Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20335 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20335 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME VASTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/10/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO COGNOME, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla confisca della somma in sequestro;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 ottobre 2023 la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la sentenza pronunciata il 27 gennaio 2022 dal Tribunale di Vasto con la quale NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 per aver detenuto a fini di spaccio gr.11,1323 di hashish (gr.1,299 di THC) – dal quale avrebbero potuto ricavarsi 92 dosi medie singole – e gr. 5,7680 di marijuana (gr.1,046 di THC) dalla quale avrebbero potuto ricavarsi 41 dosi medie singole.
Con la sentenza confermata in appello, COGNOME è stato condanNOME alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi sei di reclusione ed C 1.032,00 di multa senza concessione delle attenuanti generiche. è stata disposta la confisca della somma di C 150,00 rinvenuta nella disponibilità dell’imputato.
COGNOME ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza della Corte di appello per mezzo del difensore di fiducia cui ha conferito apposito mandato.
2.1. Col primo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione quanto all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato. Sottolinea che COGNOME ha giustificato la disponibilità del denaro sostenendo di averlo ricevuto in regalo per i suoi diciotto anni e ricorda che il ricorrente n aveva diretta disponibilità di oggetti idonei a dividere e pesare la sostanza. Se è vero, infatti, che gli operanti sequestrarono un bilancino, è pur vero che questo oggetto era occultato nella sella dello scooter di proprietà del coimputato a bordo del quale COGNOME viaggiava quale passeggero. Il difensore osserva, inoltre, che la quantità di sostanza sequestrata è compatibile con una scorta per uso personale e la sentenza impugnata non ha fornito compiuta motivazione per smentire tale assunto difensivo.
2.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stata ritenuta applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. ancorché una parte della sostanza fosse destinata ad uso personale. In questa situazione – sostiene la difesa – è irragionevole aver ritenuto che il fatto non sia particolarmente tenue facendo riferimento al numero complessivo delle dosi medie singole ricavabili dalla sostanza detenuta. A tal fine, infatti, non si poteva ignorare che la condotta in contestazione riguarda droghe “leggere” e sarebbe stato doveroso tenere conto della personalità dell’imputato che è appena diventato maggiorenne, è incensurato, non è sottoposto ad altri procedimenti penali.
2.3. Col terzo motivo, la difesa lamenta che non siano state applicate le attenuanti generiche per la ritenuta assenza di elementi positivamente valutabili,
senza tenere conto della giovanissima età dell’imputato, del corretto comportamento processuale, della incensuratezza e della modesta entità del fatto avente ad oggetto marijuana e hashish.
2.4. Col quarto motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla confisca della somma di denaro rinvenuta nella disponibilità dell’imputato. Osserva, in particolare, che COGNOME non è accusato di aver ceduto sostanze stupefacenti sicché non può dirsi che il denaro sia provento del reato che gli è stato contestato. Rileva, inoltre, che il ricorrente h giustificato il possesso della somma in sequestro sostenendo di averla ricevuta in regalo pochi giorni prima del fatto, in occasione del diciottesimo compleanno.
Con memoria scritta tempestivamente depositata il Procuratore generale ha chiesto: l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla confisca della somma di denaro in sequestro; la dichiarazione di inammissibilità degli altri motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il quarto motivo è fondato, gli altri non meritano accoglimento.
Col primo motivo il ricorrente invoca una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio e una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova senza confrontarsi in termini specifici con l’iter logico-giuridico seguito dai giudic merito per affermare la responsabilità penale.
La Corte territoriale ha ritenuto che alcune circostanze accertate siano incompatibili con la destinazione della sostanza stupefacente ad uso esclusivamente personale. Ha rilevato, in particolare, che si tratta di sostanze diverse (hashish e marijuana), già confezionate in singoli involucri, dalle quali poteva essere ricavato un numero di dosi medie singole elevato (92 dosi di hashish e 41 dosi di marijuana), tale da far escludere che potesse trattarsi di una scorta.
A fronte di tale motivazione, la difesa osserva che marijuana e hashish contengono il medesimo principio attivo sicché COGNOME poteva consumare indifferentemente l’uno e l’altro tipo di sostanza e sostiene che un consumatore di hashish o marijuana può assumere, ogni volta, anche uno o due grammi di tali sostanze. È doveroso allora ricordare che il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della
sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attent disamina da parte del giudice dell’appello. La Corte di legittimità, infatti chiamata ad un controllo sull’esistenza di una motivazione effettiva, che deve compiere attraverso una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, ma la sua valutazione non può mai sconfinare nel merito (fra le tante, Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, COGNOME, Rv. 270519; Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 261600). Non sono pertanto deducibili, in sede di ricorso per cassazione, censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignora quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo. E sono inammissibili doglianze – come quelle sollevate dal ricorrente – che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spe della valenza probatoria del singolo elemento (in tal senso, di recente, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep.2021, F., Rv. 280601).
Col secondo motivo il ricorrente si duole della mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen.
Come noto, il giudizio sulla tenuità del fatto necessario per poter applicare la causa di esclusione della punibilità prevista da questa norma richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (cfr., per tutte, Sez. U, n. 13681 d 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). In breve, come efficacemente chiarito dal supremo Collegio, (pag. 8 della motivazione della sentenza n.13681/2016) si richiede «una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispeci concreta; e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto». Ai fini della applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., infatti, «non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica. È la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore».
La Corte territoriale ha ritenuto che, nel caso di specie, non fosse possibile valutare particolarmente tenue l’offesa all’interesse giuridico protetto dall’art. 7 d.P.R. n. 309/90 perché con la sostanza detenuta si potevano confezionare in
tutto 133 dosi medie singole e, anche assumendo che una parte di queste dosi fosse destinata ad uso personale, questa motivazione non può essere considerata carente, illogica o contraddittoria.
Ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità particolare tenuità del fatto, «il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’ess effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen. ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti» (Sez. 6, n. 55107 d 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647; Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, COGNOME, Rv. 283044). Nel caso oggetto del presente ricorso, l’offesa arrecata all’interesse protetto è stata valutata significativa per la quantità di dosi potenzialment immesse sul mercato e non è illogico aver considerato tale valutazione preclusiva della concessione del beneficio. Come è stato condivisibilmente affermato, infatti, «ai fini dell’esclusione della causa di non punibilità per particolare ten del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131 bis ritenuto, evidentemente, decisivo» (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678).
4. La Corte di appello ha condiviso la valutazione compiuta dal giudice di primo grado e ha ritenuto che le attenuanti generiche, invocate dalla difesa, non potessero essere riconosciute, non essendovi ragioni per un’ulteriore diminuzione della pena, determinata in misura pari al minimo edittale. Secondo la difesa, così argomentando, la Corte territoriale non ha adempiuto compiutamente al proprio onere di motivazione atteso che gli elementi favorevoli dei quali si sarebbe potuto tenere conto ai fini dell’applicazione dell’art. 62 bis cod. pen. erano numerosi: l’imputato è appena diciottenne, è incensurato, non ha pendenze, deteneva droghe c.d. “leggere”, ha tenuto un corretto comportamento processuale.
Come noto, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicat dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare sufficiente allo scopo (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014; Lule, Rv. 259899). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha rilevato che a fronte di un fatto grave, perché idoneo ad immettere sul mercato 133 dosi medie singole, la pena è stata determinata in misura corrispondente al minimo edittale sicché non v’era ragioen di procedere a
una ulteriore riduzione. La motivazione resiste alle censure del ricorrente perché attribuiscono rilevanza alla gravità del fatto e non è manifestamente illogico far prevalere questo dato sulla giovane età e sull’incensuratezza.
5. Il quarto motivo di ricorso è fondato. La somma di denaro rinvenuta nella disponibilità dell’imputato è stata sottoposta a confisca ai sensi dell’art. 240 cod pen. perché ritenuta profitto di attività di spaccio. Nella sentenza impugnata si legge (pag.3): «COGNOME si trovava, come terzo trasportato, su un motociclo sotto la cui sella era celato un bilancino di precisione ed aveva occultate sulla propria persona sostanze stupefacenti appartenenti a due differenti tipi, già confezionate in singoli involucri, ciò che lascia ragionevolmente supporre che il denaro rinvenuto costituisse profitto dell’attività di cessione a terzi di parte dette sostanze». Così argomentando, la Corte di appello ha sostenuto che il denaro in sequestro sarebbe profitto di condotte illecite pregresse in relazione alle quali non v’è stata affermazione della penale responsabilità. Ha omesso dunque di considerare che l’art. 240 cod. pen. consente la confisca del provento del reato per il quale vi è stata condanna e non del provento di condotte illecite estranee alla declaratoria di responsabilità (Sez. 4, n. 20130 del 19/04/2022, COGNOME, Rv. 283248; Sez. 4, n. 40912 del 19/09/2016, Ka, Rv. 267900; Sez. 2, n. 41778 del 30/09/2015, COGNOME, Rv. 265247).
Per quanto esposto la statuizione della sentenza impugnata con la quale, ai sensi dell’art. 240 cod. pen. è stata disposta la confisca del denaro in sequestro deve essere annullata. L’annullamento deve avvenire senza rinvio perché nel caso di specie, il richiamo all’art. 240 bis cod. pen. contenuto nell’art. 85 bis d.P.R. n. 309/90 non può operare essendo stata contestata la violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90.
6. Come noto l’art. 85 bis d.P.R. n. 309/90 è stato modificato dalla legge 13 novembre 2023 n. 159. Prima di tale modifica la disposizione in esame estendeva l’operatività dell’art. 240 bis cod. pen. ai delitti previsti dall’art. 73 del citato d.P.R. «esclusa la fattispecie di cui al comma 5». Tale limitazione è venuta meno dopo l’entrata in vigore della legge n. 159/2023. Pertanto, a far data dal 15 novembre 2023, la confisca per equivalente è consentita in ogni caso di condanna per violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90.
Il Collegio ritiene che questa nuova disciplina non sia applicabile nel caso oggetto del presente giudizio, ma la ragione di tale inapplicabilità non risiede nel fatto che il reato per cui si procede è stato commesso il 3 ottobre 2020. Ai sensi dell’art. 236, comma 1, n. 2) cod. pen., infatti, la confisca è una misura d sicurezza patrimoniale e la sua applicabilità rispetto al tempo non è soggetta al
principio di irretroattività, ma alle disposizioni contenute nell’art. 200 cod. p (in tal senso, con specifico riferimento all’art. 12 sexies del di. 8 giugno 1992, Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone, Rv. 254698).
6.1. L’art. 200 cod. pen. è stato sempre interpretato nel senso che, mentre non può applicarsi una misura di sicurezza per un fatto che al momento della sua commissione non costituiva reato, è invece possibile tale applicazione per un fatto di reato per il quale originariamente non era prevista la misura. Si è sottolineato, infatti, che il principio di irretroattività della legge penale riguar norme incriminatrici e non le misure di sicurezza, correlate alla situazione di pericolosità.
Nel disciplinare l’applicabilità delle misure di sicurezza rispetto al tempo, legislatore ha previsto: nell’art. 200, comma 1, che le misure di sicurezza siano «regolate dalla legge in vigore nel tempo della loro applicazione»; nell’art. 200, comma 2, che «se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell’esecuzione». L’art. 200, comma 2, però, non è richiamato dall’art. 236 cod. pen.; dunque non si applica alla confisca che, infatti, può essere eseguita senza compiere alcuna valutazione sull’esistenza di una attuale pericolosità sociale, verifica che è richiesta, invece per l’esecuzione delle misure di sicurezza personali.
Come è stato opportunamente sottolineato (Sez. 6, n. 21491 del 16/02/2015, Meluzio, Rv. 263768, pag. 11 della motivazione): il richiamo testuale al tempo di «applicazione» della misura, «implica il riconoscimento della relatività del principio di retroattività, nel senso che esso deve necessariamente confrontarsi con lo stato del procedimento applicativo della misura stessa».
Ne consegue che, con riferimento alla confisca di cui all’art. 240 bis cod. pen., la legge della applicazione è quella in vigore nel momento in cui la confisca viene disposta. Con riferimento alla confisca di prevenzione patrimoniale tale principio è stato decliNOME nel senso che «il tempo di applicazione della misura si identifica necessariamente con quello della decisione di primo grado, anche se negativa, perché l’appello costituisce una fase eventuale in cui viene operato un controllo devolutivo sul provvedimento già emesso» (Sez. 6, n. 21491 del 16/02/2015, Meluzio, Rv. 263768).
6.2. Applicando questi principi al caso in esame si deve osservare che, nel presente procedimento, non è mai stata disposta una confisca ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen. e la sentenza di condanna di primo grado è stata pronunciata il 27 gennaio 2022, prima della modifica dell’art. 85 bis d.P.R. n. 309/90. Pertanto, la circostanza che la violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 sia stata attratta nell’ambito applicativo dell’art. 240 bis cod. pen. non può avere rilevanza nel presente giudizio (cfr. Sez. 6, n. 213 del 22/11/2023,
dep. 2024, NOME, Rv. 285602; Sez. 4, n. 14095 del 20/03/2024, NOME COGNOME, Rv. 286103).
Alla luce delle considerazioni svolte la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per quanto riguarda la confisca della somma in sequestro e tale statuizione deve essere eliminata con restituzione della somma all’avente diritto. Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca del denaro, statuizione che elimina disponendo la restituzione all’avente diritto. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 10 aprile 2024
Il Cons9liere estensore
Il Presidente