Confisca Denaro Spaccio: La Cassazione Conferma la Linea Dura
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale nella lotta al traffico di stupefacenti: la confisca del denaro proveniente dallo spaccio è una misura sempre applicabile. La Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato, ha consolidato l’orientamento secondo cui i guadagni illeciti derivanti dalla vendita di droga devono essere sottratti alla disponibilità del reo. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.
I fatti di causa
Il caso trae origine da una sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Forlì nei confronti di un soggetto per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. Nello specifico, all’imputato era stata contestata la cessione continuata di cocaina, per un importo di 40 euro a cessione, per un periodo di alcuni mesi. Oltre alla pena detentiva, il giudice di merito aveva disposto la confisca delle somme di denaro considerate profitto del reato. L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione proprio contro quest’ultimo punto della sentenza, contestando la legittimità della misura patrimoniale.
La decisione sulla confisca denaro spaccio
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto le doglianze del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della vicenda, ma si ferma a una valutazione preliminare: il ricorso non possedeva i requisiti di legge per essere esaminato. La conseguenza diretta dell’inammissibilità, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, in questo caso quantificata in tremila euro.
Le motivazioni
Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Corte ha giustificato la piena legittimità della confisca. I giudici hanno chiarito che l’art. 73, comma 7-bis, del d.P.R. 309/1990 richiama espressamente l’art. 240 del codice penale. Quest’ultima norma prevede la confisca obbligatoria delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato.
Nel contesto dello spaccio di droga, il denaro ricevuto in cambio della sostanza stupefacente rappresenta in modo diretto il “prodotto” o il “profitto” dell’attività illecita. La Corte sottolinea come il vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla commissione del reato di spaccio debba essere sottratto al reo. Questo principio, già consolidato in precedenti pronunce, trova piena applicazione nel caso di specie. La confisca del denaro, pertanto, non è una misura accessoria discrezionale, ma una conseguenza diretta e obbligatoria della condanna per questo tipo di reato. La decisione di confiscare le somme derivanti dalle cessioni di cocaina contestate era, quindi, giuridicamente corretta e non poteva essere messa in discussione.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame conferma con fermezza che chiunque tragga un profitto economico dalla vendita di stupefacenti è destinato a vederlo confiscato dallo Stato. Questa decisione rafforza gli strumenti a disposizione della magistratura per colpire i reati di droga non solo dal punto di vista della libertà personale, ma anche sotto il profilo patrimoniale. L’obiettivo è duplice: privare i criminali delle risorse economiche per continuare le loro attività illecite e riaffermare il principio che nessun guadagno derivante da un reato può essere considerato legittimo. Per i cittadini, questo si traduce in una maggiore efficacia dell’azione repressiva dello Stato contro un fenomeno criminale particolarmente dannoso per la società.
È possibile confiscare il denaro ricavato dalla vendita di sostanze stupefacenti?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che è ammessa la confisca del denaro che costituisce il prodotto o il profitto del reato di spaccio, in quanto rappresenta il vantaggio economico diretto ottenuto dalla commissione del reato.
Qual è il fondamento normativo per la confisca dei proventi dello spaccio?
La base giuridica è l’art. 240 del codice penale, espressamente richiamato dall’art. 73, comma 7-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990 (Testo Unico Stupefacenti).
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo quanto previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46465 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46465 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME (CUI: CODICE_FISCALE nato il 05/11/1995
avverso la sentenza del 18/10/2023 del TRIBUNALE di FORLI’
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
n. 69/RG 22567
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.NOME COGNOME impugna la sentenza in epigrafe indicata che lo ha condannato per i delitti di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990;
La sentenza impugnata ha applicato al ricorrente la confisca, ai sensi dell’art. 240 cod. pen., in relazione ai reati sub a) e c) in cui è contestata la cessione di stupefacenti a COGNOME al prezzo di C 40 per mezzo grammo di cocaina ogni due giorni (dall’agosto all’ottobre 2023).
L’art. 240 cod. pen., espressamente richiamato dall’art. 73, comma 7-bis, d.P.R. n. 309 del 1990, prevede la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, dato vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla sua commissione.
È dunque certamente ammessa la confisca del denaro provento della vendita di sostanze stupefacenti quando si tratti del reato per cui si procede (Sez. 3, n. 34609 del 17 maggio 2022, COGNOME, non massimata e Sez. 6, n. 55852 di 17/10/2017, COGNOME, Rv. 272204), come avvenuto nella specie con i capi a) e c).
Rilevato che all’inammissibilità del ricorso conseguono le pronunce di cui all’art. 616 cod proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 novembre 2024
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