Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25188 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25188 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato a Briatico 1’08/06/1960
avverso il decreto del 18/10/2024 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il decreto in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro (Sezione Misure di Prevenzione), decidendo il ricorso in appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto di confisca di beni a lui riferibili, adottato dal Tribunale di quella stes città, in parziale accoglimento del gravame, ha revocato la confisca del fabbricato ubicato in Briatico, località Solaro (bene C), mentre ha confermato la disposta misura di prevenzione reale sulle quote societarie e sul compendio aziendale della “RAGIONE_SOCIALE” (beni A e B) nonché sui terreni ubicati in Briatico, località Natalini (beni D ed E).
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di un solo motivo, che denuncia, sotto l’egida della violazione degli artt. 10, comma 3, e 24 d.lgs. n. 159 del 2011 e del vizio di motivazione apparente, la mancata considerazione da parte del giudice censurato di documentazione potenzialmente decisiva, segnatamente della sentenza del Tribunale di Vibo Valentia emessa nell’ambito del proc. pen. R.G.N.R. n. 4344/2010, che, pur avendo riconosciuto responsabile COGNOME del delitto di cui all’art. 512bis cod. pen., aveva, tuttavia, disposto la restituzione di quegli stessi beni in precedenza sequestratigli. In particolare, il giudice della prevenzione in grado di appello si sarebbe sottratto al dovere di compiutamente esaminare e di adeguatamente rispondere alle critiche specifiche articolate dall’appellante al decreto di confisca con riferimento: I.) a profilo della legittima provenienza delle somme utilizzate per l’acquisto dei beni confiscati; II.) all’utilizzo generico degli indici ISTAT per giustificare la riscont sproporzione patrimoniale tra le lecite entrate del proposto e del suo nucleo familiare e gli acquisiti effettuati nel periodo di manifestazione della sua pericolosità qualificata; II alle ragioni giustificatrici della confisca del terreno di cui alla particella 1173 (bene E).
Il Procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per iscritto in data 7 maggio 2025, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso, avendo la Corte di appello legittimamente motivato in modo autonomo rispetto al procedimento penale, come richiesto dalla normativa sulle misure di prevenzione, fondandosi, oltretutto, la confisca di prevenzione su presupposti diversi rispetto a quelli legittimanti la confisca penale.
In data 13 giugno 2025, l’Avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME ha depositato in Cancelleria tramite PEC memoria difensiva con la quale ha articolato motivi nuovi, denunciando la violazione degli artt. 10, comma 3, e 24 d. Igs. n. 159 del 2011 e dell’art. 125, comma 3, cod., proc. pen. nonché il difetto di motivazione e formulando le seguenti censure e precisazioni:
4.1. il decreto impugnato mancherebbe di adeguata motivazione in ordine all’esistenza della pericolosità sociale del proposto nel periodo 2007-2011; in ordine alla legittima provenienza delle risorse monetarie impiegate per l’acquisto dei beni confiscati; in ordine alla documentazione prodotta in appello, comprendente gli atti del processo penale “Costa Pulita”;
4.2. ad essere stati dissequestrati nell’ambito processo penale celebrato a carico di NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. non erano i beni rappresenta dalle quote e dal compendio aziendale della “RAGIONE_SOCIALE” (beni sub A e B), ma i beni sub C), D) ed E (immobile in cd. Solaro e terreni in INDIRIZZO COGNOME di Briatico);
4.3. ancorché nel giudizio di prevenzione la valutazione di pericolosità sociale del proposto fosse stata effettuata sulla base di quanto emerso nel processo penale, tuttavia, il dissequestro di beni in esso disposto non era stato apprezzato alla stregua di elemento favorevole al ricorrente;
4.4. era stata preternnessa la valutazione dell’autonoma e lecita capacità reddituale di NOME COGNOME, coniuge di NOME COGNOME, che aveva messo in campo le proprie risorse patrimoniali per l’acquisito del bene sub D);
4.5. il decreto impugnato esibirebbe una conclamata omissione motivazionale con riferimento al bene sub E), in riferimento al quale il gravame aveva denunciato un analogo difetto argomentativo inficiante il decreto del Tribunale;
4.6. quand’anche pacifico il principio di autonomia tra giudizio penale e giudizio di prevenzione, tuttavia, ove i presupposti e l’oggetto dell’uno e dell’altro coincidano, è obbligo del giudice della prevenzione di motivare in modo rafforzato sulla permanenza del vincolo d’indisponibilità nell’ipotesi in cui intenda discostarsi dagli esiti del giudi penale.
In data 21 giugno 2025 l’Avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME ha depositato in Cancelleria tramite PEC memoria di replica alle conclusioni rassegnate dal Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato
Va premesso che non può tenersi conto della memoria depositata nell’interesse di NOME COGNOME il 13 giugno 2025 (tramite PEC alle ore 18.06.56), contenente motivi nuovi, non essendo stato rispettato il termine di quindici giorni (da computarsi interi e liberi, con esclusione sia del dies a quo, sia del dies ad quem) prima dell’udienza odierna, posto dall’art. 611, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 30333 del 23/04/2021, Altea, Rv. 281726 – 01).
Giova rammentare, al riguardo, che l’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. prevede che «fino a quindici giorni prima dell’udienza possono essere presentati nella cancelleria del giudice della impugnazione motivi nuovi nel numero di copie necessarie per tutte le parti» e che l’art. 611, comma 1, ultimo periodo, cod. proc. pen., relativo ai procedimenti
trattati dalla Corte di cassazione in camera di consiglio – come nel caso di specie -, stabilisce che «Fino a quindici giorni prima dell’udienza tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie e, fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di replica».
Del precisato termine di quindici giorni è, dunque, stabilito soltanto il momento finale, di modo che esso soggiace alla disciplina stabilita dall’art. 172, comma 5, cod. proc. pen., secondo cui «Quando è stabilito soltanto il momento finale, le unità di tempo stabilite per il termine si computano intere e libere»: da ciò discende, secondo quanto più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l’esclusione sia del dies a quo, sia del dies ad quem dal computo del termine. L’unica eccezione a tale disciplina ricorre nel caso di festività della data di scadenza: in tale ipotesi, infatti, si applica l’art. 172, comm 3, cod. proc. pen., in forza del quale il termine che scade in giorno festivo è prorogato di diritto al giorno successivo non festivo» (così Sez. 1, n. 16356 del 20/03/2015, COGNOME, Rv. 263322- 01, e Sez. 1, n. 3559 del 23/05/1996, COGNOME, Rv. 205316-01).
Occorre, comunque, rilevare che alcune delle censure sviluppate con i motivi nuovi sono del tutto prive di connessione con quelle sviluppate con il ricorso principale: vale, al riguardo, il principio di diritto secondo cui «I “motivi nuovi” a sostegno dell’impugnazione, previsti tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., quanto nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare (art. 311, comma 4, cod. proc. pen.) ed il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, comma 1, cod. proc. pen.), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a), cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259 – 01): dunque, «I motivi nuovi di impugnazione devono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazione principale già presentata, essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari» (Sez. 6, n. 6075 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 262343 – 01).
2. Di tanto dato atto, la prima delle censure articolate con il ricorso principale è complessivamente infondata.
Ancorché il ricorrente si sia sottratto all’onere di illustrare specificamente nell’impugnativa il tipo di confisca in funzione della quale – nell’ambito dell’evocato procedimento penale ‘Costa Pulita’, nel quale NOME COGNOME era stato chiamato a rispondere del delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. – era stato disposto il sequestr preventivo degli stessi beni sottoposti a confisca di prevenzione, emerge, tuttavia, dalla documentazione allegata al ricorso che nel procedimento penale menzionato si era proceduto al sequestro dei detti beni ai sensi degli artt. 321, comma 2, cod. proc. pen. e 12-sexies I. n. 356 del 1992.
Tale rilievo è decisivo al fine di disattendere la doglianza di omessa considerazione da parte del giudice della prevenzione del provvedimento di dissequestro di quegli stessi beni, qui sottoposti a confisca di prevenzione, adottato dal Tribunale di Vibo Valentia con la sentenza emessa in esito al giudizio di primo grado celebrato a carico di NOME COGNOME: omissione, invero, giustificata non solo e non tanto dalla disomogeneità, strutturale e funzionale, della confisca penale rispetto alla confisca di prevenzione, ma soprattutto dalla mancata allegazione dell’attestazione di definitività del provvedimento di dissequestro adottato in sede penale.
La giurisprudenza di questa Corte si è, infatti, costantemente espressa affermando che «La definitività del provvedimento di revoca in sede penale di una misura patrimoniale ex art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992, conv. in I. n. 356 del 1992, costituisce ostacolo, in mancanza di fatti nuovi dedotti, ad un intervento ablativo di segno positivo nel procedimento di prevenzione avente ad oggetto i medesimi beni, solo se la decisione afferisca agli accertamenti in fatto relativi ai presupposti costitutivi comuni» (Sez. 6, n 51366 del 17/05/2018, Trovato, Rv. 275879 – 01; Sez. 1, n. 48173 del 23/10/2013, COGNOME, Rv. 257669 – 01; Sez. 1, n. 25846 del 04/05/2012, COGNOME e altri, Rv. 253080 – 01; Sez. 6, n. 47983 del 27/11/2012, COGNOME, Rv. 254278 – 01); presupposti comuni che si riferiscono esclusivamente «alla sproporzione della disponibilità dei beni rispetto al reddito o la titolarità del bene» in capo al soggetto inciso dalla confisca penale (Sez. 6, n. 23040 del 07/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270482 – 01; Sez. 6, n. 8720 del 21/01/2013, COGNOME e altro, Rv. 255352 – 01).
Le ulteriori censure attinenti al giudizio di sproporzione tra le entrate lecit risultanti in capo al proposto e al suo nucleo familiare e l’ammontare delle risorse patrimoniali impiegate per gli acquisti dei beni sub A), B), D) ed E), con specifico rifermento all’utilizzazione degli indici ISTAT nonché alla prova della legittima provenienza di tali risorse, non sono consentite in questa sede.
A fronte, infatti, della motivazione rassegnata nel provvedimento impugnato in ordine ai suddetti profili, la quale – avendo dato conto: I.) che gli accertamenti patrimoniali condotti sul proposto e sul suo nucleo familiare avevano evidenziato un saldo negativo costante nel bilancio familiare, anche considerando le entrate dichiarate (es. vendita di terreni per circa € 80.000 nel 2006-2007); II.) che l’uso degli indici ISTAT di spesa mediana (anziché media) erano quelli meglio rappresentativi dei consumi di famiglie a basso reddito, come quella del proposto; III.) che, anche considerando le vendite di terreni, non era stata dimostrata la provenienza lecita delle somme utilizzate per l’acquisto delle quote societarie e del compendio aziendale della “RAGIONE_SOCIALE” nonché di entrambi i terreni oggetto di confisca – non può, certo, qualificarsi apparente, ossia inficiata da «vizi così radicali da rendere l’apparato
argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere
comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice» (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008,
COGNOME Rv. 239692 – 01), le deduzioni difensive sviluppano censure non consentite in questa sede, alla stregua del principio di diritto secondo cui «Nel procedimento di
prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art.
3-ter, comma
2, legge 31 maggio 1965, n. 575; ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi
dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett.
e), cod. proc. pen., potendosi
esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del già
menzionato art. 4 legge n.1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente» (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01); «non potendo
– oltretutto – essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in
considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sezioni Unite Repaci, in motivazione), come accaduto nel caso di specie con riguardo alla giustificazione della provenienza delle somme utilizzate per l’acquisto di entrambi i terreni di C.da. COGNOME di Briatico.
S’impone, pertanto, il rigetto del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 27/06/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
toAA \AMLAAAARAMQ
CORTE DI CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE
r;