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Confisca conto cointestato: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che confermava una confisca su un conto cointestato tra madre e figlio, quest’ultimo condannato per reati fiscali. La Corte ha stabilito che, in caso di confisca conto cointestato, il terzo estraneo al reato può provare la titolarità esclusiva delle somme, superando la presunzione di disponibilità del condannato. Il giudice di merito non aveva adeguatamente valutato le prove fornite dalla madre.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca conto cointestato: onere della prova e tutela del terzo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1770/2025, torna a pronunciarsi su un tema di grande rilevanza pratica: la confisca conto cointestato. Il caso analizzato offre importanti chiarimenti sui diritti del terzo cointestatario, estraneo al reato, e sull’onere della prova relativo alla titolarità esclusiva delle somme. La Suprema Corte stabilisce che la semplice cointestazione non è sufficiente a giustificare la confisca dell’intero importo, se il terzo è in grado di dimostrare che i fondi sono di sua esclusiva provenienza.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da una sentenza di condanna per reati fiscali emessa nei confronti di un uomo. In esecuzione della condanna, veniva disposta una confisca per equivalente su un libretto di risparmio e su buoni fruttiferi cointestati tra il condannato e sua madre, un’anziana vedova. Quest’ultima, ritenendosi l’esclusiva proprietaria delle somme, proponeva un incidente di esecuzione per ottenere la revoca della confisca.

La madre sosteneva che il libretto era stato alimentato esclusivamente con fondi propri, derivanti in parte dalla sua pensione e in parte da un precedente rapporto bancario che aveva con il defunto marito. Il figlio era stato aggiunto come cointestatario unicamente per aiutarla nella gestione delle sue necessità quotidiane.

Inizialmente, il Giudice dell’esecuzione respingeva la richiesta, ritenendo sufficiente la cointestazione a provare la disponibilità delle somme da parte del figlio. Successivamente, in sede di opposizione, lo stesso giudice revocava la confisca solo per gli importi relativi ai ratei pensionistici, mantenendola per il resto. Contro questa decisione, la madre ricorreva in Cassazione.

La decisione della Cassazione sulla confisca del conto cointestato

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della madre, annullando con rinvio l’ordinanza impugnata. La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: sebbene il sequestro o la confisca su un conto cointestato si estendano, in linea di principio, all’intero importo, è sempre fatta salva la facoltà per il terzo cointestatario di dimostrare l’esclusiva titolarità delle somme.

Le motivazioni

I giudici di legittimità hanno censurato l’operato del Giudice dell’esecuzione per diverse ragioni. In primo luogo, il giudice di merito aveva erroneamente ritenuto irrilevante l’accertamento sulla provenienza dei fondi, basandosi unicamente sulla cointestazione per affermare la disponibilità delle somme da parte del figlio condannato. Questo approccio, secondo la Corte, è errato e superficiale.

La Cassazione ha evidenziato come la difesa avesse fornito una serie di riscontri documentali per dimostrare la provenienza lecita ed esclusiva delle somme, che il giudice non aveva adeguatamente considerato. L’ordinanza impugnata era inoltre contraddittoria, poiché da un lato riconosceva la titolarità della madre per le somme pensionistiche, ma dall’altro non spiegava perché lo stesso principio non dovesse applicarsi al resto del capitale, anch’esso riconducibile, secondo la difesa, a fonti lecite della donna.

La Corte ha richiamato un ulteriore principio, secondo cui, in caso di sequestro per equivalente su beni formalmente intestati a un terzo, spetta al pubblico ministero provare la concreta riferibilità e l’effettiva disponibilità di tali beni in capo all’indagato. Il giudice dell’esecuzione, invece, ha ignorato questo onere probatorio, creando un’ingiusta sovrapposizione tra la titolarità formale e la disponibilità effettiva dei fondi.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante conferma della tutela accordata al terzo estraneo al reato in caso di confisca conto cointestato. Viene chiarito che la presunzione di pari disponibilità tra i cointestatari può e deve essere superata da una prova contraria. Il terzo ha il diritto di dimostrare, con documenti e prove concrete, di essere l’unico proprietario delle somme giacenti sul rapporto. Il giudice non può ignorare tali prove, ma deve condurre un’analisi approfondita e motivata sulla reale provenienza e disponibilità dei fondi, evitando automatismi basati sulla sola cointestazione del rapporto bancario.

Cosa succede se viene disposta una confisca su un conto cointestato con una persona estranea al reato?
In linea di principio, la misura cautelare si estende all’intero importo depositato sul conto. Tuttavia, il terzo cointestatario, che è estraneo al reato, ha la facoltà di dimostrare di essere l’esclusivo titolare delle somme, chiedendo così la revoca della confisca.

Chi deve dimostrare la provenienza dei soldi su un conto cointestato in caso di confisca?
L’onere di dimostrare la titolarità esclusiva delle somme ricade sul terzo cointestatario estraneo al reato. Egli deve fornire al giudice prove documentali e concrete che attestino che i fondi derivano da fonti a lui riconducibili e non al condannato.

La semplice cointestazione di un conto è sufficiente a provare che il condannato ne avesse la piena disponibilità?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera cointestazione non è una prova sufficiente della piena disponibilità dei fondi da parte del condannato. È necessario un accertamento concreto che vada oltre la titolarità formale, soprattutto quando il terzo fornisce prove della propria esclusiva proprietà.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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