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Confisca denaro da reato: quando il ricorso è nullo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per reati legati agli stupefacenti, confermando la confisca denaro trovato in suo possesso. La Corte ha stabilito che l’appello era generico e manifestamente infondato, poiché la decisione del giudice di primo grado era ben motivata, basandosi sulla connessione tra il denaro e l’attività illecita e sulla mancata dimostrazione, da parte dell’imputato, di una sua provenienza lecita.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca Denaro e Onere della Prova: La Cassazione Fa Chiarezza

La confisca denaro ritenuto provento di attività illecite rappresenta una delle misure più incisive nel contrasto alla criminalità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce principi fondamentali in materia, chiarendo i limiti dei ricorsi e l’onere della prova sulla provenienza lecita delle somme. Analizziamo il caso di un uomo condannato per violazione della legge sugli stupefacenti e il cui ricorso contro la confisca è stato dichiarato inammissibile.

Il Contesto del Ricorso

Un individuo, a seguito di una condanna a quattro anni di reclusione e a una multa di 17.700,00 euro per un reato previsto dall’art. 73, comma 1, del d.P.R. 309/1990, si è visto confiscare una somma di denaro trovata nella sua disponibilità. Ritenendo illegittima tale misura, ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un presunto ‘vizio di motivazione’ da parte del giudice di primo grado. Secondo la difesa, il giudice non avrebbe adeguatamente giustificato le ragioni per cui quel denaro dovesse essere considerato provento dell’attività di spaccio.

La Decisione sulla Confisca Denaro della Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, definendolo ‘generico e manifestamente infondato’. La decisione si basa su due pilastri argomentativi solidi, che meritano un’analisi approfondita.

Genericità e Infondatezza del Motivo

In primo luogo, i giudici hanno osservato che la decisione del Tribunale era, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, specifica e adeguatamente motivata. La motivazione si incentrava su due elementi chiave:
1. La provenienza della somma dall’attività illecita oggetto dell’accertamento penale.
2. La mancata dimostrazione, da parte dell’imputato, di una lecita provenienza del denaro.

La Cassazione ha sottolineato che il ricorso non contestava specifici passaggi logici della sentenza impugnata, ma si limitava a mascherare un tentativo di ottenere una valutazione alternativa dei fatti. Questo tipo di richiesta è inammissibile in sede di legittimità, dove la Corte non può riesaminare il merito della vicenda, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione.

Il Riferimento all’Art. 85-bis d.P.R. 309/1990

La Corte ha inoltre qualificato come manifestamente infondato il vizio di violazione di legge, richiamando l’art. 85-bis dello stesso d.P.R. 309/1990. Questa norma, secondo gli Ermellini, ha una natura ‘meramente ricognitiva’, ovvero si limita a confermare un principio già esistente: l’obbligatorietà della confisca dei beni (‘res’) che costituiscono il provento di un reato in materia di stupefacenti.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte di Cassazione riafferma un principio cardine nel campo della confisca denaro: quando una somma di denaro viene trovata nella disponibilità di un soggetto condannato per un reato che produce proventi illeciti (come lo spaccio), si presume che tale somma derivi da quell’attività. Di conseguenza, l’onere di dimostrare una provenienza lecita e alternativa si sposta sull’imputato. La semplice affermazione di un vizio di motivazione non è sufficiente per ottenere l’annullamento della misura. È necessario che il ricorso individui con precisione le illogicità o le contraddizioni nel ragionamento del giudice di merito, senza limitarsi a proporre una lettura diversa degli elementi fattuali. L’appello è stato giudicato come un tentativo mascherato di rivalutare le prove, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre importanti spunti pratici. Anzitutto, conferma che la lotta ai proventi del crimine passa attraverso una rigorosa applicazione della confisca. In secondo luogo, chiarisce che per contestare efficacemente una tale misura in Cassazione, non basta una generica lamentela, ma è indispensabile un’argomentazione tecnica che metta in luce vizi logici o giuridici specifici della decisione impugnata. Infine, ribadisce che spetta a chi detiene somme di denaro sospette, in un contesto criminale accertato, fornire una prova concreta e credibile della loro origine legale. In assenza di tale prova, la confisca diventa una conseguenza diretta e obbligatoria della condanna.

Perché il ricorso contro la confisca del denaro è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto ‘generico e manifestamente infondato’. La Corte ha stabilito che la motivazione del giudice di merito era adeguata e che il ricorso, invece di denunciare un reale vizio di motivazione, tentava di ottenere una nuova e non consentita valutazione dei fatti.

Cosa significa che un motivo di ricorso è ‘generico e manifestamente infondato’?
Significa che il ricorso non specifica in modo chiaro e preciso quali parti della sentenza impugnata siano errate e perché, limitandosi a una critica generale. Inoltre, è ‘manifestamente infondato’ quando le argomentazioni sono palesemente prive di fondamento giuridico e non hanno alcuna possibilità di essere accolte.

Chi deve provare la provenienza lecita del denaro trovato in possesso di una persona condannata per un reato che genera profitto?
Secondo la decisione, in un contesto dove è accertata un’attività illecita che produce guadagni (come lo spaccio), l’onere di dimostrare la provenienza lecita del denaro trovato in possesso dell’imputato grava su quest’ultimo. La mancata dimostrazione di un’origine legale rafforza la presunzione che il denaro sia il provento del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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