerata inattendibile se non corroborata da adeguata documentazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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