LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Confisca beni terzo: quando è legittima? Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che per la confisca di beni intestati a un terzo, estraneo ai reati, non è sufficiente la sproporzione tra il suo reddito e il valore del bene. Nel caso specifico, un buono postale intestato a una donna, assolta dal reato di associazione mafiosa per cui era stato condannato il marito, è stato restituito. La Corte ha ribadito che l’accusa ha l’onere di provare, con elementi gravi, precisi e concordanti, che l’intestazione è fittizia e che la disponibilità effettiva del bene appartiene al condannato, non potendosi applicare al terzo la presunzione di illecita provenienza.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca Beni Terzo: La Cassazione Fissa i Paletti sull’Onere della Prova

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 32905 del 2025, offre un’importante chiarificazione sui limiti della confisca beni terzo, ovvero quei beni che, pur essendo intestati a una persona estranea a un reato, si presume siano riconducibili all’attività illecita di un condannato. La Corte ha stabilito principi rigorosi a tutela del terzo, ribadendo che la semplice sproporzione patrimoniale o il legame di parentela con il reo non sono sufficienti per giustificare l’ablazione del bene.

I Fatti del Caso: Un Buono Postale Conteso

Il caso esaminato riguarda la richiesta di confisca di un buono fruttifero postale del valore di 12.500 euro. Il buono era intestato a una donna che era stata definitivamente assolta dalle accuse di associazione mafiosa e autoriciclaggio con la formula “per non aver commesso il fatto”. Tuttavia, suo marito era stato condannato per il medesimo reato associativo, venendo considerato il capo del sodalizio criminale.

Il Pubblico Ministero aveva impugnato la decisione dei giudici di merito di restituire il buono alla donna, sostenendo che esso costituisse il profitto del reato commesso dal marito e che, pertanto, dovesse essere sottoposto a confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240-bis del codice penale. Secondo l’accusa, l’intestazione alla moglie era meramente formale.

La Decisione della Corte: Il Ricorso è Inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero, confermando la restituzione del buono postale alla legittima intestataria. La decisione si fonda su una netta distinzione tra la posizione dell’imputato e quella del terzo estraneo al reato.

Le Motivazioni: L’Onere della Prova nella Confisca Beni Terzo

Il cuore della motivazione della sentenza risiede nella ripartizione dell’onere della prova. La Corte ha spiegato che la presunzione di illecita provenienza dei beni, che scatta in caso di sproporzione tra il patrimonio e il reddito dichiarato, opera esclusivamente nei confronti della persona indagata o condannata per uno dei reati previsti dall’art. 240-bis c.p. (come l’associazione mafiosa).

Questa presunzione, però, non si estende automaticamente ai terzi, neanche se legati da stretti vincoli familiari con il condannato. Quando un bene è intestato a un terzo, la situazione cambia radicalmente: spetta all’accusa (e non al terzo) dimostrare che l’intestazione è fittizia. Per farlo, non basta addurre sospetti o indizi generici come la sproporzione di reddito del terzo. L’accusa deve fornire elementi fattuali gravi, precisi e concordanti che provino in modo inequivocabile la discrepanza tra la titolarità formale del bene e la sua disponibilità effettiva in capo al condannato. In altre parole, deve dimostrare che il terzo ha agito da “prestanome”.

Nel caso di specie, il Pubblico Ministero si era limitato a invocare la condanna del marito e la sproporzione patrimoniale, senza fornire alcuna prova specifica che collegasse il buono postale all’attività criminale del coniuge o che dimostrasse una disponibilità del titolo da parte di quest’ultimo. L’assoluzione piena della donna, inoltre, rafforzava la sua posizione di soggetto estraneo ai fatti, rendendo ancora più stringente l’onere probatorio a carico dell’accusa.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida un importante principio di garanzia a tutela del diritto di proprietà dei terzi estranei a un procedimento penale. La Corte di Cassazione ha voluto evitare automatismi pericolosi, impedendo che i familiari di un condannato possano vedersi spogliati dei loro beni sulla base di mere presunzioni. Per procedere alla confisca beni terzo, è necessaria una prova rigorosa e circostanziata dell’interposizione fittizia, un onere che grava interamente sulla pubblica accusa. La decisione riafferma che il processo penale deve accertare i fatti, non presumere la colpevolezza patrimoniale di chi è estraneo al reato.

È possibile confiscare un bene intestato a una persona assolta se un suo familiare stretto è stato condannato per un grave reato?
Sì, ma solo a condizione che la Procura fornisca prove concrete, gravi e precise che dimostrino che l’intestazione è fittizia e che la disponibilità effettiva del bene appartiene al condannato. L’assoluzione del terzo e il solo legame familiare non sono elementi sufficienti per la confisca.

La sproporzione tra il reddito dichiarato e il valore dei beni è una prova sufficiente per disporre la confisca di un bene intestato a un terzo?
No. Secondo la sentenza, la presunzione legale di illecita provenienza basata sulla sproporzione si applica solo all’imputato o condannato. Per il terzo estraneo, la sproporzione può costituire al massimo un indizio, ma da sola non è sufficiente a provare che l’intestazione sia fittizia.

Quale tipo di prova deve fornire l’accusa per giustificare la confisca beni terzo?
L’accusa ha l’onere di dimostrare, attraverso elementi fattuali specifici e concordanti, che il terzo intestatario si è prestato a fare da “prestanome” al fine di nascondere la reale appartenenza del bene al condannato e salvaguardarlo dal rischio di confisca. Deve provare che la titolarità formale non corrisponde alla disponibilità effettiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati