Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32546 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32546 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GALATONE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/04/2025 del TRIBUNALE di LECCE, Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurato Generale NOME COGNOME, che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 11 aprile 2025 il Tribunale di Lecce, Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, confermava l’ordinanza emessa il 12 marzo 2025 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce con la quale era stato disposto nei confronti di COGNOME il sequestro preventiv della somma di euro 167.498,00 in relazione al reato di cui all’art. 640-ter co pen., contestato in relazione all’inserimento all’interno di due apparecchi videogiochi di una seconda scheda destinata a dirottare abusivamente un certo numero di puntate al fine di eludere la tassazione sulle vincite.
Avverso l’ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’COGNOME, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando due motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva violazione degli artt. 125, 191, 240, 321, 359 e 360 cod. proc. pen.
Assumeva che gli accertamenti svolti sugli apparecchi per videogiochi al fine di individuare le puntate sottratte alla tassazione sulle vincite, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, avevano il carattere della irre’pelibilità e pertanto non erano utilizzabili ai fini della valutazione della sussistenza del fumus commissi delicti, in quanto svolti senza la presenza dell’indagato; che il documento informatico era connotato da un’intrinseca fragilità e che nella specie gli operanti avevano avuto la necessità di “forzare” l’ingresso al sistema informatico, ciò che aveva comportato un margine significativo di rischio rispetto all’integrità del sistema medesimo.
Deduceva che in relazione al carattere di ripetibilità o meno degli accertamenti informatici svolti il Tribunale non aveva reso adeguata motivazione, e ciò con particolare riferimento all’indicazione specifica dei detti accertamenti.
Assumeva, inoltre, che, anche a voler sostenere la ripetibilità degli accertamenti svolti, il Pubblico Ministero avrebbe dovuto procedere nelle forme di cui all’art. 359 cod. proc. pen. con la nomina di un consulente tecnico, laddove invece aveva delegato le operazioni alla polizia giudiziaria e a personale dell’RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo deduceva violazione dell’art. 240, comma 2, cod. pen.
Rassegnava che il Tribunale aveva considerato il sequestro preventivo effettuato come funzionale alla confisca diretta, laddove la natura fungibile del denaro non poteva giustificare la qualificazione de plano della natura diretta della confisca, essendo necessario valutare la sussistenza del nesso di pertinenzialità del denaro rispetto al reato.
Deduceva che, pur nella sussistenza di una presunzione di derivazione illecita RAGIONE_SOCIALE somme in sequestro, doveva essere ammessa la prova contraria da parte della difesa, prova che nella specie era stata fornita mediante la produzione di documentazione attestante che il denaro rinvenuto nella cassaforte di pertinenza dell’COGNOME era entrato a far parte del patrimonio dello stesso in epoca successiva alla commissione del reato e per via lecita.
Concludeva sul punto affermando che il sequestro doveva essere considerato come finalizzato alla confisca per equivalente, così che il giudice della cautela avrebbe dovuto esaminare la richiesta dell’COGNOME di convertire il sequestro del denaro contante nel sequestro dell’immobile di sua proprietà.
In data 24 giugno 2025 la difesa della ricorrente depositava conclusioni scritte con le quali replicava alla requisitoria del Procuratore Generale e insisteva nella richiesta di accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile in quanto non consentito.
Ed invero, pur avendo il ricorrente dedotto in rubrica il vizio di violazione di legge, con le argomentazioni dedotte a sostegno della doglianza la difesa ha lamentato l’esistenza di una motivazione non adeguata in relazione alla ritenuta irripetibilità degli accertamenti informatici svolti, vizio di motivazione che, a mente dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., non è consentito.
Quanto all’assunto difensivo secondo il quale nel caso di specie il Pubblico Ministero avrebbe dovuto procedere nelle forme di cui all’art. 359 cod. proc. pen. con la nomina di un consulente tecnico, laddove invece, non correttamente, aveva delegato le operazioni alla polizia giudiziaria e a personale dell’RAGIONE_SOCIALE, osserva la Corte che gli accertamenti tecnici di cui agli artt. 359 e 360 cod. proc. pen. ben possono essere delegati alla polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 370 cod. proc. pen. (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 41124 del 07/09/2023, Cianci, Rv. 285299 – 01).
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Secondo il consolidato orientamento del Giudice di legittimità, espresso di recente dalla Corte nella composizione più autorevole, la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037 – 01).
La Corte, nella medesima composizione, ha anche chiarito, con pronuncia successiva, che la confisca di somme di danaro ha natura diretta soltanto in
presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, mentre, qualora tale nesso di pertinenzialità non sussista, la stessa deve essere considerata come confisca per equivalente, non potendosi far discendere la qualificazione dell’ablazione dalla natura del bene che ne costituisce l’oggetto (in tal senso Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, COGNOME, Rv. 287756 – 02; in motivazione, la Corte ha affermato che il medesimo principio opera in caso di sequestro finalizzato alla confisca, per il quale l’obbligo motivazionale del giudice va modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e agli elementi acquisiti).
Facendo corretta applicazione dei suddetti principi, il Tribunale ha osservato che nella specie la difesa non aveva dimostrato che la somma rinvenuta all’interno della cassaforte fosse il frutto di attività lecita svolta dall’COGNOME osservando che era rimasta a livello di mera asserzione l’affermazione del ricorrente secondo la quale il denaro in sequestro sarebbe stato di provenienza lecita. (“denaro contante custodito dall’indagato in una cassaforte, di cui ovviamente è impossibile tracciarne la provenienza o accertare quando sia pervenuto nel patrimonio dell’indagato”; v. pag. 5 del provvedimento impugnato),
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento.
In virtù RAGIONE_SOCIALE statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
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P.Q.M.
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spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE rn-
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Così deciso il 02/07/2025