Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3816 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3816 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 29/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il 06/11/1969
avverso il decreto del 26/11/2021 della CORTE APPELLO di VENEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto indicato in epigrafe, la Corte di Appello di Venezia in parziale riforma del decreto dal Tribunale di Venezia del 05.10.2020, che disponeva la confisca del bene immobile, sito nel Comune di Borgo Veneto, in comproprietà tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, acquistato nel 2005, del bene mobile registrato, RAGIONE_SOCIALE, del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, corrente in Borgo Veneto, di n.6 rapporti bancari consistenti in conti correnti e conto deposito a risparmio intestati a COGNOME Marco, COGNOME NOME, NOME COGNOME COGNOME NOME e NOME, tutti facenti parte di un unico nucleo familiare, ritenendo sussistere la sproporzione tra i beni patrimoniali nella disponibilità dei proposti ed
i redditi posseduti, non avendo nessuno dei proposti mai denunciato alcun reddito, durante il periodo temporale di manifestazione della pericolosità sociale del Bosjak, sui conti correnti in sequestro sono transitate ingenti somme di denaro che non trovano giustificazione per la mancanza di alcun impiego lavorativo lecito da parte dei proposti, nonché rispetto alle acquisizioni patrimoniali in sequestro temporalmente realizzate nel medesimo periodo, e ritenuta sussistere la manifestazione di pericolosità sotto il profilo dell’art.1, lett. b), D. L.gs 159/2011 negli anni antecedenti il 2005, di inizio dell’abituale dedizione ad attività illecit in relazione alla evidente pericolosità sociale derivante da reiterate condotte illecite poste in essere dal proposto fin dalla più giovane età, soprattutto per delitti contro il patrimonio (nel periodo che va dagli anni ’80 al 2009 è stato raggiunto da tre ordinanze cautelari), è gravato da numerosi precedenti di polizia e di recente coinvolto in un procedimento penale, unitamente alla moglie ed ai figli, NOME e NOME, per plurimi furti in abitazione, definito con sentenza di applicazione pena, e senza mai dare segni di ravvedimento, nonostante plurime denunce anche in stato di arresto, le pronunce definitive dell’autorità giudiziaria, revocava la confisca della quota dell’immobile di Borgo INDIRIZZO, frazione INDIRIZZO, di proprietà di COGNOME NOME e dell’autovettura Seat Ibiza, intestata a quest’ultima, confermando nel resto.
Contro l’anzidetto decreto, NOME COGNOME propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOMECOGNOME COGNOME affidato ad un unico motivo, di seguito sintetizzato ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo ed unico motivo di ricorso lamenta violazione di legge, ai sensi dell’art 606 lett. b) cod. proc. pen., deducendo insussistenza della attualità della pericolosità sociale di cui all’art.1, lett. b) D.L.gs 159/2011, nel periodo precedente e successivo all’acquisto dell’immobile oggetto della confisca, la natura in prevalenza tentata dei furti commessi nel periodo dal proposto, inidonei a produrre reddito, le sentenze definitive precedenti l’acquisto sono due, una del 1999, l’altra del 2003 per fatti commessi in epoche antecedenti alle decisioni e, per il periodo successivo, una sentenza del 2013, che le attività illecite attribuibili al proposto erano cessate almeno due anni prima dell’acquisto in comproprietà dell’abitazione familiare e riprese a distanza di quasi dieci anni, l’esercizio, nel periodo 1998/2012, di lucrosa attività di commercio di bestiame all’estero, comprovato dalle fatture in atti, non esclusa dalla attività illecita saltuariamente posta in essere dopo il 2005 e cessata prima di tale anno, che la modifica dell’art.24, comma 2, del D. L.gs 159/2011 sul divieto di detrazione della eventuale evasione fiscale posta in essere per giustificare la provenienza lecita del denaro utilizzato per
l’acquisto del bene, in quanto introdotta nel 2017, in un periodo successivo all’acquisto del bene, sarebbe inapplicabile nella specie, che la sproporzione è stata riferita al solo periodo 2005/2014 e non agli anni antecedenti all’acquisto.
Il difensore chiede annullarsi l’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso inammissibile.
2.1 Il primo ed unico motivo di ricorso, che lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento in relazione all’arti, lett. b), D. Lgs 159/2011, per avere ritenuto la pericolosità sociale nel periodo precedente e successivo all’acquisto dell’immobile oggetto della confisca, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
2.1.1 Deve premettersi che il sindacato di legittimità in materia di prevenzione è circoscritto soltanto al vizio di violazione di legge, secondo il disposto dell’art 10, comma 3, d.lgs. 159/2011, ivi compreso il vizio di motivazione mancante o apparente e con esclusione dell’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. (cfr., per tutte, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266365).
Tali principi sono stati di recente sviluppati ulteriormente dalle Sezioni unite della Corte di cassazione che, proprio in tema di provvedimenti applicativi della misura di prevenzione, hanno chiarito che la violazione di legge sussiste ove si profila la totale esclusione di argomentazione su un presupposto, un elemento costitutivo della fattispecie che legittima l’applicazione della misura, configurandosi in caso di radicale mancanza di argomentazione su punto essenziale (Sez. U., n. 111, del 30/11/2017, COGNOME, Rv. 271511).
Tali principi devono essere posti in connessione con quanto le stesse Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito in ordine allo specifico tema della prevenzione patrimoniale e, cioè, che la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale” del suo ambito applicativo; ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al propo
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ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262605).
2.1.2 Va premesso che l’esercizio dell’azione di prevenzione e l’accertamento della pericolosità sociale del soggetto sollecita risposte ordinamentali non già a fatti costituenti reato, ma a comportamenti praeter delictum, a stili di vita e metodiche comportamentali che si collocano al di fuori degli ordinari schemi della civile convivenza e dell’ordine democratico; tale sistema, come è noto, attua un contrasto a due forme di pericolosità: a) la pericolosità c.d. generica (o comune), propria dei soggetti dediti abitualmente a condotte delittuose e che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di tali attività delittuose, ai sens dell’art. 1 legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (oggi, art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159), e b) la pericolosità c.d. qualificata, propria dei soggetti ritenuti partecipi di associazioni per delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis cod. pen., richiamato dall’art. 4, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011) o indiziati di a reati di allarme sociale. Nella prima ipotesi siamo in presenza di un’abituale dedizione al crimine, eletto a fonte di sostentamento; nell’altra, di scelte esistenziali e di sistematici comportamenti, antitetici alle regole del vivere civile, ma pur essi orientati a logiche di profitto e di facile arricchimento.
Il proposto, già destinatario di condanne definitive per delitti contro il patrimonio, anche con l’alias di NOME, dagli anni ’80-’90 sino al 2009, proseguiti con continuità fino ad epoca recente sino alla condanna con sentenza del 25.11.2020 del GIP del Tribunale di Pordenone, rientra nella prima categoria soggettiva, con pericolosità perimetrata nel periodo 2005/2014, per cui gli vanno nella specie applicate, per il corrispondente periodo temporale, le disposizioni sulle persone pericolose “generiche”.
Quanto alla c.d. pericolosità generica il motivo è generico e reiterativo per avere la Corte territoriale con motivazione immune da censure riscontrato la sussistenza dei presupposti di legge, richiamando i numerosi precedenti penali per delitti contro il patrimonio, commessi in un ampio arco temporale che denotano la abitualità dell’attività criminosa da cui il proposto ha ricavato una rilevante fonte di reddito per provvedere alle esigenze di vita, proprie e dei familiari, tenendo, altresì, conto che né il proposto né i familiari conviventi hanno mai avuto un lavoro o un reddito lecito, né mai presentato una dichiarazione dei redditi tra il 2005 e il 2014.
La Corte territoriale giunge a valutare positivamente la sussistenza della pericolosità sociale del proposto dopo aver attentamente vagliato la ricorrenza di tutti gli “specifici indicatori” individuati dalla giurisprudenza, e segnatamente “.. la consumazione di attività delittuosa non episodica e tale da produrre reddito illecito; la destinazione di siffatti proventi al soddisfacimento dei bisogni d
sostentamento; la consumazione di condotte illecite in misura apprezzabile e tale da manifestare una sorta di stile di vita; la possibilità per il giudice del prevenzione di valorizzare autonomamente i fatti accertati in sede penale, con isolo limite negativo della intervenuta negazione in sede penale di quei fatti, che non possono quindi essere riconosciuti esistenti, men che meno posti a fondamento di un giudizio di pericolosità sociale …”.
Invero, è jus receptum che, in tema di misure di prevenzione, il giudice, attesa l’autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, può valutare autonomamente il materiale probatorio raccolto nel procedimento penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità del proposto, ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur non ancora oggetto di condanna, ovvero ritenuti non sufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale, ben possono, viceversa, essere posti alla base di un giudizio di pericolosità. La base probatoria del processo di prevenzione, invero, ricomprende l’ampia area che va dal sospetto fondato su fatti oggettivamente valutabili all’indizio vicino o confinante con la prova indiziaria, per cui ben possono essere presi a base dell’analisi di prevenzione indizi suscettivi di completamento dopo il pronnovimento dell’azione penale.
D’altra parte, correttamente, i giudici di merito hanno sottolineato che il legislatore non ha prescritto per la confisca di prevenzione e prima ancora per il sequestro alcun nesso di pertinenzialità con una determinata tipologia di illecito, ma ha consentito una generalizzata apprensione di beni solo che sia accertato il presupposto della pericolosità sociale del proposto, sulla base di un dato presuntivo che quei beni non siano stati legittimamente acquistati, purché risulti uno dei presupposti della sproporzione del valore dei beni rispetto alla capacità reddituale del proposto ovvero della illecita provenienza dei beni da qualsiasi tipo di reato.
Tale considerazione possiede un’attitudine dimostrativa che non viene scalfita dalle controdeduzioni difensive, le quali non mutano il quadro giuridico disegnato dal giudice del merito e non rivestono rilevanza nella sede di legittimità, atteso che il ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione è ammesso soltanto per violazione di legge (D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, comma 3), cosicché, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa, dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità, l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art c.p.p., comma 1, lett. e), potendosi esclusivamente denunciare, con il ricorso, il caso della motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 2014; sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014), che nella specie non ricorre assolutamente.
Anche il presupposto della “sperequazione” – quale elemento sintomatico di derivazione illecita della ricchezza – può dirsi nella specie positivamente riscontrato, posto che la sua proiezione temporale è stata circoscritta all’arco temporale in cui sono stati registrati i fatti delittuosi produttivi di ricchezza ill e che tale lasso temporale risulta praticamente concomitante col contestato reimpiego di ricchezza illecita nei plurimi ed eterogenei beni oggetto della confisca qui impugnata. La pericolosità, che è misura dell’ablazione, ha correttamente investito quel particolare percorso esistenziale del proposto, connotato dalle condotte stigmatizzate, per cui ne è risultata pienamente legittima l’apprensione delle relative componenti patrimoniali, di illecita provenienza, delle quali non è risultato, in alcun modo, giustificato il legittimo possesso.
Quanto alla deduzione difensiva circa la natura tentata dei delitti di furto ed in quanto tali non suscettibili di produrre entrate, il motivo non si confronta con i decreto della Corte di merito che riporta l’elenco di condanne del ricorrente, anche con l’alias di NOME per delitti di furto consumati ed è, comunque, irrilevante atteso che oggetto della valutazione non è lo specifico provento del singolo illecito, ma la natura della pericolosità desunta dal “curriculum”.
Quanto alla deduzione difensiva dello svolgimento di attività lecita nel settore del commercio di bestiame all’estero, supportata dalla produzione di n.19 fatture risalenti al periodo giugno 1998 – novembre 2012, la Corte di merito ha correttamente rilevato, con motivazione puntuale, precisa ed immune da censure, e anche sul punto il motivo non si confronta con il decreto, che il ricorrente, fiscalmente residente in Italia, non ha dichiarato in Italia eventuali redditi prodott all’estero, come obbligato, neppure con riferimento alla attività commerciale svolta all’estero, non documentata, essendo le fatture prive di ufficialità e, dunque, inidonee a dimostrare la loro provenienza e l’effettiva riferibilità al Bosjak, non potendo neppure stabilirsi l’utile percepito dal proposto dall’attività di commercio, mancando la documentazione dei costi sostenuti e riferibili all’attività lavorativa, risultando indimostrato sia lo svolgimento di attività stagionale in Italia, che non avrebbe potuto svolgere per l’assoggettamento ad espiazione pena, sia la percezione di canoni di locazione per immobili posseduti all’estero e, in generale, per l’applicazione di misure cautelari, ostative allo svolgimento di attività lavorativa in Italia e all’estero, attesa la omessa dichiarazione dei redditi con conseguente impossibilità di potere far valere i proventi dell’evasione fiscale al fine di provare la provenienza non delittuosa del denaro usato per acquistare i beni oggetto del sequestro ai sensi del disposto di cui all’art.24, comma 1, D. Lgs 159/2011.
Su queste premesse, la Corte territoriale, ha riconosciuto la pericolosità sociale di NOME COGNOME tenuto conto della ritenuta correlazione temporale tra
l’epoca di acquisto del bene immobile e la manifestazione della pericolosità – per il periodo compreso tra il maggio 2005 ed il 2014, considerato che né COGNOME né i soggetti conviventi hanno mai avuto un lavoro o un reddito lecito, hanno mai presentato dichiarazione di redditi, in Italia e all’estero, tra il 2005 e il 2014, a c si aggiunga l’elevato tenore di vita dei componenti il nucleo familiare con disponibilità di vetture di lusso, telefoni palmari di ultima generazione, denaro, i versamenti nei conti correnti intestati al proposto ed alla moglie tra il 2005 e il 2014, in contanti, di euro 83.828,90 e di assegni di oltre euro 42.000, gli acquisti veicoli per un complessivo importo di euro 116.800, del protrarsi dell’attività illecita anche negli anni successivi all’acquisto dell’immobile in sequestro, ha giudizio di pericolosità esteso sino ad epoca recente ed ha correttamente ritenuto che il proposto ed il numeroso nucleo familiare ha vissuto con i proventi dell’attività delittuosa.
Quanto all’acquisto dell’immobile di Borgo Veneto, avvenuto nel maggio 2005, nucleo essenziale della impugnazione, la Corte di merito, con motivazione immune da vizi e censure, ha ritenuto che la quota di proprietà del Bosjak sia stata acquistata con fondi di cui è ignota la provenienza da parte di un soggetto dedito alla commissione di delitti contro il patrimonio, che non disponeva di idonee fonti di reddito e che ha realizzato un acquisto che comportava l’esborso di somme del tutto sproporzionate alla situazione reddituale e patrimoniale del proposto in quanto, in relazione all’attività commerciale all’estero, solo alcune delle fatture prodotte, peraltro per importi limitati, si collocano in epoca anteriore all’acquisto, riportano l’importo fatturato all’acquirente ma non sono rappresentative dell’utile effettivamente conseguito, e dunque se, in linea puramente astratta e teorica, idonee ad integrare una fonte di reddito non sono idonee a garantire, al contempo, il sostentamento del nucleo familiare e l’accumulo di provvista, in previsione dell’importante acquisto immobiliare del 2005, dell’importo di euro 160.000,00, e comunque delle ulteriori esborsi non documentati degli anni successivi per lavori di completamento dell’immobile, mentre la differenza tra prezzo dichiarato nell’atto di vendita (euro 90.000) e prezzo effettivamente pagato (euro 160.000,00) pari ad euro 70.000,00 ha formato oggetto di contestazione per violazione dell’art.1 L.197/1991, oblata dal Bosjak, . Parimenti, non documentati sono gli asseriti lavori stagionali all’estero, per brevi periodi, rilevando i giudici merito che, in sede di prevenzione, non può invocarsi l’esistenza di redditi in nero o non dichiarati atteso il dettato normativo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Parimenti, con riferimento alle entrate nell’anno 2005, la Corte territoriale ha ritenuto indice di anomalia e, dunque, non costituire fondi di provenienza lecita il versamento in contanti di oltre euro 45.000,00 sul conto corrente intestato al ricorrente ed alla moglie, quale asserito prestito ricevuto da familiari, in quanto
non supportato da alcun riscontro né spiegazione, ritenendo correttamente, in quanto accertato, che, in tale periodo, il proposto non poteva avere generato disponibilità finanziarie tali da giustificare i successivi acquisiti nel periodo pericolosità, essendo il valore del bene risultato sproporzionato alla capacità reddituale del proposto e del familiari.
Immune da censure è ancora il decreto impugnato quanto alla ritenuta irrilevanza, ai fini della provvista lecita, della vendita di altro immobile di propriet del ricorrente, avvenuta nel 2017, in quanto avvenuta in epoca molto successiva a quella all’acquisto del bene oggetto di confisca (anno 2005), nonché della vendita di altro immobile, intestato al proposto ed alla moglie, avvenuta nel 2003, per l’importo di euro 41.000,00, in quanto, al riguardo, si deve tenere conto, oltre alla necessaria destinazione del ricavato anche alle esigenze di vita del nucleo familiare, sprovvisto di altre fonti di reddito, che l’importo avrebbe potuto coprire solo una parte limitata del prezzo di acquisto dell’immobile.
Correttamente, dunque, i giudici di merito hanno desunto indici di anomalia della provenienza lecita dei fondi per l’acquisto dell’immobile in sequestro dalle modalità di pagamento del prezzo sopra richiamate.
L’illecita provenienza di beni, dei quali non risulti, in alcun modo, giustificato il legittimo possesso, è comunque una “presunzione relativa” che, in quanto tale, ammette la “prova contraria” e, per l’assolvimento dell’onere probatorio posto a carico del soggetto inciso, è sufficiente la mera allegazione di fatti, situazioni o eventi che, ove riscontrabili, siano idonei, “ragionevolmente e plausibilmente”, ad indicare la lecita provenienza dei beni, con un onere probatorio che diventa meno stringente man mano che gli acquisti siano lontani nel tempo. Resta, pertanto, ovviamente salva la facoltà dell’interessato di fornire prova contraria e liberatoria, attraverso la dimostrazione della legittimità degli acquisti in virtù di impiego di lecite fonti reddituali, e, specie per gli acquisti risalenti nel tempo, ci si può anche affidare a mere allegazioni, ossia a riscontrabili prospettazioni di fatti e situazioni che rendano ragionevolmente ipotizzabile la legittima provenienza dei beni in contestazione.
In tema di misure di prevenzione patrimoniali, l’onere di allegazione difensiva in ordine alla legittima provenienza dei beni non può essere soddisfatto con la mera indicazione della esistenza di una provvista sufficiente per concludere il negozio di acquisto degli stessi, dovendo estendersi alla necessaria indicazione della provenienza degli strumenti finanziari utilizzati, dovendo dunque il soggetto sottoposto al procedimento di prevenzione indicare gli elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre che il bene non sia stato acquistato con i proventi di attività illecita, ovvero ricorrendo ad esborsi non sproporzionati rispetto alla sua capacità reddituale. Tutto ciò che si richiede al soggetto è di fornire una spiegazione
credibile in ordine ai mezzi e alle circostanze che gli hanno consentito un determinato incremento patrimoniale, (Sez. 6, Sentenza n. 21347 del 10/04/2018, Rv. 273388 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 31751 del 09/06/2015, Rv. 264461 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 20743 del 07/03/2014, Rv. 260402 – 01).
Nella specie, mentre la parte pubblica ha assolto l’onere della prova della sproporzione tra beni patrimoniali e capacità reddituale del soggetto riconosciuto pericoloso e dei terzi intestatari fittizi, dall’altro, il proposto ed i terzi inter non risultano aver allegato fatti, situazioni o eventi riscontrabili ed idonei, ragionevolmente e plausibilmente, ad indicare la lecita provenienza dei beni, cosicché è ragionevole ritenere accertata un’ipotesi di intestazione fittizia di beni di derivazione illecita anche per il periodo oggetto della contestazione.
La titolarità del bene può poi essere diretta o, come accade nella maggior parte dei casi, indiretta: l’art. 24 del d.lgs. n. 159 del 2011 stabilisce, infatti, qua requisito della confisca a carico del proposto, la titolarità «anche per interposta persona fisica o giuridica» o la disponibilità «a qualsiasi titolo» del bene.
Parimenti, la motivazione è immune da vizi e censure in riferimento alla confisca delle quote della società intestate al proposto ed ai figli del proposto, NOME e NOME, non impugnanti, società creata contemporaneamente alla ultime vicende delittuose, quale schermo per giustificare l’acquisto di numerose autovetture, spesso intestate ad un prestanome, ed utilizzate per il compimento di azioni delittuose che hanno avuto epilogo nel procedimento penale definito con sentenza del novembre 2020, avente ad oggetto il reato di associazione a delinquere, numerosi furti e la ricettazione di svariati beni occultati all’interno della casa familiare.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 29/11/2024.