Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45963 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45963 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NAPOLI il 14/03/1957 avverso l’ordinanza del 06/06/2024 della Corte di appello di Cagliari – Sez. dist. di Sassari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 31/01/2024, la Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari ha disposto la revoca parziale della confisca adottata – nell’ambito del processo definito con sentenza della Corte di appello di Napoli del 09/04/2018, passata in giudicato il 21/09/2019 – a carico di NOME COGNOME. Con tale provvedimento, la Corte ha deciso la revoca della confisca e, per l’effetto, la restituzione all’avente diritto della somma depositata sul conto corrente n. 3153/1000 del Banco di Napoli, intestato a NOME COGNOME disponendone lo svincolo ed ha però confermato, quanto al resto, il provvedimento di confisca.
1.1. Trattasi di beni assoggettati a confisca ex art. 12sexies decreto legge 08 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 07 agosto 1992, n. 356, oggi trasfuso nell’art. 240bis cod. pen., dopo esser stati sottoposti a sequestro del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli del 11/03/2016, in quanto risultati essere nella disponibilità del sopra nominato NOME COGNOME soggetto condannato per violazione degli artt. 73 e 74 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309 e 7 decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, nella veste di gestore di piazze di spaccio di sostanze stupefacenti di tipo cocaina, in territorio controllato dal clan COGNOME e a far data dal settembre del 2011.
1.2. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari ha rigettato l’opposizione proposta da NOME COGNOME padre del sopra menzionato condannato, avverso il provvedimento reiettivo assunto dalla Corte di appello, limitatamente a quanto altro sottoposto a confisca (trattasi, segnatamente, di gioielli, di orologi in oro di notevole
valore, nonchØ di una somma di denaro in contanti ammontante a euro 26.920,00); il tutto era stato sequestrato presso l’abitazione della famiglia COGNOME e il richiedente assumeva esserne proprietario, ponendo a fondamento dell’assunto documentazione concernente le condizioni reddituali familiari e varie vincite al gioco, risalenti agli anni che vanno dal 2012 al 2014.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo un motivo unico, articolato in una pluralità di doglianze, a mezzo del quale viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 240bis cod. pen.:
per erronea applicazione della legge penale, laddove si Ł ritenuto assorbente – in vista della riconducibilità a NOME COGNOME della titolarità dei beni rinvenuti nella disponibilità del terzo – il mero dato rappresentato dalla sproporzione, tra il valore dei beni oggetto di confisca e la capacità di reddito di quest’ultimo;
per mancanza di motivazione, nonchØ manifesta illogicità e contraddittorietà della stessa, nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto che i beni oggetto di confisca fossero nella disponibilità uti dominus di NOME COGNOME piuttosto che del terzo, nel possesso del quale erano stati trovati.
I beni rimasti assoggettati a provvedimento ablatorio, dei quali viene reclamata la restituzione, sono stati posti sotto sequestro presso l’abitazione di NOME COGNOME e sono stati rinvenuti, viepiø, nell’armadio posto nella camera da letto che questi condivide con la moglie; trattandosi di beni mobili non registrati, tale possesso conclama la riferibilità degli stessi all’odierno ricorrente. Non risulta dimostrato, in definitiva, il profilo della discordanza, fra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene. Anche quanto all’aspetto della completezza e coerenza della motivazione, il provvedimento impugnato non si confronta con i profili oggettivi dedotti dalla difesa, ossia:
a fronte del sequestro avvenuto il 02/03/2016, NOME COGNOME era ininterrottamente detenuto dal 13/01/2013;
il condannato era sposato con NOME COGNOME fin dal 2009 e, già da tale anno, quest’ultima aveva stipulato un contratto di affitto, inerente all’appartamento ubicato in Napoli, alla INDIRIZZO pagando le relative utenze;
i beni vennero rinvenuti nella camera da letto dei coniugi NOME COGNOME ed NOME COGNOME senza che risultasse la contemporanea presenza di effetti personali, idonei a dimostrare la presenza, all’interno dell’abitazione, di NOME COGNOME;
NOME COGNOME aveva ripetutamente vinto al gioco;
trattavasi di gioielli chiaramente riferibili a persone di sesso femminile e lo stesso può dirsi, con riferimento all’orologio Rolex;
l’orologio Patek Philippe Ł entrato in produzione nell’anno 2014, allorquando NOME COGNOME si trovava già detenuto.
¨ illogico, pertanto, reputare acclarata la effettiva dimora del ricorrente presso l’abitazione teatro del sequestro, sulla scorta del solo mantenimento della residenza formale, oltre che del suo inserimento nello stato di famiglia dei genitori. La difesa aveva anche allegato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova del 12/02/2014, dalla quale può evincersi come NOME COGNOME e la moglie stessero sempre insieme e non vivessero, invece, tra loro separati. La Corte territoriale, quindi, fonda la decisione sul solo aspetto della ritenuta sperequazione, riscontrabile fra i beni oggetto di confisca e i redditi riferibili a NOME COGNOME. In conclusione, la posizione del terzo – seppur si tratti di un familiare del condannato – non può essere rigidamente assimilata a quella di quest’ultimo, in ragione della sola ricorrenza della sproporzione
dei redditi dichiarati, rispetto al valore economico dei beni.
Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio.
La motivazione Ł carente e illogica, sotto il profilo della prova in ordine alla discordanza, tra intestazione formale e disponibilità effettiva dei beni, assumendo essa che tale prova possa derivare dalla formale residenza formale del condannato presso l’abitazione dei genitori, nonchØ dalla eventualità di poter fruire di somme illecite anche in costanza di detenzione e, infine, dal legame familiare esistente, tra condannato ed apparente titolare del bene. Non vi Ł adeguata motivazione, però, quanto agli ulteriori elementi fattuali dedotti dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł fondato.
Integrando quanto già sintetizzato in parte narrativa, può sottolinearsi – al solo fine di inquadrare i fatti, quanto al versante della ricostruzione storica e oggettiva – che NOME COGNOME Ł stato condannato per violazione degli artt. 73 e 74 T.U. stup. per esser stato gestore di una piazza di spaccio controllata dal clan COGNOME; egli si trova detenuto, per tale causa, a far data dall’anno 2013. Nel 2016 si Ł dato corso ad un provvedimento di sequestro, all’interno della casa dei genitori di NOME COGNOME ossia NOME COGNOME e l’odierno ricorrente NOME COGNOME; si Ł proceduto, così, all’apprensione di beni e valori ed alla successiva confisca degli stessi.
La Corte di appello ha disposto la revoca di tale provvedimento ablatorio, limitatamente al conto corrente sopra citato, con restituzione all’intestatario della somma di denaro ivi in deposito; ha mantenuto, invece, il provvedimento di confisca con riferimento al resto. Come sopra chiarito, trattasi di beni rinvenuti in casa dei genitori del soggetto condannato, all’interno di un armadio posto nella stanza da letto degli stessi; il ritrovamento risale a un’epoca nella quale il condannato era già detenuto da circa tre anni.
Può reputarsi acquisito il dato della sproporzione, fra il reddito vantato da NOME COGNOME (detentore dei beni insieme alla moglie) e il valore economico dei beni sottoposti a confisca; in tale situazione, quindi, il profilo oggetto di prova a carico dell’accusa Ł costituito dalla distonia, fra intestazione formale al terzo dei beni stessi e disponibilità effettiva. Si può richiamare, sul punto, il dictum di Sez. 2, n. 37880 del 15/06/2023, COGNOME, rv. 285028, a mente della quale: ‹‹Ai fini dell’operatività della confisca di cui all’art. 240bis cod. pen. nei confronti del terzo estraneo alla commissione di uno dei reati menzionati da detta norma, grava sull’accusa l’onere di provare, in forza di elementi fattuali che si connotino di gravità, precisione e concordanza, l’esistenza della discordanza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, non essendo sufficiente la sola presunzione fondata sulla sproporzione tra valore dei beni intestati e reddito dichiarato dal terzo, atteso che tale presunzione Ł prevista dall’art. 240-bis cod. pen. solo nei confronti dell’imputato›› (cfr. Sez. 5, n. 13084 del 07/03/2017, COGNOME, rv. 269711; Sez. 6, n. 49876 del 28/11/2012, COGNOME, rv. 253957; Sez. 1, n. 27556 del 27/05/2010, COGNOME, rv. 247722; Sez. 2, n. 3990 del 10/01/2008, Catania, rv. 239269).
3.1. Con alcuni rilievi difensivi, estremamente puntuali, la Corte di appello evita però il confronto, o fornisce argomentazioni di carattere palesemente apodittico e illogico.
La struttura motivazionale appare poco congruente, infatti, nel punto in cui si ritiene che venendo in rilievo beni mobili e somme di denaro – non sia ovviamente necessaria alcuna intestazione formale. La giurisprudenza di legittimità, però, ha anche chiarito come la disponibilità del bene, quale presupposto indefettibile del provvedimento ablatorio, non possa esser fatta
coincidere con la nozione civilistica di proprietà, bensì con il concetto di possesso, abbracciando essa tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del reo, ancorchØ il potere dispositivo su di esso venga esercitato tramite terzi; la disponibilità, in tal senso, si estrinseca in una relazione connotata dall’esercizio di poteri di fatto sulla res (Sez. 3, n. 4887 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, rv. 274852).
Oggetto di prova, quindi, Ł il fatto che il bene mobile – seppur detenuto da un terzo – ricada nella sfera degli interessi del condannato, il quale deve esercitare sullo stesso un potere di fatto, evocativo della proprietà dello stesso. Non Ł adeguata, in definitiva, la motivazione circa il basilare dato della riferibilità dei beni al condannato e non, invece, a coloro che ne avevano sicuramente il possesso al momento del sequestro. Emergono, dunque, i seguenti profili di criticità.
3.2. Evidenzia la difesa come NOME COGNOME si trovasse in stato di detenzione carceraria da circa tre anni, al momento del sequestro e sottolinea poi come, ovviamente, non possa esser nota la data dell’acquisto dei beni rinvenuti.
Del tutto generica e congetturale, sul punto specifico, Ł l’affermazione della Corte di appello, laddove conclude come NOME COGNOME potesse fruire, comunque, di somme a lui erogate da parte dell’associazione malavitosa, anche all’indomani della sua carcerazione. Il COGNOME, infatti, Ł stato condannato per esser stato intraneo a una associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ed Ł noto il principio di diritto secondo il quale – in punto di partecipazione a tale struttura associativa – l’intervenuto stato di detenzione dell’associato, elidendo la possibilità di questi di proseguire nello svolgimento della comune attività criminale, porti all’interruzione del vincolo associativo, fatta eccezione per la sola ipotesi in cui emergano elementi positivi, in grado di escludere tale dissociazione (Sez. 6, n. 4004 del 29/11/2023, COGNOME, rv. 2895904; Sez. 1, n. 48643 del 10/06/2015, COGNOME, rv. 265386; Sez. 1, n. 48398 del 06/10/2011, COGNOME, rv. 251584).
Nell’avversata ordinanza, però, non vi Ł menzione della sussistenza di elementi concretamente apprezzabili, atti a far reputare persistente l’inserimento del soggetto – all’indomani della restrizione carceraria – in una struttura associativa. L’affermazione circa la possibile erogazione di somme, da parte di non meglio individuati appartenenti al sodalizio in relazione al quale Ł intervenuta condanna, dunque, Ł di tenore vago e quasi tautologico, essendo restata essa sfornita di dati fattuali idonei a supportarla.
3.3. La difesa ha sottolineato, inoltre, trattarsi di gioielli in gran parte destinati all’utilizzo da parte di una persona di sesso femminile, come ad esempio può dirsi per l’orologio di marca Rolex; sul punto, la Corte di appello si limita genericamente a richiamare ‘le precedenti considerazioni’, senza però dialogare con il contenuto specifico dell’osservazione difensiva. Trattasi, pertanto, di una motivazione che rimane scarsamente significativa.
3.4. Ha rappresentato la difesa, poi, come l’orologio di marca RAGIONE_SOCIALE sia stato messo in commercio nell’anno 2014, ossia in un periodo in cui NOME COGNOME si trovava già da tempo detenuto. Ciò comporta, secondo logica, che al relativo acquisto non possa aver proceduto il condannato personalmente; resta intonso, quindi, il tema del nesso che possa ricollegare quest’ultimo all’oggetto. E anche sul punto, la risposta sussunta nell’impugnata ordinanza Ł sostanzialmente tautologica.
3.5. Carente Ł anche la motivazione adottata dalla Corte di appello, quanto al tema della residenza formale di NOME COGNOME. Vero infatti che, formalmente, questi aveva aveva mantenuto la residenza presso l’abitazione dei genitori; vero però che era sposato e che la consorte aveva concluso un contratto di affitto, relativo ad altro appartamento.
3.6. Sostiene la difesa, infine, che la sentenza unita all’incarto processuale, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova, dimostri come NOME COGNOME e la
moglie NOME COGNOME non fossero affatto separati; anche con questo tema, pertanto, sarebbe stato necessario un maggiore confronto, da parte della Corte di appello.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone l’annullamento dell’impugnato provvedimento, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Cagliari Sezione distaccata di Sassari.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Cagliari Sezione Distaccata di Sassari
Così Ł deciso, 13/11/2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME