Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7791 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7791 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nata a Napoli il 12/08/1975;
COGNOME NOME nata a Napoli il 20/10/1983;
COGNOME NOME nato a Napoli il 01/12/1985;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 24/04/1952 (deceduto);
avverso il decreto emesso il 30/01/2024 dalla Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto di annullare il decreto impugnato, relativamente alla confisca degli immobili intestati a NOME e NOME COGNOME con rinvio per nuovo esame sul punto, e di rigettare nel resto i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto impugnato la Corte di appello di Napoli ha confermato il
decreto del Tribunale di Napoli, emesso in data 2 marzo 2016, che ha disposto la confisca di alcuni immobili di NOME, NOME e NOME COGNOME, figli e terzi intestatari beni di NOME COGNOME, deceduto in data in data 25 febbraio 2019, ritenuto pericoloso in quanto appartenente sino al 2003 al sodalizio di tipo mafioso denominato “Alleanza di Secondigliano”.
L’avvocato NOME COGNOME, difensore e procuratore speciale di NOME NOME e NOME COGNOME ricorre avverso tale decreto e ne chiede l’annullamento, denunciandone la motivazione apparente.
Il difensore, con unico e articolato motivo, censura la violazione di legge e il vizio di mancanza di motivazione in ordine alla conferma delle confische immobiliari disposte dal Tribunale di Napoli.
In via preliminare il difensore eccepisce la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per consentire l’escussione del consulente tecnico di parte dott. NOME COGNOME e la nomina di un consulente tecnico di ufficio per ricostruire tutti i pagamenti dei beni immobili effettuati dai ricorrenti.
Il difensore rileva, inoltre, che NOME COGNOME è stato ritenuto pericoloso, in quanto condannato per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., quale partecipe dell’Alleanza di Secondigliano e, in particolare, del clan camorrista COGNOME/COGNOME, con condotte accertate fino al 2003.
Il difensore eccepisce il difetto della necessaria corrispondenza cronologica fra il periodo di pericolosità sociale accertata di NOME COGNOME e la collocazione temporale delle acquisizioni patrimoniali oggetto di confisca.
L’immobile intestato a NOME COGNOME è, infatti, stato acquistato in data 17 maggio 2004 e quelli intestati a NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati acquistati, rispettivamente, in data 12 novembre 2012 e data 4 febbraio 2014.
La Corte di appello, dunque, avrebbe disposto la confisca di beni immobili acquistati da NOME NOME e NOME COGNOME negli anni 2012-2014, a nove anni dalla cessazione della condotta partecipativa contestata al padre NOME COGNOME; l’acquisto degli immobili in questione non potrebbe, dunque, essere ricondotta all’accumulazione illecita asseritamente posta in essere dal padre.
Le provviste utilizzate per l’acquisto degli immobili, peraltro, sarebbero tracciabili e di provenienza lecita, come indicato nell’elaborato dai propri consulenti di parte NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 15 ottobre 2024, il Procuratore generale ha chiesto di annullare il decreto impugnato limitatamente alla confisca degli immobili intestati a NOME e NOME COGNOME con rinvio per nuovo esame sul punto, e di rigettare nel resto i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati.
Nel delibare i motivi di ricorso proposti dai ricorrenti, occorre premettere che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575, e ribadito dall’art. 10, comma terzo, del d.lgs. 159 del 2011; ne consegue che, in tale ambito, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotes dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n. 1423 del 1956, il caso della motivazione inesistente o meramente apparente (ex plurimis: Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435 – 01; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365).
Il sindacato di legittimità sui provvedimenti in materia di prevenzione è, dunque, limitato alla violazione di legge e non si estende al controllo dell’iter giustificativo della decisione, a meno che questo sia del tutto assente (ex plurimis: Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007, Bruno, Rv. 237277).
Non può, dunque, essere dedotta come vizio di motivazione mancante o apparente la sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o che, comunque, risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
Tale limitazione è, peraltro, stata ritenuta non irragionevole dalla Corte costituzionale, stante la peculiarità del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, sia sul terreno processuale che su quello sostanziale (sentenze n. 321 del 22/06/2004 e n. 106 del 15/04/2015 della Corte costituzionale).
I ricorsi sono inammissibili per aspecificità, in quanto reiterano censure che sono state già sottoposte al giudice d’appello e disattese con motivazione non certo apparente.
Le censure proposte dai ricorrenti sono, inoltre, inammissibili, in quanto esulano dai limiti del controllo sul decreto impugnato consentito in sede di
legittimità, tZZMM risolvendosi nella prospettazione di una diversa ricostruzione ) dei fatti posti a fondamento del giudizio di pericolosità.
Il vizio di mancanza della motivazione dedotto dai ricorrenti è, peraltro, manifestamente infondato.
4.1. La Corte di appello di Napoli, ribadendo le statuizioni del Tribunale di Napoli, ha confermato il giudizio di pericolosità sociale di NOME COGNOME, medio tempore deceduto, in quanto gravemente indiziato di essere stato partecipe, sin dai primi anni ’90, dell’associazione camorristica denominata “RAGIONE_SOCIALE Secondigliano”, promossa, diretta e organizzata da NOME COGNOME, NOME, NOME e NOME COGNOME.
Il proposto è, peraltro, stato definitivamente condannato, all’esito del giudizio abbreviato, alla pena di tre anni di reclusione, per essersi dedicato alla cura di interessi imprenditoriali riconducibili al clan, sino al 2004, operando nel settore del riciclaggio dei proventi illeciti del sodalizio criminoso.
Le risultanze processuali, in particolare, hanno dimostrato che NOME COGNOME è stato l’organizzatore della struttura imprenditoriale-commerciale del sodalizio, «una vera e propria holding criminale su rete mondiale», che si occupava della commercializzazione, anche all’estero, di capi di abbigliamento, di prodotti industriali, di macchine fotografiche e di beni di consumo con marchi contraffatti, condotte aggravate dall’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modifiche, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 (oggi art. 416-bis.1 cod. pen.).
La Corte di appello di Napoli ha, dunque, accertato che la condotta partecipativa di NOME COGNOME al sodalizio criminoso di tipo camorristico è risultata idonea a generare di per sé la produzione di ricchezza illecita.
4.2. Le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale” del suo ambito applicativo; ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262605 01).
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, inoltre, in tema di confisca di prevenzione, è legittimo disporre la misura ablatoria delle
utilità acquisite in un periodo successivo a quello per cui è stata asseverata la pericolosità sociale, purché il giudice dia atto della sussistenza di una pluralità di indici fattuali dimostrativi della derivazione delle acquisizioni patrimoniali dall provvista formatasi nel periodo di compimento della attività illecita, e tali indic devono essere tanto più rigorosi ed univoci quanto maggiore è il lasso di tempo decorso dalla cessazione della pericolosità (ex plurimis: Sez. 6, n. 36421 del 06/09/2021, COGNOME, Rv. 281990 – 01; Sez. 6, n. 5778 del 16/05/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278328 – 01; vedi anche Sez. 5, n. 49479 del 13/11/2019, COGNOME, Rv. 277909 – 01; Sez. 2, n. 14165 del 13/03/2018, Alma, Rv. 272377 01).
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di questi principi, in quanto, richiamandoli espressamente, ha rilevato che, nel caso di specie, la confisca non doveva attingere solo i beni acquistati da COGNOME nel periodo in cui era un associato a delinquere, in quanto il “raccordo cronologico” tra l’illecita accumulazione di danaro e il suo reimpiego non si è esaurito in questo arco temporale.
I giudici di appello hanno, infatti, ritenuto, con motivazione logica e puntuale, che gli acquisti immobiliari posti in essere da NOME, NOME e NOME siano stati finanziati dalla provvista illecita accumulata dal padre.
Nella valutazione non illogica della Corte di appello, infatti, in ragione delle documentate condizioni patrimoniali degli intestatari e del nucleo familiare nel periodo di riferimento, è radicalmente implausibile ogni ipotesi ricostruttiva diversa da quella secondo la quale gli immobili confiscati sono stati acquistati ricorrendo ai cospicui profitti accumulati da NOME COGNOME nel periodo dello svolgimento dell’ attività illecita.
4.3. Questi rilievi, dunque, hanno consentito alla Corte di appello di ritenere, con motivazione congrua e non apparente, superflua l’audizione delle persone indicate dalla difesa.
4.4. Le censure relative alla provenienza lecita delle provviste utilizzate per acquistare gli immobili sono, da ultimo, inammissibili, in quanto si risolvono nella sollecitazione a una rinnovata valutazione degli elementi probatori, non consentita in sede di legittimità.
Alla stregua di tali rilievi, i ricorsi devono essere dichiarato inammissibili.
I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che ciascun ricorrente versi la
somma, determinata invia equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2024.