Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26962 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26962 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MARINE() il 28/04/1949 COGNOME nato a MARINE° il 01/12/1963 COGNOME nato a MARINE° il 30/09/1966 COGNOME nato a PALERMO il 04/03/1979 COGNOME nato a MARINEO il 24/07/1983 COGNOME NOME nato a PALERMO il 20/01/1978 COGNOME nato a MARINEO il 21/11/1981 COGNOME NOME nato a MARINE) il 10/12/1956
avverso il decreto del 06/05/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 26/05/2021, il Tribunale di Palermo, Sez. misure di prevenzione, respingeva la proposta di applicazione della misura di prevenzione personale della Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza con obbligo di soggiorno avanzata dal Procuratore della Repubblica di Palermo nei confronti di NOME COGNOME ritenendo non più attuale la pericolosità sociale del medesimo; nonché nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per insussistenza di pericolosità sociale. In parziale accoglimento della proposta di applicazione della misura patrimoniale, disponeva la confisca del 50% delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE, formalmente intestate a NOME COGNOME, nonché della totalità delle quote sociali e dell’intero compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE nonché di numerosi beni immobili (elencati alle pagg. 156-166 del decreto di primo grado), GLYPH ritenuti nella disponibilità sostanziale del proposto ancorché formalmente intestati alla moglie NOME COGNOME ai figli NOME COGNOME cl. 83, NOME COGNOME NOME COGNOME cl. 81.
Su impugnazione delle parti interessate (il proposto NOME COGNOME ed i terzi NOME COGNOME, NOME COGNOME cl. 83, NOME COGNOME NOME COGNOME cl. 81, NOME COGNOME cl. 66, NOME COGNOME, NOME COGNOME cl. 63), la Corte di appello di Palermo, con decreto del 06/05/2024 ha, in parziale riforma dell’originario decreto, revocato la confisca delle nude proprietà di alcuni immobili intestati a NOME COGNOME cl. 83, NOME COGNOME, NOME COGNOME cl. 81, specificati a pagg. 122, 123 dell’impugnato decreto; ha confermato nel resto il provvedimento di primo grado.
Avverso il provvedimento indicato hanno proposto ricorso per Cassazione il proposto NOME COGNOME nonché i terzi interessati NOME COGNOME, NOME COGNOME cl. 83, NOME COGNOME NOME COGNOME cl. 81, NOME COGNOME cl. 66, NOME COGNOME, NOME COGNOME cl. 63.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati proposti due ricorsi.
4.1. GLYPH Il ricorso proposto per il tramite dell’avv. NOME COGNOME è articolato in sei motivi.
4.1.1. Il primo motivo denuncia violazione di legge (apparenza di motivazione), in relazione all’affermato precedente giudizio di pericolosità sociale di NOME COGNOME asseritamente contenuto nel decreto del 2000.
Il provvedimento impugnato ha erroneamente ritenuto che il precedente decreto definitivo di prevenzione emesso dal Tribunale di Palermo il 13/01/2000 contenesse un
accertamento giudiziale della pregressa pericolosità sociale del proposto; in particolare, i Giudici della prevenzione di allora, dato atto che la proposta formulata nei confronti del COGNOME muoveva dalle risultanze di cui al proc. 3856/1995 RGNR DDA, nell’ambito del quale il proposto era stato attinto da misura cautelare in quanto ritenuto gravemente indiziato del delitto di cui agli artt. 110, 353 comma 2 cod. pen, aggravato ex art. 7 d. I. 152 del 1991, avevano ritenuto di non poter formulare un giudizio di attualità della pericolosità sociale.
L’impugnato provvedimento, traendo spunto da tali conclusioni, ha ritenuto che un giudizio sulla pericolosità sociale qualificata (sia pure non attuale) del proposto fosse stato in allora formulato, e che tale accertamento avesse trovato conferma nello sviluppo processuale, essendo stata emessa in fase di cognizione s sentenza di estinzione del sopracitato reato aggravato, per decorso dei termini massimi di V prescrizione.
Osserva tuttavia la Difesa come la sentenza del Tribunale di Palermo che aveva dichiarato la prescrizione del reato di turbativa d’asta aggravato contestato al COGNOME, non avesse affatto accertato la sussistenza del reato, essendosi limitata ad evidenziare l’assenza di elementi dai quali dedurre la non colpevolezza del medesimo, di talchè, contrariamente a quanto affermato nel provvedimento impugnato, nessun precedente giudicato di prevenzione è ravvisabile in quella decisione.
4.1.2. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 4 comma 1 lett. a) d. Igs. 159 del 2011 e dell’art. 6 CEDU, e mancanza di motivazione, poggiando il giudizio di pericolosità su elementi indiziari inutilizzabili, nonché violazione del ne bis in idem.
La proposta avanzata, nell’ambito del presente procedimento, nel 2015, poggia su elementi (dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia; intercettazioni effettuate nel proc. 8644/2006).’ inidonefi a fondare il giudizio di pericolosità sociale in capo al COGNOME; ed infatti le dichiarazioni dei collaboratori, risalenti ad anche 20 anni prima, erano già esistenti nel 2000 e nel 2008 (allorquando la Procura della Repubblica di Palermo ha archiviato un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione), mentre le dichiarazioni successive al 2008 sono mere ripetizioni di quanto già emerso prima di quella data; in ogni caso è mancata da parte della Corte l’analisi della “attendibilità oggettiva delle dichiarazioni rese”. Le intercettazioni erano invece già state valutate dal Tribunale, nel decreto di primo grado, M”contenuto /9 neutro o comunque assai poco significativo”, di talchè, essendosi formato il “giudicato” sul punto, esse non potevano essere prese in considerazione dalla Corte territoriale.
L’affermata pericolosità sociale del proposto riposa pertanto su indizi privi del requisito dì serietà e di precisione: si tratta di frammenti procedimentali tratti da svariati procedimenti penali, molti dei quali neanche indicati negli atti prodotti dalla pubblica accusa (con violazione quindi degli art. 24 Cost. e 6 CEDU), che non hanno originato processi a carico del Virga per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. o altri
delitti connessi, ad eccezione del già citato procedimento concluso con sentenza di proscioglimento per prescrizione e del procedimento penale iscritto nel 2006 a carico di NOME COGNOME per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa, turbata libertà degli incanti, intestazione fittizia di beni e corruzione, aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen., concluso con decreto di archiviazione emesso dal GIP di Palermo nel 2010.
Sono quindi inutilizzabili: le dichiarazioni di NOME COGNOME elencate alle pagg. 10, 11 del ricorso; le dichiarazioni di NOME COGNOME, elencate alle pagg. 11-13 del ricorso; le dichiarazioni di NOME COGNOME elencate alle pagg. 13, 14 del ricorso; le dichiarazioni di NOME COGNOME elencate alle pagg. 14, 15 del ricorso; le dichiarazioni di NOME COGNOME elencate alle pagg. 15, 16 del ricorso; le dichiarazioni di NOME COGNOME, elencate alle pagg. 16, 17 del ricorso.
In ogni caso, osserva la Difesa che: le dichiarazioni di NOME COGNOME non hanno trovato riscontro processuale e sono rimaste destituite di attendibilità; NOME COGNOME non offriva alcun concreto contributo, non avendo conosciuto i COGNOME e rendendo dichiarazioni estremamente generiche; le dichiarazioni di NOME COGNOME non avevano trovato conferma nelle indagini; le dichiarazioni di NOME COGNOME erano smentite da altri collaboratori; le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME erano contrastanti tra loro.
4.1.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge per avere affermato la pericolosità sociale sulla scorta di dichiarazioni che hanno riferito la soggezione del proposto al pagamento del pizzo e non la sua partecipazione alla spartizione illecita degli appalti pubblici.
La circostanza, riferita dai collaboratori e valorizzata in decreto, per cui il COGNOME sarebbe stato un imprenditore estorto, ritenuta sintomatica della compiacenza all’organizzazione mafiosa, non può in alcun modo essere ritenuta indizio di pericolosità sociale.
4.1.4. Con il quarto motivo deduce violazione di legge in relazione all’affermata irrilevanza dell’archiviazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione ad opera del PM nel 2008; violazione del diritto di difesa in violazione degli artt. 24 Cost e 6 CEDU.
La Corte ha erroneamente ritenuto che l’archiviazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione ad opera del pubblico ministero nel 2008 non avesse valenza giudizialmente ostativa alla procedibilità della proposta oggetto del presente procedimento. Nel 2008, tuttavia, esistevano già tutte le dichiarazioni dei collaboratori riversate nel presente procedimento; il principio affermato della Corte è erroneo in quanto espone chiunque ad una costante e infinita possibilità di rivalutazione del medesimo materiale indiziario, in violazione del diritto di difesa, di libera circolazione ed anche della libertà di iniziativa economica.
4.1.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge ed omessa motivazione in ordine alla contestazione della natura di impresa mafiosa della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE
Richiamata la giurisprudenza della Corte di legittimità in tema di impresa mafiosa, osserva la difesa come, nel caso in esame, non possa ritenersi che la RAGIONE_SOCIALE ne abbia le caratteristiche, dal momento che detta società non ha mai partecipato ad alcuna gara pubblica, non vi è alcun indizio di immissioni di capitali illeciti nella società né di imposizione di forniture in favore delle società dell’ipotizzato gruppo RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, nessuno degli imprescindibili caratteri di mafiosità costituiti o dalla provenienza illecita delle risorse finanziarie o dalla utilizzazione di metodi mafiosi nella gestione dell’impresa o nei rapporti anomali con concorrenti o dipendenti è stato attribuito alla RAGIONE_SOCIALE, che pertanto non può considerarsi impresa mafiosa. Richiamate, sul punto, le dichiarazioni rese da COGNOME all’udienza 13/03/2017, concludeva la difesa come la circostanza che la società abbia mantenuto un fatturato costante tra il 2000 ed il 2011 depone in senso contrario rispetto a quanto ritenuto dalla Corte palermitana.
4.1.6. Con il sesto motivo deduce violazione di legge per omessa motivazione in ordine alla individuazione del termine finale dell’affermata pericolosità sociale di NOME alla fine degli anni ’90.
Sul presupposto che il collaboratore COGNOME aveva dichiarato che COGNOME aveva pagato il pizzo fino alla fine degli anni ’90, i giudici della prevenzione hanno illegittimamente equiparato tale dato (vero) a quello (inesistente) di un sistema illecito di spartizione di appalti pubblici successivo all’arresto di COGNOME (avvenuto nel 1991), di cui né COGNOME né altri collaboratori hanno mai parlato.
4.1.7. Con il settimo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 6 commi 1 e 3 lett. a) e b) CEDU.
La scelta degli inquirenti di sequestrare e chiedere la confisca di beni accumulati dal proposto nel corso della sua vita solo nel 2015 ha violato la citata disposizione convenzionale perché ha impedito all’odierno proposto di recuperare buona parte della documentazione societaria e bancaria, anche in considerazione del fatto che gli obblighi di conservazione delle scritture contabili sono di 10 anni e che anche gli istituti di credito hanno l’obbligo di fornire la documentazione solo per 10 anni.
4.2. GLYPH Il ricorso avanzalo, sempre nell’interesse di NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME si articola in otto motivi.
4.2.1. Con il primo motivo censura violazione di legge e motivazione apparente in relazione alla ritenuta sussistenza della pericolosità sociale (violazione degli artt. 24
e 26 d.lgs. 159 del 2011, e 6 CEDU) e violazione del diritto di proprietà e di iniziativa economica (artt. 41, 42 Cost e 1 prot. Addiz. CEDU).
La motivazione sulla pericolosità sociale è soltanto apparente, in quanto la Corte si è limitata a riportare le dichiarazioni dei pentiti (confuse e contraddittorie) senza alcun vaglio critico, e attribuendo a tali dichiarazioni un significato diverso dal tenore letterale; erroneamente i Giudici della prevenzione harrl I enuto sussistente un accertamento di pericolosità sociale contenuto nel decreto di archiviazione del 2000 (del tutto privo di valore probatorio, in quanto emesso inaudita altera parte, e quindi in assenza di contraddittorio), omettendo di esaminare tuttavia le dichiarazioni del dr. COGNOME e quelle depositate in atti ex art 391 ter cod. proc. pen., e senza esaminare le denunce presentate da tutti i componenti della famiglia COGNOME In particolare, sia il dr. COGNOME alto funzionario della Polizia di Stato (le cui dichiarazioni dibattimentali sono riportate alle pagg. 21-25 del ricorso), sia altri membri delle forze dell’ordine e imprenditori, sentiti in sede di indagini difensive, hanno riferito in ordine a comportamenti delle famiglie COGNOME incompatibili con quelli di simpatizzanti delle organizzazioni mafiose; tali ‘dichiarazioni hanno poi trovato riscontro nelle numerose denunce di danneggiamento presentate nel corso degli anni dai COGNOME.
4.2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 24 e 26 d.lgs. 159 del 2011, e 6 CEDU, e la violazione del diritto di proprietà ed iniziativa economica (artt. 41, 42 Cost e 1 prot. Addiz. CEDU), in ordine alla mancanza di pericolosità sociale, e la motivazione apparente in proposito.
L’affermata pericolosità sociale di NOME COGNOME riposa su indizi privi del requisito di serietà e precisione: le dichiarazioni utilizzate dalla Corte di appello sono costituite da frammenti procedimentali estrapolati da imprecisati procedimenti penali che non hanno mai determinato l’avvio di processi penali a carico di NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. o altri delitti connessi, ad eccezione di un unico procedimento/ molto risalente nel temp9. concluso con sentenza di proscioglimento per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione, oltre al procedimento già citato, concluso col decreto di archiviazione del 2010. Sono state poi pretermesse tutte le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (rese, ed in parte riportate in ricorso, da COGNOME, COGNOME, COGNOME favorevoli al COGNOME, avendo la Corte unicamente valorizzato solo quelle ritenute di valore indiziario della pregressa pericolosità sociale del proposto.
Evidenziava poi il ricorrente come le dichiarazioni di COGNOME fossero generiche, e che la Corte d’appello aveva trascurato la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE non avesse mai partecipato ad alcun appalto pubblico.
4.2.3. Con il terzo motivo si censura violazione di legge, in relazione all’art. 24 d. Igs. 159 del 2011, in ordine alla perimetrazione cronologica della pericolosità sociale e la mancanza di effettiva motivazione in merito.
La Corte territoriale ha ritenuto che la pericolosità sociale del Virga aveva avuto inizio nel 1986, ma ha omesso di supportare tale affermazione con una valida motivazione. L’unico elemento richiamato dai Giudici è l’inizio, nel 1985, del c.d. “tavolo COGNOME“; appare comunque arbitrario, in assenza di motivazione, ancorare l’inizio della pericolosità sociale del Virga al 1986, anche considerato che in quell’anno i Virga presentarono due denunce di danneggiamento. Analogamente, quanto al termine finale, a fronte del venir meno del c.d. “tavolo Siino” nel 1991, immotivate appaiono le affermazioni della Corte che estendono la pericolosità sociale del proposto al 1995 (pag. 80 decr.), o addirittura alla fine degli anni ’90 (pag. 92 decr.).
4.2.4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art.24 d.lgs.159/2011 in relazione alla confisca di beni e impianti della società RAGIONE_SOCIALE acquisiti in epoca antecedente alla perimetrazione della pericolosità sociale.
Il patrimonio della RAGIONE_SOCIALE è stato acquisito prima dell’inizio della pericolosità sociale del Virga, come riconosciuto dagli stessi periti (che hanno retrodatato gli investimenti al 1980), e riportato nell’impugnato decreto (pag. 70).
È quindi illegittima la misura ablatoria disposta che colpisce beni acquistati dalla società in epoca antecedente rispetto all’inizio della pericolosità sociale del Virga; è inoltre contraria al principio di proporzionalità dal momento che la misura ha colpito l’intero patrimonio di una società di cui il proposto non era legale rappresentante ma solo socio, titolare di un terzo del capitale. Né la confisca può essere fondata sulla presunta natura di azienda mafiosa della società in oggetto, dal momento che anche in tale caso deve essere rispettato il principio di proporzionalità e di irretroattività della confisca a periodi anteriori alla pericolosità sociale.
4.2.5. Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 24 d.lgs. 159 del 2011 ed omessa motivazione in relazione agli incrementi patrimoniali negli anni ed alle spese familiari (parametri ISTAT).
Pur avendo la Corte d’appello, in motivazione, dato atto della fondatezza, sulla base delle conclusioni della perizia disposta, di una serie di rilievi sollevati in appello dal proposto, ha poi proceduto alla confisca di tutti i beni acquistati dal gruppo familiare nel periodo sospetto, senza alcuna verifica dell’ammontare della sperequazione e senza procedere ad una disamina anno per anno.
La Corte ha poi pretermesso l’esame di specifiche doglianze sollevate in appello con riferimento all’utilizzo delle tabelle Istat e precisamente relativamente alle spese per autoveicoli (erroneamente duplicate dai periti) e per cibo (la possidenza di terreni agricoli, e la conseguente autoproduzione di beni alimentari, avrebbe consentito un abbattimento dei consumi del nucleo famigliare).
4.2.6. GLYPH Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art. 24 d.lgs. 159 del 2011 in merito al fabbricato di INDIRIZZO
La motivazione del decreto di confisca dell’immobile di INDIRIZZO è apparente e la Corte ha attribuito a NOME COGNOME spese che invece erano state sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE.
L’immobile era stato realizzato alla fine degli anni ’70 dal padre del proposto, NOME COGNOME cl. 1911, che era stato condannato per tale violazione edilizia; successivamente i costi dell’immobile erano stati sostenuti dalla RAGIONE_SOCIALE, come comprovato dalla documentazione reperita dal proposto (tra cui le spese per l’allaccio alle utenze, e le visure catastali che indicavano nella RAGIONE_SOCIALE la prima intestataria degli immobili).
4.2.7. Con settimo motivo si denuncia violazione degli artt. 24 d.lgs. 159 del 2011 e 416 bis cod. pen. in ordine all’attribuzione della natura di impresa mafiosa alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nonché la mera apparenza della motivazione e l’omesso esame dei rilievi espressi dagli appellanti in merito.
La Corte ha reso sul punto una motivazione apparente, omettendo di confrontarsi con le deduzioni difensive rese in atto di appello, e con le emergenze derivanti dalle dichiarazioni del dr. COGNOME e degli altri operanti, tutte a discarico. Peraltro, NOME era solo un socio delle citate società unitamente ai fratelli, che svolgevano ruoli attivi in esame e che non sono mai risultati contigui alla criminalità organizzata.
Quanto all’incremento del fatturato della RAGIONE_SOCIALE (dal 1984 al 1988) – che non operava nel settore degli appalti pubblici-, in appello era stato chiarito che esso era stato pari all’inflazione di quegli anni.
La Corte ha inoltre effettuato un’errata applicazione del concetto di “impresa mafiosa”; richiamata la giurisprudenza di legittimità in tema, osservava il ricorrente come il complesso aziendale della RAGIONE_SOCIALE fosse antecedente all’inizio della pericolosità sociale del proposto e che quest’ultimo ne fosse titolare solo per un terzo; dal momento che non era possibile discernere l’apporto di componenti lecite da quello imputabile ad illecite risorse, la società non poteva essere confiscata. Inoltre: la società non ha mai partecipato ad alcuna, gara pubblica; non vi è alcun indizio di immissioni di capitali illeciti nella società; non voi è alcun indizio di imposizione di forniture in favore delle società dell’ipotizzato gruppo RAGIONE_SOCIALE.
4.2.8. Con l’ottavo motivo si lamenta violazione degli artt. 2 d. Igs. 159 del 2011, 3, 125, 178 co. 1 lett. a), 533 e 654 cod. proc. pen., 419 e 533 cod. pen., 11 Cost., 6 CEDU e 1 prot. Add. CEDU, in relazione al rigetto dell’eccezione di nullità del decreto di sequestro e il carattere meramente apparente della motivazione in merito.
La Corte ha errato nel respingere l’eccezione di nullità del decreto di sequestro di prevenzione, richiamando giurisprudenza sul falso ideologico, non perspicua, dal momento che non è revocabile in dubbio la sussistenza di un interesse del ricorrente all’accertamento incidentale, strumentale alla dichiarazione di nullità assoluta del
decreto di sequestro; l’adozione del sequestro è frutto del patto corruttivo tra la dott.ssa NOME COGNOME e il dott. NOME COGNOME al fine del conferimento dei successivi incarichi, ed il provvedimento, apparentemente collegiale, è stato redatto da personale della DIA e poi fatto proprio dalla dott.ssa COGNOME senza alcuna partecipazione degli altri componenti del Collegio, come comprovato dalle intercettazioni riportate in ricorso (pagg. 58-68).
La dott.ssa COGNOME peraltro è stata condannata in relazione a tali fatti, come da sentenza allegata.
GLYPH Il ricorso proposto dall’avv. COGNOME nell’interesse dei terzi interessati COGNOME NOME cl. 83, COGNOME NOME COGNOME NOME cl. 81 e COGNOME NOME si articola in nove motivi.
5.1. GLYPH Con il primo motivo si lamenta violazione degli artt. 2 d. Igs. 159 del 2011, 3, 125, 178 co. 1 lett. a), 533 e 654 cod. proc. pen., 419 e 533 cod. pen., 11 Cost., 6 CEDU e 1 prot. Add. CEDU, in relazione al rigetto dell’eccezione di nullità del decreto di sequestro -e il carattere meramente apparente della motivazione in merito.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui all’ottavo motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra.
5.2. Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 24 e 26 d.lgs. 159 del 2011, 41, 42 Cost, 6 CEDU e 1 prot. Addiz. CEDU, e violazione del diritto di difesa diritto di proprietà e di proprietà e di iniziativa economica in relazione alla legittimazione dei terzi a contestare la sussistenza dei presupposti soggettivi della confisca dei beni in sequestro.
La Corte ha omesso di esaminare le doglianze mosse dai terzi intervenienti in tema di presupposti della confisca, mancanza di pericolosità sociale, sperequazione, errata perimetrazione temporale della pericolosità sociale e in ordine alla qualificazione di imprese mafiose delle imprese oggetto di confisca; i Giudici hanno ritenuto che i terzi non fossero legittimati a sollevare doglianze in ordine alle suesposte tematiche, richiamando un orientamento giurisprudenziale non univoco, ed anzi contrastato da pronunce della Corte di legittimità di diverso tenore.
5.3. GLYPH Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 24 e 26 d.lgs. 159 del 2011, e 6 CEDU, e la violazione del diritto di proprietà ed iniziativa economica (artt. 41, 42 Cost e 1 prot. Addiz. CEDU), in ordine alla mancanza di pericolosità sociale del proposto, e la motivazione apparente in proposito.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui al primo motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra.
5.4. Con il quarto motivo si censura violazione di legge, in relazione all’art. 24 d. Igs. 159 del 2011, in ordine alla perimetrazione cronologica della pericolosità sociale di NOME COGNOME e la mancanza di effettiva motivazione in merito.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui al terzo motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra.
5.5. Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 24 d.Igs. 159 del 2011 in relazione alla confisca di beni e impianti della società RAGIONE_SOCIALE acquisiti in epoca antecedente alla perimetrazione cronologica della pericolosità sociale di NOME COGNOME.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui al quarto motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra.
5.6. Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 24 d.lgs. 159 del 2011 ed omessa motivazione in relazione agli incrementi patrimoniali negli anni ed alle spese familiari (parametri ISTAT).
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui al quinto motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra.
)> 5.7. Con il settimo motivoAi censura la violazione della preclusione derivante dal c.d. giudicato interno e del divieto di reformatio in pejus riguardo alla valorizzazione di intercettazioni ritenute non significative dal Tribunale in merito alle intestazioni fittizie attribuite ai fratelli NOME e NOME COGNOME.
Il Tribunale di Palermo, nel provvedimento emesso in primo grado nella presente procedura, aveva ritenuto (pag. 93) che le intercettazioni riportate nella proposta, disposte nell’ambito del proc. 8644/2006, avessero “contenuto neutro o comunque assai poco significativo”, tale da poterne trarre “elementi a sostegno della prospettazione accusatoria”. Tale statuizione, che ha ritenuto irrilevanti le intercettazioni ai fini dell’intestazione fittizia dei beni, non è stata impugnata dal pubblico ministero, ed il relativo punto non è stato devoluto alla cognizione della Corte d’appello.
Il provvedimento impugnato ha tuttavia illegittimamente riesaminato il punto della decisione, riformandolo integralmente, in violazione del divieto di reformatio in peius previsto dall’art. 597 comma 3 cod. proc. pen., operante anche nel giudizio di prevenzione.
La Corte ha inoltre erroneamente richiamato la presunzione di cui all’art. 26 d. Igs. 159 del 2011, che prevede una presunzione di fittizietà dei trasferimenti intestazioni effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione che, nel caso di specie, è datata 2015, mentre gli atti di donazione delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE da NOME COGNOME ai figli sono del 2006.
, 5.8. GLYPH Con l’ottavo motivo si denuncia violazione degli artt. 24 d.lgs. 159 del 2011 e 416 bis cod. pen. in ordine all’attribuzione della natura di impresa mafiosa alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nonché la mera apparenza della motivazione e l’omesso esame dei rilievi espressi dagli appellanti in merito.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre le analoghe censure di cui al settimo motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME e di cui al quinto motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra.
5.9. GLYPH Con il nono motivo si denuncia violazione degli artt. artt. 24 e 26 d.lgs. 159 del 2011, 41, 42 Cost. e 1 prot. Addiz. CEDU in ordine alla confisca delle quote della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale ha ritenuto che l’intestazione delle quote della RAGIONE_SOCIALE in capo ai figli di NOME COGNOME fosse fittizia richiamando a sostegno di tale conclusione le trascrizioni delle intercettazioni ambientali, che tuttavia, come articolato nel settimo motivo di ricorso, sono inutilizzabili per provare la presunta intestazione fittizia.
In ogni caso, il tenore delle intercettazioni, risalenti al 2007 ed al 2009 (riportate in ricorso), è vago e fumoso, né successivamente al 2009 vi sono ulteriori emergenze tali da supportare la conclusione cui è pervenuta la Corte. È irrilevante il fatto che i figli non avessero capacità reddittuale, dal momento che è pacifico che le quote furono donate e, come già sopra argomentato, l’art. 26 d.lgs. 159 del 2011 limita la presunzione di intestazione fittizia ai trasferimenti e intestazioni effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione, mentre, nel caso in esame, siamo oltre tali termini.
Inoltre, NOME COGNOME è sempre stata proprietaria delle quote sociali dell’RAGIONE_SOCIALE Roccabianca, e la Corte d’appello nulla argomenta in ordine all’asserita intestazione fittizia delle quote di tale società.
Per quanto riguarda la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE Ciro, NOME COGNOME negli anni 2004 e 2006, ha trasferito le sue quote ai figli NOME cl. 83, NOME, NOME cl. 81, che da anni collaboravano nella gestione delle aziende. A seguito di tali donazioni il proposto non era proprietario di quote nella società oggetto di ‘r) confisca, né esercitava in essa alcun potere decisorio nè gestorio. I nuovi proprietari hanno altresì modificato l’oggetto sociale ed hanno iniziato attività del tutto nuove, come il trattamento dei rifiuti; la Acri e le altre società sono state costituite e gestite dai tre fratelli grazie alla loro pregressa esperienza lavorativa.
L’effettiva titolarità dei beni in capo agli odierni ricorrenti è stata confermata nella richiesta di archiviazione formulata il 19 maggio 2010 dalla Procura della Repubblica nell’ambito del procedimento 8644/06 per una presunta intestazione fittizia, seguito da provvedimento di archiviazione in data 21 maggio 2010.
In quel caso, la Procura della Repubblica, sulla base delle medesime intercettazioni oggi poste a base della proposta di applicazione di misura di prevenzione, aveva ritenuto non ipotizzabile il citato reato.
In definitiva si è realizzato un effettivo passaggio generazionale tra padre e figli e la gestione delle società da parte di questi ultimi è stata autonoma discostandosi dalla precedente gestione.
GLYPH Il ricorso proposto dall’avv. NOME Benedetto COGNOME nell’interesse dei terzi interessati COGNOME Gaetano cl. 63, COGNOME NOME cl. 66 e COGNOME NOME si articola in nove motivi.
6.1. GLYPH Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 24 e 26 d.lgs.159 del 2011, 41, 42 Cost. e 1 prot. Addiz. CEDU in relazione alla confisca delle quote della società RAGIONE_SOCIALE di pertinenza dei terzi ricorrenti, con violazione del diritto di proprietà e di iniziativa economica tutelati a livello costituzionale e convenzionale, nonché mancanza di motivazione.
I ricorrenti hanno assolto l’onere di allegazione loro incombente al fine di negare la ritenuta interposizione fittizia, dimostrando di avere lavorato nella RAGIONE_SOCIALE per svariati anni, fino ad assumerne la proprietà e gestione con avvio di attività imprenditoriali nuove e del tutto autonome.
Il ricorso ripercorre, sul punto, le argomentazioni che erano state svolte in appello (testualmente riportate alle pagg. 3-6); il decreto impugnato si è limitato a negare rilevanza a quanto dedotto, sulla scorta di argomenti contrattanti con le disposizioni di legge, con gli approdi della giurisprudenza di legittimità, e con il contenuto del decreto di archiviazione del GIP di Palermo del 21/05/2010, reso nel proc. 8644/2006, che aveva ritenuto infondato l’ipotizzato delitto di cui all’art. 12 quinquies d.l. 306 del 1992, sia sotto il profilo dell’elemento materiale che di quello soggettivo.
Ancora, argomenta la difesa come le quote della RAGIONE_SOCIALE furono donate ai terzi nel 2006 e, successivamente a tale data, la società ha modificato il suo oggetto sociale per avviare l’attività di trattamento rifiuti, ramo d’azienda (divenuto il core business della società) che il proposto e i suoi fratelli non avevano mai coltivato.
La Corte ha ritenuto che, nonostante la pacifica titolarità delle quote in capo ai terzi, dalle medesime intercettazioni che per il GIP di Palermo erano irrilevanti, sarebbe emersa la partecipazione di NOME COGNOME nella gestione di fatto delle aziende famigliari; tuttavia la confisca è possibile solo in caso di titolarità delle quote e non, invece, in caso di gestione di fatto delle aziende: dall’asserita partecipazione nella gestione di fatto delle aziende famigliari non si può far discendere la fittizietà dell’intestazione delle quote.
Inoltre, il provvedimento impugnato ha trattato al medesimo modo la posizione dei ricorrenti, figli del fratello del proposto, NOME COGNOME, alla stregua dei figli di NOME COGNOME sul presupposto che non fosse emersa alcuna traccia sintomatica di un autonomo dominio da loro esercitato sulle fondamentali dinamiche aziendali. È tuttavia errato l’accostamento tra i detti cugini, atteso che la quota donata ai propri figli da
NOME COGNOME non può essere ritenuta viziata dall’asserita pericolosità sociale del proposto; essi lavoravano da svariati anni nella società; NOME COGNOME non è mai stato ritenuto socialmente pericoloso, né a suo carico (e dei suoi figli) sono mai stati effettuati accertamenti reddituali e patrimoniali.
La confisca di tutte le quote della RAGIONE_SOCIALE non rispetta il principio di proporzionalità tra misura e fine proposto atteso che: non ha tenuto conto delle limitazioni all’ablazione derivanti dalla perimetrazione della pericolosità sociale; ha colpito un’attività economica indipendentemente da ogni indizio di agevolazione della stessa nell’affermazione sul mercato ad opera di soggetti vicini ad ambienti della criminalità organizzata; ha coinvolto tutte le quote senza distinguere tra apporti leciti ed eventuali apporti illeciti.
6.2. GLYPH Con il secondo motivo censura la violazione del GLYPH giudicato interno in relazione alla rilevanza delle intercettazioni disposte nell’ambito del proc. 8644/2006.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui al settimo motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse dei terzi interessati COGNOME NOME cl. 83, COGNOME NOMECOGNOME NOME cl. 81 e COGNOME NOMECOGNOME di cui si è detto sopra.
6.3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 24 d.lgs. 159 del 2011 in relazione alla confisca di beni e impianti della società RAGIONE_SOCIALE acquisiti in epoca antecedente alla perimetrazione cronologica della pericolosità sociale di NOME COGNOME ed omessa motivazione Sul punto.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui al quarto motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra.
6.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 24 d.lgs. 159 del 2011 e 416 bis cod. pen. in ordine all’attribuzione della natura di impresa mafiosa alla società RAGIONE_SOCIALE nonché la mera apparenza della motivazione e l’omesso esame dei rilievi espressi dagli appellanti in merito.
I ricorrenti argomentano in ordine alla loro legittimazione a dedurre sul punto, avendo già dimostrato che la loro titolarità sul bene confiscato (quote della RAGIONE_SOCIALE) è effettiva e non meramente fittizia: anche secondo l’orientamento maggioritario di legittimità le censure mosse, volte a contestare i presupposti per l’applicazione e della misura ablatoria, sono da ritenersi ammissibili.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui al quinto motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra.
6.5. Con il quinto motivo si contesta l’omesso esame dei motivi di appello in merito alla pericolosità sociale del proposto nel periodo dalla metà degli anni ’80 alla fine degli anni ’90.
La Corte ha omesso di esaminare le doglianze mosse dai terzi intervenienti in tema di presupposti personali della confisca, sul presupposto che i terzi non fossero legittimati a sollevare doglianze in ordine alle suesposte tematiche.
La Corte ha tuttavia travisato il contenuto del principio giurisprudenziale in materia, atteso che, nel caso di · specie, i terzi avevano contestato anche la titolarità (in capo al proposto) dei beni oggetto di confisca, di talché erano certamente legittimati a svolgere rilievi in ordine alla pericolosità sociale del proposto, che costituisce l’antecedente logico della confisca.
Il provvedimento è quindi viziato da violazione di legge per omesso esame dei punti sollevati in appello, come riportati in ricorso (pagg. 34, 37).
6.6. GLYPH Con il sesto motivo denuncia violazione di legge per avere fondato il giudizio di pericolosità su elementi indiziari inutilizzabili.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui al secondo motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra. Si aggiunge che, con riferimento alle dichiarazioni di NOME COGNOME esse sono state contestate e smentite con memoria difensiva (che è stata riallegata al ricorso), su cui è mancata ogni motivazione.
6.7. GLYPH Con il settimo motivo deduce violazione di legge in relazione all’affermata irrilevanza dell’archiviazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione ad opera del PM nel 2008; violazione del diritto di difesa in violazione degli artt. 24 Cost e 6 CEDU.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui al quarto motivo avanzato da’ll’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra.
6.8. GLYPH Con l’ottavo motivo deduce violazione di legge per omessa motivazione in ordine alla individuazione del termine finale dell’affermata pericolosità sociale di NOME alla fine degli anni ’90.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui al sesto motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra.
6.9. GLYPH Con il nono motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 6 commi 1 e 3 lett. a) e b) CEDU.
Lo sviluppo del motivo di ricorso ripercorre l’analoga censura di cui al settimo motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME di cui si è detto sopra.
Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH Devono essere prioritariamente analizzati l’ottavo motivo di ricorso avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME ed il corrispondente primo motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse dei terzi interessati COGNOME NOME cl. 83, COGNOME NOMECOGNOME NOME cl. 81 e COGNOME NOMECOGNOME con i quali si denuncia la nullità del decreto di sequestro di prevenzione, in quanto frutto del patto corruttivo tra la dott.ssa NOME COGNOME ed il dott. NOME COGNOME.
Il comune motivo è inammissibile per carenza di interesse da parte dei ricorrenti. Costituisce approdo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità il principio per cui è inammissibile, per sopravvenuta carenza d’interesse, d ricorso avverso il provvedimento di sequestro di beni quando, nelle more, sia intervenuto il provvedimento di confisca (Sez. 1, n. 3779 del 07/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258420 – 01).
Ed infatti, attesa l’assoluta indipendenza, nel procedimento di prevenzione, del provvedimento (cautelare) di sequestro dei beni del proposto da quello (definitivo) di confisca dei medesimi, gli eventuali vizi di cui il primo di essi sia affetto non incidono sulla legittimità del secondo. Ne consegue che diviene inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso che sia stato proposto avverso il provvedimento di sequestro quando, nelle more, sia intervenuto quello di confisca (Sez. 1, n. 3999 del 28/09/1994, COGNOME, Rv. 199462 – 01).
Va aggiunto, come evidenziato dal P.G. nella sua requisitoria scritta, che analoga eccezione risulta essere già stata respinta dalla Corte di legittimità con sentenza sez. 6, n. 39229 del 19/09/2024; con tale pronuncia questa Corte (giudicando un caso in cui il provvedimento di sequestro era stato adottato mediante concordata apposizione, da parte del giudice estensore, della sigla apocrifa della Presidente NOME COGNOME in calce al decreto, in relazione al quale il medesimo era stato condannato per il reato di cui agli artt. 110, 476, cod. pen.), muovendo dal principio per cui «In tema di misure di prevenzione patrimoniali, il sequestro non costituisce condizione per l’applicazione della confisca, sicché la circostanza che il primo perda efficacia per inosservanza delle sequenze temporali previste dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non comporta l’estinzione del procedimento, né impedisce che possa essere disposta la misura ablatoria definitiva della confisca» (Sez. 5, n. 20138 del 21/02/2024, COGNOME, Rv. 286533), ha affermato il condivisibile principio, cui va data continuità, per cui l’eventuale nullità assoluta del decreto di sequestro di prevenzione (perché affetto da nullità assoluta per violazione degli artt. 178, comma 1, letti e) e 179, comma 1, cod. proc. pen. in quanto risultato falso materiale, ai sensi dell’art. 476, comma 2, cod. pen., e quindi affetto ab origine da falsità) non riverbera effetti sul decreto di confisca di prevenzione.
Prima di passare ad esaminare, nel merito, i motivi di ricorso proposti nei confronti di NOME COGNOME e dei terzi interessati, giova richiamare le coordinate ermeneutiche entro le quali deve essere condotta l’analisi da parte di questa Corte.
L’assetto normativo in tema di sindacabilità della motivazione dei provvedimenti emessi in materia di misure di prevenzione – personali e patrimoniali – è rimasto ancorato al profilo della «assenza» di motivazione, posto che il Giudice delle leggi ha dichiarato la infondatezza (sentenza numero 106 del 15 aprile 2015) della questione di legittimità costituzionale che era stata sollevata – sul tema – dalla V Sezione Penale di questa Corte di legittimità in data 22 luglio 2014. Resta fermo, pertanto, il criterio regolatore secondo cui il ricorso per cassazione in tema di decisioni emesse in sede di prevenzione non ricomprende – in modo specifico – il vizio di motivazione (nel senso della illogicità manifesta e della contraddittorietà), ma la sola violazione di legge (art. 4 comma 11 legge n. 1423 del 1956/ art. 10 comma 3 d.Lgs. n. 159 del 2011). Da ciò, per costante orientamento di questa Corte, deriva che è sindacabile la sola «mancanza» del percorso giustificativo della decisione, nel senso di redazione di un testo del tutto privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità (motivazione apparente) o di un testo del tutto inidoneo a far comprendere l’itinerario logico seguito dal giudice (tra le altre, Sez. I, 26.2.2009, Rv. 242887).
Nel procedimento di prevenzione, dunque, il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. è estraneo al procedimento di legittimità, a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge. (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, P.G. c/ Noviello NOME, Rv. 279435).
3. Ricorsi nell’interesse di NOME COGNOME
3.1. GLYPH I primi quattro motivi avanzati nell’interesse del proposto dall’avv. COGNOME ed i primi due dell’avv. COGNOME possono essere trattati congiuntamente, in quanto tutti attinenti al profilo della c.d. pericolosità storica, riconosciuta sussistente in capo a NOME COGNOME essi aggrediscono il provvedimento sotto diversi profili, parcellizzando, in diversi motivi di ricorso, il discorso giustificativo posto dai giudici della prevenzione a fondamento della ritenuta pericolosità del COGNOME (ai sensi dell’art. 4 comma 1, lett. a) d.lgs. 159 del 2011).
3.2. GLYPH Giova premettere, in punto di fatto, che:
nel 2000 era stata avanzata una proposta di misura di prevenzione personale nei confronti di NOME COGNOME fondata su elementi indizianti inerenti alla commissione del reato di cui all’art. 353, aggravato ex art. 416 bis.1 cod. pen., commesso nel 1993 (per cui il proposto era stato attinto da misura cautelare), che era stata respinta dal
Tribunale di Palermo per mancanza di attualità. Il processo penale inerente l’imputazione di turbativa d’asta aggravata si concludeva con sentenza che dichiarava i il reato estinto per intervenuta prescrizione /
nel 2008 il pubblico ministero di Palermo aveva disposte l’archiviazione di un altro procedimento di prevenzione iscritto a carico di NOME COGNOME (ritenendo insufficienti gli elementi emersi);
nel 2010, il Giudice per le indagini preliminari·presso il Tribunale di Palermo archiviava un procedimento iscritto nel 2006 a carico di NOME COGNOME per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa, turbata libertà degli incanti, intestazione fittizia di beni e corruzione, questi ultimi aggravati ex art. 416-6/5.1 cod. pen., le cui fonti di prova erano costituite da intercettazioni e dichiarazioni di diversi collaboranti.
3.3. Ciò premesso, la Corte d’appello, in seno all’impugnato provvedimento, ha ritenuto che il provvedimento del Tribunale di Palermo del 2000, con il quale si era respinta la proposta di misura di prevenzione personale per inattualità della pericolosità sociale, contenesse un accertamento giudiziale sulla sussistenza della pericolosità sòciale storica del Virga..
3.4. GLYPH La difesa del proposto ha censurato detta deduzione, osservando come la proposta di misura di prevenzione in allora avanzata si fondasse sulle risultanze di cui al procedimento n. 3856/1995 RGNR DDA, nell’ambito del quale il proposto era stato attinto da misura cautelare in quanto ritenuto gravemente indiziato del delitto di cui agli artt. 110, 353 co. 2 cod. pen, aggravato ex art. 7 d. I. 152 del 1991; detto procedimento si era tuttavia concluso con sentenza di estinzione del reato per decorso dei termini prescrizionali, senza alcun previo accertamento della sussistenza del reato.
Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte palermitana ha infatti fornito un’esauriente motivazione (pagg. 27-29), affatto apparente, con riferimenti testuali al decreto del Tribunale di Palermo, ed ha evidenziato come la sussistenza delle pericolosità sociale del Virga fosse stata anche confermata dall’esito del procedimento penale per il reato di cui all’art. 353 cod. pen., dal momento che la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, implicava una previa necessaria verifica in ordine alla sussistenza del fatto reato.
L’argomento difensivo difetta peraltro anche di decisività, dal momento che l’analisi condotta nel presente procedimento dai giudici della prevenzione u non si è limitata ad assumere che la pericolosità sociale qualificata del COGNOME fosse stata già accertata, né tantomeno ha fondato il suo giudizio sull’accertamento del 2000, avendo invero analizzato le ulteriori risultanze, derivanti dal procedimento iscritto nel 2006 a carico di NOME COGNOME per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa, turbata libertà degli incanti, intestazione fittizia di beni e corruzione, questi ultimi aggravati ex art. 416-6/5.1 cod. pen., nonché alla luce dell’istruttoria (con audizione di alcuni
collaboranti) direttamente svolta dai Giudici del Tribunale di Palermo nell’ambito del procedimento di primo grado.
3.5. GLYPH Del pari manifestamente infondata è l’eccezione di ne bis in idem formulata nell’interesse del proposto. In sintesi, la Difesa assume che la valutazione da parte dei Giudici della prevenzione, investiti dalla proposta formulata nel 1015, sarebbe stata preclusa dalla circostanza che detta proposta si fondava sui medesimi elementi posti a fondamento delle precedenti proposte di prevenzione formulate nel 2000 e nel 2008, concluse la prima con un rigetto, la seconda con un decreto di archiviazione del medesimo pubblico ministero.
La Corte territoriale ha innanzitutto evidenziato come del tutto diversa fosse la piattaforma probatoria posta a fondamento del giudizio di prevenzione avanzato nel 2000, che si fondava esclusivamente sulle dichiarazioni del collaborante NOME COGNOME
Privo di valenza esterna doveva poi ritenersi il decreto di archiviazione del P.M. con riferimento alla proposta di prevenzione del 2008, non essendoci stata alcuna decisione da parte dei Giudici della prevenzione (ma solo un’archiviazione dello stesso organo dell’accusa), e comunque considerato che, e l’argomento è di per sé decisivo, nell’ambito del presente procedimento vi erano elementi di novità, rappresentati dall’audizionenell’annbito del procedimento di primo gradodi alcuni collaboranti.
Va infatti ricordato come, in materia di prevenzione, la preclusione derivante dal precedente giudicato kopera rebus sic stantibus.
È stato a tale proposito condivisibilmente affermato che il principio del “ne bis in idem” è applicabile anche nel procedimento di prevenzione, ma la preclusione del giudicato opera “rebus sic stantibus” e, pertanto, non impedisce la rivalutazione della pericolosità ai fini dell’applicazione della misura, precedentemente rigettata, a condizione che si acquisiscano nuovi elementi di fatto, che possono consistere in dati di conoscenza nuovi e sopravvenuti ovvero in risultanze preesistenti al giudicato, ma mai apprezzate nei provvedimenti già emessi (in applicazione del principio la Corte ha escluso che possa considerarsi elemento nuovo un elaborato peritale contenente una diversa valutazione tecnico-scientifica di dati precedentemente acquisiti e valutati). (Sez. 1, n. 47233 del 15/07/2016, Di, Rv. 268175 – 01; ancora, più recentemente si è ulteriormente precisato che in tema di divieto di “bis in idem” nel procedimento di prevenzione, dalla statuizione giudiziale definitiva resa in procedimenti diversi può derivare una forma di preclusione processuale operante a condizione che sussista identità del compendio probatorio e del “thema decidendum” con riguardo sia all’oggetto che ai presupposti di esso (fattispecie relativa a dedotta liceità di depositi bancari, già riconosciuta in procedimenti anche non penali, in cui la Corte ha affermato che il predicato di liceità di un determinato bene è inscindibilmente collegato alla disciplina normativa relativa all’oggetto di causa, sicché non è preclusa
una successiva verifica di tale condizione in relazione ad altro istituto giuridico, fondato su requisiti normativi diversi). (Sez. 6, n. 7072 del 14/07/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 283462 – 02).
La Corte palermitane:L ha, del pari, del tutto correttamente escluso che fosse -> ipotizzabile la violazione del ne bis in idem rispetto al provvedimento di archiviazione del 2010.
È infatti inapplicabile il principio del divieto di “bis in idem” tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, poiché il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una “condizione” personale di pericolosità, desumibile da più fatti anche non costituenti illecito, mentre il presupposto per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale (così Sez. 5, n. 6090 del 22/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287529 – 01).
Sul punto, la Corte palermitana ha inoltre ricordato il costante insegnamento di questa Corte di legittimità in tema di autonomia tra il giudizio di cognizione e quello di prevenzione, secondo il quale,,ilgiudice della prevenzione è titolare di un autonomo potere di valutazione degli elementi tratti dai procedimenti penali, che possono essere utilizzati nei confronti dei soggetti indicati nella lett. a) dell’art. 4 del d.lgs. n. 159 2011, persino qualora non siano stati ritenuti sufficienti ad integrare la prova della partecipazione ad associazione mafiosa, in ragione della diversità tra il concetto di appartenenza (evocato dalla disposizione citata) e quello di partecipazione, necessaria ai fini di integrare il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. (Sez. 5 n. 1831 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265862).
3.6. GLYPH Quanto alla circostanza che si sarebbe realizzato un “giudicato” rispetto alla valutazione effettuata dal Tribunale di Palermo, in seno al decreto di primo grado, in ordine alle intercettazioni disposte nell’ambito del procedimento penale del 2006, giudicate sostanzialmente irrilevanti dal Tribunale di Palermo (testualmente “di carattere neutro o comunque assai poco significativo”), ed invece valorizzate dalla Corte d’appello, la doglianza difensiva pare del tutto infondata.
Si tratta di una diversa valutazione operata dalla Corte, rispetto alla quale non può certo invocarsi una preclusione del tutto inesistente.
3.7. GLYPH Con riferimento alle propalazioni dei collaboratori di giustizia, l’eccezione di inutilizzabilità delle relative dichiarazioni, per non essere stato indicato da quale procedimento sono state tratte, risulta inedita, perché non rilevabile dall’incontestata sintesi dei motivi di appello, per come riportata nel decreto impugnato. L’eccezione è, comunque, generica e manifestamente infondata: i verbali di interrogatorio dei vari collaboratori di giustizia (alcuni dei quali peraltro risentiti nel corso del procedimento di primo grado) erano allegati alla proposta di prevenzione; la Corte palermitana ha poi indicato, in relazione ad ogni collaborante, la data dell’interrogatorio da cui sono tratte le dichiarazioni rilevanti; il ricorrente non ne
deduce né il travisamento né la falsità, né risulta esplicitato il riferimento normativo cui ancorare l’eccezione di inutilizzabilità.
Quanto alla valutazione del contenuto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che, secondo la Difesa, sarebbero inidonei a fondare il giudizio di pericolosità, i ricorsi sono fattuali, rivalutativi, e, sulla base di una rilettura del emergenze, offrono e sollecitano una diversa valutazione delle stesse.
La Corte territoriale, peraltro, ha analizzato singolarmente le dichiarazioni dei vari collaboranti (pagg. 32-55), valutandone l’attendibilità soggettiva ed oggettiva (pagg. 44, 45), e pervenendo più che motivatamente ad un giudizio complessivo di sussistenza della pericolosità sociale qualificata di NOME COGNOME
3.8. GLYPH Quanto all’aspetto che il proposto sarebbe stato un imprenditore estorto e non contiguo o colluso, il motivo di ricorso è completamente versato in fatto; la Corte fornisce un’argomentata motivazione (pagg. 55-59) in merito, evidenziando tra l’altro come “la relazione di contiguità non sia, di per sé sola, una situazione ostativa all’emersione di momenti di soccombenza dell’imprenditore”. Più specificatamente, la Corte d’appello di Palermo,’ osserva come “nessun pregio può di conseguenza attribuirsi all’insistito richiamo difensivo alla circostanza del pagamento del ‘pizzo’, atteso che NOME NOME – inizialmente ritenuto non affidabile da cosa nostra in ragione della sua riluttanza a ‘pagare’ le ‘zone’, con conseguente esposizione delle imprese del COGNOME soltanto al danno derivante dall’intimidazione mafiosa – ha in seguito scelto di trasformare tale danno in un proprio vantaggio accettando liberamente di mettersi a ‘completa disposizione’ degli esponenti mafiosi corleonesi, così facendo del pagamento del ‘pizzo’, regolare e spontaneo, un mezzo per guadagnare la fiducia dell’organizzazione criminale e ottenerne il favore nella complessa partita per l’aggiudicazione dei lavori pubblici e delle relative forniture in vario modo pilotata attraverso accordi spartitori non esenti, peraltro, da aspetti conflittuali ben suscettibili, in considerazione della significatività degli interesse economici in gioco, di provocare ritorsioni mafiose riconducibili a causali diverse ed indipendenti da quelle sottese al pagamento del ‘pizzo -. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le contestazioni mosse in ricorso sul punto debordano nel merito, e sono da riportare all’ambito della mera adeguatezza motivazionale, non sconfinante nell’assenza o apparenza della motivazione stessa. Si tratta di contestazioni non ammesse in questa sede, secondo quanto osservato in premessa.
3.9. GLYPH Le ulteriori doglianze attinenti alla riconosciuta pericolosità sociale storica del Virga, tra cui la mancata valutazione da parte della Corte territoriale delle dichiarazioni del dott. COGNOME e dei testi sentiti dalla difesa ex art. 391 ter cod. proc. pen., sono tutti attinenti a vizi di motivazione non già mancante o meramente apparente, ma eventualmente illogica o non condivisa dal ricorrente, per questo esclusi dal sindacato della Corte di cassazione in materia di misure di prevenzione,
limitato ai vizi di motivazione che sfocino in violazioni di legge, da sempre individuati dalla giurisprudenza di legittimità solo nell’inesistenza o nella carenza assoluta o mera apparenza della motivazione (Sez. U, n. 33451 del 29/5/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 1, n. 6636 del 7/1/2016, COGNOME, Rv. 266365), che ricorre, come detto, quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 33705 del 15/6/2016, Caliendo, Rv. 270080). Espressamente le Sezioni Unite, nella citata sentenza Repaci, hanno chiarito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
COGNOME Il motivo (sesto dell’avv. COGNOME e terzo dell’avv. COGNOME), con il quale la difesa del proposto contesta la perimetrazione cronologica della pericolosità sociale operata dalla Corte palermitana è inammissibile in quanto le doglianze mosse dalla Difesa sul punto sono dirette ad una rivisitazione, da parte di questa Corte, dei medesimi elementi già vagliati, con motivazione non apparente né carente, dai giudici della prevenzione e, dunque, risultano inammissibili in quanto non consentite in sede di legittimità.
Va precisato, al riguardo che, contrariamente a quanto dedotto, tra i due provvedimenti di merito non è ravvisabile alcuna “confusione” in ordine alla perimetrazione temporale della pericolosità sociale del Virga.
Il decreto di primo grado aveva perimetrato la pericolosità sociale del Virga dalla metà degli anni ’80 alla fine degli anni ’90.
La Corte palermitana (pagg. 55 e 59-60), con motivazione non apparente, ha confermato tale arco temporale quale finestra temporale entro la quale si era estrinsecata la pericolosità sociale qualificata del Virga, disattendendo la richiesta formulata in appello di arretrare la cessazione della pericolosità sociale al 1991 (allorquando era cessato il c.d. sistema Siino), o al 1993 (con l’entrata in vigore della legge regionale 12/01/1993 n. 10, recante nuove norme in materia di lavori pubblici e di forniture di beni e servizi), osservando come tali eventi non avessero per nulla impedito la pronta adozione di un diverso sistema di illecita spartizione dei lavori pubblici tra gli imprenditori, compreso NOME COGNOME con penetrante interferenza di cosa nostra; aggiungeva la Corte come plurime fonti dichiarative attendibili avessero concordemente riferito in ordine alla collusione mafiosa di NOME manifestatasi anche in epoca successiva agli inizi degli anni ’90; la Corte infine valorizzava le dichiarazioni di NOME COGNOME che aveva dichiarato di avere personalmente assistito a colloqui tra NOME COGNOME e NOME COGNOME
aventi ad oggetto argomenti di natura economica riguardanti i RAGIONE_SOCIALE, i quali avevano continuato, fino al 2000 circa, a fare riferimento al predetto NOME COGNOME
Il quinto motivo avanzato nell’interesse del proposto dall’avv. COGNOME in relazione al requisito della sproporzione è generico e reiterativo.
Sullo specifico punto, il Tribunale di primo grado aveva disposto una perizia in ordine alla compatibilità tra gli investimenti e la capacità reddituale del nucleo familiare di NOME COGNOME, che aveva concluso per una sproporzione tra fonti ed impieghi in relazione al periodo temporale considerato, ovvero quello compreso tra il 1976 e il 25 maggio 2015; la Corte palermitana ha poi, in sede di giudizio di appello, disposto un supplemento di perizia, chiedendo ai periti di esaminare le consulenze tecniche di parte, provvedendo poi ad analizzarne approfonditamente gli esiti (pagg. 61-80 decreto impugnato).
Le contestazioni mosse in ricorso sul punto sono inammissibili, in quanto dirette ad una rivisitazione, da parte di questa Corte, dei medesimi elementi già vagliati, con motivazidne non apparente né carente, dai giudici della prevenzione e, dunque, risultano inammissibili in quanto non consentite in sede di legittimità.
Il sesto motivo avanzato dall’avv. COGNOME nell’interesse del proposto, con il quale censura l’avvenuta confisca (del solo usufrutto) degli immobili siti in c.da COGNOME è inammissibile in quanto generico ed aspecifico; lungi dall’essere meramente apparente la Corte palermitana ha affrontato le tematiche (pedissequamente riproposte in seno al ricorso in esame) relative alla tesi difensiva, per cui gli immobili sarebbero stati realizzati dal padre del proposto, in epoca antecedente all’inizio di manifestazione della pericolosità sociale, respingendo con ampia motivazione (pagg. 67-70 provvedimento impugnato) le doglianze difensive; peraltro, sul presupposto che la donazione effettuata nel 2004 in favore dei propri figli della nuda proprietà sugli immobili siti in c.da Balata fosse effettiva e lecita, la Corte ha revocato la confisca della nuda proprietà, mantenendo la confisca sul solo diritto reale di usufrutto in capo al proposto.
Il settimo motivo avanzato, nell’interesse del proposto, dall’avv. COGNOME è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
La circostanza che la confisca dei beni riconducibili al proposto sia avvenuta a distanza di molti anni dall’accumulazione ritenuta illecitaA, non implica alcuna violazione delle norme convenzionali e costituzionali, né può ritenersi che vi sia una lesione delle prerogative difensive nel fatto che la confisca avvenga a distanza di tempo tale da non consentire una adeguata difesa.
Come è già stato affermato da questa Corte, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 29, 34-ter d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per contrasto con gli artt. 3, 24, comma secondo, 27, comma secondo, 111, commi primo e secondo, Cost. e 6, § 1, CEDU, nella parte in cui non è previsto, rispetto al momento della cessazione della pericolosità del proposto, un termine di decadenza dell’azione propositiva o di prescrizione della misura di prevenzione, posto che costituisce presupposto ineludibile di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale la sussistenza della pericolosità al momento dell’acquisto del bene, che a quest’ultimo si trasferisce in via permanente e tendenzialmente indissolubile, poiché frutto dell’illecita acquisizione da parte del soggetto pericoloso. (Sez. 2, n. 11351 del 25/02/2022, COGNOME, Rv. 282960 – 01); in motivazione la Corte ha opportunamente sottolineato che “La natura stessa della confisca di prevenzione, come scolpita dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 2019 richiamata anche dai ricorrenti, sottrae la sua disciplina “allo statuto costituzionale e convenzionale delle pene”. “Nell’ottica del sistema l’ablazione dei beni costituisce non già una sanzione ma piuttosto la naturale conseguenza della loro illecita acquisizione, la quale determina un vizio genetico nella costituzione dello stesso diritto di proprietà in capo a chi ne abbia acquistato la materiale disponibilità” (fg. 7 della sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 2019)”.
GLYPH L’analisi dei motivi di ricorso avanzati nell’interesse di NOME COGNOME attinenti all’intervenuta confisca della RAGIONE_SOCIALE (quinto motivo dell’avv. COGNOME e quarto e settimo motivo dell’avv. COGNOME) verranno trattati, stante la stretta interconnessione degli argomenti, infra da paragrafo 12, allorquando si analizzeranno i motivi di ricorso relativi alla medesima società, avanzati dai terzi interessati.
Appare tuttavia opportuno chiarire son d’ora che difetta in capo al proposto l’interesse all’impugnazione sul punto relativo alla contestazione dell’interposizione fittizia nella titolarità dei cespiti oggetto di confisca, dovendosi dare continuità al principio già affermato da questa Corte per cui, in materia di misure di prevenzione, nel caso di confisca di un bene ritenuto fittiziamente intestato a terzi, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso per cassazione del proposto che si limiti a dedurre l’insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolarità effettiva del bene in capo al terzo intestatario, mentre è ammissibile il ricorso del proposto che, senza negare l’esistenza del rapporto fiduciario, alleghi di aver acquistato i beni lecitamente, essendo portatore, in questo caso, di un interesse proprio all’ottenimento di una pronuncia che accerti la mancanza delle condizioni legittimanti l’applicazione del provvedimento (Sez. 1, n. 20717 del 21/01/2021, COGNOME, Rv. 281389 – 01).
Va anche sgombrato il capo dalle questioni in relazione alle quali difetta in radice l’interesse ad impugnare in capo al proposto (ed, ancor più, ai terzi interessati): con particolare riferimento infatti a tutte le argomentazioni svolte in seno ai ricorsi in merito alla natura di impresa mafiosa della RAGIONE_SOCIALE occorre evidenziare come detto cespite non risulti essere stato oggetto di confisca, trattandosi di società inattiva; come chiarito in seno al decreto di primo grado (pag. 127) “Trattandosi di attività commerciale non più esistente e priva di attivo liquidabile, va formalmente revocato il sequestro (in realtà mai eseguito) e rigettata la relativa richiesta di confisca”.
Inammissibili in quanto generiche ed aspecifiche risultano poi le doglianze mosse in ordine alla RAGIONE_SOCIALE società costituita nel 1988 e messa in liquidazione il 21/02/2000: in relazione al complesso aziendale che componeva detta società, a fronte delle perspicue considerazioni svolte alle pagine da 83 a 85 del decreto impugnato, il ricorso nulla deduce nello specifico.
Quanto alla confisca (del solo diritto di usufrutto) degli immobili siti in c.da Balata, si richiamano le considerazioni svolte supra sub paragrafo 6., ove si è trattato del sesto motivo dell’avv. COGNOME
I ricorsi dei terzi interessati
GLYPH I motivi secondo, quinto, sesto, settimo, ottavo e nono dell’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME cl. 66, NOME COGNOME, NOME COGNOME cl. 63, ed i motivi secondo, terzo, quarto e sesto dell’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME cl. 83, NOME COGNOME, NOME COGNOME cl. 81, tutti attinenti, sotto svariati profili, alla pericolosità sociale di NOME COGNOME, devono ritenersi inammissibili per carenza di interesse.
La Corte territoriale (pag. 31), con motivazione immune da censure, ha correttamente rilevato il difetto di legittimazione dei terzi familiari del proposto a sollevare questioni circa la condizione di pericolosità sociale dello stesso al fine di contestare la disposta confisca di prevenzione.
Va, infatti, ribadito che, nel caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, questi può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, mentre è del tutto estraneo ad ogni questione giuridica relativa ai presupposti per l’applicazione della misura nei confronti di quest’ultimo – quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso – e che solo costui può avere interesse a far valere (Sez. 5, Sentenza n. 333 del 20/11/2020, Rv. 280249; Sez. 6, Sentenza n. 7469 del 04/06/2019, Rv. 278454). Nel procedimento di prevenzione il terzo interessato ha esclusivamente un onere di allegazione, che consiste nel
confutare la tesi accusatoria (secondo la quale egli è un mero intestatario formale) ed indicare elementi fattuali che dimostrino che quel bene è di sua esclusiva proprietà e nella sua esclusiva disponibilità, visto che la problematica incide sulla confisca; in altri termini, per il terzo interessato il procedimento deve ruotare intorno al suddetto onere probatorio, essendo per esso irrilevanti (perché inidonee a provare la proprietà o la disponibilità del bene) tutte quelle eccezioni che riguardano esclusivamente la posizione del proposto (sussistenza della condizione di pericolosità, valore del bene confiscato sproporzionato rispetto al reddito dichiarato, legittima provenienza delle risorse) e che solo costui potrebbe avere interesse a far valere.
Detto principio è stata avallato dalle Sezioni Unite della Corte (informazione provvisoria n. 3/25 del 27/03/2025, in relazione al proc. n. 27791 del 2024, Putignano Giovanni e altri), la qualé hai affermato il principio di diritto secondo cui «In caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità dei beni confiscati. A tale fine può dedurre ogni elemento utile in relazione al thema probandum».
GLYPH Venendo quindi alla disamina degli ulteriori motivi di ricorso avanzati nell’interesse dei terzi interessati, va innanzitutto disattesa l’eccezione di violazione del divieto di reformatio in pejus riguardo alla valorizzazione di intercettazioni ritenute non significative dal Tribunale in merito alle intestazioni fittizie attribuite a NOME COGNOME e NOME COGNOME di cui ai motivi settimo e nono dell’avv. COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME cl. 83, NOME COGNOME, NOME Virga cl. 81.
L’eccezione è manifestamente infondata.
Va infatti data continuità al condivisibile principio già affermato da RAGIONE_SOCIALE Sez. 1, n. 25907 del 15/01/2021, Gaeta, Rv. 281447 – 01, per cui il divieto di “reformatio in peius” previsto dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. per il giudizio di appello, pur non essendo espressamente richiamato dall’art. 10, comma 4, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, opera anche nel procedimento di prevenzione (in motivazione la Corte ha precisato che tale divieto opera solo in relazione all’esito del giudizio e risulta violato nel caso in cui il contenuto precettivo della decisione di appello comporti, in assenza di impugnazione della pubblica accusa, un trattamento deteriore rispetto a quello inflitto in primo grado in termini di maggior durata temporale della misura di prevenzione, di inflizione di una misura più restrittiva o di incremento dei beni assoggettati a confisca).
Sul punto era già stato chiarito da Sez. 6, n. 21964 del 12/05/2016, COGNOME, Rv. 267068 – 01 che il divieto della “reformatio in peius” previsto dall’art. 597, comma terzo, cod. proc. pen. per il giudizio di impugnazione, operante anche nel
procedimento di prevenzione, risulta violato nel caso in cui il contenuto precettivo della decisione di appello comporti, in assenza di impugnazione della pubblica accusa, un trattamento deteriore rispetto a quello inflitto in primo grado in termini di maggior durata temporale della misura di prevenzione, di inflizione di una misura più restrittiva o di applicazione alla medesima misura di modalità di esecuzione più stringenti, dovendosi, invece, escludere l’operatività del principio allorchè il contenuto precettivo sia identico a quello di primo grado ed il giudice di appello si limiti ad una valutazione più sfavorevole di elementi di fatto non direttamente incidenti sul contenuto finale della decisione.
Nel caso di specie, le considerazioni svolte dalla Corte palermitana non hanno avuto effetti sulla parte dispositiva del decreto di primo grado, che è stato confermato: la Corte di appello ha quindi diversamente valutato il contenuto delle intercettazioni disposte nell’ambito del proc. 8644/2006, traendone elementi, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, in ordine alla riferibilità, al momento della proposta, della soc. RAGIONE_SOCIALE, formalmente di proprietà dei figli e nipoti, in capo al proposto* , non può quindi dirsi esserci stato un trattamento deteriore rispetto al primo giudizio, né un ampliamento dei beni sottoposti a confisca, con la conseguenza che non può affermarsi che la Corte territoriale abbia, in divieto di legge, operato una reformatio in peius rispetto al giudizio di primo grado.
GLYPH Deve essere respinto il motivo di ricorso con il quale NOME COGNOME assume essere sempre stata proprietaria delle quote sociali dell’RAGIONE_SOCIALE Roccabianca, contestando che vi fosse stata intestazione fittizia delle quote di tale società.
La Corte d’appello di Palermo (pagg. 9, 10 del decreto impugnato) ha rilevato come l’azienda fosse stata confiscata in capo alla moglie del proposto (per il 50%, mentre il restante 50%, di proprietà della cognata COGNOME, non è stato confiscato), sul presupposto che gli esborsi sostenuti dalla COGNOME nei primi anni ’90 (in pieno periodo di manifestazione della pericolosità sociale del marito, NOME COGNOME) fossero del tutto sproporzionati rispetto alle risorse del nucleo famigliare. Dopo avere rianalizzato tutti gli elementi, unitamente agli esiti del supplemento di istruttoria demandato ai periti sulla sperequazione, la Corte territoriale ha concluso (pagg. 81 e 82) per la conferma della citata confisca osservando come la COGNOME non avesse “manifestato alcuna sufficiente capacità finanziaria atta a spezzare il nesso di riferibilità dei numerosi beni al lei intestati alla persone (e alle risorse) del marito”.
La motivazione resa dalla Corte non è né assente né apparente, ed ha preso partitamente in considerazione le confutazioni difensive per smentirne la fondatezza, così che tutta l’articolazione del ricorso della terza interessata si presenta
sostanzialmente come un tentativo di denunciare in termini di illegittimità una giustificazione argomentativa che si presenta invece, come si è detto, effettiva e pertinente e comunque scevra da qualsiasi taccia di mera, sostanziale apparenza.
I motivi attinenti alla RAGIONE_SOCIALE
12. I motivi di ricorsi rispettivamente avanzati dal proposto e dai terzi interessati inerenti all’avvenuta confisca della totalità delle quote sociali e dell’intero compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE, si sviluppano su due profili: da un lato si contesta la natura di impresa mafiosa della società; dall’altro si censura la decisione sotto il profilo della mancanza del requisito della disponibilità della società in capo a NOME COGNOME al momento della proposta (nel 2015).
Devono essere respinti i motivi di ricorse che contestano la natura di impresa mafiosa della società.
Sulla natura di impresa mafiosa della società, la motivazione della Corte territoriale è ampia, e risponde in modo adeguato ‘a tutti i motivi di appèllo che sul punto erano stati sollevati e che vengono reiterati nei ricorsi.
In sostanza, i Giudici della prevenzione, con concorde valutazione, hanno ritenuto che attraverso detta società NOME COGNOME avesse partecipato al sistema illecito di aggiudicazione dei lavori pubblici gestiti da cosa nostra, come riferito da numerosi collaboratori di giustizia (NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME), e come oggettivamente riscontrato, avendo la perizia d’ufficio disposta nel corso del giudizio di primo grado accertato che la società, dopo una prima fase di graduale espansione (dal 1976 al 1984), aveva registrato “una eclatante ascesa economica proprio a partire dalla metà del anni ’80 per poi mantenere valori di produzione sostanzialmente costanti fino al 2011, dunque anche durante l’ulteriore periodo temporale, cessato alla fine degli anni ’90, di goduta protezione mafiosa attiva” (pag. 9, decreto impugnato; cfr. anche pag. 90).
Si è quindi specificato, in particolare (pag. 89, impugnato decreto), che “è rimasto più che sufficientemente accertato, avuto riguardo alle sopra descritte modalità di manifestazione della pregressa pericolosità mafiosa di COGNOME, che il medesimo ha utilizzato la RAGIONE_SOCIALE San Ciro (…) per partecipare, dalla metà degli anni 80 sino alla fine degli anni 90, al sistema illecito di aggiudicazione dei lavori pubblici e delle relative forniture gestito da Cosa Nostra, all’uopo ponendo tali enti sotto la protezione di esponenti mafiosi di primissimo piano (COGNOME NOME e per il suo tramite NOME COGNOME)”.
La Corte ha altresì analizzato le specifiche censure mosse in atto di appello, che, con richiamo alla consulenza tecnica di parte effettuata in primo grado, contestavano l’assunto per il quale la società avrebbe avuto una “eclatante crescita del volume
d’affari”, disattendendone motivatamente le conclusioni (pagg. 90,91 decreto impugnato.
La doglíanza difensiva con la quale si rileva che il patrimonio della RAGIONE_SOCIALE Ciro sarebbe stato acquisito prima dell’inizio della pericolosità sociale del Vir è manifestamente infondata, alla luce del principio per cui, in tema di confisca prevenzione, laddove un’attività imprenditoriale si sia sviluppata ed espansa co l’ausilio e sotto la protezione di un’associazione mafiosa, ne risulta contaminato tu il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale, divenendo essi stessi p dell’impresa “a partecipazione mafiosa” che, come tali, sono soggette a confisca, a nulla rilevando l’iniziale carattere lecito delle quote versate dai diversi soc motivazione, la Corte ha precisato che non può scindersi, a fini ablatori, la quo ideale riconducibile all’utilizzo di risorse illecite, essendo normalmente impossib distinguerla da quella riferibile alla capacità e all’iniziativa imprenditoriale legit (Sez. 6, n. 7072 del 14/07/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 283462 – 01).
In definitiva, le critiche mosse all’affermazione della mafiosità dell’impresa in a di ricorso, risultano meramente reiterative dei motivi di appello, ai quali la Co territoriale ha risposto con motivazione non apparente.
GLYPH Sono invece fondati i ricorsi avanzati dai terzi interessati (i figli ed i ni de proposto) laddove contestano l’assenza di motivazione (rilevante come violazione d legge) con riferimento alla ritenuta sussistenza del requisito della disponibilit capo a NOME COGNOME della RAGIONE_SOCIALE
Detta società, costituita nel 1975, nel 1999 risultava partecipata da NOME COGNOME e dal fratello NOME. Nel 2006 NOME COGNOME cedeva a tiolo gratuito le proprie quote ai figli COGNOME NOME cl. 83, COGNOME NOME, COGNOME NOME cl. 81; d pari il fratello NOME COGNOME cedeva, a titolo gratuito, le quote ai propri figli NOME cl. 63, COGNOME NOME cl. 66 e COGNOME NOME.
Dal 2014 e sino alla data del sequestro la compagine societaria era composta da COGNOME Gaetano cl. 81 e COGNOME Salvatore cl. 66, titolari di una quota del 34% ciascuno e da COGNOME NOME e COGNOME NOME, titolari di una quota del 16% ciascuna.
Secondo risalente ma mai contrastato indirizzo di questa Corte, in tema di provvedimenti di natura patrimoniale correlati all’applicazione di misure d prevenzione, incomblkll’accusa l’onere di dimostrare rigorosamente, ai fini del sequestro e della confisca di beni intestati a terzi, l’esistenza di situazioni che av concretamente l’ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione funzionale alla esclusiva finalità di favorire il permanere del bene in questione ne effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto; disponibilità la sussistenza , caratterizzata da un comportamento “uti dominus” del medesimo proposto, in contrasto con l’apparente titolarità del terzo, dev’essere accertata
indagine rigorosa, intensa ed approfondita, avendo il giudice l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, sulla base non di sole circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma di elementi fattuali, connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza ed idonei, pertanto, a costituire prova indiretta dell’assunto che si tende a dimostrare (Sez. 2, n. 35628 del 23/06/2004, COGNOME, Rv. 229726 – 01); detto principio è stato poi ribadito da Sez. 2, n. 6977 del 09/02/2011, Battaglia, Rv. 249364 – 01 che ha affermato che, in tema di sequestro e confisca di beni intestati a terzi correlati all’applicazione di misure di prevenzione, incombe sull’accusa l’onere di dimostrare rigorosamente, sulla base di elementi fattuali, connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione, e, corrispondentemente, del permanere della disponibilità dei beni nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto.
Per fondare la definitiva misura ablatoria della confisca di prevenzione, anche con riferimento ad un’impresa c.d. mafiosa, non può quindi prescindersi dal fornire rigorosa prova della disponibilità sostanziale dell’impresa da parte del proposto (cfr. Sez. 2, n. 9774 del 11/02/2015, COGNOME, Rv. 262622 – 01; Sez. 5, n. 32017 del 08/03/2019, Roma, Rv. 277099 – 01) da valutarsi con riferimento al momento in cui la proposta viene formulata.
Nel caso di specie, i Giudici della prevenzione hanno chiaramente delimitato il periodo di manifestazione della mafiosità dell’impresa, ancorandola al periodo di manifestazione della pericolosità qualificata c.d. storica del Virga (come esplicitato a pag. 92 del decreto impugnato): la RAGIONE_SOCIALE è stata quindi un”impresa mafiosa’ dalla metà degli anni ’80 alla fine degli anni ’90.
Come già sopra evidenziato, .nel 2006 NOME COGNOME ha donato ai figli il suo 50% della società; il restante 50% apparteneva al fratello NOMECOGNOME che negli stessi anni ha effettuato analoga donazione in favore dei suoi figli.
Deducono in sostanza i ricorrenti come non fosse invero emerso alcun indizio di 5 ingerenza proprietaria esercitata da NOME COGNOME nella gestione della società dal 2006 fino al sequestro di prevenzione ed anzi fossero emersi molteplici elementi, pretermessi nella valutazione dei giudici della prevenzione, comprovanti di fatto l’autonomia decisionale dei figli e dei nipoti del proposto, i quali grazie alla loro esperienza lavorativa e alla loro formazione erano realmente subentrati al padre, e allo zio, essendosi effettivamente ed ininterrottamente occupati di tutti gli aspetti gestionali dell’attività d’impresa.
Si sottolinea altresì come, nel 2010, il GIP di Palermo avesse disposto l’archiviazione del procedimento iscritto a carico del COGNOME, tra l’altro, per il reato d cui all’art. 12 quinquies legge 356 del 1992 (oggi art. 512 bis cod. pen.), sul
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presupposto dell’insussistenza della interposizione fittizia dei figli del COGNOME nelle varie società del gruppo RAGIONE_SOCIALE (tra cui la RAGIONE_SOCIALE).
Ciò che in definitiva si denunciava come totalmente mancante era la prova della sussistenza del presupposto costituito dalla riferibilità della società alla sostanziale disponibilità di NOME COGNOME dopo la sua fuoriuscita dalla compagine sociale e ininterrottamente sino al momento del sequestro di prevenzione
La Corte, a comprova invece della perdurante disponibilità della società in capo al proposto, ha richiamato alcune intercettazioni (del 2007 e del 2009), riportate alle pagg. da 99 a 101 e poi ancora da 113 e ss.
Ed ancora, i Giudici palermitani rilevavano come, m al 31/12/2015 la società registrasse debiti nei confronti del proposto pari ad C 264.355; nonché che, nel 2012, NOME COGNOME avesse effettuato tt in favore della società un versamento in contanti di C 14.000.
Ebbene coglie allora nel segno la deduzione difensiva che lamenta, sul punto, apparente motivazione.
Se appare esente da criticità palesi e manifeste la motivazione resa dalla Corte nell’affermare l’assenza di un preclusione derivante dal decreto di archiviazione del 2010 (la Corte sottolinea la differenza concettuale tra il concetto di “disponibilità” rilevante nel procedimento di prevenzione e l’intestazione fittizia di cui all’art. 12 quinquies, sottolineando peraltro come dalle stesse parole del GIP di Palermo che aveva disposto l’archiviazione emergesse come dalle intercettazioni risultasse la volontà di NOME COGNOME di continuare nella gestione di fatto delle imprese familiari), cionondimeno ciò che difetta nel caso di specie è la precisa individuazione degli elementi sintomatici della disponibilità in capo a NOME COGNOME al momento in cui è stata formulata la proposta della misura di prevenzione della società RAGIONE_SOCIALE, nel 2015.
Dalla cessione delle quote, evidenziano i ricorrenti, il proposto non ha esercitato alcun potere decisorio o gestorio, non ha trattato specifici affari relativi alla società, non ha avuto rapporti con le banche e non ha mai più ricoperto cariche sociali; la società di contro, gestita con effettività ed autonomia dai figli e nipoti, ha cambiato oggetto sociale, ed ha intrapreso attività del tutto nuove anche grazie alle specifiche competenze e formazione dei medesimi figli e nipoti.
Come evidenziato dai terzi ricorrenti, poi, nessun elemento indiziario è stato rappresentato in relazione al periodo 2009-2015.
Né, come anche sottolineato dai ricorrenti, è possibile ricorrere alle presunzioni di cui all’art. 26 dlg. 159 del 2011, dal momento che i trasferimenti delle quote erano avvenuti nel 2006, e considerato che i figli non erano più conviventi con il proposto da quasi 10 anni, rispetto al momento della proposta.
Né vale a superare tale carenza il richiamo all’esposizione debitoria apposta nel bilancio della società al 2015, nei confronti dei NOME COGNOME dal momento che la
motivazione della Corte palermitana è sul punto meramente apparente, risultando effettuato un mero riferimento a tale appostazione, senza la doverosa analisi
sull’incidenza di tale esposizione debitoria, quale elemento sintomatico ed indicativo dell’attualità del rapporto di cointeressenza del proposto nella medesima società.
L’apparenza della motivazione sul punto rilevabile in relazione alla posizione di figli del proposto (NOME COGNOME cl. 83, NOME COGNOME, NOME COGNOME cl. 81), si
declina in motivazione assente anche da un punto di vista grafico, con riferimento al
50% di quote di proprietà dei figli di NOME COGNOMENOME COGNOME cl. 66, NOME
COGNOME, NOME COGNOME cl. 63), dal momento che la Corte (pag. 118), si limita ad affermare che i nipoti del proposto rivestivano lo stesso ruolo ancillare dei cugini:
affermazione apodittica, ancor più carente per avere la Corte omesso di esplicitare in che forma si sarebbe declinato detto “ruolo ancillare”, in modo indimostrato ascritto
ai figli.
GLYPH Gli evidenziati errori di diritto in cui è incorsa la Corte d’appello di Palermo impongono l’annullamento del provvedimento impugnato, limitatamente alle quote sociali e al compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE ai fini di una rivalutazione che dovrà tenere conto dei rilievi esposti.
Come chiarito Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, «la natura di decreto non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto di cui all’art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; per contro, la natura decisoria dell’atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l’incompatibilità dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione» (conf. Sez. 5, n. 19426 del 20/04/2021, COGNOME, Rv. 281253).
I ricorsi vanno invece respinti nel resto.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato limitatamente alle quote sociali e al compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Palermo. Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso il 16/04/2025