Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32905 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32905 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE presso la CORTE DI APPELLO DI CATANZARO nel procedimento a carico di COGNOME NOME nata il DATA_NASCITA a LAMEZIA TERME avverso l ‘ordinanza in 11/02/2025 del TRIBUNALE DI CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l ‘ annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata ;
sentito l’avvocato NOME COGNOME che, per delega degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, ha concluso per l’inammissibilità e/o per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro impugna l’ordinanza in data 11/02/2025 del Tribunale di Catanzaro, che ha rigettato
l’appello proposto dallo stesso pubblico ministero avverso l’ordinanza in data 30/09/2024 della Corte di appello di Catanzaro che, avendo assolto NOME COGNOME dai reati di associazione mafiosa (capo 1) e di autoriciclaggio (capo 54), disponeva la restituzione in favore della stessa COGNOME del buono fruttifero postale a lei intestato, dell’importo di € 12.500 ,00.
Con un unico motivo di ricorso il Pubblico Ministero deduce la violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.) in relazione agli artt. 240 cod. pen., 416bis , comma 7, cod. pen., 648quater cod. pen., 240bis cod. pen. e 104 disp. att. cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, il bene in questione è soggetto a confisca obbligatoria, indipendentemente dall’apparente estraneità formale della titolare , costituendo il profitto del reato associativo contestato al capo 1), per il quale è stato condannato il coniuge della COGNOME, tale NOME COGNOME, ritenuto il capo del sodalizio criminoso.
Il pubblico ministero evidenzia, inoltre, la sproporzione tra il reddito dichiarato e il valore dei beni nella disponibilità del nucleo familiare, nonché la discrasia tra titolarità formale e reale appartenenza del buono, richiamando la giurisprudenza di legittimità secondo cui la confisca obbligatoria colpisce anche beni formalmente intestati a terzi, ma sostanzialmente riferibili all’imputato.
Il ricorrente osserva, inoltre, che «se è pur vero che l’imputata è stata assolta in grado di appello per i reati a lei ascritti con sentenza non ancora irrevocabile, tuttavia, del reato di cui al capo 54) l’imputata medesima risponde in concorso con il coniuge COGNOME NOME, che per il reato medesimo è stato condannato anche in appello; ed invero, la formula di assoluzione per COGNOME NOME è ‘per non aver commesso il fatto’ e non perché il fatto non sussiste ». Il pubblico ministero ricorrente osserva ulteriormente che la stessa formula assolutoria è stata pronunciata nei confronti di COGNOME anche per il reato di associazione mafiosa contestato al capo 1).
I difensori di COGNOME hanno fatto pervenire note a confutazione delle argomentazioni esposte dal pubblico ministero, osservando che il titolo è intestato esclusivamente alla loro assistita, la quale ne è la titolare e avente diritto.
A tale proposito evidenziano che, sul sequestro del medesimo bene, si era precedentemente espressa la Corte di cassazione che, con sentenza n. 29118 del 2022, ne aveva già disposta la restituzione all’avente diritto. I difensori rimarcano come nel procedimento non si sia mai dubitato della riconducibilità del bene alla NOME e non al marito. Negano la sussistenza dei requisiti richiesti per la confisca obbligatoria, non trattandosi di un bene intrinsecamente pericoloso né costituisce il profitto del reato associativo addebitato a NOME COGNOME, in quanto il buono postale è riconducibile esclusivamente ad NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Va premesso che il buono postale di cui si discute è pacificamente intestato ad NOME COGNOME, che ne ha la titolarità formale esclusiva.
Risulta altrettanto indiscusso che la stessa è stata assolta sia dal reato di associazione mafiosa contestato al capo 1), sia dal reato di autoriciclaggio contestato al capo 54), così che essa va qualificata come soggetto terzo, estraneo ai reati per cui è stata originariamente disposta la confisca ai sensi dell’art. 240 -bis cod. pen.
Occorre, dunque, verificare se sussistano i presupposti richiesti per disporre la confisca di un bene intestato a un terzo estraneo ai reati, per come sostenuto dal pubblico ministero ricorrente.
1.2. A tale riguardo, questa Corte ha già avuto modo di spiegare che «ai fini dell’operatività della confisca di cui all’art. 240bis cod. pen. nei confronti del terzo estraneo alla commissione di uno dei reati menzionati da detta norma, grava sull’accusa l’onere di provare, in forza di elementi fattuali che si connotino di gravità, precisione e concordanza, l’esistenza della discordanza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, non essendo sufficiente la sola presunzione fondata sulla sproporzione tra valore dei beni intestati e reddito dichiarato dal terzo, atteso che tale presunzione è prevista dall’art. 240bis cod. pen. solo nei confronti dell’imputato» (Sez. 2, n. 37880 del 15/06/2023 , COGNOME, Rv. 285028 -01).
In tale sentenza è stato osservato che «la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui all’art. 12sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, conv. con modif. dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 (ora, di cui all’art. 240bis cod. peri.), non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato a un terzo ma si assume si trovi nella effettiva titolarità della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata. In tale caso, incombe sull’accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che si possa affermare con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca. Il giudice ha, a sua volta, l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario ma anche elementi fattuali che si connotino della gravità, precisione e concordanza, tali da costituire prova indiretta del superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene (Sez. 5, n. 1, n. 3084 del 07/03/2017, COGNOME, Rv. 269711 -01; Sez. 6, n. 49876 del 28/11/2012, COGNOME, Rv. 253957 -01;
Sez. 1, n. 27556 del 27/05/2010, Buompane, Rv. 247722 -01; Sez. 2, n. 3990 del 10/01/2008, Catania, Rv. 239269 -01)» (Sez. 2, n. 37880/2023, cit.).
E ancora: «la prova della titolarità apparente del terzo intestatario – la quale, come si è detto, incombe sulla pubblica accusa – non può essere basata sulla sola mera sproporzione tra il reddito o l’attività economica del terzo e il valore dei beni a lui intestati, atteso che tale raffronto di proporzionalità è previsto dall’art. 240bis cod. pen. con riguardo alla sola posizione dell’indagato o imputato e non alla posizione dei terzi. Con riguardo a quest’ultima posizione, la dimostrazione della discrasia tra la formale titolarità e la reale disponibilità dei beni deve seguire gli ordinari canoni probatori, protesi per l’accertamento di qualsiasi fatto di rilevanza giuridica, i quali sono sganciati dalla presunzione relativa prevista, con riguardo alla sola posizione dell’indagato o imputato, dall’art. 240bis cod. pen. In tale prospettiva, la sperequazione tra le disponibilità del terzo e le sue accumulazioni patrimoniali, lungi dal sancire presunzioni di legge quanto all’illiceità delle stesse accumulazioni, può costituire solo uno dei possibili elementi logici a sostegno dell’asserto accusatorio della natura fittizia dell’intestazione e della sostanziale disponibilità del bene in capo all’indagato o imputato, o, in contrapposizione a tale asserto, un argomento difensivo di segno opposto per superare lo stesso, specie in presenza di collegamenti tra gli interessati, di parentela, affinità o convivenza, che possono favorire, a monte, la dimostrazione della prospettazione accusatoria della natura fittizia dell’intestazione del bene (Sez. 6, n. 49876/2012, cit.; Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone, Rv. 254699-01)» (Sez. 2, n. 37880/2023, cit.).
1.3. Alla luce dei richiamati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità emerge l’ininfluenza ai fini che qui interessano della ‘ sproporzione tra patrimonio posseduto e reddito dichiarato’ da COGNOME AVV_NOTAIO che il pubblico ministero richiama a sostegno della propria impugnazione.
Per come visto, infatti, ai fini della confisca ai sensi dell’art. 240 -bis cod. pen., la sproporzione tra redditi dichiarati e valore dei beni fa insorgere la presunzione della loro illecita provenienza quando tali beni siano intestati e/o nella titolarità del condannato per alcuno dei reati specificamente previsti dalla norma.
Quando, invece, come nel caso in esame, tali beni siano intestati a terzi estranei -come il coniuge e/o i figliincombe sull’accusa l’onere di dimostrare che quei beni -a dispetto della titolarità formale- siano nella effettiva disponibilità dell’autore del reato.
Dimostrazione che deve essere fornita adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario ma anche elementi fattuali che si connotino della gravità, precisione e concordanza, tali da costituire prova indiretta del superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene.
Tanto vale a dire che il pubblico ministero ricorrente avrebbe dovuto spiegare, con riguardo al buono postale in questione, le ragioni della ritenuta
interposizione fittizia, indicando gli elementi fattuali costituenti la prova della riconducibilità a NOME COGNOME della effettiva disponibilità del bene intestato alla moglie.
Nulla è stato dedotto in tal senso dal pubblico ministero, che -oltre alla irrilevante sproporzione di cui si è già detto- si è limitato a evidenziare che NOME COGNOME è stata assolta con la formula per non aver commesso il fatto dai reati di cui al capo 1) e di quello di cui al capo 54), aggiungendo che il bene postale in questione era da considerarsi profitto del reato di associazione per delinquere per cui NOME aveva riportato condanna.
Va, dunque, osservato che la condanna di COGNOME per il reato associativo non si trasmette automaticamente anche alla moglie, che alla luce dell’esito decisorio del giudizio di appello- risulta estranea alla compagine associativa capeggiata dal marito, non potendosi diversamente opinare in ragione della formula assolutoria ‘per non aver commesso il fatto’ .
Tale formula, invero, attesta l’esistenza di un sodalizio criminoso e, al contempo, dichiara che l’imputata ne è estranea, così confermandosi la necessità di fornire la prova fin qui descritta ove si voglia dimostrare che il buono postale costituisca il provento e/o il profitto di un reato associativo non commesso dalla COGNOME.
Quanto all’assoluzione per il reato di cui al capo 54), va osservato che il delitto di autoriciclaggio ivi descritto era stato imputato a COGNOME in concorso con COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Tale unica evenienza, tuttavia, non porta alcun elemento significativo ai fini voluti dal pubblico ministero, visto che nel fatto contestato al capo 54) non si rinviene alcun collegamento con il buono postale in questione.
In tale capo d’imputazione, infatti, si afferma che gli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME, in concorso con COGNOME NOME «sostituivano la somma di euro 3.160,62 provento del delitto di partecipazione alla suddetta associazione mafiosa, fornita in contanti da COGNOME NOME ad NOME NOME, con l’assegno circolare da COGNOME NOME consegnato a COGNOME NOME, apparentemente in pagamento di una fattura per operazione inesistente emessa dall’impresa individuale intestata a COGNOME NOME, moglie di NOME COGNOME, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa ».
Non può che osservarsi come il fatto così descritto non abbia alcun collegamento con il buono postale del valore di euro 12.500,00 di cui si assume la confiscabilità in via obbligatoria, visto che nel capo d’imputazione si fa riferimento a un titolo affatto diverso (un assegno circolare) e a una somma (euro 3.160,62) per nulla coincidente al valore del bene restituito a COGNOME.
A ciò si aggiunga che il pubblico ministero non spiega quale significato probatorio possa attribuirsi all’assoluzione di COGNOME per non aver commesso il fatto
contestato al capo 54), nella prospettiva di dimostrare che il buono postale fruttifero intestato alla COGNOME sia, in realtà, nell’effettiva disponibilità di NOME COGNOME.
Alla luce dei superiori rilievi, il ricorso si mostra aspecifico e, comunque, manifestamente infondato, dal che deriva la sua inammissibilità. La qualità di parte pubblica del ricorrente lo esonera dalla condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 23/09/ 2025 Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME