Confisca Denaro da Spaccio: Legittima Anche su Base Indiziaria
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 26819 del 2024, ha affrontato un tema di grande rilevanza pratica: la confisca denaro sequestrato a un soggetto condannato per spaccio di stupefacenti. La pronuncia chiarisce come, anche in assenza di una prova diretta che colleghi ogni singola banconota all’attività illecita, la confisca possa essere disposta sulla base di un solido quadro indiziario che ne dimostri la provenienza criminale.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine da una sentenza del Tribunale di Spoleto, emessa a seguito di un accordo tra le parti (patteggiamento). L’imputato era stato condannato per il reato di illecita detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, nello specifico cocaina. Oltre alla pena detentiva e pecuniaria, il Tribunale aveva disposto la confisca di una somma di 8.415,00 euro, rinvenuta in contanti presso l’abitazione dell’uomo, ritenendola profitto dell’attività di spaccio.
Il Ricorso in Cassazione: La Difesa dell’Imputato
L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione contestando esclusivamente la misura della confisca. La difesa sosteneva una violazione di legge e un vizio di motivazione, argomentando che il Tribunale avesse erroneamente presunto che il denaro fosse provento dello spaccio, senza fornire una prova concreta di tale nesso di causalità.
La Decisione della Cassazione sulla confisca denaro
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo i giudici, il motivo di ricorso era stato formulato in maniera troppo generica, senza confrontarsi in modo critico e puntuale con la logica e coerente motivazione della sentenza impugnata. La Corte ha quindi confermato la decisione del Tribunale, condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Le Motivazioni
Il cuore della decisione risiede nel ragionamento logico-deduttivo seguito sia dal Tribunale che dalla Cassazione per giustificare la confisca denaro. La sentenza impugnata aveva specificamente evidenziato una serie di elementi fattuali che, letti nel loro complesso, rendevano inverosimile un’origine lecita della somma. In particolare, è stato accertato che l’imputato:
1. Si trovava in Italia da soli due mesi al momento dei fatti.
2. Era privo di qualsiasi occupazione lavorativa documentata.
3. Non aveva legami stabili con il territorio italiano che potessero giustificare il possesso di tale somma.
Di fronte a questo quadro, il giudice ha concluso che la consistente somma di denaro contante (oltre 8.000 euro), trovata nella sua disponibilità, non poteva che derivare dall’unica attività redditizia accertata: lo spaccio di cocaina. La motivazione non si basa su una presunzione, ma su un’inferenza logica basata su prove concrete. La Cassazione ha ritenuto questo ragionamento pienamente corretto e immune da vizi, ribadendo che la prova del nesso tra il bene e il reato può essere raggiunta anche attraverso elementi indiziari, purché gravi, precisi e concordanti.
Le Conclusioni
Questa sentenza riafferma un principio fondamentale in materia di misure patrimoniali: per disporre la confisca del profitto di un reato, non è sempre necessaria la prova diretta e atomistica della provenienza di ogni singolo euro. È sufficiente che il giudice, attraverso una valutazione complessiva e logica degli elementi a sua disposizione, possa ragionevolmente concludere che i beni in sequestro siano il frutto dell’attività illecita. Il provvedimento ha importanti implicazioni pratiche, rafforzando gli strumenti a disposizione dello Stato per colpire i patrimoni di origine criminale, soprattutto in contesti, come quello dello spaccio, dove la tracciabilità dei flussi di denaro è spesso difficile.
È possibile confiscare del denaro se non c’è la prova diretta che ogni singola banconota provenga da un’attività illecita?
Sì, la sentenza stabilisce che la confisca è legittima quando la provenienza illecita del denaro può essere dedotta logicamente da un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti, come la mancanza di un lavoro e di altre fonti di reddito lecite da parte dell’imputato.
Quali elementi ha considerato il giudice per ritenere il denaro provento di spaccio?
Il giudice ha considerato che l’imputato si trovava in Italia da soli due mesi, non aveva un’occupazione lavorativa né legami stabili con il territorio. Di conseguenza, la consistente somma di denaro contante (8.415,00 euro) trovata in suo possesso non poteva che derivare dall’attività di spaccio per la quale era stato condannato.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico. La difesa non ha contestato in modo specifico e argomentato la logica della motivazione della sentenza di primo grado, limitandosi a una contestazione generale che non ha scalfito la coerenza del ragionamento del giudice.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26819 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26819 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/09/2023 del TRIBUNALE di SPOLETO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Tribunale di Spoleto il 30.9.2023 ha applicato ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. a Frroku Orgen la pena concordata con il P.M. in relazione al reato di illecita detenzione e cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, qualificato come violazione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; per quanto in questa sede rileva, ha disposto la confisca del denaro in sequestro.
Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite difensore, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 240 cod. pen., per avere erroneamente ritenuto che il denaro in sequestro costituisse provento dell’attività di spaccio di droga.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
L’unico motivo di censura è stato prospettato in maniera generica e non si confronta con la logica motivazione della sentenza impugnata, che ha specificamente disposto la confisca del denaro in questione sulla scorta delle accertate condotte – commesse dall’imputato – di cessione a terzi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, dalle quali è conseguito un profitto pari alla somma di denaro di euro 8.415,00 rinvenuta in contanti nella abitazione ove dimorava il prevenuto; costui, del resto, come osservato dal giudicante, al momento del fatto si trovava in Italia da soli due mesi e risultava privo di occupazione lavorativa o di legami con il territorio italiano, sicché la consistente somma di denaro trovata in suo possesso non poteva che derivare dall’illecita attività oggetto di imputazione.
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 12 giugno 2024
ere estensore GLYPH Il Cons
Il Presidente