Confisca Denaro: L’Onere della Prova Ricade sull’Imputato
La confisca denaro è una misura ablativa di grande impatto, spesso applicata in contesti di reati legati agli stupefacenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri di legittimità di tale provvedimento e sui limiti del ricorso in sede di legittimità. Il caso analizzato riguarda un soggetto che, condannato per detenzione di sostanze stupefacenti, si è visto confiscare non solo la droga ma anche una somma di denaro, ritenuta profitto di attività illecite.
I Fatti del Caso
Un individuo ricorreva per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di patteggiamento per il reato di detenzione di stupefacenti. L’oggetto principale della contestazione non era la condanna in sé, ma la misura accessoria della confisca di una somma di denaro rinvenuta in suo possesso. Il giudice di primo grado aveva disposto la confisca sulla base degli articoli 240 e 240 bis del codice penale, oltre che dell’articolo 85 bis del Testo Unico Stupefacenti (D.P.R. 309/1990). La motivazione risiedeva nel fatto che l’imputato, risultando nullatenente e disoccupato, non aveva fornito alcuna giustificazione plausibile sulla provenienza lecita del denaro, rendendolo verosimilmente il profitto di precedenti attività di spaccio.
I Motivi del Ricorso e la questione della Confisca Denaro
L’imputato ha basato il suo ricorso su due motivi principali:
1. Violazione dell’art. 240 c.p.: Sosteneva che la confisca fosse illegittima poiché gli era stata contestata la mera detenzione di stupefacenti e non un’attività di spaccio.
2. Vizio di motivazione: Affermava di aver fornito la prova della provenienza lecita della somma, rendendo la motivazione del giudice carente e illogica.
Il ricorrente, in sostanza, cercava di dimostrare che il denaro non era collegato ad attività illecite e che il giudice di merito aveva errato nel non considerare le prove da lui fornite.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti cruciali sulla confisca denaro e sui limiti del giudizio di legittimità. I giudici hanno innanzitutto sottolineato che le doglianze formulate dal ricorrente si collocavano sul piano del merito, ovvero miravano a una rivalutazione dei fatti, attività preclusa alla Corte di Cassazione. Il compito della Corte è infatti quello di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, non di riesaminare le prove.
Nel caso specifico, la motivazione del giudice di primo grado è stata ritenuta congrua e priva di vizi. Il giudice aveva correttamente evidenziato l’incompatibilità tra il possesso di una somma di denaro e la condizione economica dell’imputato (nullatenente e disoccupato), deducendone logicamente la provenienza illecita.
Un punto decisivo è stata la questione della prova. Il ricorrente sosteneva di aver prodotto documentazione attestante l’origine lecita del denaro. Tuttavia, la Corte ha osservato che di tale documentazione non vi era traccia nella sentenza impugnata, né era stata allegata al ricorso. La Cassazione non può consultare gli atti del fascicolo processuale per verificare l’effettiva presentazione di prove, soprattutto quando il ricorso, come in questo caso, è basato su un presunto vizio di motivazione (art. 606, lett. e, c.p.p.) e non su un errore di diritto.
Le Conclusioni
La decisione riafferma un principio fondamentale: in materia di confisca denaro legato a reati di stupefacenti, l’onere di dimostrare la provenienza lecita della somma grava sull’imputato. Se quest’ultimo non fornisce una giustificazione convincente e supportata da prove, e le sue condizioni economiche sono incompatibili con il possesso di tale denaro, la confisca è legittima. Inoltre, l’ordinanza ribadisce che il ricorso per cassazione non è la sede per introdurre nuove valutazioni di fatto o per lamentare la mancata considerazione di prove non correttamente prodotte e documentate nei gradi di merito. La mancata allegazione delle prove al ricorso stesso impedisce alla Suprema Corte qualsiasi verifica, portando all’inammissibilità dell’impugnazione e alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quando può essere disposta la confisca del denaro trovato in possesso di una persona accusata di spaccio?
La confisca del denaro è legittima quando l’imputato non fornisce una giustificazione plausibile sulla sua provenienza e le sue condizioni economiche (es. essere nullatenente e disoccupato) risultano incompatibili con il possesso di tale somma, facendola ritenere verosimilmente profitto di attività illecite.
Cosa deve fare l’imputato per evitare la confisca del denaro?
L’imputato deve fornire prove concrete e documentate che attestino la provenienza lecita della somma di denaro. Tale prova deve essere presentata nel corso del giudizio di merito, poiché non è possibile introdurla per la prima volta in Cassazione.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le contestazioni sollevate non riguardavano violazioni di legge, ma tentavano di ottenere un riesame dei fatti, attività preclusa alla Corte. Inoltre, il ricorrente non ha allegato al ricorso la documentazione che, a suo dire, provava la provenienza lecita del denaro, impedendo alla Corte qualsiasi verifica.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5956 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5956 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOMECUI COGNOME) nato il 12/08/1987
avverso la sentenza del 16/07/2024 del GIUDICE COGNOME PRELIMINARE di COGNOME
el.ate–a3p.4so-.;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., per il reato di cui all’art.73, comma 1, d.P.R.309/19 lamentando, con il primo motivo di ricorso, violazione dell’art. 240 cod. pen. in ordine a confisca del danaro, essendo contestata la mera detenzione di sostanza stupefacente e, con il secondo motivo, vizio della motivazione in ordine alla confisca, avendo il ricorrente fornito pro della provenienza lecita della somma.
Le doglianze formulate esulano dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità collocandosi sul piano del merito. Le determinazioni del giudice di merito in ordine alla confisc sono infatti insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esente da vizi logico-giuridici ed idonea a dar conto delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, il giudice quo ha disposto la confisca ai sensi dell’art. 240 cod. pen. della sostanza stupefacente in sequestro e la confisca del denaro ai sensi degli artt. 240 bis cod. pen. e 85 bis d.P.R.309/1990, trattandosi di una somma di danaro di cui il ricorrente non ha fornito giustificazione in ordi alla provenienza, essendo nullatenente e disoccupato, dunque incompatibile con le sue condizioni economiche e verosimilmente profitto di precedenti cessioni.
Il ricorrente assume di aver prodotto documentazione attestante la legittima provenienza della somma in sequestro. Tuttavia, dalla motivazione delle sentenza impugnata non emerge alcuna presentazione, né il ricorrente ha allegato la suddetta documentazione al ricorso per cassazione o ha allegato prova di averla presentata nel corso del giudizio di merito. La censura quindi si inscrive nell’alveo dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., e non dell’art. 606 let cod. proc. pen., ragion per cui alla Corte di cassazione è preclusa la consultazione degli atti e verifica della effettiva presentazione della suddetta documentazione, essendo la confisca un istituto di carattere sostanziale.
A norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. Sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 20/12/2024
Il consigliere estensore
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Il Presidente