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Confisca del denaro: quando è diretta e quando no

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32546/2025, affronta un caso di frode informatica tramite apparecchi da gioco. Viene confermato il sequestro preventivo di una cospicua somma di denaro, qualificandolo come confisca diretta. La Corte stabilisce che, data la natura fungibile del denaro, la confisca del profitto del reato è sempre diretta, rendendo irrilevante la prova dell’origine lecita delle specifiche banconote sequestrate. Il ricorso dell’imputato viene dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca del Denaro: La Cassazione Chiarisce la Differenza tra Diretta e per Equivalente

La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale n. 32546/2025 offre un’importante delucidazione su un tema cruciale del diritto penale patrimoniale: la confisca del denaro. Quando il denaro sequestrato a un indagato può essere considerato profitto diretto del reato, rendendo inutile ogni tentativo di dimostrarne la provenienza lecita? La Suprema Corte, confermando un orientamento consolidato, ribadisce la natura fungibile del denaro e le sue significative conseguenze procedurali.

I Fatti del Caso: Frode Informatica e Sequestro

Il caso trae origine da un’indagine per il reato di frode informatica (art. 640-ter c.p.). L’indagato era accusato di aver manomesso due apparecchi per videogiochi, inserendo una seconda scheda elettronica. Questo sistema fraudolento era progettato per dirottare una parte delle puntate, eludendo così la tassazione sulle vincite. A seguito delle indagini, il Giudice per le Indagini Preliminari disponeva il sequestro preventivo di una somma di quasi 170.000 euro, rinvenuta in contanti. Il provvedimento veniva confermato anche dal Tribunale del Riesame.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due argomentazioni principali:

1. Vizi Procedurali negli Accertamenti: Si contestava la validità degli accertamenti tecnici svolti sugli apparecchi da gioco, ritenuti ‘irripetibili’ e condotti in assenza dell’indagato. Secondo il ricorrente, il Pubblico Ministero avrebbe dovuto nominare un consulente tecnico invece di delegare le operazioni alla polizia giudiziaria e al personale dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli.
2. Natura del Sequestro: Il ricorrente sosteneva che il sequestro dovesse essere qualificato come ‘per equivalente’ e non ‘diretto’. La difesa argomentava che la natura fungibile del denaro non giustificava automaticamente una confisca diretta. A sostegno di questa tesi, veniva prodotta documentazione per attestare che il denaro trovato nella cassaforte era di provenienza lecita e acquisito in un momento successivo alla presunta commissione del reato.

La qualificazione della confisca del denaro

Il punto centrale del secondo motivo di ricorso era la distinzione tra confisca diretta e per equivalente. Se la confisca fosse stata considerata per equivalente, l’indagato avrebbe potuto chiedere di sostituire il denaro contante con un immobile di sua proprietà, come garanzia.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni della difesa con motivazioni nette e precise.

Sul primo punto, la Corte ha chiarito che le censure relative a una presunta inadeguatezza della motivazione non sono ammissibili nel giudizio di legittimità sui provvedimenti cautelari reali. Inoltre, ha ribadito che gli accertamenti tecnici possono legittimamente essere delegati alla polizia giudiziaria, come previsto dall’art. 370 del codice di procedura penale.

Sul secondo e più rilevante motivo, la Corte ha richiamato il consolidato orientamento delle Sezioni Unite. Il principio chiave è che la confisca del denaro che costituisce profitto o prezzo del reato, quando rinvenuto nel patrimonio dell’autore, va sempre qualificata come diretta. Questo si fonda sulla natura del denaro come bene fungibile per eccellenza: una volta che il profitto illecito entra nel patrimonio del reo, si confonde con le altre disponibilità liquide, perdendo la sua ‘identità’.

Di conseguenza, non è necessario provare che le specifiche banconote sequestrate siano le stesse materialmente provenienti dal delitto. La confisca è diretta perché colpisce l’equivalente monetario del profitto illecito che è entrato nel patrimonio dell’indagato. La prova della provenienza lecita di una specifica somma, quindi, non è sufficiente a superare la presunzione, a meno che non si dimostri l’assenza di un nesso di pertinenzialità tra il bene e il reato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza pratica: chiunque si trovi ad affrontare un sequestro di denaro quale profitto di reato ha un onere probatorio molto arduo da superare. Non basta affermare o documentare che le somme sequestrate derivano da attività lecite (come vendite, stipendi o donazioni). È necessario dimostrare che quel denaro non ha alcun legame con l’incremento patrimoniale generato dall’attività criminale. La mera asserzione, come nel caso di specie, è destinata a rimanere tale e a non scalfire la validità del sequestro. Questa pronuncia ribadisce la linea dura della giurisprudenza nella lotta ai patrimoni di origine illecita, rendendo la confisca del denaro uno strumento efficace e di difficile elusione.

La confisca di una somma di denaro trovata nel patrimonio di un indagato è sempre considerata diretta?
Sì, secondo la Cassazione, la confisca di denaro che costituisce il profitto di un reato è sempre qualificata come diretta, data la natura fungibile del bene. Non è necessario che si tratti delle stesse banconote provenienti dal reato.

È possibile evitare la confisca del denaro dimostrando che è stato guadagnato lecitamente?
No, la sentenza chiarisce che l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro sequestrata non impedisce la confisca diretta, a meno che non si riesca a dimostrare la mancanza di un nesso di pertinenzialità tra quel bene e il reato. La sola affermazione non è sufficiente.

Gli accertamenti tecnici della polizia giudiziaria sono utilizzabili se svolti senza la presenza dell’indagato?
Sì. La Corte ha ribadito che gli accertamenti tecnici, come quelli svolti in questo caso, possono essere validamente delegati alla polizia giudiziaria. Inoltre, le doglianze sulla motivazione di tali atti non sono ammissibili nel giudizio di legittimità su provvedimenti cautelari reali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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