Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 45821 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 45821 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/09/2024
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SENTENZA
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sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 14/01/2001
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avverso la sentenza del 04/10/2023 del Tribunale di Busto Arsizio
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 04 ottobre 2023, il Tribunale di Busto Arsizio, per quanto è qui di interesse, ha applicato a NOME COGNOME, ex art. 444 cod. proc. pen., la pena richiesta dalle parti, in relazione al reato di cui agli artt. 110, 81 c pen., 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, così riqualificato il delitto di cessione di sostante stupefacenti contestato al capo 1), e al delitto di cui all’art 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, così riqualificato il reato di detenzione di sostanza stupefacente contestato al capo 2), con confisca e distruzione dello stupefacente in sequestro e confisca del denaro oggetto di vincolo a norma degli artt. 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 240-bis cod. pen.
Avverso l’indicata sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore, affidandosi ad un unico motivo di doglianza.
2.1 La parte, con tale unico motivo di ricorso, deduce la violazione ed erronea applicazione degli artt. 240, 240-bis cod. pen., 85-bis d.P.R. n. 309 del 1990, 444
cod. proc. pen., in relazione agli artt. 448, comma 2-bis, 606, lett. b) e c), cod. proc. pen., con riferimento alla disposta confisca della somma di denaro pari ad euro 39.880,00, asseritamente riconducibile al reato di detenzione di sostanze stupefacenti contestato al capo 2), riqualificato in sentenza nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. Il Tribunale, si assume, non avrebbe potuto procedere alla confisca, difettando i presupposti dell’art. 240, comma primo, cod. pen., e non versandosi nell’ipotesi di cui agli artt. 240-bis cod. pen e 85-bis d.P.R. n. 309 del 1990.
Con requisitoria scritta il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Va premesso che il motivo riguardante la confisca del danaro è in astratto ammissibile in quanto la sentenza di patteggiamento che abbia applicato una misura di sicurezza è ricorribile per cassazione, nei soli limiti di cui all’art. 448, c 2-bis, cod. proc. pen., quando la misura sia stata oggetto dell’accordo tra le parti, il che non è accaduto nel caso che occupa in quanto la confisca non è stata oggetto di accordo ma è stata disposta d’ufficio dal giudice, con la conseguenza, che la sentenza sottoposta al vaglio di questa Corte è ricorribile per vizio di motivazione ai sensi della disciplina generale prevista dall’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, Savin, Rv. 279348).
Nel caso in esame, tuttavia, il ricorso è destituito di fondamento in quanto il Tribunale ha specificamente motivato in ordine alla misura di sicurezza della confisca del denaro, precisando, diversamente da quanto affermato nel ricorso, che essa è stata disposta ai sensi degli artt. 240-bis cod. pen. e 85-bis d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. citato, fattispecie nella quale è stata sussunta la condotta di cessione contestata al capo 1).
3.1 Il Tribunale ha infatti disposto la confisca ai sensi degli artt. 85-bis t.u. stup. e 240-bis cod. pen., motivando l’ablazione del denaro nei seguenti termini: «Segue per legge anche la confisca (obbligatoria in caso di condanna per il reato di cui all’art. 73, comma 4, t. u. stup.) del denaro in sequestro ex art. 85-bis t.u. stup. e 240-bis cod. pen. in quanto gli imputati non ne hanno minimamente giustificato la provenienza (che può dirsi illecita con ogni probabilità essendo il denaro stato ritrovato all’interno dell’area boschiva nella quale gli imputati avevano spacciato sostanze stupefacenti per un prolungato periodo di tempo) e in quanto il suo ammontare (pari addirittura a complessivi euro 39.888,00) risulta del tutto sproporzionato rispetto ai redditi degli imputati (mai indicati da loro
stessi), imputati che peraltro risultano sprovvisti di documenti e senza fissa dimora».
Da tale motivazione risulta che la misura di sicurezza è stata ancorata a due elementi: da un lato, all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, fattispecie nella quale è stata sussunta la condotta di cessione contestata al capo 1 (va anche rilevato che nell’art. 85-bis d.P.R. n. 309 del 1990 è stata soppressa l’esclusione della fattispecie della lieve entità di cui al comma 5 dell’art. 73 cit.); dall’altro, artt. 240-bis e 85-bis d.P.R. n. 309 del 1990.
Viene dunque in rilievo una ipotesi particolare di confisca disposta dal Tribunale, a fronte della riqualificazione del reato di cessione di sostanza stupefacente, sull’assunto che il denaro oggetto della stessa fosse connotato da assente giustificazione circa la sua lecita provenienza, nonchè da sproporzione rispetto al reddito (mai indicato), così elaborando una motivazione adeguata, che tiene conto di dati documentali relativi a tali aspetti. Su tali ragioni della decision il ricorrente non si confronta affatto, così rendendo del tutto inammissibile il ricorso proposto.
4. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere per il ricorrente del pagamento delle spese del procedimento nonché, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1 comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 11 settembre 2024.