Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34 Anno 2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME, nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA avverso il decreto del 17/06/2024 della Corte d’appello di Ancona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe, la Corte di appello di Ancona ha confermato il decreto di confisca del Tribunale di Ancona del 13/03/2024, provvedimento preceduto da sequestro ex art. 20 d.lgs. 06 settembre 2011, n. 159 e relativo a un compendio immobiliare ubicato in Montecosaro, in provincia di Macerata, alla INDIRIZZO, costituito da tre unità immobiliari e terreni pertinenziali, intestato a NOME COGNOME.
Ricorre per cassazione NOME AVV_NOTAIO, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, deducendo un motivo unico, mediante il quale viene denunciata violazione ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 19, 24 e 26 d.lgs. n. 159 del 2011.
La Corte anconetana ha fondato l’avversata decisione sul rilievo che i redditi vantati da NOME COGNOME, madre dell’intestatario dei beni, nel periodo di tempo intercorrente fra il 2005 e il 2010, pur se unificati a quelli percepiti da quest’ultimo e dalla moglie, non avrebbero consentito il pagamento della rata annua di euro diecimila, gravante sull’immobile di Cabiate, in provincia di Como. La villetta di Cabiate, però, era stata sempre utilizzata dal COGNOME, il quale vi si era immediatamente trasferito con la famiglia; la madre, nel 2009, gliene aveva donato l’usufrutto, mantenendone per sØ la nuda proprietà. Trattandosi di bene pervenuto a COGNOME tramite donazione, allora, la Corte avrebbe dovuto verificare non i redditi percepiti da questi, bensì la capacità patrimoniale vantata dalla madre NOME COGNOME, comparandola alla gravosità economica degli
impegni assunti, derivanti dall’acquisto dell’immobile di Cabiate.
La situazione patrimoniale della COGNOME, secondo quanto documentalmente provato in atti, era all’epoca del tutto sufficiente, a consentirle di far fronte all’acquisto dell’immobile di Cabiate (cespite che la stessa Corte territoriale afferma esser stato acquistato dalla COGNOME, allo specifico fine di donarlo poi al figlio NOME, come effettivamente avvenuto nel 2009). Oltre alla erronea applicazione dell’art. 24 del Codine antimafia, Ł stato incongruamente interpretato anche l’art. 19 della medesima disposizione normativa, essendosi ampliato – fino a ricomprendervi la figura della madre – il novero dei soggetti suscettibili di indagine patrimoniale, che la norma restringe invece al coniuge, ai figli e ai conviventi.
Erroneamente estesa, altresì, Ł la presunzione relativa di fittizietà dei trasferimenti di beni, da parte del prevenuto a terzi, nel biennio precedente la formulazione della proposta di applicazione di cui all’art. 26 del Codice antimafia.
3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
La Corte di appello non ha affatto mancato di comp ie re le necessarie valutazioni, in ordine alla capacità patrimoniale della COGNOMECOGNOME nei confronti della quale le indagini patrimoniali sono state svolte ai sensi della seconda parte del comma 3 dell’articolo 19 Codice antimafia. La formale intestazione dell’immobile di Cabiate, dalla vendita del quale hanno tratto scaturigine, poi, le risorse occorrenti per l’acquisto di quello sottoposto a confisca, ubicato in Montecosaro, Ł stata accertata sulla base di quanto rappresentato nel decreto impugnato, dunque senza il ricorso alla presunzione relativa di fittizietà.
La difesa ha presentato memoria di replica, a mezzo della quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso. L’equivoco contenuto nella requisitoria si annida – in ipotesi difensiva nella equiparazione ivi compiuta, tra analisi reddituale e capacità patrimoniale riconducibile alla COGNOME. La Corte distrettuale, infatti, si Ł limitata a riportare i prospetti inerenti alla capacità reddituale di NOME COGNOME, omettendo di verificare, però, quale fosse la consistenza del patrimonio di cui costei poteva disporre nel 2004, ossia all’epoca dell’acquisto dell’immobile di Cabiate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł infondato.
Integrando quanto già sintetizzato in parte narrativa, può precisarsi come NOME COGNOME sia stato condannato per reati attinenti al traffico di sostanze stupefacenti; stando a quanto sussunto nel provvedimento di confisca di prevenzione ora impugnato, la provvista accumulata grazie a tale attività delittuosa sarebbe stata adoperata dalla madre del COGNOME, NOME COGNOME, per procedere all’acquisto, nell’anno 2004, di una villetta ubicata a Cabiate.
Di tale immobile, nel 2009, la COGNOME donò poi l’usufrutto a NOME COGNOME.
2.1. Il prezzo di acquisto dell’immobile di Cabiate venne indicato in centomila euro, da corrispondersi al momento della stipula del rogito notarile, oltre ad una somma – ancora pari a centomila euro – versata nel 2010. Prescindendosi dal mero dato formale della intestazione, però, l’immobile venne a trovarsi, fin dall’inizio, nella disponibilità del proposto; quest’ultimo, infatti, fin da subito prese ad abitarvi, unitamente alla famiglia.
2.2. L’immobile di Cabiate venne alienato – sia quanto alla proprietà, sia con riferimento all’usufrutto – da COGNOME e COGNOME nel 2011; nel 2012, infine, l’odierno ricorrente acquistò l’immobile di Montecosaro, oggi sottoposto a confisca, secondo la Corte territoriale reimpiegando le somme
percepite, mediante la vendita del primo immobile e, in tal modo, servendosi di risorse di provenienza illecita. L’architrave del percorso concettuale posto a fondamento dell’impugnato provvedimento, dunque, Ł costituita dal fatto che la COGNOME non godesse di una situazione reddituale tale, da consentirle di effettuare l’acquisto di tale bene
L’impugnazione proposta dal COGNOME – sebbene formalmente consti di un unico motivo – si articola, in realtà, in una pluralità di deduzioni cumulativamente prospettate.
3.1. Secondo la difesa, in primo luogo, la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare non il reddito della COGNOME, bensì la sua situazione patrimoniale. Tale indagine, però, risulta correttamente espletata, nell’impugnata decisione, visto che la Corte di appello si Ł adeguatamente soffermata sugli specifici temi proposti, all’uopo, dalla difesa. Vi Ł una doviziosa analisi, infatti:
sia quanto al profilo della entità dell’indennizzo, ottenuto dalla COGNOME a seguito del decesso di NOME COGNOME (la Corte territoriale evidenzia, sul punto, come tale indennizzo, dell’importo di euro 82.000,00 circa, sia stato ripartito in parti uguali, fra la COGNOME e i quattro figli, per cui sicuramente l’intera somma non può esser stata adoperata, in vista dell’acquisto, da ella stessa e dal solo ricorrente, a scapito degli ulteriori aventi diritto);
sia con riferimento alla provvista asseritamente accumulata dalla COGNOME, a seguito della vendita di esercizi di pellicceria e di merce, per essere tale argomentazione sfornita di documentazione a sostegno (e, viepiø, ininfluente per dettato normativo, laddove avvenuta ‘in nero’);
sia per ciò che attiene, infine, alla scarsissima valenza da attribuire ai compensi ottenuti dalla COGNOME, quale titolare della RAGIONE_SOCIALE
A fronte di una struttura argomentativa puntuale, logica e priva del pur minimo spunto di contraddittorietà, le censure difensive si sviluppano qui sul piano del fatto e sono tese a sovrapporre una nuova interpretazione delle risultanze probatorie, diversa da quella recepita nell’impugnato provvedimento, piø che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati dall’art. 606 cod. proc. pen. Tale operazione, con tutta evidenza, fuoriesce dal perimetro del sindacato rimesso al giudice di legittimità. Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato sulla base di prospettazioni alternative, che sostanzialmente si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e differenti canoni ricostruttivi e valutativi dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchØ illustrati come maggiormente plausibili, o perchØ assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si Ł in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
3.2. Erra poi la difesa, laddove sostiene che – nell’alveo dei soggetti valutabili ex art. 19 d.lgs. n. 159 del 2011 – non rientri la madre del soggetto proposto. ¨ sufficiente richiamare, infatti, il dato testuale emergente dalla succitata norma, che si riferisce alle ‘persone fisiche …del cui patrimonio i soggetti medesimi risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente’. In tale ampia previsione, ovviamente, rientra a pieno titolo la madre del proposto.
3.3. Come giustamente sottolineato dal Procuratore generale in sede di requisitoria, infine, il dato della formale intestazione dell’immobile di Cabiate, dal quale Ł poi derivata la provvista adoperata in sede di acquisto del cespite confiscato ubicato in Montecosaro, prescinde – come ben spiegato nell’avversato provvedimento – dal ricorso alla presunzione relativa fittizia intestazione.
3.4. Giova riassuntivamente ricordare, in conclusione, come l’annullamento sia consentito –
nella specifica materia – esclusivamente al ricorrere del vizio di violazione di legge. La motivazione dell’avversato provvedimento, però, non può essere considerata meramente apparente e lo stesso atto di impugnazione, lamentando la violazione degli artt. 19, 24 e 26 d.lgs. n. 159 del 2011, propone in realtà questioni genuinamente attinenti a pretesi vizi della motivazione, senza neppure misurarsi con l’intero iter giustificativo esposto dalla Corte territoriale.
Il provvedimento, del resto, non Ł stato emesso in applicazione dell’art. 26 d.lgs. n. 159 del 2011 e lo stesso richiamo all’art. 19 Ł praticamente decontestualizzato, rispetto alla contestata decisione; ciò in quanto, in primo luogo, oggetto della confisca non Ł un bene intestato al terzo prossimo congiunto e, inoltre, non Ł ravvisabile alcun percorso d’inversione dell’onere della prova. Vengono indicati, del resto, precisi e convergenti elementi, ragionevolmente da ritenersi idonei a dimostrare la natura fittizia dell’intestazione, operata a suo tempo dal proposto, ai fini dell’illecito reimpiego. Adeguatamente dimostrato, peraltro, Ł il dato della sperequazione iniziale, così come quello della provenienza della provvista, in vista del pagamento delle rate del mutuo, in costanza di sperequazione. Pacificamente acclarato Ł l’ulteriore elemento, pure posto a fondamento dell’avversato provvedimento, ossia quello inerente alla disponibilità di fatto dell’immobile (si possono richiamare, sul punto specifico, i sucitati dati oggettivi, costituiti dal trasferimento della residenza e dall’intestazione dell’utenza). Non adeguatamente avversata dall’impugnazione, inoltre, Ł la ricostruzione delle successive operazioni, di donazione e vendita, che hanno interessato l’immobile, al fine del definitivo consolidamento della provvista economica utile per procedere all’acquisto di quello confiscato, appartenente al proposto.
Le doglianze formulate dalla difesa (si veda, in particolare, quanto riportato a pag. 4 dell’atto di impugnazione), non si confrontano neanche – quanto all’indennizzo assicurativo percepito – con l’affermazione circa la suddivisione dell’intera somma, intervenuta tra gli eredi, secondo quanto compiutamente illustrato nel provvedimento. La difesa, poi:
richiama genericamente investimenti già oggetto di esame e considerazione, senza neppure tracciare nel dettaglio nØ le movimentazioni effettuate in vista degli acquisti, nØ le successive dismissioni nel tempo;
configura la sussistenza di redditi della società GEA, ma non la distribuzione di utili ai soci della stessa;
invoca la valenza evocativa di ulteriori redditi della GEA, nonchØ di precedenti entrate (comunque “in nero”), associabili a sistematiche violazioni della disposizioni in materia fiscale;
opera un riferimento solo vago e discorsivo, quanto all’alimentazione del conto corrente cointestato a NOME COGNOME.
Non vi Ł chi non rilevi come vengano prospettate, in sostanza, doglianze confutative e tautologiche, che risultano prive del necessario dialogo con le puntuali risposte motivazionali di merito, fornite in senso contrario dalla Corte territoriale, proprio sui punti specifici ora oggetto di impugnazione in sede di legittimità. In tal modo, la difesa manca di rappresentare in alcun modo la mera apparenza della motivazione, quanto alle condizioni che legittimano la decisione della confisca, in applicazione dell’art. 24 d.lgs. n. 159 del 2011.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 21/11/2024
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME