Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7346 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7346 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a Afragola il DATA_NASCITA
NOME nata a Afragola il DATA_NASCITA avverso il decreto del 31/01/2023 della Corte di appello di Napoli
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio del decreto impugnato del ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto emesso in data 25 gennaio 2022 il Tribunale di Napoli ha disposto la misura di prevenzione della confisca di beni intestati ad NOME COGNOME ed alla moglie NOME COGNOME. I predetti hanno, quindi, proposto appello avverso tale decreto, lamentando l’assenza dei presupposti oggettivi e soggettivi della misura di prevenzione.
NOME COGNOME e la terza interessata NOME COGNOME, a mezzo del loro difensore, propongono ricorso per cassazione avverso il decreto, emesso il 31 gennaio 2023, con il quale la Corte di Appello di Napoli ha rigettato l’appello.
Con il primo motivo di impugnazione, i ricorrenti lamentano violazione degli artt. 1 e 4 del d.l.gs. 159/2011, apparenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla pericolosità sociale del proposto.
La Corte di merito, omettendo di valutare gli elementi favorevoli indicati dalla difesa nonché le pronunce giurisdizionali favorevoli al proposto, avrebbe affermato, in modo apodittico, la pericolosità qualificata del COGNOME senza tenere conto della sopravvenuta e definitiva assoluzione del ricorrente dal reato di partecipazione all’associazione camorristica denominata «RAGIONE_SOCIALE» nel procedimento svoltosi innanzi al Tribunale di Napoli; dell’esclusione da parte della Corte di appello di Napoli dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa in relazione al reato di usura per il quale il COGNOME è stato condannato dal Tribunale di Napoli; del rigetto da parte del Tribunale di Napoli della richiesta di applicazione della misura di sicurezza personale stante il difetto di attualità della pericolosità sociale del COGNOME e dell’ininterrotta detenzione in carcere subita dal ricorrente fin dall’anno 2009.
La Corte territoriale non avrebbe indicato i dati obiettivi idonei a giustificare l’applicazione di una misura di prevenzione nonostante il passaggio in giudicato della sentenza dii assoluzione relativa ai medesimi fatti posti a fondamento del giudizio di pericolosità sociale qualificata con conseguente violazione di legge.
La motivazione sarebbe, inoltre, carente in ordine all’accertamento della correlazione temporale tra la ritenuta pericolosità sociale qualificata e l’acquisto dei beni oggetto di confisca, beni acquistati dalla moglie del COGNOME in epoca anteriore alla commissione degli unici due reati per i quali il ricorrente è stato condannato (capi 12 e 13).
I ricorrenti, con il secondo motivo di impugnazione, lamentano violazione dell’art. 24 del d.l.gs. 159/2011 nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione per omessa valutazione dei documenti allegati alla memoria difensiva depositata in data 15 gennaio 2023.
Il giudice dell’appello, limitandosi alla mera reiterazione del percorso argomentativo contenuto nel provvedimento genetico, avrebbe omesso ogni valutazione in ordine a quanto eccepito dalla difesa in ordine alla disponibilità da parte della NOME di autonome fonti di reddito che le avrebbero permesso di estinguere la procedura esecutiva immobiliare ed acquistare l’immobile sito in INDIRIZZO.
La motivazione sarebbe carente anche in relazione alla ritenuta intestazione fittizia dei beni oggetto di confisca nonché a quanto dichiarato dalla COGNOME in ordine alla liceità delle operazioni societarie che avrebbero permesso al marito di incassare somme utilizzate per le spese familiari.
I ricorrenti, con il terzo motivo di impugnazione, lamentano violazione di legge conseguente alla mancata assunzione di una prova decisiva.
La Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto superflua l’escussione di NOME COGNOME, parte venditrice dell’immobile sottoposto a confisca, in ordine alle modalità di pagamento del prezzo di acquisto ed alla reale entità della somma pagata dalla COGNOME.
Secondo la prospettazione della ricorrente, la venditrice avrebbe preteso l’indicazione della corresponsione di prezzo in realtà non avvenuta, il controvalore della vendita sarebbe, infatti, costituito dall’accollo da parte della COGNOME dii debiti gravanti sulla RAGIONE_SOCIALE, debiti che negli anni successivi sarebbero stati estinti dalla ricorrente.
L’escussione della venditrice avrebbe dimostrato che la NOME ha acquistato un immobile gravato la procedura esecutiva con la consapevolezza che, a fronte del mancato versamento del prezzo di acquisto, avrebbe estinto progressivamente la posizione debitoria accollatasi, ottenendo dopo molti anni la cancellazione delle ipoteche iscritte grazie alle entrate successive alla stipula del contratto di acquisto ed alla cessione delle quote della società RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili in quanto avanzati per motivi manifestamente infondati ovvero non consentiti, perché involgenti non violazioni di legge ma difetti di motivazione già denunciati in sede di appello ed affrontati in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
Deve essere preliminarmente ribadito che il ricorso per cassazione avverso provvedimenti applicativi di misure di prevenzione è ammesso solo per violazione di legge, mentre non sono deducibili vizi riconducibili alle categorie indicate dall’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. (salvo che si lamenti l’assenza o la mera apparenza della motivazione, ipotesi che integrano la violazione di legge in riferimento all’art. 125 cod. proc. pen.).
Costituisce, peraltro, ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale la motivazione inesistente o apparente del provvedimento ricorre esclusivamente quando il decreto ometta del tutto di confrontarsi con un elemento prospettato da una parte che risulti potenzialmente decisivo in quanto, anche se singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284 – 01).
Il provvedimento impugnato non appare affetto da violazione di legge, neanche sub specie carenza assoluta di motivazione nei termini sopra precisati, la motivazione del provvedimento impugnato risulta coerente con le emergenze processuali e non è riconducibile né all’area semantica della motivazione “assente” né a quella della motivazione “apparente”.
Le valutazioni della Corte territoriale, fondate su un’analisi del materiale logicoprobatorio corretta e lontana da inammissibili presunzioni, forniscono una più che adeguata spiegazione delle ragioni per cui è addivenuta a confermare il provvedimento impositivo della confisca di prevenzione di beni intestati ad NOME COGNOME ed alla moglie NOME COGNOME,
Il primo motivo di ricorso è ictu °culi riferibile ad una motivazione, non già mancante o meramente apparente, ma illogica e non condivisa dal ricorrente e, quindi, dedotto per ragioni escluse dal sindacato della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione in materia di misure di prevenzione.
Detta censura, peraltro, oltre ad essere dedotta per motivi non consentiti per i motivi sopra esposti, è priva di specificità in quanto il ricorrente si è limitato a riproporre la ricostruzione in fatto alternativa rispetto a quella recepita nel provvedimento genetico senza confrontarsi con le coerenti argomentazioni sulle quali si fonda la decisione dei giudici di appello.
Il riferimento alla violazione di legge ed alla carenza/apparenza della motivazione in ordine ai presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione è chiaramente strumentale ad una rivalutazione della vicenda nel merito, avendo la Corte territoriale chiaramente motivato sulle ragioni in base alle quali ritiene infondate le censure difensive già proposte nell’atto di appello.
I giudici di appello, condividendo la disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali effettuata dal primo giudice, hanno indicato i dati fattuali da cui desumere l’appartenenza di NOME COGNOME alla categoria dei soggetti pericolosi di cui all’art. 1 della legge 575/65 e la provenienza delittuosa della provvista adoperata per acquistare i beni sottoposti a confisca, rimarcando che le sopravvenute pronunce favorevoli al ricorrente non hanno smentito la storicità dei fatti posti a fondamento della decisione adottata in sede di prevenzione reale, fatti ritenuti sintomatici dell’appartenenza del COGNOME al RAGIONE_SOCIALE a seguito di una rivalutazione priva di contraddizioni ed illogicità di tali elementi indiziari.
In particolare, i giudici di merito hanno correttamente valorizzato la condotta di intraneità funzionale, fattiva e concreta alla famiglia camorristica desumibile dalle conversazioni intercettate e dagli altri elementi indiziari ritenuti idonei a formulare un giudizio di pericolosità qualificata del COGNOME, indicato dal Tribunale come «soggetto pienamente coinvolto nel giro affaristico dei RAGIONE_SOCIALE» (vedi pagg. 3 e 4 del provvedimento impugnato nonché pagg. 5-6 e da 11 a 17 del decreto del Tribunale).
Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini
di assoluta carenza o apparenza della motivazione e perciò insindacabili in questa sede per i motivi sopra esposti.
La Corte territoriale, peraltro, ha fatto buon uso del principio di diritto affermato da questa Corte di RAGIONE_SOCIALEzione secondo cui il giudice, attesa l’autonomia tra processo penale e procedimento di prevenzione, può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica del proposto, anche a seguito di sentenza di assoluzione, ove risultino delineati, con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività, quei fatti che, pur ritenuti insufficienti nel merito possono, comunque, essere posti alla base di un giudizio di pericolosità. Il giudizio di prevenzione è funzionale, infatti, a valutare la condizione di pericolosità sociale del prevenuto e non presuppone un compiuto accertamento della responsabilità penale (vedi Sez. 2, n. 23813 del 17/07/2020, COGNOME, Rv. 279805 – 01 Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, COGNOME, Rv. 282655 – 01; Sez. 2, n. 15704 del 25/01/2023, COGNOME, Rv. 284488 – 01).
4. Il secondo motivo di impugnazione è dedotto per motivi non consentiti.
Deve essere, preliminarmente, ribadito che, è improponibile, sotto forma di violazione di legge, la mancata considerazione di prospettazioni difensive, quando le stesse, come nel caso di specie, siano state prese in considerazione dal giudice o risultino assorbite dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284 – 01) e comunque non siano potenzialmente decisive ai fini della pronuncia sul punto attinto dal ricorso (Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, Caliendo, Rv. 270080).
Il vizio di travisamento della prova per omissione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., deve, pertanto, ritenersi estraneo al procedimento di legittimità avente ad oggetto le misure di prevenzione ove sono deducibili solo i motivi che denuncino violazione di legge; e ciò a meno che il travisamento, diversamente dal caso oggetto di giudizio, non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero talmente erroneamente ricostruite dai giudici di merito al punto da trasfondersi in una forma di motivazione apparente od inesistente riconducibile alla violazione di legge (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Noviello, Rv. 279435 – 01; da ultimo Sez. 2, n. 48453 del 13/10/2023, COGNOME, non massimata).
La Corte di appello, con motivazione coerente con le risultanze istruttorie ed esente da illogicità, ha diffusamente argomentato in ordine all’inidoneità della documentazione prodotta dalla difesa a disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo del decreto impositivo della confisca di prevenzione (vedi quanto affermato a pagg. 6 e 7 del provvedimento impugnato in ordine al dato probatorio ricavabile dall’atto pubblico di
compravendita ed alla genericità dei rilievi difensivi) con conseguente insussistenza della dedotta carenza di motivazione.
Il terzo motivo non è consentito in sede di legittimità.
Il Collegio intende ribadire il principio di diritto secondo cui, nel procedimento di prevenzione, non è deducibile il vizio di mancata assunzione di una prova decisiva di cui all’art. 606, lett. d), cod. proc. pen., previsto soltanto per il giudizio dibattimentale e non anche per i procedimenti che si svolgono con il rito della camera di consiglio (vedi Sez. 1, n. 8641 del 10/02/2009, NOME, Rv. 24288701; Sez. 1, n. 32116 del 10/09/2020, NOME, Rv. 280199-01, in motivazione; da ultimo Sez. 2, n. 40411 del 21/06/2023, COGNOME, non massimata).
Detta norma, infatti, circoscrive tassativamente la previsione della impugnativa al caso in cui «la parte ne abbia fatto richiesta, anche nel corso della istruzione dibattimentale, limitatamente ai casi previsti dall’articolo 495, comma 2» cod. proc. pen.; l’inequivoco dato letterale chiarisce che la doglianza ammessa è esclusivamente quella riferita alla mancata ammissione della prova a discarico decisiva dedotta in dibattimento. Va, inoltre, sottolineato che la Corte territoriale, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, si è confrontata con la richiesta di escussione del teste COGNOME con argomentazioni sufficientemente approfondite e logicamente inattaccabili (vedi pag. 6 del provvedimento impugnato) con conseguente insussistenza della lamentata violazione di legge.
In conclusione, deve essere, dunque, esclusa alcuna carenza di motivazione -nei termini delineati dalla giurisprudenza di questa Corte esposti al capo 1 – sia in ordine al profilo della pericolosità che dell’attualità apprezzata attraverso la ricostruzione cronologica dei dati fattuali, sia della sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi della misura di prevenzione applicata con conseguente inammissibilità del ricorso proposto dai ricorrenti.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 21 novembre 2023
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La Presidente