Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45209 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45209 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI ROMA COGNOME NOME nato a ROMA il 13/12/1975 COGNOME NOME nato a ROMA il 14/05/1979 COGNOME NOME nato a ROMA il 16/09/1976 COGNOME NOME nato a ROMA( ITALIA) il 28/03/1981 COGNOME NOME nato a ROMA( ITALIA) il 16/05/1970 COGNOME NOME nato a ROMA( ITALIA) il 06/04/1973 COGNOMENOME nato a ROMA( ITALIA) il 02/08/1974 COGNOME NOME nato a ROMA( ITALIA) il 14/03/1976 nel procedimento a carico di questi ultimi
avverso il decreto del 26/03/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto, in accoglimento dei ricorsi, l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, con decreto in data 15 ottobre 2020, applicava a NOME COGNOME e NOME COGNOME la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, ritenendo la loro pericolosità ai sensi dell’art. 4, lett. b) e c), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
Disponeva, altresì, la confisca, ai sensi dell’art. 24 stesso decreto, nei confronti dei predetti, di partecipazioni societarie, immobili, denaro, veicoli e preziosi, intestati, fra gli altri, a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
A seguito di appello dei proposti e dei terzi intestatari dei beni, la decisione era confermata dalla Corte di appello di Roma, con decreto del 21 ottobre 2021.
La Corte di cassazione, Sezione 5, con sentenza del 28 settembre 2022, n. 1096, dichiarava inammissibili i ricorsi proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il predetto decreto emesso in sede di appello, mentre lo annullava con rinvio con riguardo alla conferma della confisca avente ad oggetto tutti beni intestati agli altri terzi sopra elencati.
La Corte di appello di Roma, all’esito del conseguente giudizio di rinvio, con decreto in data 26 marzo 2024, confermava in parte qua il decreto di primo grado, fatta eccezione per l’autovettura tg. TARGA_VEICOLO intestata a NOME COGNOME per l’immobile sito a Roma, in INDIRIZZO intestato ad NOME COGNOME e per la quota, pari al 15,56 % del capitale sociale dell’RAGIONE_SOCIALE intestata a NOME COGNOME; beni di cui disponeva la revoca della confisca.
Avverso il decreto della Corte di appello di Roma in data 26 marzo 2024 propongono ricorso per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tramite i rispettivi difensori e procuratori speciali, nonché il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, per i motivi che di seguito si espongono (nei limiti di cui all’art. 173, disp. att. cod. proc. pen.).
NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME tramite comune ricorso affidato ad un unico motivo, lamentano violazione degli artt. 24 e 28 lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, 627, comma 3, cod. proc. pen., e 6 CEDU, nonché dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., per assenza di motivazione.
Il ricorso deduce che il provvedimento impugnato, nel confermare la confisca, non si è attenuto alle direttive in sede di annullamento con rinvio, approntando, come il precedente di secondo grado, una motivazione meramente apparente.
Infatti, ha omesso del tutto di confrontarsi con le allegazioni relative all’assoluzione di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dalle imputazioni dei reati di cui agli artt. 416, 628-ter e 648-bis, cod. pen., riguardanti proprio l’intestazione dei beni oggetto della confisca. Non ha considerato la consulenza della difesa. Ha fondato la decisione sulla sola impossibilità di tracciare le risorse utilizzate per l’acquisto dei beni, sulla base del mero richiamo dell’esito dell’accertamento peritale in appello. Così non ha tenuto conto degli elementi di segno contrario in precedenza emersi, né delle obiezioni svolte dalla difesa nel corso dell’audizione del perito, come rappresentate dalle trascrizioni (allegate al ricorso). Ha proceduto ad elencare le produzioni documentali delle parti, ma non ha mai spiegato perché esse non possano smentire l’esito della perizia.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME lamenta, anch’esso con un unico motivo, violazione dell’art. 24, d.lgs. n. 159 del 2011, e omissione di motivazione.
Deduce che il decreto impugnato, sottraendosi all’obbligo di motivazione nei termini richiesti dalla sentenza di annullamento con rinvio, ha ritenuto riscontrata la ricostruzione accusatoria, facendo solo riferimento alle conclusioni peritali in ordine all’assenza di adeguati e tracciabili redditi in capo ai terzi, per inferirne “automaticamente” – richiamando genericamente i “vincoli di parentela e amicizia” – che l’acquisto di tutti beni derivasse da provviste di provenienza illecita.
In ragione di tale apodittico assunto riferito indistintamente ai terzi, si è incorsi di nuovo nell’omissione – come censurata in sede di legittimità – del reale confronto con la posizione di NOME COGNOME di imputato di reati lucrogenetici, che da anni aveva costituito un proprio nucleo familiare, insieme alla moglie e alle figlie, definitivamente distaccandosi da quello del padre NOME COGNOME.
Circostanza che, del resto, contraddittoriamente ha condotto alla revoca della confisca della quota dell’RAGIONE_SOCIALE intestata al ricorrente.
La difesa, nel prosieguo del ricorso, espone ulteriori censure riferite ai singoli beni oggetto di confisca, rilevando che esse erano state specificatamente mosse in sede appello e, però, come le altre, non hanno ricevuto risposte nel decreto.
L’unico motivo del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME lamenta violazione degli artt. 16, 20 e 24, d. Igs. n. 159 del 2011.
Rileva anch’esso che il decreto impugnato è incorso nella stessa motivazione apparente di quello annullato, con riguardo all’esame dei motivi di appello, poiché si è limitato ad affermare l’incapacità economica di NOME COGNOME senza individuare collegamenti delle risorse impiegate negli acquisti a suo nome con i proventi delle attività illecite attribuite ai fratelli NOME e NOME COGNOME. In tal modo la
decisione, oltre a disattendere le regole in tema di onere probatorio in caso di confisca di prevenzione dei beni intestati a terzi, non si è confrontata con le deduzioni difensive, fra cui quelle in ordine alla risalenza degli acquisti rispetto alla perimetrazione temporale della pericolosità sociale, agli atti di donazione da parte di altri familiari e alla reale posizione assunta da NOME COGNOME rispetto alle operazioni di trasferimento immobiliare. Sicché, è rimasta non spiegata l’origine illecita delle somme impiegate per gli acquisti a nome di NOME COGNOME.
L’unico motivo del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME denunzia violazione degli artt. 16, 20 e 24, d.lgs. n. 159 del 2011.
Deduce che anche il provvedimento impugnato si è fondato su una motivazione apparente. Infatti, la Corte di merito, nel considerare unicamente l’incapacità economica dei Dessì, non ha dato conto di collegamenti dell’acquisto immobiliare a nome della ricorrente, con i proventi delle attività illecite di NOME e NOME COGNOME. In tal modo i Giudici di secondo grado hanno continuato a non considerare le censure difensive rivolte al decreto di primo grado, anzitutto con riguardo al significato attribuibile a quanto effettivamente rimasto accertato nel procedimento penale all’esito del quale la ricorrente aveva riportato condanna. Inoltre, in ragione di quanto sopra, neppure sono state rispettate le regole sull’onere della prova operanti nel caso di confisca di beni intestati a terzi.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME lamenta violazione dell’art. 24, d.lgs. n. 159 del 2011, rilevando che la motivazione del decreto impugnato non ha superato i rilievi mossi in sede di annullamento con rinvio, posto che ha ritenuto di disporre un accertamento peritale a tal riguardo del tutto inconferente.
Difatti, in relazione alla posizione di NOME COGNOME, si trattava di uniformarsi alle regole dell’onere probatorio in tema di accertamento della disponibilità, misurandosi con le doglianze che erano state poste con i motivi di appello, quanto alla disponibilità da parte di NOME COGNOME dei beni intestati alla predetta.
Al riguardo, il decreto riporta solamente apodittiche asserzioni che si aggiungono all’immotivata adesione alle conclusioni peritali circa le indisponibilità economiche, peraltro prive della considerazione degli introiti delle locazioni.
Inoltre, non si è tenuto conto, quanto all’immobile acquistato nel 2005, che la ricorrente allora non era la compagna di NOME COGNOME il quale, come rilevato nel giudizio rescindente, è solamente il figlio di uno dei proposti.
Il ricorso del Pubblico Ministero lamenta violazione di legge con riguardo alla decisione della revoca della confisca della quota (pari al 15,56 °h) del capitale sociale dell’RAGIONE_SOCIALE intestata a NOME COGNOME
Deduce che la Corte di appello, nel disporre tale revoca, non solo non ha correttamente applicato le disposizioni di cui al succitato art. 24 in relazione alla posizione di NOME COGNOME quale figlio del proposto NOME COGNOME ma ha anche approntato una motivazione della decisione meramente apparente.
A ragione, espone che per effetto delle precedenti decisioni, ivi compresa quella impugnata, sono state confiscate tutte le restanti quote del capitale di detta società, intestate a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Tali quote sono state ritenute nella disponibilità di NOME COGNOME anche nel caso dell’intestazione a soggetti a lui legati da rapporti di parentela. La RAGIONE_SOCIALE risulta il socio unico del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la confisca del cui capitale sociale, del pari intestato a NOME COGNOME, è stata anch’essa confermata con il decreto impugnato. Come già rilevato nel decreto di primo grado, l’RAGIONE_SOCIALE circa un mese dopo la sua costituzione (nel giugno 2007), a fronte di un capitale sociale ammontante a soli euro 11.250, aveva disposto di ingenti risorse economiche. Dalle conversazioni intercettate e da altri elementi, tutti pure valorizzati nel decreto di primo grado (e, fra l’altro, alla pag. 95 specificatamente richiamata dal decreto qui impugnato), risultava che NOME COGNOME e i suoi figli (ed in particolare NOME COGNOME) controllavano RAGIONE_SOCIALE e, dunque, le sue iniziative economiche nel quartiere romano Montespaccato.
A fronte di ciò, la revoca della confisca della quota della RAGIONE_SOCIALE intestata al NOME COGNOME non è stata supportata da effettiva motivazione, essendo stati solamente riportati i contenuti della perizia disposta in appello, che, però, correttamente letti, dimostrano, piuttosto, l’assoluta insufficienza delle entrate rispetto alle uscite riferibili all’attività svolte dalla suddetta società.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Tutti i ricorsi debbono ritenersi fondati, per le ragioni di seguito esposte.
Come già ricordato nella sentenza di annullamento della Sezione 5, nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge ai sensi degli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, d. Igs. 159 del 2011. E’, dunque, escluso dal novero dei motivi deducibili in sede di legittimità il vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen.), potendosi solamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello (dagli artt. 7, comma 1, e 10, comma 2, d. Igs. n. 159 del 2011, in combinato disposto con l’art. 125, comma 3,
cod. proc. pen.; Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01; nonché Sez. 5, n. 11325 del 23/09/2019, dep. 2020, COGNOME; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080 – 01; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 257007 – 01). La motivazione del tutto mancante oppure apparente e, dunque, inesistente, è ravvisabile quando essa sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, Rv. 263100 – 01; Sez. 3, n. 11292 del 13/02/2002, Salerno Rv. 221437 – 01). Pertanto, «il vizio di motivazione apparente sussiste … quando il giudice non dia in realtà conto del percorso logico seguito per pervenire alla conclusione che adotta, argomentando per clausole di stile o affermazioni generiche non pertinenti allo specifico caso sottoposto alla sua valutazione» (Sez. 6, n. 31390 del 08/07/2011, COGNOME, Rv. 250686), ossia «allorché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 12 10/11/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 196361 – 01; cfr. pure Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244).
3. Quanto ai ricorsi proposti dai terzi, va premesso che la sentenza della Sezione 5 della Corte di cassazione ha ritenuto la motivazione del decreto in quella sede impugnato solo apparente con riguardo alla decisione sulla confisca dei beni intestati a detti terzi, poiché il provvedimento, pur avendo dato atto della deduzione in sede di appello di specifici argomenti a sostegno della rispettiva disponibilità da parte degli intestatari dei beni, aveva rilevato, in maniera assertiva e generica, che le censure poste erano identiche a quelle confutate nella motivazione di primo grado richiamata per relationem, senza neppure considerare le acquisizioni nel giudizio di appello, di certo non note ai giudici di primo grado.
Già per tali ragioni la risposta ai motivi di appello dei terzi di cui sopra, spettante al giudice di secondo grado, risultava solo apparentemente motivata.
Il restante contenuto del decreto, occupandosi di alcune questioni relative alla disponibilità dei beni intestati ai terzi e alle risorse impiegate per i relativi acquisti risultava ugualmente inidoneo a rappresentare l’esistenza della motivazione.
A tal riguardo la sentenza di annullamento (pagg. 15 e 16) osservava:
«…a proposito di NOME COGNOME vi è un’equiparazione della sua posizione a quella di NOME COGNOME (su cui v. appena infra), senza chiarirne effettivamente le
)
ragioni, ma facendo riferimento al suo rapporto di coniugio con NOME COGNOME (che non è proposto) e al tentativo di mimetizzazione degli investimenti del proposto NOME COGNOME; – per i germani NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono richiamate in maniera del tutto generica le condanne da loro rispettivamente riportate (e per il COGNOME pure un proscioglimento per prescrizione), nel corpo di un’argomentazione cumulativa, nuovamente affermando – senza effettivamente chiarirne le ragioni – che non occorreva esporre i dati presenti nei decreto di primo grado e nella sentenza resa nei loro confronti; – a NOME COGNOME è stato attribuito, unitamente a NOME COGNOME, il ruolo di complice nell’agire illecito del padre NOME con assedi apodittici, richiamando le condanne del primo per reato associativo (che non depone ex se per la riferibilità al padre dei suoi beni) e per altri reati aggravati ex art. 7 203/1991 (invero, trattasi di estorsioni) sempre in maniera generica, senza chiarire in che termini da essi si sia tratto che le sue disponibilità economiche derivino da illeciti del padre (e non invece, in ipotesi, dello stesso NOME COGNOME, cui i beni sono stati confiscati nella qualità di terzo interessato); ancora, con un riferimento sempre apodittico alla «incapienza economica dei figli di NOME COGNOME» e ai differenti elementi (rispetto ad altri soggetti per cui vi è stata revoca del sequestro) relativi alle partecipazione del ricorrente nella AMG COGNOME e nella BRACCIANESE; richiamando pure quanto esposto per i COGNOME e per COGNOME, ossia argomentazioni, come si vedrà appena oltre, pure prive di effettiva capacità dimostrativa; – quanto a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, il decreto di secondo grado si è limitato a menzionare la relazione di consulenza da loro prodotta e – come anticipato – i verbali delle prove (assunte in dibattimento e prodotte da costoro solo in grado di appello); sono stati riportati gli esiti assolutori del procedimento penale instaurato nei loro confronti, deducendone l’irrilevanza nel procedimento di prevenzione senza alcuna argomentazione (con riferimento all’immobile intestato a NOME COGNOME) e senza chiarire in che termini i beni de quíbus fossero stati acquistati mediante le entrate illecite di NOME COGNOME (difatti, pur affermando che in sede penale sarebbe stata comunque acclarata la fittizia intestazione delle quote di cui sono titolari NOME COGNOME e NOME COGNOME, il decreto impugnato ha riportato in parte qua la sentenza in discorso, che ha escluso che esse siano state acquistate con proventi illeciti e le avrebbe ricondotte indistintamente al gruppo criminale facente capo a NOME COGNOME ma non direttamente a quest’ultimo), compiendo un generico richiamo dei dialoghi intercettati (da cui si trarrebbe che le gestione delle società di cui NOME COGNOME era legale rappresentante era riconducibile non solo al proposto NOME COGNOME ma anche al figlio NOME; o con il mero rimando al decreto di primo grado (quanto alla ROMEOS FOOD)». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si tratta, dunque, di questioni da dovere affrontare con un reale approccio argomentativo che possa dare prova dell’effettivo esame dei rilievi difensivi.
L’intero decreto in questa sede impugnato, anzitutto, omette di dar conto dei motivi di appello dei terzi ai quali era tenuto a fornire risposta; né a tale mancanza può sopperire l’esposizione di argomentazioni confutative, cogliendosi essenzialmente negazioni cumulative di rilievi via via solo genericamente citati.
Il contenuto della relazione peritale riportato nel decreto, secondo quanto ivi asserito, dovrebbe assumere rilevanza avuto riguardo all’aspetto della non “tracciabilità” delle risorse necessarie per gli acquisti dei beni, mentre, come evidenziato dai rilievi mossi nella sentenza rescindente, le specifiche questioni, poste con i motivi di appello, si erano principalmente rivolte ad altri profili, afferenti all’onere probatorio gravante sull’accusa nel caso di beni intestati ai terzi.
Quanto a tale onere probatorio, va rammentato che, come rilevato nella requisitoria del Procuratore generale presso questa Corte, in tema di confisca dei beni intestati ai terzi, occorre distinguere i soggetti ai quali fa riferimento la previsione dell’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 (e in precedenza quella di cui all’art. 2-bis, comma terzo, della legge n. 575 del 1965), ossia il coniuge, i figli e coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con il proposto, per i quali la disponibilità dei beni in capo a quest’ultimo può legittimamente ritenersi presunta senza la necessità di altri specifici accertamenti, allorquando risulti l’assenza di risorse economiche proprie dei terzi intestatari (fra le altre, Sez. 1, n. 5184 del 10/11/2015, dep. 2016 ) COGNOME, Rv. 266247 – 01).
L’art. 26, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, prevedendo la fittizietà fino a prova contraria dei trasferimenti e delle intestazioni da parte dei medesimi soggetti di cui sopra e di altri ancora, avvenuti nei due anni precedenti la proposta, ha introdotto un’ulteriore presunzione nel sistema della confisca dei beni intestati ai terzi, che non ha fatto venire meno quella prevista dal succitato art. 19, comma 3, ma, in presenza di certe condizioni temporali, riguarda una più amplia platea di terzi (in motivazione, Sez. U. n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, COGNOME).
Laddove, invece, non possano operare le presunzioni iuris tantum di cui sopra, l’accertamento della disponibilità da parte del proposto dei beni intestati ai terzi, seppure costoro risultino privi di risorse economiche proprie, richiede l’acquisizione si specifici elementi di prova in ordine al carattere fittizio dell’intestazione (da ultimo, Sez. 6, n. 10063 del 11/01/2023, COGNOME, Rv. 284608 – 01).
Tale ultimo principio non risulta smentito dalla sentenza Sez. 5, n. 8984 del 19/01/2022, COGNOME (richiamata nel provvedimento impugnato), poiché l’onere di mera allegazione in capo al terzo, come ivi chiarito, può venire in rilievo una volta e sempre che si sia realizzato il primo necessario passaggio – afferente all’onere invece probatorio gravante in capo alla pubblica accusa – della dimostrazione della scissione tra titolarità formale del bene e impiego delle risorse.
Da quanto sopra discende che l’accertamento dei presupposti della confisca dei beni intestati a terzi si atteggia diversamente a seconda dell’esistenza o meno di rapporti di parentela o di convivenza del terzo con il proposto e dell’epoca delle stesse intestazioni nel caso previsto dall’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011.
Ciò segnatamente con riguardo alla verifica della disponibilità dei beni in capo al proposto, alla stregua del corretto riparto dell’onere probatorio, dell’esistenza o meno di oneri di allegazione in capo al terzo e della stessa rilevanza indicativa dell’assenza o meno di risorse del terzo idonee a giustificare il particolare esborso.
Tanto, tenendo sempre presente che l’accertamento delle risorse del terzo proporzionate all’acquisto costituisce un elemento di valutazione che può anche non valere ad escludere l’interposizione fittizia e l’illecito reimpiego del proposto, allorquando tali presupposti risultino esaustivamente provati da altri elementi.
Ebbene, sotti tali profili, il decreto impugnato non può trovare reali sponde confutative nel mero richiamo del contenuto della relazione peritale, una volta che oltre ad elencare “elementi” posti in valutazione in appello (pag. 9), si limita ad aggiungere solo generiche affermazioni in contesti discorsivi rivolti a tutti i terzi.
Ed infatti, attraverso richiami al decreto di primo grado, fa riferimento a “pluralità di connessioni”, a “vincoli di familiarità e amicizia”, a “rapporti economici per quanto indiretti”, a “funzioni di prestanome”, a “vincoli fiduciari”, senza specificare appropriatamente il terzo intestatario e il preciso acquisto (quanto al bene, alle risorse e all’epoca) che dovrebbero ogni volta venire in considerazione.
Un approccio, quello appena descritto, che tanto più non può valere a rappresentare un effettivo iter motivazionale a fronte di un elevato numero di beni sottoposti a confisca (si rimanda all’elenco alle pagg. 3 e 4 del decreto impugnato) diversamente intestati ai terzi, ciascuno dei quali con una sua posizione rispetto all’accertamento probatorio conformemente alle regole normative sopra illustrate.
In aggiunta a quanto sopra si coglie solo l’accenno a dichiarazioni di NOME COGNOME circa la sua appartenenza del “centro sportivo” e l’affidamento della “gestione fiduciaria” dello stesso a NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Ciò solo però non può rilevare, posto che i Giudici di appello si sono ancora sottratti al confronto con tutti i punti critici specificati in ultimo nella sentenza rescindente, riguardanti anche la posizione dei due suddetti terzi intestatari.
A tutto ciò va aggiunto, quanto alle osservazioni circa la non “tracciabilità” delle risorse impiegate per gli acquisti, secondo quanto sarebbe rappresentato dalla relazione peritale (il cui testo occupa 70 delle 76 pagine dei “motivi della decisione” del decreto), che essa, come rilevato dalla stessa Corte di merito, è stata sottoposta dalla difesa ad osservazioni critiche quanto ai profili ricostruttivi.
Epperò, tali osservazioni, che neppure risultano specificate nei contenuti e con riguardo alle posizioni e ai beni cui potrebbero riferirsi, vengono superate dalla Corte di appello a mezzo di asserzioni ancora una volta generiche e apodittiche, poiché si limitano a rilevare la mancata produzione di «alcun elemento concreto diverso da quelli presenti in atti al fine di fornire elementi di segno contrario rispetto a quelli valutati e acquisti» (pag. 6 del decreto impugnato).
11.Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, con riguardo alla conferma della confisca di tutti i beni intestati ai terzi ricorre, dunque, come eccepito nei loro ricorsi, una motivazione solamente apparente, poiché essa, con riferimento alle (doverose) risposte alle doglianze mosse in sede di appello, risulta o del tutto avulsa dalle risultanze processuali, o connotata da argomentazioni di puro genere, apodittiche e prive di ogni efficacia dimostrativa.
La nullità del decreto che ne consegue, nella parte in cui è stata confermata la confisca dei beni intestati ai terzi ricorrenti, comporta l’assorbimento dell’esame di ogni altra doglianza mossa in questa sede dai medesimi ricorrenti.
Parimenti fondato si rivela il ricorso del Pubblico Ministero, dal momento che la motivazione risulta apparente anche con riguardo alla revoca della quota del capitale sociale dell’RAGIONE_SOCIALE intestata a NOME COGNOME.
Le ragioni di tale decisione dovrebbero risultare dal passaggio del decreto (pag. 82), in cui, facendosi riferimento anche all’acquisto di un’autovettura intestata ad NOME COGNOME, si afferma: «…la perizia ha accertato che le specifiche risorse economiche impiegate per l’acquisto dei beni non erano state messe a disposizione dal proposto ed erano compatibili con le disponibilità dei terzi».
Si tratta di generiche asserzioni che non spiegano come l’accertamento peritale si presterebbe a superare le diverse considerazioni esposte nel decreto di primo grado e richiamate nel ricorso; risultano del tutto inappropriate laddove riferite alla dinamica di investimenti societari; non focalizzano la posizione assunta dall’intestatario figlio del proposto e di conseguenza le regole in tal caso applicabili
con riguardo al riparto dell’onere della prova e alla rilevanza delle risorse del terzo; rimangono avulse dall’intero percorso decisionale riguardante i beni similari.
Ricorrendo, dunque, come dedotto dal Pubblico Ministero, la mera apparenza della motivazione, si impone l’annullamento con rinvio anche per tale decisione.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con riguardo alla disposta confisca nei confronti dei terzi ricorrenti nonché con riferimento alla revoca della misura ablatoria disposta nei confronti di COGNOME COGNOME con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.
Così deciso il 08/11/2024.