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Confisca denaro spaccio: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione conferma la legittimità del sequestro preventivo di 24.900 euro a un indagato per spaccio. Nonostante l’indagato sostenesse l’origine lecita del denaro, la Corte ha ritenuto le prove insufficienti e le modalità di custodia del contante (sottovuoto, nascosto) un forte indizio di provenienza illecita. La sentenza ribadisce che in casi di spaccio, la confisca del denaro è diretta, data la natura fungibile del bene, e l’onere di dimostrare la provenienza lecita ricade sull’indagato quando il quadro indiziario è grave.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca denaro spaccio: quando la provenienza lecita non convince

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2468 del 2024, ha affrontato un tema cruciale in materia di reati di droga: la confisca denaro spaccio. Il caso riguarda il sequestro preventivo di una somma ingente di denaro, quasi 25.000 euro, trovata in possesso di un soggetto indagato per traffico di stupefacenti. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’indagato, confermando il provvedimento di sequestro e fornendo importanti chiarimenti sull’onere della prova riguardo la provenienza lecita delle somme.

I fatti di causa

Durante un’indagine per traffico di sostanze stupefacenti, le forze dell’ordine hanno eseguito una perquisizione presso l’abitazione della madre dell’indagato. All’interno di un armadio nella camera della sorella, è stata rinvenuta una sacca contenente 24.900 euro in contanti. Il denaro era suddiviso in cinque pacchetti sigillati sottovuoto. Il Tribunale del Riesame, investito della questione, aveva già rigettato la richiesta di dissequestro presentata dall’indagato, sottolineando come le indagini documentassero un’intensa e continuativa attività di spaccio e come né l’indagato né i suoi complici avessero redditi leciti tali da giustificare l’accumulo di una simile somma.

La linea difensiva: denaro da vendite immobiliari e prelievi

L’indagato ha tentato di giustificare la provenienza del denaro sostenendo che derivasse dalla vendita di due immobili, da numerosi prelievi bancomat e da un canone di locazione. Tuttavia, questa tesi non ha convinto i giudici. Il Tribunale ha infatti osservato che i pagamenti per le vendite immobiliari erano avvenuti tramite metodi tracciabili come bonifici e assegni circolari. La difesa non è riuscita a spiegare in modo credibile perché somme transitate legalmente nel patrimonio familiare sarebbero state successivamente prelevate in contanti, occultate e conservate con modalità così inconsuete.

Le motivazioni della Corte sulla confisca del denaro

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, confermando in toto la logica del provvedimento impugnato. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: il denaro è un bene fungibile. Questo significa che, quando si procede a una confisca denaro spaccio, non è necessario dimostrare che quelle specifiche banconote sequestrate siano le stesse materialmente ricevute dalla vendita della droga.

La confisca del denaro che costituisce il profitto o il prezzo del reato, quando rinvenuto nel patrimonio dell’autore, è sempre da considerarsi ‘diretta’ e non ‘per equivalente’. Di conseguenza, l’allegazione o la prova di un’origine lecita di quella specifica somma non è sufficiente a bloccare il sequestro se il quadro generale degli indizi depone in senso contrario.

Nel caso specifico, la Corte ha valorizzato i seguenti elementi:

1. Gravi indizi di colpevolezza (fumus commisi delicti) per il reato di spaccio, non contestati dalla difesa.
2. Mancanza di redditi leciti in capo all’indagato e ai suoi familiari che potessero giustificare l’accantonamento.
3. Modalità anomale di custodia del denaro: la suddivisione in pacchetti sottovuoto e l’occultamento sono tipici di chi vuole nascondere proventi illeciti.
4. Incoerenza della giustificazione: la spiegazione fornita dall’indagato è apparsa illogica e non provata, soprattutto riguardo al passaggio da transazioni tracciabili a un ingente accumulo di contante nascosto.

La motivazione del Tribunale, secondo la Cassazione, non è stata meramente apparente, ma esauriente, logica e ha tenuto adeguatamente conto delle argomentazioni difensive, smontandole punto per punto.

Conclusioni

La sentenza in commento rafforza un orientamento giurisprudenziale consolidato. In presenza di gravi indizi per reati che generano profitti illeciti, come il traffico di stupefacenti, l’onere di fornire una spiegazione credibile, logica e documentata sulla provenienza lecita di ingenti somme di denaro contante ricade sull’indagato. Le modalità di conservazione del denaro, se anomale e tipiche del mondo criminale, diventano un ulteriore e pesante indizio a carico. La natura fungibile del denaro impedisce di aggirare il sequestro semplicemente affermando che ‘questi soldi sono puliti’, se tutto il contesto investigativo suggerisce il contrario. La decisione si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro.

È possibile sequestrare del denaro se non c’è la prova certa che provenga da un reato specifico?
Sì, è possibile se sussiste un grave quadro indiziario (fumus commisi delicti) circa l’attività illecita che genera profitto (come lo spaccio) e se l’indagato non fornisce una spiegazione credibile e documentata sull’origine lecita del denaro, specialmente se la somma è ingente e conservata in modo anomalo.

Cosa significa che il denaro è un ‘bene fungibile’ ai fini della confisca?
Significa che il denaro è intercambiabile. Pertanto, per procedere alla confisca diretta del profitto di un reato, non è necessario dimostrare che le banconote sequestrate siano le stesse fisicamente incassate dall’attività illecita. Qualsiasi somma di denaro trovata nella disponibilità del reo, fino a concorrenza del profitto illecito, può essere sequestrata.

A chi spetta l’onere di provare l’origine del denaro sequestrato?
Sebbene l’onere della prova spetti generalmente all’accusa, in materia di misure cautelari reali come il sequestro preventivo per reati di spaccio, l’indagato ha l’onere di fornire una giustificazione plausibile e provata dell’origine lecita del denaro, soprattutto di fronte a indizi di colpevolezza e a modalità di detenzione sospette del contante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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