Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22576 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22576 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Marocco il 29.04.2001, avverso la sentenza del 11.06.2024 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla confisca, con rinvio per nuovo esame e con rigetto del ricorso nel resto; letta la memoria trasmessa dal difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME il quale ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’11 giugno 2024, la Corte di appello di Firenze confermava la decisione emessa il 16 ottobre 2023 dal G.U.P. del Tribunale di Pistoia, con la quale NOME riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale, era stato condannato alla pena di anni 4, mesi 8 di reclusione e 30.000 euro di multa, in quanto ritenuto colpevole de l reato di cui all’art . 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, a lui contestato per aver detenuto e trasportato illecitamente, a bordo di un’autovettura di terzi , 11 panetti di hashish del peso lordo di 1,115 kg., una dose di hashish del peso lordo di 0,41 grammi, un sacchetto contenente cocaina per un peso lordo di 29,10 grammi, nonché una dose di cocaina del peso lordo di 0,43 grammi; fatto commesso in Montecatini Terme il 19 aprile 2023. È stata parimenti confermata la confisca dei beni in sequestro, tra cui la somma di 510,00 euro.
Avverso la sentenza della Corte di appello toscana, COGNOME tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa contesta la mancata qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, c omma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, evidenziando che i giudici di appello si sarebbero limitati a valutare esclusivamente il dato ponderale delle sostanze stupefacenti rinvenute, senza analizzare gli altri parametri individuati dal legislatore e dalla giurisprudenza, quali i mezzi e le modalità della condotta tenuta.
Con il secondo motivo, la difesa censura il giudizio sulla sussistenza della contestata recidiva, sottolineando che i giudici di merito hanno fondato la loro valutazione esclusivamente sulla lettura del casellario giudiziale, omettendo di considerare che i due precedenti penali a carico dell’imputato riguardavano rispettivamente, un fatto specifico, ma ritenuto di lieve entità, e una condotta minore, per la quale era stata inflitta una pena pecuniaria con decreto penale.
Infine, con il terzo motivo, oggetto di doglianza, sotto il duplice profilo de ll’erronea applicazione dell’art . 240 cod. pen., e del vizio di motivazione, è la statuizione della confisca del denaro, del cellulare e dell’autovettura Clio, non risultando in alcun modo argomentata la sussistenza del nesso di pertinenzialità, non essendosi considerato che i beni erano legittimamente detenuti dall’imputato .
2.1. Con memoria trasmessa il 17 febbraio 2025, l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME ha insistito nell’accoglimento del ricorso, ribadendo in particolare le argomentazioni riferite al primo motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi sono infondati, mentre il terzo è in parte meritevole di accoglimento, da ciò conseguendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione della confisca del denaro in sequestro.
Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che il mancato riconoscimento da parte dei giudici di merito dell’ipotesi di cui all’art. 73 , comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 risulta immune da censure.
Sul punto occorre innanzitutto richiamare il costante orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Rv. 272529 e Sez. 3, n. 6871 del 08/07/2016, dep. 2017, Rv. 269149), secondo cui, in tema di stupefacenti, la valutazione dell’offensività della condotta non deve essere ancorata al solo dato della quantità di volta in volta ceduta, ma deve essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva, avuto riguardo, in particolare, alle concrete capacità di azione del soggetto e alle sue relazioni con il mercato di riferimento, all’entità della droga movimentata i n un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine. Tale approdo interp retativo è stato sviluppato ulteriormente dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076, ricorrente COGNOME con cui si è precisato che la valutazione degli indici di lieve entità elencati dal comma 5 dell’art. 73 deve essere complessiva, il che significa abbandonare l’idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo o escludendo, cioè, la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri. Ma, allo stesso tempo, ciò significa anche che tali indici non devono tutti indistintamente avere segno positivo o negativo, nel senso che il percorso tracciato dal legislatore impone di considerare anche la possibilità che tra gli stessi si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto, anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso, con la conseguenza che anche la maggiore o minore espressività del dato quantitativo deve essere anch ‘ essa determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento.
1.1. Orbene, la Corte di appello si è posta in sintonia con tale impostazione, avendo valorizzat o, in senso ostativo al riconoscimento dell’ipotesi di cui all’ art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, la qualità e il principio attivo della droga rinvenuta nella disponibilità dell’imputato, consistente in 342 grammi di hashish e in 22 grammi di cocaina, da cui erano ricavabili, rispettivamente, 13.500 e 147
dosi medie singole, ciò a conferma del non lieve entità del fatto, rivelando anche la pluralità delle sostanze la disponibilità di significativi canali di rifornimento.
Dunque, a fronte di un apparato argomentativo non manifestamente illogico, non vi è spazio per recepire le censure difensive che, senza peraltro smentire gli elementi fattuali valorizzati dalla sentenza impugnata, prospettano differenti valutazioni di merito, che tuttavia esulano dal perimetro del giudizio di legittimità, dovendosi in tal senso ribadire (cfr. ex multis Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Di qui l’infondatezza della censura difensiva.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi rispetto al secondo motivo.
In via preliminare, occorre richiamare l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419), secondo cui, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un ‘ accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell ‘ esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull ‘ arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all ‘ art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice .
Nel caso di specie, tale valutazione, pur nella sua estrema sintesi, può ritenersi adeguatamente compiuta dalla Corte territoriale, che ha confermato il giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche e la contestata recidiva reiterata, specifica infraquinquennale, valorizzando ragionevolmente (pag. 4 della sentenza gravata) i due precedenti penali a carico dell’imputato , di cui uno specifico e recente (fatti del 2020, con condanna a 1 anno, 6 mesi di reclusione ed euro 2.500 di multa), e quindi idoneo a qualificare come incrementata la pericolosità sociale dell’imputato , confermata dall’ulteriore e ravvicinato episodio per cui si procede. Anche in tal caso, in presenza di considerazioni non irrazionali, non vi è dunque spazio per l’accoglimento delle obiezioni difensive, finalizzate a sollecitare di versi apprezzamenti di merito, che tuttavia non sono consentiti in questa sede.
E’ invece in parte fondato il terzo motivo.
La statuizione sulla confisca del denaro, invero, risulta non adeguatamente motivata, essendosi la Corte di appello limitata a qualificare i beni in sequestro come ‘oggetti pertinenti al reato’ e come tali suscetti bili di confisca. Ora, premesso che rispetto all’auto vettura e al cellulare non risulta dimostrata, almeno in questa sede, la legittimazione del ricorrente, che non ha provato di essere proprietario dei beni, deve osservarsi che la confisca della somma di 510 euro, certamente sequestrata in danno de ll’imputato , non si sottrae alle censure difensive.
Ed invero la contestazione per cui si è proceduto ha ad oggetto una condotta non di cessione, ma di detenzione illecita di stupefacenti, il che, come rilevato correttamente rilevato dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, avrebbe imposto un ben diverso onere motivazionale, dovendosi in tal senso richiamare l ‘ affermazione di questa Corte, secondo cui, in relazione al reato di illecita detenzione di stupefacenti, il denaro rinvenuto nella disponibilità dell’imputato può essere sottoposto a confisca o nelle ipotesi, di non agevole verificazione, in cui lo stesso costituisca il prodotto o il profitto del reato (confisca facoltativa ex art. 240, comma 1, cod. pen.), oppure il prezzo del reato (confisca obbligatoria ex art. 240, comma 2, cod. pen.), ovvero nel caso in cui ricorrano le condizioni previste all’art. 240 bis cod. pen., applicabile in ragione del rinvio operato dall’art. 85 bis del d.P.R. n. 309 del 1990 (cfr. Sez. 4, n. 20130 del 19/04/2022, Rv. 283248). In particolare, l’art. 240 bis cod. pen., norma introdotta dall’art. 6 comma 1 del d. lgs. n. 21 del 2018, prevede che, nei casi di condanna o di applicazione di pena concordata relative a una pluralità di reati espressamente richiamati nel comma 1, è sempre ordinata la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità, di cui l’imputato non può giustificare la prov enienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria attività economica, precisandosi che il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge, mentre il comma due dispone che, quando non è possibile procedere alla confisca ai sensi del comma uno, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni o altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo abbia la disponibilità. Dunque, nell’ipotesi ordinaria di cui al comma 1, l’obbligatorietà della confisca è riferita ai beni di cui l’imputato non possa giustificare la provenienza e che si rivelino sproporzionati rispetto al suo reddito e alla sua attività economica, trattandosi di due aspetti che richiedono un’adeguata valutazione da parte del giudice, anche rispetto alle eventuali allegazioni fornite dal diretto interessato.
3.1. Tale valutazione è del tutto mancata nel caso di specie, non risultando peraltro neanche specificato in base a quale norma (art. 240, comma 1, art. 240, comma 2 o art. 240 bis cod. pen.) sia stata operata la confisca del denaro (e degli altri beni), confisca che, in qualunque ipotesi sia ricondotta, avrebbe dovuto essere adeguatamente argomentata con considerazioni ancorate al caso di specie.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente al punto concernente la confisca del denaro, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze. Nel resto il ricorso di NOME deve essere invece rigettato, risultando pertanto irrevocabile, a prescindere dalle successive valutazioni di merito circa la statuizione sulla confisca del denaro, il giudizio sulla sussistenza del reato per cui è intervenuta condanna.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la confisca del denaro, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 25.02.2025