Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18837 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18837 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 16/01/1943
NOME COGNOME nato a LATINA il 17/07/1947
COGNOME nato a PADOVA il 19/02/1944
NOME nato a TRIESTE il 29/08/1968
avverso il decreto del 13/06/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso proposto da COGNOME e per il rigetto degli altri;
letti i motivi aggiunti, pervenuti in data 16 gennaio 2024, nell’interesse del ricorrente COGNOME NOMECOGNOME sottoscritti dal difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME
Letta la memoria difensiva, pervenuta in data 22 gennaio 2024, nell’interesse della ricorrente COGNOME COGNOME sottoscritta dal difensore di fiducia avv. NOME COGNOME
letta la memoria difensiva di replica alle conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale, pervenuta in data 23 gennaio 2024, nell’interesse del ricorrente COGNOME COGNOME sottoscritta dal difensore di fiducia avv. NOME COGNOME
letta la memoria difensiva con allegata documentazione, pervenuta in data 26 gennaio 2024, nell’interesse del ricorrente COGNOME NOMECOGNOME sottoscritta dal
difensore di fiducia avv. NOME COGNOME con la quale è stata avanzata questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 24, 25, 30 del TUA;
Letta la memoria difensiva con allegata documentazione, pervenuta in data 31 gennaio 2024, nell’interesse del ricorrente COGNOME COGNOME sottoscritta dal difensore di fiducia avv. COGNOME con la quale è stata avanzata questione di legittimità costituzionale della legge n.1/1989;
letta la requisitoria del Sostituto procuratore generale della Corte di cassazione, NOME COGNOME che, con specifico riferimento alla questione di costituzionalità proposta nell’interesse di Clini, ha concluso per la inammissibilità della stessa.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 13 giugno 2023, depositato il 31 luglio 2023, la Corte d’appello di Roma ha confermato il decreto del Tribunale cittadino, sezione misure di prevenzione, del 6 dicembre 2022, depositato in data 3 marzo 2022, con il quale, per quanto di interesse, era stata disposta:
la confisca diretta della consistenza economica relativa al rapporto finanziario riferibile a COGNOME Corrado presso USB SA Lugano, importo pari – al momento dell’esecuzione del sequestro – ad euro 607.309,00;
la confisca diretta della consistenza economica relativa al rapporto finanziarioassicurativo presso la società Mediolanum Vita S.p.a. riferibile ad NOME, importo pari – al momento dell’esecuzione del sequestro – ad leuro 44.834,36; la confisca per equivalente di una serie di immobili per un valore pari ad euro 1.308.500,59;
la confisca diretta della consistenza economica relativa ad una serie di rapporti finanziari presso la società svizzera RAGIONE_SOCIALE riferibile a COGNOME NOME, importo pari – al momento dell’esecuzione del sequestro – ad euro 1.554.643,00; la confisca per equivalente di una serie di immobili per un valore pari ad euro 475.357,00;
la confisca diretta della consistenza economica relativa ad una serie di rapporti finanziari presso alcuni istituti di credito riferibile a COGNOME Massimo per un importo pari – al momento dell’esecuzione del sequestro- ad euro 196.976,17,00; la confisca per equivalente di due immobili e di preziosi contenuti in una cassetta di sicurezza per un valore pari ad euro 794.023,83.
Avverso siffatto decreto hanno proposito ricorso per cassazione, con atti sottoscritti dai rispettivi difensori di fiducia, i proposti.
Ricorso nell’interesse di COGNOME NOME
COGNOME attraverso il difensore di fiducia, avv. COGNOME ha proposto ricorso articolando i seguenti motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 3 lett. B), d. Igs.159/2011, tradottasi in apparente motivazione, quanto alla sussistenza della pericolosità in relazione alla condotta oggetto del proc. n. 360/1995 (asserita corruzione per il rilascio dell’autorizzazione in favore della società RAGIONE_SOCIALE).
Con riferimento alla vicenda richiamata, il decreto impugnato si è limitato a valorizzare le valutazioni contenute in una memoria del Pubblico ministero presso il Tribunale di Verbania in occasione del trasferimento del procedimento a Roma per ragioni di competenza del 27 maggio 1997 e una nota del 13 giugno 1997.
Si tratta – osserva la difesa – di atti che non hanno natura giurisdizionale e contengono mere valutazioni in considerazione del trasferimento del procedimento per competenza.
A ciò si aggiunga che non rivestono rilevanza penale limitandosi a riferire che COGNOME, in violazione dei doveri di pubblico ufficiale, avrebbe caldeggiato il rilascio di un’autorizzazione di un impianto di proprietà della società senza chiarire se l’autorizzazione fosse legittima e se l’asserita utilità, consistita in una vacanza in una villa raggiunta con un jet privato, poteva ricollegarsi alla ipotizzata condotta illecita.
L’autorizzazione era rilasciata dal Ministero dell’Industria e finalizzata alla realizzazione di un prototipo sperimentale per il perseguimento di un pubblico interesse in materia ambientale; era subordinata, peraltro, ai pareri del Ministero dell’Ambiente, di cui COGNOME era Direttore Generale, e del Ministero della Sanità.
La Corte territoriale ha dunque erroneamente retrodatato l’inizio della pericolosità al 1997.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 3 lett. B) d. Igs.159/2011, tradottasi in apparente motivazione, quanto alla sussistenza della pericolosità in relazione alla condotta oggetto del proc. n. 41541/2014 relativo alla corruzione per l’erogazione di finanziamenti in favore della ONG RAGIONE_SOCIALE e per la quale è intervenuta sentenza di condanna in primo grado.
Con riferimento alla vicenda richiamata, il decreto impugnato non ha valutato elementi decisivi al fine di escludere l’asserita attività di inquinamento probatorio attribuita a COGNOME consistita nel costituire prove documentali fittizie per mascherare le contestate tangenti: ha sul punto omesso di considerare la consulenza informativa “COGNOME“, le sommarie informazioni testimoniali rese da NOME COGNOME e l’effettivo contenuto delle intercettazioni utilizzate.
Ha infine ignorato le dichiarazioni testimoniali del principale teste dell’accusa COGNOME il quale ha confermato l’effettivo svolgimento da parte di Clini di attività
di promozione in favore della ONG e ha erroneamente riferito che COGNOME in sede di interrogatorio avrebbe escluso rapporti di conoscenza con a ONG laddove al contrario dalle sue dichiarazioni emerge cori chiarezza la conoscenza di “Nature Iraq”.
Queste circostanze ora riportate avrebbero dovuto condurre la Corte di appello ad escludere un giudizio di pericolosità a carico del proposto e alla restituzione della somma confiscata quale provento dell’asserita attività corruttiva.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 3 lett. B) d.lgs.159/2011, tradottasi in apparente motivazione quanto alla sussistenza della pericolosità in relazione alla condotta oggetto del proc. n. 60535/2013.
Il decreto impugnato si è sul punto limitato a riproporre le argomentazioni contenute nel provvedimento di primo grado con riferimenl:o ad un presunto sistema di corruttela riconducibile a COGNOME, che avrebbe consentito l’erogazione di finanziamenti pubblici a soggetti e società a lui vicini sia nel comparto italiano che nel comparto estero.
Quanto al comparto italiano, il provvedimento ha assertivamente sostenuto che le utilità ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE direttamente o indirettamente attraverso la società “RAGIONE_SOCIALE” che hanno beneficiato dei finanziamenti del Ministero dell’Ambiente, costituissero il profitto dell’attività corruttiva del proposto.
La Corte di appello ha però omesso di considerare che COGNOME non sapeva che la COGNOME fosse la titolare della società suindicata, atteso che la donna non è mai stata intestataria delle quote sociali, ma ha gestito la società solo attraverso terze persone o società estere.
Quanto al comparto estero, il provvedimento impugnato ha omesso di considerare che i finanziamenti concessi agli Stati esteri erano attribuiti sulla base di impegni internazionali assunti dall’Italia e non vi è alcuna prova che i finanziamenti siano stati assegnati in violazione della normativa nazionale ed internazionale e che le asserite utilità ricevute dal proposto o dai suoi familiari siano collegate funzionalmente a tali erogazioni.
3.4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto la violazione di legge, tradottasi in apparente motivazione, quanto alle asserite utilità illecite attribuite al proposto.
La Corte di appello ha ignorato:
– una copiosa documentazione volta a dimostrare il pagamento da parte di Clini dei canoni di locazione degli appartamenti in INDIRIZZO in Roma che, nella prospettazione accusatoria, avrebbe invece provveduto a corrispondere la società “RAGIONE_SOCIALE“;
la documentazione volta a dimostrare il pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE delle prestazioni a suo favore da parte della società di security di NOME COGNOME quando
era andato in pensione, non avendo necessità di accompagnamento allorquando era in servizio in ragione della esistenza di auto di servizio.
Il ricorrente evidenzia infine l’erronea indicazione nel decreto impugnato di compensi in suo favore da parte della società “RAGIONE_SOCIALE, contrariamente a quanto invece indicato nella relazione della GdF depositata nel procedimento RG n.60535/13, ancora pendente.
3.5. In data 30 gennaio 2024 è pervenuta memoria difensiva nell’interesse di COGNOME Corrado con allegata documentazione con la quale la difesa ha eccepito la illegittimità costituzionale degli artt. 6,7,8,9 legge cost. n.1/89 per contrasto con gli artt. 3,95,96 Cost.
La citata legge, con riferimento ai reati commessi dai Ministri nell’esercizio delle loro funzioni, ha stabilito una rigida sequenza procedimentale che impone al Procuratore della Repubblica, in relazione ad una notizia di reato di tale genere, la immediata trasmissione degli atti al Tribunale ministeriale il quale, entro novanta giorni, sentito il PM e compiute le necessarie indagini, se non ritiene che si debba disporre l’archiviazione, trasmette gli atti alla Procura de la Repubblica con relazione motivata per la immediata rimessione al Presidente della Camera competente ai sensi dell’art.5. L’organo parlamentare può negare l’autorizzazione a procedere ove reputi con valutazione insindacabile che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo.
Nel caso di specie il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, in relazione ai fatti – reato commessi nel periodo in cui COGNOME era Ministro (16 novembre 2011 – 28 aprile 2013), ha trasmesso al Sentato richiesta di autorizzazione a procedere, autorizzazione negata in data 11 ottobre 2023.
Le condotte per le quali è stata negata l’autorizzazione a procedere sono state poste a fondamento del decreto del Tribunale e del decreto impugnato (p.50 e ss.)
La difesa ha formulato la questione nei seguenti modi:
– accertare in via interpretativa l’obbligo di attivare lo speciale procedimento in presenza di reati ministeriali anche con riferimento alle misure di prevenzione; – sollevare l’eccezione di costituzionalità decili artt.6,7,8,9, I. Cost. per contrasto con gli artt.3,95,96 Cost.
Le ragioni poste a fondamento del rigetto della eccezione di costituzionalità della Corte di appello, a cui era già stata proposta la questione, sono a parere della difesa non condivisibili.
Le disposizioni richiamate devono applicarsi anche alle misure di prevenzione non potendosi immaginare che la tutela dell’esercizio delle funzioni governative possa essere frustrata o turbata solo a seguito del perseguimento dei reati e non
anche dalla emissione delle misure di prevenzione che si fondano sui medesimi fatti.
4. Ricorso nell’interesse di NOME
NOME COGNOME attraverso il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso articolando i seguenti motivi.
4.1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 3 lett. B), d. Igs.159/2011 quanto alla sussistenza della pericolosità generica.
4.1.1. Il termine “abitualmente” utilizzato dalla norma postula uno specifico riferimento a pregresse occasioni in cui sia stata accertata in sede penale la ripetuta dedizione a determinate condotte o la consumazione di condotte costituenti reato dalle quali i soggetti traggano o abbiano tratto anche in parte i proventi del loro sostentamento.
Non risulta dunque sufficiente la condizione di meri indiziati di uno dei delitti dai quali i proventi potrebbero derivare, proprio al fine di distinguere questa condizione di pericolosità dalla cd. pericolosità qualificata, per una interpretazione conforme anche al diritto convenzionale (Corte EDU De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017).
A ciò si aggiunga che elementi a carico della proposta sono tratti da procedimenti penali, di cui uno di condanna, nei quali la stessa non è neppure imputata, essendo la stessa imputata unicamente nel proc. n.60535/13 pendente presso il Tribunale di Roma.
4.1.2 Anche la nozione di “traffici delittuosi” necessita di essere circoscritta alle ipotesi di commercio illecito di beni materiali, nonché a condotte negoziali ed intrinsecamente illecite lato sensu, ma non ad ogni delitto dal quale derivi una qualche forma di provento.
La Corte distrettuale ha erroneamente fondato la propria decisione:
sulla sentenza di condanna del Tribunale di Roma del 25 marzo 2021;
sulle dichiarazioni del teste di NOME COGNOME nel proc. 41541/2014 rese all’udienza dell’Il maggio 2018, processo nel quale la proposta non è stata neppure indagata;
sull’ordinanza con richiesta di autorizzazione a procedere da parte del Tribunale dei reati Ministeriali relativa a Clini.
Da siffatti elementi la Corte ha tratto conclusioni illogiche: il profitto del reato rilevante al fine della quantificazione e verifica del provento delle attività illecite fatto coincidere con il valore delle cose ottenute dalla attività crminosa, reputando del tutto irrilevante la circostanza che i contratti siano stati eseguiti e che la Hauser abbia comunque svolto la prestazione convenuta.
Se il profitto dei contratti asseritamente ottenuti con modalità fraudolente non fosse illecito- osserva la difesa- verrebbe a mancare il requisito della abitualità della conduzione di vita con risorse provenienti da attività delittuose.
Andava dunque preventivamente stabilito nel provvedimento impugnato se i compensi ricevuti dalla COGNOME per effetto di prestazioni regolarmente rese fossero comunque da considerarsi illeciti nel loro complesso.
L’instaurarsi di un rapporto a prestazioni corrispettive impone di scindere il profitto confiscabile, quale direttamente derivato dall’illecito penale, dal profitto determinato dal corrispettivo di una effettiva e corretta erogazione di prestazioni comunque svolte nei confronti della Pubblica amministrazione: la somma di danaro di cui è stata richiesta la confisca invece è stata genericamente riferita agli importi conseguiti dalla COGNOME per le sue prestazioni senza tuttavia procedere al necessario accertamento in concreto della entità del profitto realmente percepito.
4.1.3 Quanto poi alle società riconducibili alla Hauser, non possono essere considerati unicamente i valori monetari costituiti dai ricavi in quanto i medesimi vanno correlati con i costi, potendosi considerare unicamente gli utili effettivamente percepiti dal proposto: nel caso di specie le società non hanno distribuito utili.
4.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt.24 e 25 d.lgs.159/2011 e l’art.322 ter cod. pen.
La COGNOME è imputata per i delitti di cui agli artt. 314, 319, 640 cod. pen.
Una interpretazione sistematica delle norme richiede che il frutto di attività illecite rilevante ex artt.24 e 25 TUA debba coincidere con il profitto confiscabile ex art.322 ter cod. pen.
Erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che nella ipotesi di specie si configuri un “reato contratto”: piuttosto l’ipotesi di specie va ricondotta al caso del “reato in contratto”, come si ricava indirettamente dalla circostanza che con riferimento alle società, il Pubblico ministero non ha richiesto la confisca della intera somma erogata, ma solo la parte alla Hauser intestata.
La difesa, non rinvenendo precedenti sul punto in tema di misure di prevenzione, richiama la nozione di “profitto confiscabile” nel giudizio di cognizione piena come individuato dalle numerose pronunzie di questa Corte anche a Sez. Unite, traendo la conclusione che il profitto derivante da un contratto in cui il proposto ha dato puntuale esecuzione non può ritenersi provento illecito, non può costituire indice di pericolosità e non può essere soggetto a confisca per equivalente.
4.3. Con il terzo motivo è stata dedotta’ violazione di legge in relazione alla riconducibilità dei servizi di security forniti alla Hauser dalle società di RAGIONE_SOCIALE al paradigma normativo, quale indice di pericolosità generica.
Un servizio non può considerarsi componente significativa del reddito e non può considerarsi indice di pericolosità generica.
4.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge dell’art. 1 lett. B), d.lgs.159/2011 quanto alla interpretazione fornita della unicità o prevalenza dei redditi asseritamente derivanti da attività lecite.
La difesa evidenzia che, se si procede a sottrarre dalla somma oggetto di confisca gli importi dei servizi di security e le somme dei contratti eseguiti per le ragioni in precedenza svolte, e si sommano queste cifre alle capacità finanziarie della Hauser in base alle sue dichiarazioni dei redditi, si possono trarre le seguenti conclusioni:
la consistenza dei redditi leciti unitamente alla disponibilità dei redditi derivanti dalle aziende di proprietà, consente di escludere che la residua somma in contestazione pari a 320.452,00 euro costituisca l’unico reddito della proposta. Anche i proventi derivanti dalle locazioni degli appartamenti in Montenegro non possono considerarsi di natura illecita;
se questi redditi sono legittimi non può affermarsi che la proposta abbia vissuto neanche in parte di proventi di attività illecite;
se anche in relazione ad una residua parte dei redditi non si fosse riuscito a dimostrare la loro provenienza lecita, si tratterebbe comunque di una somma modesta che non è idonea ad integrare il requisito richiesto dalla norma di delitti “commessi abitualmente” in quanto riguardano un limitato arco temporale, hanno generato legittimi corrispettivi e non hanno rappresentato l’unico reddito della Hauser.
4.5. In data 22 gennaio 2024 sono pervenute le conclusioni del difensore di fiducia, in replica alle conclusioni scritte depositate dal Sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione con le quali la difesa ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
5. Ricorso nell’interesse di COGNOME NOME COGNOME
5.1. Pretner NOME COGNOME con il primo motivo, articolato in due distinte censure, ha dedotto la violazione dell’art. 1 lett. B), d. Igs.159/2011 per difetto dei presupposti applicativi alla luce della sentenza della Corte costituzionale n.24/2019.
Affinché possa formularsi un giudizio di pericolosità generica, a seguito dell’intervento della Corte costituzionale come recepito anche da questa Corte (Sez. 5 n.8940 del 19/01/2022), è necessaria la sussistenza di tre condizioni:
delitti commessi abitualmente dal soggetto;
delitti che abbiano generato profitti per il proposto;
i profitti illecitamente generati hanno costituito in una determinata epoca o costituiscono l’unico reddito o una componente significativa dello stesso.
Siffatti requisiti sono stati apparentemente affrontati dal decreto impugnato che non si è in concreto confrontato con le doglianze della difesa contenute nell’atto di appello.
Al riguardo la Corte di appello si è limitata a riportare stralci della sentenza del Tribunale di Roma del 25 marzo 2021 nel procedimento RG.N.R.41545/2014 attraverso anche la tecnica redazionale del rinvio per relationem.
Quanto all’ulteriore procedimento (RGNR 60535/2012), attualmente pendente dinanzi al Tribunale di Roma, lo stesso è richiamato nel decreto impugnato solo con riferimento alla posizione di COGNOME ed è dunque da escludere che dallo stesso possano essere stati ricavati elementi per la definizione della pericolosità generica del proposto, anche in ragione dell’assoluta marginalità di Pretner in tale procedimento per essere lo stesso imputato unicamente di un reato scopo di cui al capo F) ( cd. Comparto Cina).
5.1.1. Quanto alla prima censura- requisito dell’abitualità· il decreto si limita ad indugiare sul contenuto della sentenza del Tribunale di Roma del marzo 2021 in palese violazione del principio di autonomo accertamento di pericolosità in sede di prevenzione.
La abitualità è da escludere dal momento che i fatti in contestazione si sarebbero verificati nel periodo compreso tra il 2008 e il 2011 a fronte di 53 anni di attività professionale irreprensibilmente svolta dal proposto.
5.1.2. Quanto alla seconda delle censure del primo motivo, la difesa deduce l’omessa motivazione in ordine alla presunta destinazione dei proventi illeciti alla diretta fruizione per le esigenze di vita.
La ulteriore condizione richiesta ai fini del giudizio di pericolosità e cioè che i profitti illecitamente generati abbiano costituito in una determinata epoca o costituiscano l’unico reddito o una componente significativa dello stesso, è rimasta del tutto inesplorata dal decreto impugnato.
La difesa ha evidenziato che, attraverso la consulenza e la documentazione prodotta, è stato dimostrato che Pretner in ragione delle attività della “RAGIONE_SOCIALE” ha conseguito un reddito che gli ha assicurato un alto tenore di vita e la possibilità di costituire prima dei fatti contestati, nell’anno 2007, un fondo patrimoniale.
Anche nei periodi in contestazione i redditi dallo stesso percepiti sono stati generati da fonti lecite e precisamente dalla pensione di vecchiaia e dalla sua attività professionale.
5.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 24 e 25 d.lgs.159/2011 quanto alla presunzione di indifferenza tra confisca
diretta e confisca per equivalente in relazione all’abiezione delle polizze assicurative.
Sussiste assoluta mancanza di motivazione del decreto Impugnato laddove non chiarisce le ragioni per le quali la polizza assicurativa possa essere indifferentemente confiscata in via diretta, quale bene fungibile, o per equivalente, quale bene infungibile.
Nella contestazione originaria la confisca delle polizze assicurative è indicata come confisca diretta, ma alcuna argomentazione è ulteriormente spesa a tali fini in contrasto con le indicazioni di questa Corte che richiede cl -e il decreto indichi anche “la misura minacciata” (Sez.1, n.51843 del 14/11/2014) onde consentire la corretta esplicazione del diritto di difesa.
Il decreto impugnato doveva affrontare il tema della natura della polizza di investimento che è stata considerata equipollente al danaro a condizione che si tratti di polizza riscattabile immediatamente indipendentemente da un termine finale e per l’intero importo dei premi versati (Sez.3, n.7302 del 04/02/2022).
Se è vero che la natura fungibile del danaro rende irrilevante la prova del nesso di derivazione tra le somme materialmente apprese ed il reato, lo stesso non può affermarsi in relazione alla polizza assicurativa in esame. Questa Corte peraltro ha ritenuto di affermare la confisca dei titoli finanziari quale confisca per equivalente affermandone incidenter tanturn la infungibilità (Sez.6, n.31365 del 09/07/2015).
Esclusa dunque la fungibilità delle polizze, il Tribunale non ha considerato gli esiti della consulenza “Palasciano” dalla quale è emerso che le somme in esame preesistevano agli anni in contestazione e non erano collegate ad alcuna attività illecita.
5.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt.19, 20 e 25 d. Igs.159/2011.
Dovendosi, dunque nella prospettazione difensiva, qualificare la confisca delle polizze assicurative quale confisca per equivalente di beni entrati nel patrimonio del proposto in un periodo antecedente rispetto alla insorgenza della condizione soggettiva di pericolosità, la Corte avrebbe dovuto attivare la previsione di cui all’art.25 che stabilisce che non sia oggettivamente possibile apprendere beni acquisiti in costanza della condizione di pericolosità.
Siffatta preliminare identificazione non è stata in alcun modo effettuata, avendo invece il decreto sancito la indifferenza rispetto alle polizze della confisca diretta rispetto a quella equivalente.
5.4 Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 24 d. Igs.159/2011 e l’art.322 ter cod. pen.
Essendo COGNOME un corruttore, egli non avrebbe dovuto incassare tangenti quanto piuttosto corrisponderle.
La Corte di appello erra allorquando afferma che la “RAGIONE_SOCIALE” avrebbe versato una tangente di 2.030.000,00 euro alla società che faceva capo a COGNOME e che una parte è stata incassata da COGNOME e una parte da COGNOME dal momento che il proposto non è il corrotto ma è il corruttore.
Le somme incassate da COGNOME alla luce della consulenza tecnica derivano da attività lecite transitate da un privato ad un altro privato dovendosi escludere la loro natura corruttiva.
La confisca della somma è in parte illegittima perché il prezzo della corruzione va limitato alla somma che COGNOME quale presunto intermediario avrebbe poi versato a COGNOME, somma pari a 1.020.000,00 euro: ai sensi dell’art.322 ter cod. pen. non è possibile sequestrare quale prezzo del reato di corruzione una somma diversa da quella poi materialmente percepita dal pubblico ufficiale corrotto (Sez.6 n.14017 del 25 marzo 2014).
5.5. In data 16 gennaio 2024 sono pervenuti motivi aggiunti nell’interesse di COGNOME Calore Augusto.
5.5.1. Con il primo motivo aggiunto è stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 24, 25 D.Igs 159/11 per avere posto a base della confisca una presunzione assoluta di pericolosità dei beni soggetti a vincolo ablatorio e carenza assoluta di motivazione quanto agli elementi che provano la lecita provenienza dei beni.
La difesa evidenzia che – a fronte della confisca diretta dei rapporti finanziari, quali “beni sequestrati di cui la persona non possa giusl:ificare la legittima provenienza” – il decreto impugnato ha omesso qualsivoglia motivazione in relazione alle allegazioni difensive del ricorrente volte a dimostrane la lecita provenienza.
5.5.2. Con il secondo motivo aggiunto è stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 20, 24,25 D. Igs 159/11 quanto alla confisca diretta della polizza “RAGIONE_SOCIALE” e alla mancanza dei presupposti per una confisca per equivalente. Violazione del principio della domanda.
Sviluppando le argomentazioni del secondo motivo di ricorso, la difesa evidenzia che la polizza assicurativa non è un bene fungibile e come tale non può essere sottoposta a confisca diretta a meno che non si provi il nesso di derivazione causale tra l’acquisto della polizza e il reato.
Né può affermarsi che la confisca sia avvenuta per equivalente rispetto a beni per i quali era stato chiesto il sequestro in via diretta, atteso che in tal modo si violerebbe il principio della domanda in quanto il giudice, a fronte della richiesta
del PM, di sequestro in via diretta dei beni abbia emesso un provvedimento diverso da quello richiesto dalla accusa.
5.6. In data 26 gennaio 2024 il ricorrente, attraverso il suo difensore di fiducia, a seguito delle conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, ha depositato memoria, con allegata documentazione, formulando un’eccezione di illegittimità costituzionale in relazione agli artt. 24,25,30 D. Igs. n.159/2011 per contrasto agli artt.42 Cost., art.117 Cost., arti. Prot. Add. CEDU atteso che la disciplina anzidetta prevede l’adozione cumulativa della confisca ordinaria e di prevenzione violando il principio di proporzionalità e di necessarietà.
L’ipotesi su cui si solleva la questione è quella avente ad oggetto ” i beni che risultano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”, atte che la doppia ablazione oltrepasserebbe i limiti della ipotizzata ricchezza illecita.
Il Tribunale di Roma all’esito del giudizio di merito di primo grado (Rg.41541/14) ha disposto la confisca a carico di COGNOME per una somma pari a quella per la quale si procede in questa sede (2.030.000,00 euro).
L’art. 30 D.Igs. 159/11 (Rapporti con sequestro e confisca disposti in seno a procedimenti penali) stabilisce che:
“1. Il sequestro e la confisca di prevenzione possono essere disposti anche in relazione a beni già sottoposti a sequestro in un procedimento penale (..).
Nel caso previsto dal comma 1, primo periodo, se la confisca definitiva di prevenzione interviene prima della sentenza irrevocabile di condanna che dispone la confisca dei medesimi beni in sede penale, si procede in ogni caso alla gestione, vendita, assegnazione o destinazione ai sensi del titolo III. Il giudice, ove successivamente disponga la confisca in sede penale, dichiara la stessa già eseguita in sede di prevenzione.
Se la sentenza irrevocabile di condanna che dispone la confisca interviene prima della confisca definitiva di prevenzione, il tribunale, ove successivamente disponga la confisca di prevenzione, dichiara la stessa già eseguita in sede penale(..).”
5.6.1. La disposizione è costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede un sistema di coordinamento nella ipotesi di beni sproporzionati e diversi sottoposti a due diverse tipologie di confisca determinando una illegittima espansione dell’ablazione patrimoniale dell’intero patrimonio.
Il procedimento delineato dalla norma viola il principio di proporzionalità nella parte in cui non prevede a fronte di un provvedimento definitivo di prevenzione, l’immediato rilascio dei beni soggetti a confisca nel procedimento di merito non divenuto definitivo almeno per la parte che non si ritiene essere derivante da reato.
Se è vero che in materia di prevenzione non si ritiene apblicabile il principio del ne bis in idem, la confisca penale disposta sulla medesima somma seppure con
sentenza non definitiva, dovrebbe venire meno se adottata SL beni che eccedono il quantum da ritenere illecito.
Le misure del sequestro e della confisca di prevenzione, in quanto incidenti sui diritti di proprietà e di iniziativa economica (art.42 Cost. e art.1 Prot. add. CEDU) devono comunque soggiacere al combinato disposto delle garanzie di cui alla Costituzione e alla CEDU in ossequio ai principi di proporzionalità e di necessarietà (Corte EDU 12 maggio 2015, Gogitidze e altri c. Georgia).
Il principio di proporzionalità non deve tenere conto del reato, ma delle conseguenze patrimoniali e personali aggiuntive che concorrono a qualificare e quantificare la risposta complessiva dell’ordinamento.
6. Ricorso nell’interesse di COGNOME Massimo
COGNOME Massimo attraverso il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso articolando i seguenti motivi.
6.1 Con il primo motivo ha dedotto la violazione dell’art. 1 lett. B), d. Igs.159/2011 in combinato disposto con gli artt. 4 e 16 del medesimo decreto, tradottasi in omessa motivazione.
6.1.1. Quanto al requisito della abitualità -alla luce della sentenza Corte Cost. 24/2019-la Corte territoriale ha omesso di verificare se il proposto in un significativo intervallo della vita abbia consapevolmente scelto il crimine come pratica comune di vita.
6.1.2 Quanto al requisito secondo il quale i profitti illecitamente generati hanno costituito in una determinata epoca o costituiscono l’unico reddito o una componente significativa dello stesso, il requisito è stato solo apparentemente affrontato dal decreto impugnato che non si è in concreto confrontato con l’elemento richiesto rappresentato dalla “percentuale significal:iva” del reddito da considerarsi quale provento dell’attività illecita.
6.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 1 lett. B), 4 ,16 ,18 24 d. Igs.159/2011, quanto alla mancanza di motivazione in ordine alla correlazione temporale.
La Corte di appello ha escluso la necessità di un giudizio di pericolosità sociale nell’ambito temporale di riferimento dal momento che ai sensi dell’art.24 la confisca dei beni che risultano frutto di attività illecite o ne costituiscono i reimpiego non richiede la valutazione della sproporzione, ma basta la ricorrenza di sufficienti indizi.
In realtà secondo la Corte costituzionale nella sentenza più volte richiamata e secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella ipotesi di pericolosità cd. generica, la pericolosità sociale va intesa come perimetrazione temporale per
individuare i beni illeciti da sottoporre alle misure di prevenzione in quanto acquisiti in tale periodo.
6.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione all’art.25 Cost., 6 CEDU e 48 Carta dei Diritti UE; in subordine violazione dell’art.42 Cost. e dell’art.1 Protocollo 1° addizionale CEDU e del divieto di irretroattività.
Secondo la difesa del ricorrente la confisca di prevenzione, contrariamente alla giurisprudenza prevalente, ha natura punitiva e deve essere assoggettata alle garanzie della legge penale e al principio della irretroattività; l’art. 25 D.Igs. 159/2011 ha previsto per la prima volta la confisca per equivalente con la conseguenza che la stessa non è applicabile al COGNOME le cui condotte risultano contestate per un periodo antecedente all’entrata in vigore del richiamato decreto legislativo.
6.4.Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt.42 e 117 Cost. in relazione all’art.1 Protocollol° addizionale CEDU e dell’obbligo di chiarezza e prevedibilità delle norme di legge.
La sentenza Corte RAGIONE_SOCIALE De RAGIONE_SOCIALE è stata recepita nelle sue indicazioni dalla sentenza della Corte costituzionale n.24/19 sancendo una sorta di costituzionalità sopravvenuta in relazione alla chiarificazione del contenuto dell’art.1 lett. B).
Dunque, prima della Sentenza COGNOME la norma in esame era incostituzionale per difetto di chiarezza: essendo i comportamenti ascritti al proposto ad essa anteriori con la conseguenza che va sollevata questione di costituzionalità della norma in relazione agli artt.42 e 117 Cost.
6.5. Con il quarto motivo è stata dedotta, quanto al diritto di difesa, violazione di legge in relazione agli artt.48,49,52 Carta dei Diritti dell’Unione Europea ed erronea interpretazione della Direttiva 2014/42/UE, nonché violazione dell’art. 6 CEDU sulla presunzione di innocenza.
La invocata direttiva 2014/42/UE richiamata nel decreto impugnato risulta in contrasto con la Carta dei Diritti della UE con la necessaria attivazione del controllo di legittimità ai sensi dell’art. 263 TFUE e nell’ambito del giudizio nazionale dell’art.267 TFUE, sulla compatibilità della confisca prevista dalla direttiva 2014/42/UE con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione EJropea.
6.6. In data 23 gennaio 2024 sono pervenute le conclusioni del difensore di fiducia, in replica alle conclusioni scritte depositate dal Sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione con le quali la difesa ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi risultano nel loro complesso infondati.
Deve essere premesso che ai sensi degli artt. 10 e 27 D. Igs. 159/2011 il ricorso per cassazione avverso provvedimenti applicativi di misure di prevenzione patrimoniali è ammesso solo per violazione di legge.
Ed invero il richiamato art. 27 comma secondo espressamente stabilisce che “per le impugnazioni contro detti provvedimenti si applicano le disposizioni previste dall’articolo 10”.
L’art. 10 comma terzo, che opera con riferimento alle misure di prevenzione personali, stabilisce espressamente che:” avverso il decreto della Corte di appello, è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge, da parte del pubblico ministero e dell’interessato e del suo difensore”.
Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n.1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Rv. 260246; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Rv. 266365).
Il ricorso nell’interesse di COGNOME è nel suo complesso infondato.
2.1. Il primo, il secondo e il terzo motivo risultano manifestamente infondati non confrontandosi con il contenuto del provvedimento impugnato e della giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto modo di chiarire che:
in tema di misure di prevenzione, gli elementi di fatto su cui deve basarsi il giudizio di pericolosità non sono solo quelli accertati con sentenza di condanna, ma anche quelli emergenti da procedimenti penali pendenti Der reati a tal fine significativi, nell’ambito dei quali siano stati formulati giudizi non escludenti la responsabilità del proposto (Sez. 6, n. 36216 del 13/07/2017, Rv. 271372);
in tema di misure di prevenzione, il giudice può valutare autonomamente anche i fatti oggetto di un procedimento penale archiviato, purché effettui una attenta disamina del provvedimento di archiviazione, al fine di verificare se da esso emergano elementi ostativi alla trasmigrazione dei dati in sede di prevenzione (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep.2021, COGNOME Rv. 280145 – 02).
2.1.1. In conformità ai principi individuati dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 24 del 2019), nonché dalle pronunzie di questa Corte (ex multis Sez. 1, n. 31209 del 24/03/2015, COGNOME Rv. 264319-01), nel settore della pericolosità semplice, per la categoria di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), è assente la possibilità di porre in essere, sul piano interpretativo ed in osservanza del principio di tassatività, solo un giudizio di pericolosità basato su un giudicato assolutorio in sede penale.
Una GLYPH formale GLYPH osservanza GLYPH del GLYPH principio GLYPH di GLYPH tassatività, GLYPH unitarietà dell’ordinamento e non contraddizione osta alla possibilità c:he il giudice della prevenzione possa ritenere autonomamente rilevante il fatto coperto da giudicato assolutorio, considerata la formulazione della norma di riferimento, che richiede la constatazione di ricorrenti “attività delittuose”, produttive di reddito.
Da tale considerazione deriva quella che è “l’ineliminabile componente ricostruttiva del giudizio di prevenzione”, tesa a rappresentare l’apprezzamento di fatti idonei o meno a garantire l’iscrizione del soggetto proposto in una delle categorie tipizzate dal legislatore.
Tuttavia, pur in assenza di giudicato penale, può essere ricostruita in via autonoma la rilevanza penale di condotte emerse durante l’istruttoria, dando conto in motivazione della ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispeci incriminatrice idonea alla produzione di proventi illeciti.
Sostanziale continuità in tal senso si rileva in diversi approdi della Corte, dove si è affermato che il giudice della prevenzione può ricostruire in via autonoma la rilevanza dei fatti accertati in sede penale, che non abbiano dato luogo ad una sentenza di condanna, a condizione che non sia stata emessa sentenza irrevocabile di assoluzione, in quanto la negazione penale di un fatto impedisce di assumerlo come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità (Sez. 2, n. 11846 del 19/01/2018, COGNOME, Rv. 272946-01; Sez. 5, n. 48090 del 08/10/2019, COGNOME Rv. 277908 -01; Sez. 2, n. 26774 dell 30/04/2013, COGNOME, Rv. 25682001).
2.2. Il giudice della prevenzione può ritenere la riconducibilità del proposto ad una delle categorie di pericolosità di cui agli artt. 1 e 4 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, indipendentemente dall’esistenza di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di reati, a condizione che la valutazione incidentale a tal fine compiuta non sia smentita da esiti assolutori di eventuali procedimenti penali, eccezion fatta per il caso in cui tali esiti siano dipesi dal riconoscimento di cause estintive e, comunque, detto giudice non può basare il suo accertamento su meri sospetti, ma è tenuto a prendere in considerazione fatti “storicamente apprezzabili”, l’efficacia dimostrativa dei quali deve essere più elevata in relazione alla pericolosità c.d. generica, con la conseguenza che la
riconduzione del proposto ad una delle categorie di questa non può essere fondata su semplici informazioni contenute nelle banche dati in uso alle forze di polizia non accompagnate da aggiornamenti in ordine ai relativi sviluppi procedimentali (Sez. 1, n. 36080 del 11/09/2020, Rv.280207).
Nell’ambito GLYPH di GLYPH tale GLYPH orientamento GLYPH interpretativo GLYPH si GLYPH è GLYPH precisato, conseguentemente, che il potere di autonoma valutazione sussiste per il giudice della prevenzione nel caso in cui gli elementi fattuali emergano da sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, purché il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza o sia, comunque, ricavabile in via autonoma dagli atti (Sez. 2, n. 11846 del 19/01/2018, COGNOME, Rv. 272946-01), posto che la negazione penale irrevocabile di un determinato fatto impedisce di ritenerlo esistente e, quindi, di assumerlo come elemento del giudizio di prevenzione.
Secondo l’orientamento costante di questa Corte, possono formare oggetto di valutazione in sede di pericolosità generica, nella fase constatativa, dati conoscitivi non presi in considerazione da alcun procedimento penale, così come quelli valutati in procedimenti penali non definitivi (Sez. 6, n. 36216 del 13/07/2017, COGNOME, Rv. 271372-01; Sez. 6, n. 53003 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 272268-01; Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, COGNOME, Rv.277438-02; Sez. 6, n. 34670, del 26/10/2020, COGNOME Rv. 279955-01; Sez. 1, n. 43826 del 19/04/2018, R., Rv. 273976 – 01).
Ove il processo penale si sia concluso con la condanna dell’imputato, quei fatti-reati, sicuramente possono essere posti a fondamento anche di un giudizio di pericolosità sociale sempre che, ovviamente, sussista il triplice requisito richiesto dalla norma e, nel caso di confisca, vi sia anche la correlazione temporale fra l’attività delittuosa e l’incremento che si intende neutralizzare.
Nel caso in cui sia stato promosso giudizio di prevenzione senza che a carico del proposto sia mai stato avviato un giudizio penale (perché ad esempio la notitia criminis è stata archiviata, perché l’indagato è deceduto, perché le prove raccolte sono state ritenute insufficienti a sostenere un’accusa penale, perché l’azione penale era già paralizzata da una causa di estinzione o di improcedibilità al momento della conoscenza della notitia criminis) dopo aver ritenuto, incidentalmente, la valenza penale delle condotte, sussumendole entro precise fattispecie penali, si deve valutare, senza i limiti stringenti della prova penale, se quelle condotte siano sintomatiche della pericolosità sociale del proposto e, quindi, se sussistano congiuntamente i requisiti previsti dall’art. 1, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 159 del 2011, dandone conto in motivazione (Se2:. 1, n. 31209 del 24/03/2015, cit.).
Del resto dal punto di vista sistematico e ricostruttivo, siffatta interpretazione trova un preciso riscontro nella disciplina di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 159 del
2011, che, in assenza di una previsione specifica in tema di contrasto di giudicati (disciplinata invece in materia di revisione dalle lettere a e b dell’art. 630 cod. proc. pen), stabilisce che la confisca possa essere revocata solo quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca, con la conseguenza che la sentenza penale, anche di assoluzione, non comporta automaticamente la revocazione atteso che la confisca può essere revocata solo ed esclusivamente se i fatti accertati con sentenza penale definitiva “escludano in modo assoluto” l’esistenza dei presupposti di applicazione della stessa (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020 -dep.2021- cit.).
2.3. Operate queste doverose premesse – quanto all’orientamento di questa Corte in relazione ai tre motivi suindicati – ad avviso del Collegio, le doglianze mosse si rivelano manifestamente infondate nella misura in cui censurano il decreto impugnato in relazione al contenuto della motivazione che non si presenta né manifestamente illogica, né contraddittoria; le stesse si risolvono in una lettura alternativa degli elementi di fatto posti a fondamento del provvedimento impugnato in assenza di confronto con il contenuto dello stesso.
L’impugnato decreto, con motivazione immune da vizi logici e non apparente, ha chiarito che (p. 7 e ss.; p. 40 e ss.):
la informativa riepilogativa della Guardia di Finanza del maggio 2018 ha evidenziato la gestione da parte di COGNOME nella sua qualità di Direttore generale per il Ministero dell’Ambiente, dei finanziamenti concessi nel corso degli anni per aiutare Paesi in via di sviluppo e per calcolare l’impronta di carbonio in relazione ad attività economiche sul territorio italiano con modalità a carattere corruttivo, destinando a lui e alle persone a lui vicine (COGNOME, COGNOME, COGNOME) una parte di tali risorse; ha altresì evidenziato la partecipazione di COGNOME ad un’associazione a delinquere ” creata già nella prima metà degli anni 2000 al fine di potere attingere più fondi possibili tra quelli destinati dal Ministero dell’Ambiente alle varie attività di sviluppo ambientale avviate in Italia e all’estero (in particolare in Montenegro ed in Cina) -icavandone utilità corruttive in funzione del ruolo occupato, in ausilio con la sua compagna NOME COGNOME quando NOME COGNOME rivestiva il ruolo di Direttore generale e -nel breve periodo compreso tra il 16 novembre 2011 e 28 aprile 2013 – quando lo stesso ha svolto l’incarico di Ministro, ritornando poi a svolgere le funzioni di Direttore generale sino alla data del suo arresto nel maggio 2014 per i fatti di cui al proc. RGNR 41541/14;
il Tribunale di Roma in composizione collegiale con sentenza del 25 marzo 2021 ha condannato COGNOME per il delitto di corruzione in concorso con COGNOME COGNOME Augusto (RGNR.41541/14),
COGNOME nella sua qualità di Direttore generale del Ministero per l’ambiente, tra l’ottobre 2010 e giugno 2011, dopo avere erogatc un finanziamento, pari a 54 milioni di euro a fondo perduto e senza obbligo di rendicontazione, in favore del progetto” RAGIONE_SOCIALE” gestito dalle società ONG “RAGIONE_SOCIALE” prima e RAGIONE_SOCIALE” poi, riceveva la somma di euro 1.020.000,00 euro, a titolo corruttivo, accreditate su di un conto dedicato, attraverso la creazione di una provvista (pari a 3.170.000,00 euro di cui parte destinati al coimputato COGNOME costituita attraverso l’emissione di false fatturazioni da parte della società olandese RAGIONE_SOCIALE;
le indagini preliminari svolte nell’ambito del proc. RGNR 360/1995 presso la Procura del Tribunale di Verbania e trasferite alle Procura presso il Tribunale di Roma per competenza, hanno evidenziato sin dalla seconda metà degli anni ’90 un evidente conflitto di interessi tra COGNOME, già dirigente del Ministero dell’ambiente e la società RAGIONE_SOCIALE alla quale erano conferiti numerosi incarichi dal Ministero e della quale COGNOME era stato uno dei soci fondatori attraverso la società fiduciaria RAGIONE_SOCIALE Fiduciaria; nel corso delle indagini COGNOME era sottoposto ad interrogatorio di garanzia in relazione ai suoi contatti con l’assessorato all’Ambiente di Milano, contatti non formalizzati, né verbalizzati nonostante le trasferte avvenissero a carico del Ministero, nonché in relazione alla vicenda “RAGIONE_SOCIALE“; gli elementi raccolti nella indagine si riferiscono altresì al rilascio dell’autorizzazione di un impianto di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE, riconducibile a NOME COGNOME che aveva offerto una lussi. osa vacanza a Clini nella sua villa di Marbella raggiunta con il suo jet privato, così come la società beneficiaria dell’autorizzazione gli aveva consentito vacanze in alberghi di lusso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le indagini del procedimento citato non erano proseguite per mancata concessione della proroga delle indagini preliminari del GIP e, a seguito del trasferimento per competenza presso la Procura del Tribunale di Roma, il procedimento è stato archiviato.
2.3.1. Le vicende costituenti oggetto del procedimento n. 360/1995 RGNR (primo motivo) sono risultate rilevanti per la formulazione del giudizio di pericolosità, cui i giudici di merito sono pervenuti, in relazione alla individuazione del momento iniziale a cui ancorare il requisito della pericolosità generica in ragione altresì della valorizzazione, con motivazione immune da vizi logici, di un vero e proprio “percorso” del proposto di arricchimento da profitti illeciti di natura
corruttiva, coltivato negli anni, sfruttando la sua posizione di vertice all’interno del Ministero dell’Ambiente per favorire coloro che lavoravano nel settore al fine di ottenerne illeciti corrispettivi.
La circostanza in base alla quale il procedimento in esame risulta essere stato successivamente archiviato (oggetto di una specifica deduzione difensiva nel decreto di primo grado, ma non riformulata con il decreto impugnato) non risulta rilevante ai fini della formulazione del giudizio di pericolosità per le ragioni indicate nella giurisprudenza richiamata.
2.3.2. La condotta corruttiva oggetto del procedimento penale n. 41541/14 RGNR (secondo motivo) risulta definita in primo grado con sentenza di condanna e si risolve in doglianze in punto di adeguatezza del percorso motivazionale, non suscettibili di essere dedotte in questa sede, attesa peraltro la sussistenza di una motivazione immune da vizi.
2.3.3. Le censure contenute nel terzo motivo di ricorso, dunque, sulla base delle considerazioni sinora svolte, risultano manifestamente infondate nella parte in cui lamentano vizi motivazionali del decreto impugnato in relazione al giudizio di pericolosità sociale fondato sugli atti di indagine contenuti nel fascicolo principale RGNR.60535/13.
2.3.4. I motivi risultano manifestamente infondati, inoltre, nella misura in cui non si confrontano non solo con la giurisprudenza, in precedenza richiamata, in relazione alla natura della piattaforma cognitiva che è a fondamento del giudizio di pericolosità, ma anche con le indicazioni di questa Corte secondo cui, in tema di misure di prevenzione, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, commal, lett. b), de d.lgs. n. 159 del 2011, devono presentare il triplice requisito – da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione – per cui deve trattarsi di:
delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale;
delitti che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto;
delitti che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 182 del 30/11/2020, dep.2021, COGNOME, Rv. 280145 – 03).
2.4. Infondato il quarto motivo del ricorrente quanto alle asserite utilità illecite attribuite al proposto.
L’esame del motivo va fatto congiuntamente alla questione di legittimità costituzionale prospettata con la memoria difensiva con allegata documentazione, in quanto le deduzioni difensive sono strettamente collegate.
Occorre in primo luogo osservare che la lettura delle disposizioni contenute nella legge costituzionale n. 1 del 16 gennaio 1989 e nella legge ordinaria di attuazione del 5 giugno 1989 n. 289 non consente di desumere, in via interpretativa, dalla normativa vigente l’obbligo di attivare lo speciale procedimento autorizzativo relativo ai reati ministeriali anche con riguardo alle misure di prevenzione.
Esclusa dunque la interpretazione estensiva, occorre valutare la eccepita illegittimità degli artt. 6, 7, 8 e 9 della citata legge costituzionale n. 1/1989 pe contrasto con gli artt. 3, 95, 96 della Costituzione.
La questione di legittimità costituzionale, per come prospettata, è manifestamente infondata.
2.5. Non si ravvisa il contrasto delle richiamate norme con l’art. 3 della Costituzione.
Al riguardo questa Corte, come anche la Corte costituzionale e la Corte EDU, ha costantemente sottolineato la diversità tra il processo e la pena da un lato e il procedimento e le misure di prevenzione dall’altro.
2.5.1. La giurisprudenza di questa Corte a Sezioni unite ha chiarito che le modifiche introdotte nell’art. 2 bis della legge n. 575 del 1965, dalle leggi n. 125 del 2008 e n. 94 del 2009, non hanno modificato la natura preventiva della confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione, sicché rimane tuttora valida l’assimilazione dell’istituto alle misure di sicurezza e, dunque, l’applicabilità, in caso di successioni di leggi nel tempo, della previsione di cui all’art. 200 cod. pen. (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep.2015, COGNOME Rv. 262602 – 01).
La sentenza citata, dopo avere ricostruito la elaborazione giurisprudenziale sull’istituto “camaleontico” della confisca e sulla sua natura “proteiforme”, con riferimento alla confisca di prevenzione, ha evidenziato come “all’apparenza, il novum normativo sembrerebbe mettere in discussione la stessa premessa teorica della ritenuta assimilazione delle misure di prevenzione patrimoniale alle misure di sicurezza;(..) ogni ragione di dubbio, al riguardo, si risolve, però, agevolmente non appena si consideri che la pericolosità del soggetto inciso è anche nel nuovo regime normativo – ineludibile presupposto di applicabilità della stessa misura reale, relativamente alla quale è dato ora prescindere solo dalla verifica dell’attualità di quella stessa condizione (..). Sicché, sul piano concettuale, la pericolosità rimane pur sempre presupposto indefettibile e ragione giustificatrice della misura espropriativa, indipendentemente dall’epoca della sua manifestazione. Donde, la persistente possibilità di assimilare la confisca in esame alle ordinarie misure di sicurezza, sì da consentire l’applicabilità ad essa del menzionato art. 200 cod. pen. .”
Successivamente le Sezioni unite, dovendo pronunciarsi sul rimedio esperibile avverso il provvedimento definitivo di confisca fondato sulla pericolosità generica, “ex” art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, al fine di far valere il difetto originario dei presupposti della misura, a seguito della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019 (S. U. n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, Fiorentino, Rv. 282474), hanno escluso l’applicabilità, al caso sottoposto alla loro attenzione, dell’art. 30, quarto comma, legge n. 87 del 1953, proprio valorizzando la «irriducibile differenza» esistente tra le norme penali per le quali la disposizione indica gli effetti retroattivi e le disposizioni ch disciplinano la confisca di prevenzione, con particolare riguardo a quelle che regolamentano le singole categorie di pericolosità.
In tempi più recenti le Sezioni unite di questa Corte, sia pure chiamate a pronunziarsi in relazione ad un aspetto diverso della confisca di prevenzione ed in particolare alla “prova nuova” rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 159 (SU. n. 43668 del 26/05/2022, Lo Duca, Rv. 283707), per sottolineare le differenze del rimedio revocatorio del giudicato penale con il mezzo di impugnazione straordinario disciplinato dall’art. 28 d.lgs. cit., hanno ribadito che “Alla funzione tipicamente sanzionatoria del modello di riferimento costituito dalle sentenze di condanna corrisponde, in relazione al diverso paradigma della confisca di prevenzione, «la specifica finalità di sottrarre il bene al circuito economico originario, recuperandolo anche presso gli aventi causa a titolo universale, in caso di morte del soggetto pericoloso», poiché, pur con il «definitivo sganciamento della misura di prevenzione patrimoniale dalla condizione di attualità della pericolosità sociale», il presupposto ineludibile per l’applicazione della misura patrimoniale continua ad essere la pericolosità del soggetto inciso .”
2.5.2. Le decisioni di questa Corte a Sezioni unite rispondono alle indicazioni suggerite dalla Corte costituzionale, la quale, con la sentenza n. 24 del 27 febbraio 2019, ha escluso che la confisca di prevenzione possa essere sottoposta allo statuto costituzionale e convenzionale delle pene.
Nell’evidenziare, attraverso un’interpretazione sistematica, che ” l’ablazione di tali beni costituisce non già una sanzione, ma piuttosto la naturale conseguenza della loro illecita acquisizione, la quale determina (…) un vizio genetico nella costituzione dello stesso diritto di proprietà in capo a chi ne abbia acquisito la materiale disponibilità ,” la Corte costituzionale ha quindi affermato che il sequestro e la confisca non hanno lo scopo di punire il soggetto per la propria condotta, quanto piuttosto quello di far venir meno il rapporto di fatto del soggetto con il bene, rapporto non costituitosi in maniera conforme all’ordinamento giuridico, o T.] comunque di far sì (eventualmente attraverso la
confisca per equivalente) che venga neutralizzato quell’arricchimento di cui il soggetto, se non fosse stata compiuta l’attività criminosa presupposta, non potrebbe godere “.
Non essendo presenti connotati afflittivi ulteriori, la finalità delle misure di prevenzione patrimoniali ha “carattere meramente ripristinatorio della situazione che si sarebbe data in assenza dell’illecita acquisizione del bene. Quest’ultimo potrà, così, essere sottratto al circuito criminale, ed essere invece destinato quanto meno ove non sia possibile restituirlo a un precedente titolare, che ne fosse stato illegittimamente spogliato – a finalità di pubblico interesse .”
2.5.3. Anche la più recente giurisprudenza sovranazionale sembra muoversi nel senso di escludere la natura penale di tale forma di confisca, riconoscendone al contrario, la natura compensatoria-preventiva, volta a ripristinare la situazione anteriore all’acquisto illecito dei beni.
Si tratterebbe di una misura non destinata a reprimere un illecito, ma ad impedire la futura commissione di gravi reati di elevato allarme sociale: la confisca di prevenzione è convenzionalmente legittima, in quanto ritenuta dotata di base legale e proporzionata all’interesse pubblico perseguito.
Queste indicazioni sono contenute in numerose pronunce della Corte EDU: il procedimento delle misure di prevenzione non riguarda la “fondatezza” di una “accusa penale” e resta al di fuori dell’area di applicazione del par. 3 dell’art. 6 della CEDU. Al procedimento di applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali si applica, invece, l’art. 6 della CEDU sotto l’aspetto civile (sentenza dell’8 giugno 2023 caso Urgesi e altri c. Italia § 69; sentenza ael 12 maggio 2015 nel caso RAGIONE_SOCIALE e altri c. Georgia, § 121).
2.6. Quanto poi al diverso ambito di operatività dell’art. 68 Cost. rispetto all’art. 96 Cost., è sempre la Corte costituzionale a chiarire le ragioni che giustificano le differenze.
L’art. 68 comma 2 Cost. prevede la possibilità che il parlamentare sia sottratto ad alcuni atti del procedimento penale (che con questa eccezione, va ricordato, per il resto prosegue e si conclude senza ulteriori restrizioni), per il superiore interesse del sereno svolgimento delle funzioni costituzionali.
” L’art. 68 Cost. mira a porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull’esercizio del suo mandato rappresentativo; a proteggerlo, cioè, dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasività o atti coercitivi delle sue libertà fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della giurisdizione (Corte cost. n. 390 del 2007).
Esistono però almeno due differenze fondamentali tra questa fattispecie e quella in esame.
In primo luogo, l’art. 68.2 Cost. e l’art. 96 Cost. hanno presupposti applicativi completamente diversi: il primo concerne uno status, una condizione soggettiva, ed è per questo applicabile a qualunque procedimento penale sia intentato nei confronti del parlamentare, operando altresì in permanenza di carica; il secondo riguarda esclusivamente casi di reati commessi nell’esercizio delle funzioni ministeriali e va, dunque, attivato anche se l’inquisito sia nel frattempo cessato dalla carica.
In secondo luogo, diversa appare la natura della valul:azione richiesta al Parlamento nei due casi: nel primo, si dovrà discutere non tanto della fondatezza o meno dell’accusa, ma dell’esistenza o meno nell’azione giudiziaria di un fumus persecutionis, ovvero di elementi in grado di indicare che questa è artatamente condotta per colpire il parlamentare conculcandone le funzioni; nel secondo, l’organo elettivo dovrà formulare un vero e proprio giudizio di merito sull’operato del Ministro.
Il Parlamento dovrà comparare il bene giuridico di cui s ipotizza la lesione attraverso l’atto ministeriale con l’interesse pubblico perseguito dall’atto medesimo: se a essere individuata nell’agire del Ministro sarà la necessità di tutela di un “interesse superiore”, il Parlamento potrà deliberare che il procedimento non abbia ulteriore corso, “con valutazione insindacabile”.
2.7. Né appare decisivo il richiamo operato dalla difesa alla gravità della misura e dunque alla violazione del principio di proporzionalità e di necessarietà.
È sempre la decisione della Corte costituzionale n.24/2019 che individua le condizioni necessarie per assicurare al sequestro e alla confisca di prevenzione uno statuto di piena legalità e di confornnità alla Costituzione e ai principi sovranazionali.
Se è vero che sequestro e confisca di prevenzione sono misure che incidono pesantemente sui diritti di proprietà e di iniziativa economica, tutelati a livello costituzionale (artt. 41 e 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Prot. addiz. CEDU), tuttavia, gli stessi soggiacciono al combinato disposto delle garanzie cui la Costituzione e la stessa CEDU subordinano la legittimità di qualsiasi restrizione ai diritti in questione:
la previsione di una base legale quanto ai requisti di qualità della restrizione;
la “necessarietà” della restrizione rispetto ai legittimi obiettivi perseguiti (art. 1 Prot. addiz. CEDU), e pertanto la proporzione rispetto a tali obiettivi;
la sua applicazione in esito a un procedimento che – pur non dovendo necessariamente conformarsi ai principi che la Costiturone e il diritto convenzionale dettano specificamente per il processo penale – deve tuttavia rispettare i canoni generali di ogni “giusto” processo garantite dalla legge (artt.
111, primo, secondo e sesto comma, Cost., e 6 CEDU), assicurando in particolare la piena tutela al diritto di difesa (art. 24 Cost.) di colui nei cui confronti la misur sia richiesta.
Può dunque escludersi l’irragionevolezza delle norme cui si riferisce l’eccezione di illegittimità costituzionale prospettata dalla difesa, non potendo condividersi il suo presupposto logico, costituito dalla assimilabilità – sotto il profil delle finalità prese in considerazione dalla disposizioni costituzionali di riferimento – delle misure di prevenzione patrimoniali (aventi carattere meramente ripristinatorio della situazione che si sarebbe data in assenza dell’illecita acquisizione del bene) alle sanzioni penali comminate in relazione ai reati.
2.6. Risolta nel senso della manifesta infondatezza la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa, il quarto motivo di ricorso va esaminato alla luce delle argomentazioni sinora svolte.
La questione di legittimità costituzionale era già stata posta dinanzi alla Corte territoriale che la aveva dichiarata infondata allorquando non era stata ancora negata l’autorizzazione a procedere.
La questione che la difesa sottende alla eccezione di illegittimità costituzionale ora nuovamente proposta è relativa “all’utilizzabilità” degli atti di indagine contenuti nel procedimento che è stato inviato dal Pubblico Ministero al Tribunale dei Ministri e da quest’ultimo al Parlamento, che ha negato l’autorizzazione a procedere.
Si GLYPH tratta GLYPH degli GLYPH atti GLYPH di GLYPH indagine GLYPH contenuti GLYPH nel GLYPH procedimento RGNR.35204/2015 relativi alle seguenti contestazioni:
(Capo A) delitto di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti tra i quali numerosi fatti di corruzione, di abuso di ufficio, turbativa di asta e peculato con precisa suddivisione dei ruoli; in particolare COGNOME, nella sua qLalità, indirizzava discrezionalmente i fondi ministeriali contattando i beneficiari del contributo e sceglieva in concorso con gli associati i soggetti “implementatori” (per una più articolata descrizione della imputazione si rinvia al paragrafo precedente 2.3.);
(Capi B, C, D, E) delitti di corruzione per l’esercizio della funzione e turbata libertà di incanti e segnatamente, per avere nella sua qualità, assicurato l’erogazione di una serie di finanziamenti sia nel comparto italiano che nel comparto estero dietro corrispettivo di utilità corruttive.
Reati commessi dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013.
2.6.1. Prima di valutare la “utilizzabilità” degli atti di indagine, va in primo luogo evidenziato che il Tribunale dei Ministri nella “Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio ai sensi dell’art. 96 della Costituzione”, ha circoscritto il
tempus commissi delicti al periodo che va dal 16/11/2011 al 28/04/2013, che è il periodo in cui COGNOME ha ricoperto la carica di Ministro.
La contestazione associativa, tuttavia, nella sua originaria formulazione, era ben più estesa e riguardava principalmente il periodo in cui COGNOME era stato Direttore del Ministero per l’Ambiente.
Dunque, la prima osservazione di rilievo è che, ai fini della valutazione della “utilizzabilità” degli atti, le condotte per le quali il Parlamento ha negato l’autorizzazione a procedere sono limitate unicamente al periodo in cui COGNOME è stato Ministro (16/11/2011- 28/04/2013).
2.6.2. Siffatta precisazione è necessaria atteso che la corposa informativa della Guardia di Finanza, più volte citata, contiene una significativa mole di atti di rilievo investigativo riguardanti il proposto che partono dalla seconda metà degli anni 2000 e giungono sino alla data del 2014.
E’ lo stesso Tribunale dei Ministri (p.10) che, nel riferirsi alle sole utilità d natura corruttiva corrisposte a COGNOME nel periodo in cui svolgeva la funzione di Ministro dell’Ambiente, specifica come dagli atti di indagine risulta che le società “per le quali è stata decisa la stabilizzazione del rapporto di sponsorizzazione” supportato da COGNOME e COGNOME hanno ricambiato il sostegno “ottenuto anche in tempi antecedenti alla sua nomina a Ministro” elargendo numerose utilità.
Il Tribunale dei Ministri, attraverso un’approfondita analisi dell’informativa, ha chiarito che le condotte penali della cui competenza era investito derivavano da attività già poste in essere dal COGNOME quale Direttore generale del Ministero dell’Ambiente e che si erano sviluppate nel corso di numerosissimi anni (da qui la rappresentazione nell’impugnato decreto, anche ai fini della pericolosità, di una gestione clientelare di COGNOME molto prima di diventare Ministro e soprattutto allorquando ha svolto il ruolo di Direttore generale).
Inoltre, con riferimento specifico agli elementi individuati dal Tribunale del Ministri ed in particolare:
alle utilità pari a 48.000,00 euro ricevute per l’affitto della a b i ta zion e occupat dalla COGNOME nel periodo in cui COGNOME era Ministro;
alle utilità pari a 115.000,00 euro ricevute per il servizio di accompagnamento della società di security nel periodo in cui COGNOME era Ministro;
i giudici di merito, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, hanno individuato siffatte utilità sulla base delle dichiarazioni della proprietaria degl immobili e della documentazione dalla stessa prodotta, dalla quale è risultato che gli immobili sono stati occupati da Clini e dalla Hauser sin dal gennaio 2010 e i canoni di locazione corrisposti dalla società RAGIONE_SOCIALE in sua vece; nonché sulla base di prove documentali e captazioni telefoniche dalle quali risulta che il servizio di
accompagnamento di cui godevano gratuitamente Clini e COGNOME risaliva all’anno 2008.
Non è dunque esatto, come sostenuto dal ricorrente, che la misura di prevenzione patrimoniale irrogata è stata fondata sulla ritenuta sussistenza di reati ministeriali relativi al finanziamento di progetti realizzati in Montenegro in cambio di utilità corruttive.
Il giudizio di pericolosità sociale cui il decreto impugnato è pervenuto ha tenuto conto delle indicazioni di questa Corte secondo cui il giudice della prevenzione può ritenere la riconducibilità del proposto ad una delle categorie di pericolosità di cui agli artt. 1 e 4 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, indipendentemente dall’esistenza di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di reati, a condizione che la valutazione incidentale a tal fine compiuta non sia smentita da esiti assolutori di eventuali procedimenti penali, eccezion fatta per il caso in cui tali esiti siano dipesi dal riconoscimento di cause estintive; e, comunque, detto giudice non può basare il suo accertamento su meri sospetti, ma è tenuto a prendere in considerazione fatti “storicamente apprezzabili”, l’efficacia dimostrativa dei quali deve essere più elevata in relazione alla pericolosità c.d. generica, con la conseguenza che la riconduzione del proposto ad una delle categorie di questa non può essere fondata su semplici informazioni contenute nelle banche dati in uso alle forze di polizia non accompagnate da aggiornamenti in ordine ai relativi sviluppi procedimentali ( Sez. 1, n. 36080 del 11/09/2020, Rv.280207).
La circostanza che sia stata negata l’autorizzazione a procedere per i delitti relativi al periodo in cui COGNOME è stato Ministro, alla luce delle argomentazioni sinora svolte, consente di ricomprendere nel giudizio di pericolosità sociale anche quegli elementi di indagine che erano a fondamento delle contestazioni ministeriali, elementi peraltro non decisivi per quanto sinora esposto ai fini della formulazione del giudizio richiesto.
Il quarto motivo, riproduttivo delle censure già proposte con l’atto di appello, non si confronta con la motivazione dell’impugnato provvedimento riproponendo argomenti difensivi già ampiamente disattesi dal decreto impugnato, con motivazione immune da vizi logici e non certo apparente con specifico riferimento:
al pagamento da parte della RAGIONE_SOCIALE dei canoni di locazione degli appartamenti siti in INDIRIZZO occupati da COGNOME e dalla sua compagna COGNOME (pag. 47 ss.);
al pagamento da parte della società RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” alla società “RAGIONE_SOCIALE” di COGNOME NOME dei servizi di
security e di accompagnamento di COGNOME e della sua compagna COGNOME (pag. 49 ss. del decreto).
3.1. Generica risulta la doglianza con la quale il ricorrente si limita a censurare il decreto impugnato nella parte in cui riconosce compensi in suo favore da parte della società “RAGIONE_SOCIALE, contrariamente a quanto invece indicato nella relazione della GdF depositata nel procedimento RG n.60535/13.
Il ricorso di NOME COGNOME è nel suo complesso infondato.
4.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Quanto alle indicazioni di questa Corte sugli elementi da porre a fondamento del giudizio di pericolosità sociale generica si rinvia alle argomentazioni e alle pronunzie espressamente richiamate in relazione al ricorso presentato nell’interesse di COGNOME Corrado (par. 2.2.)., e, in particolare, alla fisiologi utilizzazione nel procedimento di prevenzione del materiale probatorio proprio del procedimento penale, anche con riferimento ad elementi tratti da informative di polizia giudiziaria o da procedimenti nei quali la ricorrente non ha rivestito la qualità di indagata. L’unico limite è costituito dalla sentenza irrevocabile di assoluzione e dalla rivalutazione autonoma dei fatti in essa accertati.
Il decreto impugnato, con motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria, ha indicato gli elementi che hanno consentito di ravvisare a carico della proposta la sussistenza del requisito della pericolosità cd. generica:
– la informativa riepilogativa della Guardia di Finanza del maggio 2018 (RG. 60535/13, processo che vede imputata COGNOME in concorso per i reati, più volte citati, di associazione per delinquere e corruzione e turbata libertà di incanti) ha evidenziato come attraverso la gestione da parte di COGNOME, nella sua qualità di Direttore generale per il Ministero dell’Ambiente, di finanziamenti concessi nel corso degli anni per aiutare Paesi in via di sviluppo e per calcolare l’impronta di carbonio in relazione ad attività economiche sul territorio italiano con modalità a carattere corruttivo, siano state destinate a lui e alle persone a ui vicine (in questo caso la compagna COGNOME) una parte di tali risorse; ha altresì evidenziato la partecipazione di Clini ad un’associazione a delinquere GLYPH creata già nella prima metà degli anni 2000 al fine di potere attingere più fondi possibili tra quelli destinati dal Ministero dell’Ambiente alle varie attività di sviluppo ambientale avviate in Italia e all’estero (in particolare in Montenegro ed in Cina) ricavandone utilità corruttive in funzione del ruolo occupato, in ausilio con la sua compagna NOME COGNOME quando NOME COGNOME rivestiva il ruolo di Direttore generale e -nel breve periodo compreso tra il 16 novembre 2011 e 28 aprile 2013 – quando lo stesso ha svolto l’incarico di Ministro, ritornando poi a svolgere le funzioni di
Direttore generale sino alla data del suo arresto nel maggio 2014 per i fatti di cui al proc. RGNR 41541/14;
Nel comparto italiano RAGIONE_SOCIALE aveva avviato un programma per la valutazione dell’impronta ambientale del carbonio e la società RAGIONE_SOCIALE, costituita dalla RAGIONE_SOCIALE e comunque anche in seguito alla stessa riconducibile, risultava sempre aggiudicataria dell’incarico in via diretta o come sub affidataria;
nel processo dinanzi al Tribunale di Roma in composizione collegiale, che con sentenza del 25 marzo 2021 ha condannato COGNOME per il delitto di corruzione in concorso con COGNOME Augusto (RGNIR. 41541/14), il teste COGNOME ha dichiarato che a fronte della somma di 230 milioni di euro erogati dall’Italia per il “Sistema ambiente”, circa 112milioni cinquecentomila euro sono stati erogati a società riconducibili a Clini;
gli atti di indagine preliminari svolte nell’ambito del procedimento principale e contenuti nell’ambito della più volte citata informativa riepilogativa finale della Guardia di Finanza comprendono numerose risultanze documentali dalle quali è stato possibile ricostruire i rapporti tra il Ministero dell’ambiente e il Montenegro, con la sottoscrizione di un accordo per cui gli appalti erano affidati senza gara (procedura PRAG). In tal modo le aziende affidatarie erano di fatto scelte da COGNOME e COGNOME.
4.2. Il motivo si risolve in doglianze in punto di adeguatezza della motivazione, non suscettibili di essere dedotte in questa sede, attesa peraltro la sussistenza di una motivazione immune da vizi.
Il motivo risulta infondato, inoltre, nella misura in cui non si confronta non solo con la giurisprudenza in precedenza richiamata in relazione alla natura della piattaforma cognitiva che è a fondamento del giudizio di pericolosità, ma anche con le indicazioni di questa Corte secondo cui, in tema di misure di prevenzione, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di cd. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011, devono presentare il triplice requisito – da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione
per cui deve trattarsi di:
delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale;
delitti che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto;
delitti che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo, (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 182 del 30/11/2020, dep.2021, COGNOME, Rv. 28C145 – 03)
4.3. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso infondato.
Secondo la difesa tra i proventi illeciti (costituenti indici di pericolosità oggetto di confisca per equivalente) non potrebbero includersi quelli derivanti da un contratto cui la persona proposta ha dato esecuzione, anche quando si tratta di contratto acquisito a seguito di corruzione.
La giurisprudenza di questa Corte in tema di prevenzione ha accolto un’ampia accezione di “provento”, quale sostanziale vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato» (Sez. 1, n. 32032 del 10/06/2013, Rv. 256450).
Mediante le nozioni di “frutto” e di “reimpiego”, utilizzate dall’art. 24 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per individuare i beni confiscabili (“beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”), il legislatore h inteso ricomprendere nell’ambito di operatività delle misure di prevenzione patrimoniali tutti i beni collegati attraverso un rapporto di derivazione diretta o indiretta alle attività delittuose su cui si imperniano le fattispecie di pericolosità sociale.
I beni che presentano una correlazione indiretta con la condotta criminosa rientrano nella nozione di “reimpiego”; essa, infatti, si riferisce ad ogni forma di utilizzazione ovvero di investimento in attività economiche o finanziarie dei beni di provenienza illecita.
I concetti di “frutto” e di “reimpiego” di attività illecite, che sono previsti dall legislazione italiana sulle misure di prevenzione, corrispondono esattamente alla nozione di “proventi del reato” come indicata nelle fonti sovranazionali (art. 1 della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, conclusa a Strasburgo 1’8 novembre 1990; art. 2 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (Convenzione di Palermo del 2000); l’art. 2 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (Convenzione di Merida del 2003), che contiene una definizione di provento del reato identica a quella della Convenzione di Palermo.
Si tratta di fonti internazionali che si riferiscono alle forme di confisca non basata sulla condanna in cui rientrano le misure di prevenzione patrimoniali previste nell’ordinamento italiano.
Le Convenzioni delle Nazioni Unite obbligano gli Stati Parte (tra cui l’Italia) a prendere, nella maggiore misura possibile nell’ambito del proprio sistema giuridico interno, le misure necessarie per permettere la confisca dei proventi di reato derivanti dai delitti da esse previsti, tra i quali rientra la corruzione (art. 12 del Convenzione di Palermo e dell’art. 31 della Convenzione di Merda).
Ne consegue che l’applicazione della confisca di prevenzione a tutti i diritti aventi natura patrimoniale che scaturiscono da contratti derivati o ottenuti, direttamente o indirettamente, attraverso la commissione di reati di corruzione,
costituisce il portato di un obbligo di interpretazione della ncrmativa interna in senso conforme alle norme sulla confisca e sul suo oggetto contenute nelle predette Convenzioni internazionali, sicuramente idonee, per il loro specifico carattere precettivo, ad assumere la valenza di parametri interposti in relazione all’art. 117 Cost.
Nessuna erronea interpretazione degli artt. 1 lett. b), 24 e 25 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è quindi ravvisabile nel decreto impugnato, che ha adottato una interpretazione convenzionalmente conforme del concetto di provento di reato, resa obbligatoria dal disposto dell’art. 117 Cost.
4.4. Il terzo motivo di ricorso risulta manifestamerte infondato non confrontandosi con la giurisprudenza costante di questa Corte e con i contenuti del provvedimento impugnato.
4.4.1. È manifestamente infondato nella parte in cui lamenta carenza di motivazione in relazione alla sussumibilità dei servizi di security tra le utilità indice di pericolosità generica, laddove la Corte territoriale, con motivazione immune da vizi, ha chiarito che la possibilità di assicurarsi servizi di accompagnamento, servizi oggettivamente costosi, costituisce “uno degli elementi del tenore di vita sproporzionato rispetto ai redditi percepiti.”
4.4.2. La censura, inoltre, non considera l’elaborazione cli questa Corte, del tutto costante, secondo cui, in tema di misure di prevenzione, colui che è dedito in modo continuativo a condotte di evasione degli obblighi fiscali presenta una forma di pericolosità sociale che lo colloca nella categoria di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sicché i beni a lui derivanti dal reinvestimento della provvista finanziaria illecitamente realizzata possono essere oggetto di confisca, in quanto provento di delitto (Sez. 1, n. 20160 del 16/11/2021, dep.2022, COGNOME, Rv. 283089).
Analogamente colui che risparmia dalla fruizione gratuita cli servizi costosi, ne trae un sicuro arricchimento in termini economici rispetto al tenore di vita assicuratogli dal beneficio.
4.4.3. Infine, per completezza espositiva e a conferma delle argomentazioni prospettate, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte che, muovendosi nel medesimo solco, ha avuto modo di chiarire:
con riferimento al reato di furto, la natura non necessariamente patrimoniale del fine di profitto (S.U. n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145, secondo cui nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifica del reato va int come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore);
con riferimento al delitto di corruzione, la natura non necessariamente patrimoniale delle utilità (Sez. 6, n. 10084 del 08/01/2021, COGNOME, Rv. 281502,
secondo cui, nella nozione di “altra utilità” rientrano anche le prestazioni di natura non patrimoniale, assumendo rilievo, quale oggetto della dazione o promessa, qualsiasi vantaggio materiale o morale, che costituisca la controprestazione posta a base dell’accordo corruttivo e si trovi in un rapporto di proporzionale corrispettività rispetto all’esercizio dei poteri o della funzione, ovvero al compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio.
4.5. Il quarto motivo è manifestamente infondato non confrontandosi con il contenuto del provvedimento impugnato e deducendo in realtà vizi motivazionali, come detto non proponibili in questa sede.
Sul punto il decreto impugnato ha offerto ampia motivazione in fatto immune da vizi logici (p58 e ss.).
Dopo avere esaminato le dichiarazioni dei redditi, la Corte territoriale evidenzia come gli importi percepiti (anno 2008: 1.9992,00 euro mensili; anno 2009: 3.668,00 euro mensili; anno 2010: 3968,00 euro mensili; anno 2011: 8.113,00 euro mensili; anno 2012: 5.039,00 euro mensili) non giustifichino il tenore di vita “elevatissimo” emerso dagli atti di indagine (a titolo esemplificativo l’acquisto in Duino Aurisina di un immobile prestigioso per il corrispettivo di 1 milione 50.000 euro).
Sul punto, la più volte citata pronunzia della Corte Costituzionale n. 24 del 2019, che ha assicurato in via interpretativa contorni sufficientemente precisi alla fattispecie di pericolosità in esame, sottolineando che essa esprime la necessità di predeterminazione di specifiche “categorie di delitto”, suscettibili di trovare concretizzazione in virtù del triplice requisito per cui deve trattarsi di a) delit commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto, b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c) i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito, o quanto meno una componente significativa del reddito del soggetto.
I concetti di “componente significativa del reddito” e di “rilevante fonte di reddito”, accolti dalla giurisprudenza, sono del tutto incompatibili con la tesi difensiva che tende ad escludere dall’area della predetta fattispecie di pericolosità, e della conseguente confisca di prevenzione, le ipotesi in cui proventi illeciti di importo assai elevato – ad esempio dell’ammontare di centinaia di migliaia di euro, come nel caso di specie – siano percepiti da persone che hanno altri redditi di notevole entità, prevalenti sul piano quantitativo (prevalenza, peraltro, affermata nel caso in esame dalla difesa con una prospettazione che non risulta sorretta da una adeguata base probatoria).
Una simile interpretazione si pone in netto contrasto con la lettera della previsione normativa, la quale fa riferimento semplicemente a coloro che “vivono
abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”, senza richiedere la prevalenza di tali proventi sui redditi leciti.
Il ricorso di COGNOME COGNOME NOME è nel suo complesso infondato.
5.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Contrariamente a quanto indicato nel ricorso, non si ravvisa una motivazione assente o apparente quanto allo specifico motivo di censura.
Il decreto impugnato (pp.29 e ss.; pp.41 e ss.; pp. 64 e ss.), con ampia motivazione immune da vizi logici, ha evidenziato gli elementi di fatto che sostengono il giudizio di pericolosità generica individuati in delitti commessi abitualmente e in un significativo arco temporale. Rinviando al paragrafo 2.2. in relazione alle singole vicende e alla piattaforma cognitiva si può in questa sede per completezza espositiva evidenziare che il proposto collaborava da tempi molto risalenti con Clini, in ragione della sua qualifica professionale di ingegnere.
Il Tribunale di Roma in composizione collegiale con sentenza del 25 marzo 2021 nel condannare COGNOME per il delitto di corruzione in concorso con COGNOME COGNOME Augusto (RGNR.41541/14), ha ritenuto che a fronte del finanziamento, pari a 54 milioni di euro a fondo perduto e senza obbligo di rendiconta2ione, in favore del progetto” RAGIONE_SOCIALE” gestito dalle società ONG “RAGIONE_SOCIALE” prima e “RAGIONE_SOCIALE” poi, la utilità corruttiva pari a 3.170.000,00 è stata destinata per la somma di euro 1.020.000,00 euro a Clini e per la somma di 2.030.000,00 a Pretner.
La informativa riepilogativa della Guardia di Finanza del maggio 2018 ha evidenziato la gestione da parte di COGNOME nella sua qualità di Direttore generale per il Ministero dell’Ambiente, dei finanziamenti concessi nel corso degli anni per aiutare Paesi in via di sviluppo e per calcolare l’impronta di carbonio in relazione ad attività economiche sul territorio italiano con modalità a carattere corruttivo, destinando a lui e alle persone a lui vicine (COGNOME, COGNOME, COGNOME) una parte di tali risorse; l’associazione a delinquere era già stata ” creata già nella prima metà degli anni 2000 al fine di potere attingere più fondi possibili tra quelli destinati dal Ministero dell’Ambiente alle varie attività di sviluppo ambientale avviate in Italia e all’estero NOME COGNOME strettamente legato a NOME COGNOME fin dal 1996, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE nonché di numerose altre società attraverso le quali ha potuto ottenere commesse finanziate e cofinanziate con fondi provenienti dal Ministero.
Si tratta di delitti, uno dei quali di natura associativa e come tale permanente, di durata pluriennale e generativi di proventi per centinaia di migliaia di euro, senza che su tale giudizio – rispondendo così alla seconda delle censure contenute nel primo motivo- possano incidere la maggiore durata della vita professionale del proposto e la percezione di un volume di reddito che ammonterebbe, secondo la
consulenza indicata dalla difesa, in 2.177.652 euro nell’arco del periodo 20042014.
Il decreto impugnato proprio in relazione alla censurata destinazione dei proventi alle esigenze di vita, destinazione non necessaria secondo la difesa rispetto ai redditi derivanti da attività professionale, osserva con motivazione in fatto che il proposto ha collaborato con Clini per l’evidente ragione che ne ha tratto grandi benefici economici che diversamente non avrebbe potuto conseguire ” così come accade ad altri pur bravi e capaci ingegneri, ai quali ha altresì fatto concorrenza sleale sostituendo i requisiti di capacità professionale con quelli di carattere corruttivo oggetto di condanna .”
Il motivo si risolve in doglianze in punto di adeguatezza della motivazione, non suscettibili di essere dedotte in questa sede, attesa peraltro la sussistenza di una motivazione immune da vizi e in relazione al giudizio di oericolosità sociale risolvendosi anche in tal caso in un vizio motivazionale.
5.2. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente in ragione della loro stretta connessione, risultano infondati.
Questa Corte ha ribadito anche recentemente che, in tema di misure di prevenzione reali, nel caso in cui, in costanza di condizione di pericolosità tipica, non sia possibile l’ablazione del denaro illecitamente acqu sito (nella specie, corrispettivo di condotte corruttive) o dei beni acquistati con il medesimo denaro, è legittimo il ricorso alla confisca per equivalente preventiva ai sensi dell’art. 25 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 dei beni acquisiti anche lecitamente prima della manifestazione della pericolosità (Sez. 5, n. 41016 del 11/07/2023, La Mantia, Rv. 285327).
La pronunzia citata, nel richiamare le indicazioni delle Sezioni Unite “COGNOME“, ha poi evidenziato che ai sensi dell’art. 25 del TU., così come risulta a seguito della novellazione apportata con legge n.161 del 17.10.2017, “Dopo la presentazione della proposta, se non è possibile procedere al sequestro dei beni di cui all’articolo 20, comma 1, perché il proposto non ne ha la disponibilità, diretta o indiretta, anche ove trasferiti legittimamente in qualunque epoca a terzi in buona fede, il sequestro e la confisca hanno ad oggetto altri beni di valore equivalente e di legittima provenienza dei quali il proposto ha la disponibilità, anche per interposta persona”.
È dunque possibile intervenire, in seconda battuta, anche su beni pacificamente entrati nel patrimonio del proposto in un momento antecedente rispetto alla insorgenza della condizione soggettiva di pericolosità ed acquisiti lecitamente.
Quanto alla possibilità di disporre la confisca del denaro nella forma per equivalente, si osserva che, come precisato dalla sentenza del 15/06/1999, Prisco
c/ Italia della Corte Edu, le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità del proposto tutti i beni che siano frutto di attività illecita o costituiscano il reimpiego, dei quali non possano dimostrare la legittima provenienza (sul punto, sez. Unite ‘COGNOME‘), dal momento che la confisca di prevenzione «colpisce beni di cui l’autorità giudiziaria ha contestato l’origine illegale allo scopo che il ricorrente potesse utilizzarli per realizzare ulteriormente vantaggio a proprio profitto».
Una volta individuati tali beni, può essere disposta la traslazione anche su beni acquisiti in tempo antecedente al periodo di pericolosità sociale se non rinvenuti quelli in via diretta, in quanto previsto espressamente dalla norma.
Alla luce dei richiamati principi, deve ritenersi legittimo l’operato del giudice di merito che, nell’impossibilità di confiscare direttamente le somme costituenti l’illecito arricchimento, per non essere state rinvenute neppure su altri e diversi conti correnti, e non risultando individuati i beni, ha disposto la confisca della polizza a nulla rilevando la sua lecita provenienza.
Le argomentazioni svolte forniscono risposta anche alle censure contenute nei due motivi aggiunti, che costituiscono l’ulteriore sviluppo dei motivi di ricorso originari ora trattati.
5.3 Manifestamente infondato il quarto motivo nella misura in cui deduce la violazione dell’art. 24 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per la erronea determinazione del prezzo del delitto di corruzione.
Il motivo è sostanzialmente sovrapponibile ad uno dei motivi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e alle cui argomentazioni si rinvia.
Alla luce della corretta interpretazione dei concetti di “frutto” e “reimpiego” di attività illecite la confisca di prevenzione, nell’ipotesi di pericolosità generica connessa a reati di corruzione, colpisce non solo il prezzo del reato (cioè il denaro o altra utilità entrati nella disponibilità del pubblico ufficiale), ma anche ogni «sostanziale vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato», e cioè “qualunque bene derivato o ottenuto, direttamente o indirettamente, attraverso la commissione di un reato” di corruzione.
Possono, pertanto, rientrare nell’oggetto della misura di prevenzione tutti i diritti aventi natura patrimoniale che scaturiscono da provvedimenti o contratti derivati o ottenuti, direttamente o indirettamente, attraverso la commissione di reati di corruzione.
Il motivo è manifestamente infondato nella parte in cui non si confronta con le argomentazioni del provvedimento impugnato, che ha evidenziato come il proposto non abbia subito una confisca ulteriore rispetto alla cifra di 2milioni e 30mila euro allo stesso destinata.
5.4 Manifestamente infondata la questione di costituzionalità posta dalla difesa, che qui si riassume nel suo nucleo essenziale: l’adozione cumulativa della confisca ordinaria e di prevenzione viola il principio di proporzionalità e di necessarietà.
L’art. 30 d.1vo159/11 risulterebbe costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede un sistema di coordinamento nella ipotesi di peni sproporzionati e diversi sottoposti a due tipologie di confisca, determinando una illegittima espansione dell’ablazione patrimoniale dell’intero patrimonio.
La questione è manifestamente infondata laddove anche in tal caso non tiene in considerazione la profonda differenza che caratterizza e qualifica i due tipi di confisca richiamati.
In particolare, mentre la confisca per equivalente è una tipologia di confisca “pertinenziale”, perché limitata al profitto dello specifico reatc commesso, anche se quel valore si traferisce su altri beni, la confisca di prevenzione non è di tipo pertinenziale, proprio perché si basa sulla sproporzione tra redditi e investimenti accertata nel periodo di pericolosità.
Dunque, è ben possibile che:
a fronte della sproporzione si proceda alla confisca di beni che non sono correlati allo specifico reato oggetto di verifica nella fase di constatazione della pericolosità, ma che ragionevolmente sulla base di logica indiziaria derivano da altre condotte illecite similari.
a fronte del mancato rinvenimento dei beni da confiscare, nella confisca per equivalente si proceda alla confisca di beni che seppure per un valore equivalente, sono limitati al profitto di quello specifico reato commesso.
La prospettazione difensiva muove da una erronea ricognizione dei due istituti.
Sul significato della sproporzione tra redditi e investimenti nella confisca di prevenzione questa Corte ha avuto modo di chiarire che, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, la confisca può essere disposta nei confronti di soggetto residente all’estero, fermo restando il presupposto della correlazione temporale, anche relativamente a beni di valore sproporzionato rispetto al reddito lecito prodotto, non essendo limitata al caso dei beni che siano frutto di attività illecite e ne costituiscano il reimpiego (Sez. 1, n. 44214 del 05/06/2023, COGNOME, Rv. 285502).
La pronunzia richiamata chiarisce che il presupposto della necessaria correlazione temporale (tra condizione soggettiva di pericolosità ed acquisizione dei beni) consente di identificare in modo diverso il parametro della sproporzione, nell’accezione di ” mero parametro probatorio di accertamento indiziario della ‘provenienza’ dei beni dalla attività delittuosa commessa dal soggetto, e non un
presupposto di diritto sostanziale .In altre parole, la confisca d prevenzione resta una confisca non strettamente pertinenziale ma nel cui ambito il parametro della sproporzione, unitamente alla constatazione delle reiterate attività illecite consente – sul piano logico – di ipotizzare che la formazione del patrimonio non giustificato abbia derivazione da attività illecite similari (anche ulteriori rispetto a quelle espressamente censite)”.
Come per la eccezione di costituzionalità sollevata nell’interesse di COGNOME, anche in tal caso può dunque escludersi l’irragionevolezza delle norme cui si riferisce la difesa, non potendo condividersi il suo presupposto logico, costituito dalla assimilabilità – sotto il profilo delle finalità prese in considerazione dalle disposizioni costituzionali di riferimento – dei due diversi tipi di confisca.
Il ricorso di COGNOME NOME è nel suo complesso infondato.
6.1. Il primo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato risolvendosi in censure di natura motivazionale, non ammissibili in relazione alla impugnazione delle misure di prevenzione.
Inoltre, va rilevato che la Corte territoriale con esaustiva motivazione, immune da vizi logici, ha argomentato esaustivamente quanto:
alla protrazione delle condotte delittuose per un significal:ivo arco temporale della vita del proposto (p.69 e ss.). Al riguardo il provvedimento impugnato richiama nuovamente gli esiti della indagine del 1997 della Procura del Tribunale di Verbania in relazione ai rapporti tra COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE e COGNOME. Prosegue nel valorizzare la imputazione in relazione al processo che vede coinvolto COGNOME per la partecipazione all’associazione finalizzata alla realizzazione di condotte corruttive unitamente a COGNOME e quale suo stretto collaboratore sin dai primi anni 2000 con specifico riferimento al comparto Cina (ove il proposto ha vissuto a lungo) per conto del Ministero dell’Ambiente. Quindi si sofferma su condotte di natura corruttiva successive che si protraggono sino agli anni 2011/2012 e che dunque coprono un significativo arco temporale della vita di COGNOME;
al rilevante ammontare dei proventi illeciti derivanti dalle condotte sì da potersi considerare una significativa anche se non esclusiva fonte reddituale (p.73). Anche in tal caso il provvedimento impugnato, dopo avere evidenziato la serialità del meccanismo corruttivo alla luce della emissione di fatture per operazioni inesistenti e ai passaggi sui conti correnti di significative quantità di danaro a titolo corruttivo, supera la censura che vorrebbe una interpretazione soggettiva del concetto di “componente significativa del reddito” per fornirne una interpretazione costituzionalmente conforme (Corte Cost. 24/19) intendendola come “significativa” in assoluto, anche in relazione a soggetti particolarmente
facoltosi come nel caso di specie. Evidenzia il provvedimento che ” nel caso in esame, attese le cifre erogate, la significativita e in re ipsa.”
Siffatta motivazione, lungi dall’essere apparente, esprime un principio logico giuridico secondo cui, a fronte di proventi illeciti di ammontare oggettivamente rilevante, la “significatività” degli stessi ai fini della componente reddituale, non può essere esclusa dalla più generale condizione economica del proposto, determinandosi altrimenti una disparità di trattamento ed una implicita esclusione di coloro che risultano in assoluto particolarmente abbienti.
6.2. Manifestamente infondato anche il secondo motivo quanto alla mancanza di motivazione sotto il profilo della carenza di correlazione temporale.
Anche in tal caso le censure si presentano di natura motivazionale e come tali non deducibili in questa sede; peraltro, esse sono reiterative delle precedenti doglianze, alle quali la Corte territoriale ha risposto con motivazione in fatto immune da vizi logici (p.74/75).
I principi fissati da questa Corte secondo cui, in tema di confisca di prevenzione disposta nei confronti di soggetto cd. pericoloso generico, è legittimo disporre la misura ablativa su beni acquisiti in periodo successivo a quello, individuato nel provvedimento, di manifestazione della pericolosità sociale, ove ricorra una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della dirett derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi in detto periodo (Sez. 1, Sentenza n. 12329 del 14/02/2020, COGNOME, Rv. 278700), sono stati correttamente applicati e non vengono, infatti, violati dal decreto impugnato, che dispone la confisca di somme indebitamente percepite e, quindi, considerate frutto di attività illecite.
6.3 Infondato il terzo motivo riguardante la violazione dell’art. 25 Cost., dell’art. 6 CEDU e dell’art. 48 Carta dei diritti UE (nonché, in subordine, degli artt. 42 Cost. e 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU) sotto I profilo del divieto di retroattività.
Anche in tal caso il motivo, già proposto con l’atto di appello e puntualmente disatteso (p.77), non si confronta con il decreto impugnato che ha operato un espresso richiamo alla giurisprudenza a Sezioni Unite di questa Corte e alla giurisprudenza sovranazionale.
Non si ravvisano le violazioni degli articoli richiamati, anche alla luce delle argomentazioni già spese in relazione alla questione di costituzionalità sollevata dal proposto COGNOME.
6.3.1. Secondo la giurisprudenza a Sezioni Unite di questa Corte, pure richiamata nel provvedimento impugnato:
deve escludersi la natura sanzionatoria della confisca cli prevenzione, con la conseguenza che non può trovare applicazione, in questa materia, il principio di
irretroattività, mentre rimane valida l’assimilazione dell’istituto alle misure di sicurezza e, dunque, l’applicabilità della previsione di cui all’art. 200 c.p. in caso di successione di leggi nel tempo (SU. n. 4880 del 26/06/2014, dep.2015, COGNOME, Rv. 262602);
sussistono caratteristiche di “irriducibile differenza” tra le norme penali e quelle che disciplinano la confisca di prevenzione (S.U. n. 3513 del 16/12/2021, dep.2022, Fiorentino, Rv. 282474);
alla funzione tipicamente sanzionatoria del modello di riferimento costituito dalle sentenze di condanna corrisponde, in relazione al diverso paradigma della confisca di prevenzione, «la specifica finalità di sottrarre il bene al circuito economico originario, recuperandolo anche presso gli aventi causa a titolo universale, in caso di morte del soggetto pericoloso» (Sez. U, n. 43668 del 26/05/2022, COGNOME, Rv. 283707).
6.3.2. Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale:
la confisca di prevenzione non ha natura penale. Avendo ad oggetto beni che possono ragionevolmente essere considerati come “il frutto delle attività criminose nelle quali il soggetto risultava essere impegnato all’epoca della loro acquisizione”, costituisce non una sanzione, ma piuttosto la naturale conseguenza della loro illecita acquisizione, la quale determina un vizio genetico nella costituzione del diritto di proprietà in capo a chi ne abbia acquisito la materiale disponibilità, risultando “ovvio che la funzione sociale della proprietà privata possa essere assolta solo all’indeclinabile condizione che il suo acquisto sia conforme alle regole dell’ordinamento giuridico”(Corte Cost. n.21 del 9 febbraio 2012; n. 24 del 27 febbraio 2019).
6.3.3. Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, le misure di prevenzione previste dalla legislazione italiana non implicano un giudizio di colpevolezza ma mirano a prevenire la commissione di atti criminali; né richiedono ai fini della loro applicazione la previa pronuncia di una condanna per un illecito penale.
Il procedimento di applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali non riguarda la “fondatezza” di una “accusa penale” e, quindi, resta soggetto all’art. 6 della CEDU sotto l’aspetto civile (Urgesi e altri c. Italia, 8 giugno 2023(§ 69); COGNOME c. Italia, 23 febbraio 2017 (§ 143-155); COGNOME e altri c. Italia 5 gennaio 2010 per le misure patrimoniali (§ 34).
6.4. Ribadita dunque la conformità della confisca di prevenzione ai principi costituzionali e convenzionali, va affrontata la ulteriore censura contenuta nell’articolato motivo in punto di “confisca per equivalente”, introdotta anche in tema di misure di prevenzione patrimoniale mediante l’aggiunta del comma 10 all’art. 2-ter della I. n. 1423 del 1956 ad opera del dl. 23 maggio 2008, conv. con
modificazioni nella I. 24 luglio 2008, n. 125 (la disposizione è stata poi trasposta nell’art. 25 del d.lgs. n. 159 del 2011, mentre il suo attuale testo è il frutto dell modifiche apportate dalla 1.17 ottobre 2017, n. 161).
6.4.1. Se è vero che la confisca per equivalente assume i tratti distintivi di una vera e propria sanzione, tale da impedire l’applicabilità ad essa del principio generale della retroattività delle misure di sicurezza, sancito dall’art. 200 cod. pen. (Sez. 1, n. 11768 del 28/02/2012, Barilari t Rv. 252297; Sez. 5, n. 40415 del 27/09/2022, COGNOME, Rv. 283869), ad avviso del collegio, la questione prospettata dal ricorrente trascura un dato preliminare decisivo: la natura abituale/permanente della condotta illecita, sviluppatasi in un significativo arco temporale che è alla base del giudizio di pericolosità formulato nei confronti di COGNOME
Secondo la giurisprudenza di questa Corte a Sezioni unite, in tema di successione di leggi penali, nel caso in cui l’evento del reato intervenga nella vigenza di una legge penale più sfavorevole rispetto a quella in vigore al momento in cui è stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta (SU., n. 40986 del 19/07/2018, Rv. 273934): in particolare “HP protrarsi della condotta sotto la vigenza della nuova, più sfavorevole, legge penale assicura la calcolabilità delle conseguenze della condotta stessa che, come si è visto, dà corpo alla ratio garantistica del principio di irretroattività. È dunque la legge più sfavorevole vigente al momento della cessazione della permanenza che deve trovare applicazione ”
6.4.2. Condivisibili risultano le conclusioni del Sostituto Procuratore generale laddove ritiene che le ragioni della pronunzia citata possano trovare piena applicazione alla ipotesi in esame, in cui il giudizio di pericolosità di COGNOME affascia condotte precedenti e successive all’entrata in vigore del D.L. n. 92 del 2008, conv. in L. n. 125 del 2008, che ha introdotto la confisca per equivalente nella disciplina regolante la materia delle misure di prevenzione patrimoniali, con la conseguente esclusione della irretroattività delle disposizioni.
6.4.3. Né coglie nel segno la ulteriore obiezione difensiva contenuta nelle memorie di replica secondo cui:
una siffatta interpretazione costituirebbe un’ipotesi di analogia in malam partem;
una siffatta motivazione colmerebbe un vuoto motivazionale del decreto impugnato, attesa la mancanza di motivazione ad opera della Corte territoriale.
Quanto alla prima obiezione, l’applicazione delle indicazioni contenuta nella sentenza delle Sezioni Unite richiamate non configura un’ipotesi di analogia in
malam partem, quanto la interpretazione del caso in esame alla luce dei principi enunciati: se nel caso di specie il giudizio di pericolosità sociale del proposto è fondato su una condotta permanente quale quella associativa (dai primi anni 2000 sino all’anno 2012) ed una parte significativa della condotta penalmente rilevante ricade sotto la vigenza della norma più sfavorevole, quale quella che ha introdotto la confisca per equivalente, la normativa successiva troverà applicazione senza alcuna violazione del principio di irretroattività.
6.4.4. In ordine alla seconda obiezione, contrariamente a quanto sostenuto nella memoria difensiva, il decreto impugnato fornisce precise indicazioni motivazionali quanto alla sussistenza di una condotta illecita di natura permanente che ha fondato il giudizio di pericolosità e della realizzazione, nel periodo successivo all’introduzione della nuova disciplina, di condotte rilevanti ai fini della fattispecie di pericolosità prevista dall’art. 1, comma 1, lett. b) del d.lgs. settembre 2011, n. 159, implicitamente escludendo la sussistenza di una ipotesi di irretroattività della legge successiva.
6.5. Manifestamente infondato risulta il quarto motivo.
La difesa lamenta violazione degli artt. 42 e 117 Cost. in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU in punto di chiarezza e prevedibilità delle norme di legge.
6.5.1. La più volte citata sentenza delle Corte Costituzionale n. 24 del 2019, pronunziatasi proprio sulla evoluzione giurisprudenziale successiva alla sentenza “de Tommaso”, ha ritenuto possibile “assicurare in via interpretativa contorni sufficientemente precisi alla fattispecie descritta dell’art. 1, numero 2), della legge n. 1423 del 1956, poi confluita nell’art. 1, lettera b), del d.lgs. n. 159 del 2011, sì da consentire ai consociati di prevedere ragionevolmente in anticipo in quali «casi» – oltre che in quali «modi» – essi potranno essere sottoposti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, nonché alle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca (par.12.2.)”.
Questa Corte ha di recente ribadito che, in tema di misure di prevenzione, la lettura “tassativizzante” della categoria di pericolosità generica di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 6 settembre 2011 n. 159, affermata nella sentenza della Corte cost. n. 24 del 2019, alla luce dei principi espressi dalla Corte Edu, Grande Camera, nella sentenza 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, trova applicazione anche con riferimento alle condotte antecedenti alla pronuncia del giudice delle leggi, la quale ha recepito l’interpretazione consolidata che la Corte di cassazione ha dato del contenuto della norma, consacrandola quale diritto vivente, sulla cui base sono state ritenute la sufficiente determinatezza della fattispecie, nonché la prevedibilità delle conseguenze della violazione (Sez. 2, n. 25042 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283559 – 01).
6.5.2. Il decreto impugnato, come più volte evidenziato nei paragrafi che precedono, ha offerto corretta applicazione delle indicazioni contenute nella
pronunzia della Corte costituzionale quanto alla verifica in concreto della categoria della pericolosità generica come tipizzata, con la conseguente esclusione di
violazione dei requisiti di chiarezza e prevedibilità delle norme applicate.
Essendo stata correttamente applicata, nel provvedimento impugnato, proprio la suddetta interpretazione della categoria di pericolosità generica in
questione, deve escludersi la fondatezza del quarto motivo di ricorso.
6.6. Manifestamente infondato il quinto e ultimo motivo di ricorso.
La richiesta di sollevare questione pregiudiziale interpretativa ex art. 267
TFUE da parte di questa Corte quale organo di ultima istanza dinanzi alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea per contrasto della Direttiva 2014/42/UE con i principi fissati dalla carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea non può
essere accolta atteso che la Direttiva non ha ad oggetto le ipotesi di confisca senza condanna.
Quanto al rispetto della presunzione di innocenza, va richiamata la univoca giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani (decisioni del 6 dicembre 1991, COGNOME c. Italia, e del 20 giugno 2002′ COGNOME c. Italia) secondo cui le misure di prevenzione previste dalla legislazione italiana non implicano un giudizio di colpevolezza, ma mirano a prevenire la commissione di atti criminali.
Pertanto, il secondo e il terzo paragrafo dell’art. 6 CEDU, che garantiscono rispettivamente il principio della presunzione di innocenza e i diritti degli imputati, non sono applicabili al procedimento di prevenzione, che non riguarda la “fondatezza” di una “accusa penale”.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, in data 10 febbraio 2024