Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8905 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8905 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Bielorussia il 17/10/1998
avverso la sentenza del 24/09/2024 del G.i.p. del Tribunale di Salerno visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria redatta dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla confisca del denaro, l’inammissibilità del ricorso nel resto;
letta la memoria del difensore, avv. NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, il G.i.p. del Tribunale di Salerno, previa riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 dd 1990, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. ha applicato a NOME COGNOME la pena di un anno e sei mesi di reclusione e di 4.000 euro di multa, disponendo altresì, ai sensi dell’art. 240 cod. pen., la confisca del denaro in sequestro.
Avverso l’indicata sentenza, l’imputo, per il ministero del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, che deducono:
2.1. il vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto alla corretta quantificazione della pena, che si discosta dal minimo edittale, così come privo di motivazione è l’aumento per la continuazione;
2.2. il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione alla confisca di somme di denaro per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, trattandosi di un’ipotesi di mera detenzione dello stupefacente e non di vendita, sicché la somma sequestrata non può costituire profitto del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato in relazione al secondo motivo.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, perché generico e perché propone doglianze non consentite dalla legge.
2.1. Ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti è ricorribile per cassazione soltanto per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica e all’illegalità della pena.
Tuttavia, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, sicché è inammissibile l’impugnazione che denunci, in modo aspecifico e non autosufficiente, una violazione di legge non immediatamente evincibile dal tenore dei capi di imputazione e dalla motivazione della sentenza (Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, Rv. 283023).
2.2. Nel caso in esame, la doglianza relativa alla qualificazione del fatto è del tutto assertiva – e dunque generica -, limitandosi a una contestazione priva di qualsivoglia argomentazione, anche considerando che, in accoglimento della proposta avanzata dalle parti, il Tribunale ha riqualificato il fatto, originariamente contestato come violazione del comma 1 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, ai sensi della meno grave ipotesi di cui al comma 5.
2.3. Le residue doglianza, relative alla misura della pena, sono parimenti inammissibili.
A prescindere dalle censure sulla motivazione degli aumenti per la continuazione, che sono stati espressamente esclusi dalla sentenza impugnata (p. 3) stante l’avvenuta riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, sul corretto presupposto che la detenzione nel medesimo contesto di sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076-02), la pena è stata applicata secondo l’accordo intervenuto tra le parti, e non ricorre, né è stata dedotta, alcuna ipotesi di illegalità.
Il secondo motivo di ricorso è fondato per i motivi e nei limiti di seguito indicati.
Preliminarmente, va rilevato che è ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento in relazione al caso relativo alla confisca, trattandosi di misura di sicurezza che non rientra nell’accordo tra le parti e che, quindi, si sottrae ai limiti di deducibilità ex art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, Rv. 279348-03).
Quanto al merito, si osserva che, per costante e uniforme giurisprudenza di questa Corte di legittimità, in relazione al reato di illecita detenzione d sostanze stupefacenti previsto dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, può procedersi alla confisca del denaro trovato in possesso dell’imputato soltanto quando sussiste un nesso di pertinenzialità fra questo e l’attività illecita di cessione contestata; ne consegue che non sono confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscono il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga e sono destinate ad ulteriori acquisti della medesima sostanza, non potendo le stesse qualificarsi né come “strumento”, né quale “prodotto”, “profitto” o “prezzo” del reato (cfr. Sez. 6, n. 55852 del 17/10/2017, COGNOME, Rv. 272204).
Nel caso di specie, il Tribunale non ha fatto buon governo del principio appena evocato, avendo motivato la confisca valorizzando l’illecita provenienza
della somma – sequestrata addosso all’imputato unitamente a numerosi dosi di sostanza stupefacente di diverso tipo e considerando lo stato di disoccupazione del Sabatino, nonché la mancanza di spiegazione in ordine a una lecita provenienza del denaro – e, quindi, ritenendo il denaro il profitto di pregresse – e qui non contestate – cessioni di sostanza stupefacente.
Nondimeno, si osserva che, per effetto della modifica apportata all’art. 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 dall’art. 4, comma 3-bis d.l. 15 settembre 2023, n. 123, introdotto dalla legge di conversione 13 novembre 2023, n. 159, la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 è stata inclusa fra i delitti presupposto della confisca per sproporzione ex art. 240-bis cod. pen.; si tratta di una norma certamente applicabile al caso in esame, posto che il fatto è stato commesso il 23 giugno 2024, quindi in epoca successiva all’entrata in vigore della modifica appena indicata.
Ne deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio limitatamente al punto concernente la confisca, affinché il G.i.p. del Tribunale di Salerno, in diversa persona fisica, valuti l’eventuale sussistenza dei presupposti della confisca ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la confisca del denaro con rinvio per nuovo giudizio al G.i.p. del Tribunale di Salerno in diversa persona fisica. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Così deciso il 04/02/2025.