Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17822 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17822 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a VENAFRO (ITALIA) il 20/02/1950
NOME COGNOME nato a FRASCATI (ITALIA) il 18/08/1983
NOME COGNOME nato a ROMA (ITALIA) il 23/06/1970
NOME nato a ROMA (ITALIA) il 03/12/1990
COGNOME NOME nato a COLLEFERRO il 30/01/1988
COGNOME NOME nato a CAGLIARI il 23/03/1977
NOME nato il 24/03/1989
NOME nato a ROMA il 28/09/1958
avverso il decreto del 09/03/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette:
la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME che ha chiesto: l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato limitatamente alla confisca delle quote pari al 100% del capitale sociale e degli immobili aziendali della RAGIONE_SOCIALE; il rigetto dei ricorsi di NOME COGNOME di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di
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NOME COGNOME la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
le note di replica presentate dell’avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di NOME COGNOME, ha contestato la fondatezza di quanto rassegnato dal Procuratore generale e ribadito la fondatezza del ricorso (e, anzitutto, del primo motivo);
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del giorno 8 marzo 2024 la Corte di Appello di Roma ha confermato il decreto in data 8 novembre 2021 con il quale il Tribunale di Roma:
ha applicato la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno a NOME COGNOME e NOME COGNOME, per la durata di tre anni (nonché a NOME COGNOME per la durata di due anni);
ha disposto la confisca dei beni ritenuti nella disponibilità dei proposti (segnatamente, l’ablazione di beni immobili, un autoveicolo, la giacenza presente su un conto bancario, preziosi nei confronti di NOME COGNOME; immobili, giacenze bancarie, preziosi nei confronti di NOME COGNOME; immobili, quote sociali e compendi aziendali, giacenze bancarie, un orologio, polizze di pegno e beni oggetto di pegno nei confronti di NOME COGNOME).
Avverso il provvedimento di secondo grado è stato proposto ricorso per cassazione nell’interesse dei proposti NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché dei terzi interessati infra specificati per i motivi di seguito esposti (nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, d. att. cod. proc. pen.).
2.1. Nell’interesse di NOME COGNOME (classe 1950) è stata presentata impugnazione (dall’avvocato NOME COGNOME, prospettando, con un unico motivo, la violazione degli artt. 1, comma 1, lett. b), 4, comma 1, lett. a) e b), 10, 18, 24 e d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159, in relazione all’art. 512-bis cod. pen., in quanto la motivazione sarebbe del tutto contraddittoria e mancante sui presupposti dell’«applicazione della misura di prevenzione nei confronti del proposto nonché sui criteri normativi ai quali è subordinata l’adozione della misura patrimoniale nei confronti dei terzi».
Ad avviso della difesa, l’immobile sito in Roma, INDIRIZZO intestato a NOME COGNOME (classe 2001), acquistato nel 1986 (al prezzo di Lire 70.000.000) quando era un rudere (come dimostrato in giudizio), è stato confiscato poiché si sarebbe erroneamente attribuita al proposto la pericolosità sociale dagli ’80 (del secolo scorso) senza alcuna motivazione, in particolare: non tenendo conto dei provvedimenti con i quali nel tempo è stata rigettata l’applicazione di una misura di prevenzione in relazione allo stesso immobile, non
chiarendo se i reati attribuiti al ricorrente rientrino nel novero di quelli atti a fondarne la pericolosità ed anzi contraddittoriamente attribuendogli il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. da epoca prossima al 2000; non argomentando in alcun modo sulla correlazione temporale tra l’acquisto e la pericolosità; violando le regole sull’onere probatorio in punto di disponibilità della res in capo al proposto e, quindi, dell’asserita e non dimostrata interposizione fittizia; non dimostrandone l’incapacità reddituale rispetto al medesimo acquisto (dato che le verifiche al riguardo non hanno potuto avere riguardo al periodo anteriore al 2000). Ragion per cui la motivazione sarebbe apparente, e dunque resa in violazione di legge, tenuto conto di quanto dedotto con l’atto di appello.
2.2. Nell’interesse del medesimo NOME COGNOME nonché di NOME COGNOME è stato presentato ricorso, con unico atto (dall’avvocato NOME COGNOME.
La difesa ha assunto che: il provvedimento impugnato sarebbe viziato «da un evidente pregiudizio» fondato sull’esito del procedimento penale che ha affermato l’esistenza «di una consorteria mafiosa a nome RAGIONE_SOCIALE, operante a Roma, zona Romanina», nonostante debba dubitarsi che tale area geografica ridotta consenta di ritenere sussistente una societas qualificabile ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen. e nonostante non ricorrano in effetti nella specie i presupposti contemplati da quest’ultima norma (essendosi confusi i rapporti familiari con quelli di carattere mafioso e ricorrendo nella specie più reati posti in esser in concorso, peraltro da «altri COGNOME»); non consterebbe comunque il contributo apportato da NOME COGNOME all’operatività dell’associazione, non potendo ritenersi che la famiglia di quest’ultimo e quella di NOME COGNOME costituiscano un unicum; e difetterebbe l’elemento soggettivo del delitto in capo al COGNOME e ai suoi familiari.
«Quanto a NOME, terza nel procedimento di prevenzione», imputata quale intestataria fittizia di un terreno sito in Roma e gli immobili ivi realizzati, tra cui una villa in INDIRIZZO (nella prospettazione accusatoria di proprietà del fratello NOME), la difesa ha esposto le vicende relative al fondo e alla fabbrica, evidenziando il difetto di elementi per affermare la responsabilità della stessa NOME COGNOME per il reato (anche alla luce del «ruolo subordinato marginale della donna nei clan sinti»); ha assunto che il decreto impugnato si sarebbe limitato a ritenere la sussistenza dell’associazione mafiosa sulla scorta degli insufficienti elementi sopra indicati, in difformità rispetto a quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità; ha negato che nella specie possa attribuirsi a NOME COGNOME la finalità agevolatrice che deve caratterizzare la fittizia intestazione (in particolare, considerato che ella era a conoscenza o in grado di sapere che in due occasioni era stata rigettata la
proposta di applicare al fratello una misura di prevenzione e non si è tenuto in considerazione tale dato né si sono acquisiti i provvedimenti di rigetto); ha riportato di aver chiesto il dissequestro della somma di euro 30.160 («di pertinenza» della stessa terza e «sequestrata molti anni prima della misura di prevenzione adottata nei confronti del fratello e del padre») in ragione della buona fede dimostrata da NOME COGNOMEla quale, ottenutone il dissequestro disposto nel procedimento penale n. 35293/2013 R.G.N.R. nel quale è stata archiviata la sua posizione, l’ha depositata in altro conto corrente ignorando che esso rectius: la relativa giacenza – fosse sottoposto a sequestro), che tale richiesta sarebbe stata rigettata dal Tribunale senza motivare e la Corte di appello avrebbe omesso «il controllo e la decisione in merito».
«Quanto alla posizione della terza NOME COGNOME, moglie e madre dei proposti, imputata della fittizia intestazione al nipote NOME COGNOME (figlio di COGNOME) dell’immobile ubicato in Monterosi, INDIRIZZO, la difesa ha richiamato le considerazioni svolte per l’analoga condotta contestata a NOME COGNOME; ha affermato che nella specie ha avuto luogo una donazione da parte dei nonni in favore del nipote (secondo la «tradizione fortemente maschilista» degli «zingari»), effettuata per atto pubblico, dando conto del prezzo di acquisto del bene e indicando la provvista impiegata; ha dedotto che il Tribunale avrebbe dato per scontata la sussistenza tra i Casamonica e i loro congiunti di una associazione mafiosa (non ricorrendone i presupposti né circonstanziati indizi) e non avrebbe dimostrato che la COGNOME avesse quanto meno il timore che il marito o il figlio potessero essere destinatari di una misura di prevenzione (essendosi pretermesso che il marito, ormai ritiratosi in campagna, non era più da anni sottoposto a misura di prevenzione e che nei confronti del figlio è stata rigettata due volte la proposta di applicazione di essa), difettando in capo a lei il prescritto elemento soggettivo; ancora, ha richiamato le vicende dell’immobile sito in INDIRIZZO, e segnatamente i precedenti provvedimenti di rigetto delle proposte di confisca di esso, evidenziando che non sarebbe dato comprendere cosa sarebbe mutato rispetto al momento dell’emanazione di essi. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Inoltre, sono state nuovamente riportate le vicende dell’immobile sito in INDIRIZZO e della somma sequestrata a NOME COGNOME; si censurata la confisca:
dell’autovettura Fiat TARGA_VEICOLO (targata TARGA_VEICOLO), intestata a NOME COGNOME, poiché non si sarebbe tenuto conto che l’acquisto di essa si colloca nel 2014, il prezzo è stato versato, in atto il proposto NOME COGNOME (padre di NOME) non sarebbe socialmente pericoloso;
dell’immobile ubicato in Monterosi, INDIRIZZO già sopra menzionato e intestato a NOME COGNOME (figlio di COGNOME), ribadendo quanto già esposto.
Infine, si è censurata l’attribuzione di pericolosità sociale a NOME COGNOME (cui la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è stata revocata nel 2011, in un procedimento nel quale non si era disposta la confisca dell’immobile di INDIRIZZO) e NOME COGNOME, alla luce del tempus degli illeciti a loro attribuiti e delle rispettive vicende processuali.
2.3. Nell’interesse di NOME COGNOME (dall’avvocato NOME COGNOME) sono stati presentati due motivi.
2.3.1. Con il primo motivo sono state prospettate la violazione degli artt. 16, 19, 24 e 26 d. Igs. 159/2011, in relazione all’art. 4 dello stesso decreto, nonché l’apparenza della motivazione posta a sostegno dalla confisca dei beni intestati alla ricorrente (l’immobile sito in Roma, INDIRIZZO, un orologio e una giacenza di denaro), secondo i Giudici di merito nella disponibilità del proposto NOME COGNOME (fratello di NOME). La statuizione ablativa sarebbe stata ancorata alla sola entità del reddito dichiarato dal medesimo proposto e dai componenti del suo nucleo familiare, senza trovare alcun riscontro probatorio ed anzi si sarebbe basata su due presupposti erronei, ossia:
la disponibilità in capo a NOME COGNOME del conto corrente sul quale sarebbero transitati gli assegni impiegati per l’acquisto del richiamato immobile (dato che trova smentita in quanto esposto nel decreto di primo grado, che ha attribuito al proposto la disponibilità di un diverso rapporto bancario cointestato con NOME COGNOME);
l’attribuzione a NOME COGNOME del conto corrente intestato alla sorella NOME in quanto da questo sarebbero stati disposti bonifici in favore del primo (nonostante consti che, a valere su tale conto corrente, sia stato disposto un solo bonifico estero per conto di NOME COGNOME, di euro 1.700, nel 2010; ragion per cui non può dirsi adeguatamente motivata la disponibilità in capo a quest’ultimo del conto, sul quale sono state registrate movimentazioni in entrata superiori a euro 140.000 e dal quale sono state tratte nel 2016 le somme per l’acquisto immobiliare).
Inoltre, il decreto impugnato avrebbe affermato che la ricorrente e il fratello sarebbero conviventi (presupposto da cui consegue un regime probatorio deteriore per NOME COGNOME), senza indicare in alcun modo i dati (anagrafici e documentali) su cui ha fondato tale asserto e senza collocare la convivenza nel momento dell’acquisto dell’immobile.
2.3.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 16 d. Igs. 159/2011 e 125 cod. proc. pen., poiché la motivazione della confisca dei
beni mobili sarebbe apparente sotto il profilo della disponibilità di essi in capo a NOME COGNOME. Il decreto impugnato avrebbe reso un’argomentazione indistinta e non riferita a ciascuno dei beni senza specificare se «al momento della disponibilità» del denaro contante o dell’acquisto dell’orologio de quo egli fosse socialmente pericoloso e senza avere riguardo (già in primo grado) all’entità, alla provenienza e all’epoca di cui NOME COGNOME ha avuto la disponibilità del denaro.
2.4. Nell’interesse di NOME COGNOME (dall’avvocato NOME COGNOME) sono stati presentati tre motivi.
2.4.1. Con il primo motivo, in relazione alla confisca dell’immobile sito in Roma, INDIRIZZO è stata denunciata la violazione degli artt. 19, 24 e 26 d. Igs. n. 159 del 2011 e dell’art. 125 cod. proc. pen., in quanto la Corte di merito si sarebbe limitata a riportare quanto esposto nel decreto di primo grado e, in particolare, le considerazioni riguardanti le quote sociali della L.M.A. s.r.l.s. e della G.C.R.C. s.r.l.s. e non il detto immobile, senza tenere conto delle specifiche allegazioni contenute nell’atto di appello, relative alla mancata dimostrazione della disponibilità della res in capo al proposto NOME COGNOME (alla luce degli elementi che deporrebbero per l’effettività dell’acquisto da parte della Filipi e relativi pure alle disponibilità economiche impiegate per la compera), ai periodi di effettiva convivenza tra la ricorrente e lo stesso proposto (fatta risalire dal decreto di primo grado al 2014, in maniera generica, solo sulla scorta della loro contemporanea presenza in loco in occasione di controlli di polizia, non argomentando sulla cessazione del loro rapporto), alla sussistenza della sproporzione reddituale (assunta sulla scorta di mere deduzioni, senza disattendere le allegazioni difensive relative al valore meramente indicativo degli indici ISTAT e all’evasione fiscale che il terzo, a differenza del proposto, può invocare per giustificare il proprio acquisto).
2.4.2. Con il secondo motivo, in relazione alla confisca delle quote sociali e dei compendi aziendali della RAGIONE_SOCIALE e della G.C.R.C. s.r.l.s., sono stati denunciati la violazione degli artt. 512-bis cod. pen., 19, 24 e 26 d. Igs. n. 159 del 2011 e dell’art. 125 e 597 cod. proc. pen. La confisca si fonderebbe sulla commissione da parte di NOME COGNOME nonché di NOME COGNOME in prima persona del delitto di estorsione in danno di NOME e NOME COGNOME (per cui il G.u.p. del Tribunale di Roma ha reso condanna con sentenza del 16 luglio 2021; cfr. capi 51 -bis, 52 -bis, 52 -ter): dunque, nel presente procedimento non potrebbe disporsi l’ablazione di tali beni nei confronti della terza ricorrente. In ogni caso, sul punto (che è stato oggetto di gravame) vi sarebbe un difetto assoluto di motivazione. Parimenti, le doglianze relative alle quote delle medesime società (inerenti alla congruità del prezzo di acquisto del compendio
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immobiliare di San Cesareo, che non sarebbe stato determinato dai rapporti tra NOME COGNOME e NOME COGNOME; alla diretta partecipazione della ricorrente all’acquisizione; alla provenienza lecita della provvista impiegata) sarebbero state disattese con una motivazione apparente.
2.4.3. Con il terzo motivo si è addotto che la Corte territoriale non avrebbe esposto alcuna ragione giustificativa della confisca dei rimanenti beni, estendendo le argomentazioni relative alla RAGIONE_SOCIALE così rendendo una motivazione inesistente.
2.5. Nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME (dall’avvocato NOME COGNOME) sono stati presentati, con un unico atto, cinque motivi.
2.5.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 4 e 16 d. Igs. n. 159 del 2011, adducendo che i ricorrenti, persone offese e danneggiati nel procedimento penale ove si è accertato che sono state vittime di usura ed estorsione, sarebbero stati erroneamente qualificati ai sensi delle norme appena citate.
2.5.3. Con il terzo motivo è stata prospettata sub specie dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. – la violazione dell’art. 27, comma 6, d. Igs. n. 159 del 2011, poiché la Corte di merito si sarebbe pronunciata quando era già
decorso il termine di diciotto mesi dal deposito dell’atto di appello (avvenuto il 21 febbraio 2022).
2.5.4. Con il quarto motivo è stata denunciata la mancata assunzione di una prova decisiva e, segnatamente, della menzionata sentenza n. 2159 del 2024 di questa Corte, depositata dalla difesa nel corso del giudizio di appello, che non sarebbe stata presa in considerazione dal Giudice di secondo grado. In tal modo si sarebbe verificata una compressione del diritto di proprietà tutelato dagli artt. 832 cod. civ. e 42 Cost.
2.5.5. Con il quinto motivo sono stati assunti il vizio di motivazione e la violazione dell’art. 28 d. Igs. n. 159 del 2011, in quanto la Corte di appello avrebbe «dovuto utilizzare lo strumento normativo» contemplato da detta norma e revocare la confisca alla luce della citata sentenza n. 2159 del 2024.
2.6. Nell’interesse di NOME COGNOME (dall’avvocato NOME COGNOME sono stati presentati quattro motivi di ricorso.
2.6.1. Con il primo motivo sono state dedotte la violazione dell’art. 546 cod. proc. pen. e la mancanza della motivazione – ad avviso della difesa, apparente – sulla richiesta (avanzata dal Pubblico ministero già in primo grado) di restituire alla ricorrente le quote della RAGIONE_SOCIALE (cedute a NOME COGNOME), sulla scorta delle medesime argomentazioni esposte nel primo motivo di ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME, in quanto anche NOME COGNOME (ex moglie di NOME COGNOME) avrebbe ceduto i beni de quibus a NOME COGNOME «moglie e sodale del condannato NOME COGNOME».
2.6.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 4 e 16 d. Igs. n. 159 del 2011, sulla scorta delle medesime argomentazioni esposte nel secondo motivo di ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.6.3. Con il terzo motivo è stata prospettata sub specie dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. – la violazione dell’art. 27, comma 6, d. Igs. n. 159 del 2011, nei medesimi termini esposti nel terzo motivo di ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.6.4. Con il quarto motivo è stata denunciata la mancata assunzione di una prova decisiva e, segnatamente, della menzionata sentenza n. 2159 del 2024 di questa Corte, sulla scorta delle medesime argomentazioni esposte nel quarto motivo di ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Ad esse si è aggiunto che l’art. 30 d. Igs. n. 159 del 2011 conterrebbe una lacuna nella parte in cui non prevede che chi subisce un sequestro e una confisca «possa risultare non solo estraneo al procedimento penale di merito» ma possa anche costituirsi parte civile; e che la Corte di appello erroneamente avrebbe affermato che la restituzione della RAGIONE_SOCIALE (recte: delle quote) e degli immobili aziendali a NOME e NOME COGNOME determinerebbe una situazione di privilegio di costoro
(quantunque vittime di delitti commessi dal proposto NOME COGNOME e dalla terza NOME COGNOME a svantaggio dello Stato (che esercita gli strumenti normativi di cui al d. Igs. n. 159 del 2011).
2,6.5. Con il quinto motivo sono stati assunti il vizio di motivazione e la violazione dell’art. 28 d. Igs. n. 159 del 2011, nei medesimi termini esposti nel terzo motivo di ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.7. Nell’interesse di NOME COGNOME (dall’avvocato NOME COGNOME sono stati presentati cinque motivi di ricorso.
2.7.1. Con il primo motivo di ricorso sono state dedotte la violazione degli artt. 179 e 180 cod. proc. pen. nonché l’omessa pronuncia da parte della Corte territoriale in quanto, all’udienza del 21 giugno 2021, il Tribunale di Roma non ha ammesso la costituzione nel procedimento del COGNOME, negandone erroneamente la qualità di terzo (tacendo che egli non era più proprietario dei beni oggetti di sequestro ceduti a NOME COGNOME poiché vittima di estorsione e usura) nonché per il difetto di valida procura speciale (che sarebbe stato sanato); e la Corte di merito non avrebbe argomentato sul punto, senza che possa ravvisarsi una motivazione implicita poiché nulla è stato statuito sulla qualifica di terzo del ricorrente; sussisterebbe pertanto una nullità insanabile.
2.7.2. Con il secondo motivo sono stati assunti la violazione degli artt. 41 e 42 Cost., 1421 ss. cod. civ. e l’«abuso di potere», adducendo che NOME COGNOME sarebbe un terzo di buona fede, come acclarato nel giudizio penale nel quale si è costituito parte civile, all’esito del quale è divenuta definitiva la declaratoria di nullità (disposta dal G.u.p. del Tribunale di Roma) dei contratti con i quali ha ceduto gli immobili siti in San Cesareo (facenti parti del complesso aziendale della L.M.A. RAGIONE_SOCIALE. La Corte di merito avrebbe negato tutela alla situazione soggettiva azionata dal ricorrente per il tramite di un iter in contrasto con la funzione propria delle misure di prevenzione (secondo la Costituzione, che tutela la libertà di iniziativa economica e la proprietà privata, e la giurisprudenza della Corte EDU), non considerando che il COGNOME è proprietario dei beni in discorso in ragione della declaratoria di nullità dei richiamati atti negoziale.
2.7.3. Con il terzo motivo è stata prospettata la violazione dell’art. 27, comma 6, d. Igs. n. 159 del 2011, nei medesimi termini esposti nel terzo motivo di ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché nel terzo motivo di ricorso di NOME COGNOME.
2.7.4. Con il quarto motivo è stata denunciata la mancata assunzione di una prova decisiva e, segnatamente, della sentenza n. 2159 del 2024 di questa Corte, sulla scorta di argomentazioni analoghe a quelle esposte nel quarto motivo di ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME e nel quarto motivo di
ricorso si NOME COGNOME assumendo altresì che in parte qua la decisione della Corte di merito contrasterebbe con le norme di rango costituzionale.
2.7.5. Con il quinto motivo sono state prospettate la manifesta illogicità della motivazione e l’omesso esame di una prova decisiva poiché il provvedimento impugnato, quanto alla posizione di NOME COGNOME si sarebbe limitato a rinviare alle motivazione del decreto di primo grado, omettendo di argomentare sulla sentenza n. 2159 del 2024 di questa Corte («violando la gerarchia delle fonti, in virtù della quale la sentenza prevale sul decreto») che avrebbe carattere decisivo perché «idonea a superare contrasti e quindi a dirimere dubbi emergente dall’intero quadro probatorio».
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili.
Sono invece fondati, nei limiti che si chiariranno:
il ricorso di NOME COGNOME;
il ricorso di NOME COGNOME, limitatamente all’immobile sito in Roma in INDIRIZZO ed alle quote sociali ed al compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE a lei intestati, che è inammissibile nel resto;
il primo motivo di ricorso di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché il secondo motivo di ricorso di NOME COGNOME ferma l’inammissibilità del terzo motivo di impugnazione di NOME COGNOME e COGNOME NOME, NOME COGNOME e del primo e del terzo motivo di impugnazione di NOME COGNOME con assorbimento delle rimanenti censure da loro sollevate.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità:
nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge ai sensi degli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, d. Igs. 159 del 2011; dunque, è escluso dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità il vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello (dagli artt. 7, comma 1, e 10, comma 2, d. Igs. n. 159 del 2011, in combinato disposto con l’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.; Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01; nonché Sez. 5, n. 11325 del 23/09/2019, dep. 2020, COGNOME; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080 01; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 257007 – 01);
– la motivazione del tutto mancante oppure apparente e, dunque, inesistente, è ravvisabile soltanto quando essa sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 05/03/2015, Rv. 263100 – 01; Sez. 3, n. 11292 del 13/02/2002, Salerno Rv. 221437 – 01); in altri termini, «il vizio di motivazione apparente sussiste solo quando il giudice non dia in realtà conto del percorso logico seguito per pervenire alla conclusione che adotta, argomentando per clausole di stile o affermazioni generiche non pertinenti allo specifico caso sottoposto alla sua valutazione» (Sez. 6, n. 31390 del 08/07/2011, COGNOME, Rv. 250686), ossia «allorché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 196361 – 01; cfr. pure Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244).
3. Il ricorso di NOME COGNOMEclasse 1950) è inammissibile.
È dirimente osservare come esso sia del tutto generico ed assertivo e, per vero, nulla deduca sull’applicazione della misura personale, facendo riferimento alla pericolosità sociale attribuita a NOME COGNOME unicamente rispetto al tempo di acquisto dei cespiti confiscati; tale patente genericità deve ravvisarsi anche nella parte in cui l’atto di impugnazione assume che non si sarebbe argomentato sulle allegazioni prospettate con l’atto di appello (cfr. Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018 – dep. 2019, C., Rv. 275853 – 02: «in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell’appello dei motivi articolati con l’atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell’impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricors contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica»; cfr. pure Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014 – dep. 2015, B., Rv. 264879 – 01).
Ferma la genericità della prospettazione difensiva, il ricorrente ha inoltre inteso negare – sia pure in termini non chiari e, comunque, apodittici – la fittizia intestazione ad altri dei propri beni, in particolare dell’immobile di Roma, INDIRIZZO a NOME COGNOME (classe 2001), allegazione da cui
tuttavia consegue il difetto di interesse a impugnare la relativa statuizione ablativa (cfr. Sez. 1, n. 20717 del 21/01/2021, COGNOME, Rv. 281389 – 01: «in materia di misure di prevenzione, nel caso di confisca di un bene ritenuto fittiziamente intestato a terzi, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso per cassazione del proposto che si limiti a dedurre l’insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolarità effettiva del bene in capo al terzo intestatario, mentre è ammissibile il ricorso del proposto che, senza negare l’esistenza del rapporto fiduciario, alleghi di aver acquistato i beni lecitamente, essendo portatore, in questo caso, di un interesse proprio all’ottenimento di una pronuncia che accerti la mancanza delle condizioni legittimanti l’applicazione del provvedimento»; cfr. pure Sez. 1, n. 50463 del 15/06/2017, COGNOME, Rv. 271822 – 01; Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015 – dep. 2016, Poli, Rv. 266141 01: «nel procedimento di prevenzione, è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento di confisca di beni formalmente intestati a terzi dal soggetto presunto interponente, che assuma l’insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolarità effettiva ed esclusiva dei beni in capo al terzo intestatario, in quanto la legittimazione all’impugnazione spetta solo a quest’ultimo, quale unico soggetto avente, in ipotesi, diritto alla restituzione del bene»).
Il ricorso presentato, con unico atto, nell’interesse del medesimo NOME COGNOME e di NOME COGNOME è inammissibile.
Deve, anzitutto, rilevarsi come esso – pur argomentando in relazione a NOME COGNOME e NOME COGNOME – sia stato avanzato soltanto nell’interesse dei due proposti. Difatti: l’atto di impugnazione (presentato dall’avvocato NOME COGNOME) fa riferimento a costoro nell’incipit (che indica, quali parti del procedimento, i nomi dei soli proposti); il messaggio di posta elettronica certificata (in data 18 giugno 2024) con cui è stato presentato il ricorso fa riferimento alla proposizione di esso «in favore assistiti» del medesimo difensore «come in oggetto indicati», ossia «COGNOME NOME e COGNOME»; e al medesimo atto di impugnazione non è compiegata la procura speciale, prescritta per la rituale proposizione del ricorso da parte dei terzi intestatari, come NOME COGNOME e NOME COGNOME (Sez. 5, n. 880 del 26/11/2020 – dep. 2021, COGNOME Rv. 280403 – 01).
Ciò posto, il ricorso contiene allegazioni in fatto, volte a contestare anzitutto la sussistenza dei fatti di reato oggetto dei procedimenti penali a carico dei proposti e delle loro congiunte, più che la sussistenza dei presupposti di applicazione delle misure; e richiama, comunque, in maniera del tutto generica precedenti procedimenti di prevenzione nei confronti di NOME e NOME
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Casamonica, muovendo censure assertive in ordine alla loro pericolosità sociale nel tempo: si tratta di una prospettazione irrituale, a fortiori se si considera che in questa sede non può denunciarsi il vizio di motivazione, bensì la violazione di legge, e che il ricorso non adduce neppure che la motivazione del decreto impugnato sia apparente.
Il medesimo ordine di argomentazioni vale per le statuizioni ablative che pure si è inteso censurare unicamente con allegazioni in fatto (inerenti alla responsabilità penale di NOME COGNOME e NOME COGNOME), fermo restando come già sopra osservato – il difetto di interesse dei proposti a ricorrere avverso la confisca dei beni di cui essi stessi assumono la titolarità in capo ai terzi: il che, pure alla luce della non chiara esposizione contenuta nell’atto di impugnazione segnatamente in ordine all’effettiva titolarità dell’immobile in INDIRIZZO e dell’autovettura Fiat TARGA_VEICOLO (targata TARGA_VEICOLO, entrambi intestati a NOME COGNOME – è a dirsi senz’altro per il denaro che si è assunto essere «di pertinenza di NOME COGNOME» e per l’immobile sito in Monterosi, INDIRIZZO, intestato a NOME COGNOME (figlio di COGNOME).
I motivi di ricorso di NOME COGNOME che possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.
La motivazione a sostegno della confisca dei beni a lei intestati non può dirsi conforme al disposto dell’art. 24 d. Igs. 159 del 2011 e, per vero, è pure apparente.
Anzitutto, la Corte di merito – pur a fronte della doglianza avanzata al riguardo dall’odierna ricorrente con l’atto di appello- nulla ha esposto sul rapporto di convivenza tra NOME COGNOME (lo si ricorda, terza interessata) e il fratello NOME (proposto), al quale ha attribuito l’effettiva titolarità dei ben intestati alla prima. E tale dato è significativo, in quanto il Giudice di appello ha anzitutto fondato la confisca sulla sproporzione tra i redditi da lei percepiti e i suoi acquisti. Infatti, per consolidata giurisprudenza, in materia di misure di prevenzione patrimoniali, ai fini della confisca prevista dall’art. 24 d. Igs. n. 159 del 2011 (e già dall’art. 2-bis, comma terzo, della legge 31 maggio 1965, n. 575 del 1965), «l’accertamento giudiziale della disponibilità, in capo al proposto, dei beni formalmente intestati a terzi, opera diversamente per il coniuge, i figli ed i conviventi di quest’ultimo» – ossia i soggetti contemplati dall’art. 19 d. Igs. 159 del 2011 – «rispetto a tutte le altre persone fisiche o giuridiche, in quanto nei confronti dei primi siffatta disponibilità è legittimamente presunta senza la necessità di specifici accertamenti, quando risulti l’assenza di risorse economiche proprie del terzo intestatario, mentre, con riferimento alle seconde, devono essere acquisiti specifici elementi di prova circa il carattere fittizio
dell’intestazione» (così, per tutte, Sez. 1, n. 5184 del 10/11/2015 – dep. 2016, COGNOME, Rv. 266247 – 01; cfr. pure Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016 dep. 2017, COGNOME, Rv. 270083 – 01, in motivazione). Né al riguardo soccorre la motivazione del decreto di primo grado – richiamata dalla Corte di appello – che ha ritenuto irrilevante, senza chiarirne le ragioni, la convivenza tra i due.
Inoltre, del tutto assertiva – e perciò apparente – è la motivazione del decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto dimostrativa dell’effettiva «riconducibilità» a NOME COGNOME del conto corrente, intestato alla sorella (e sul quale è stato tratto uno degli assegni circolari per il pagamento del prezzo dell’immobile sito in Roma, INDIRIZZO intestato alla stessa NOME COGNOME e oggetto di confisca in pregiudizio del medesimo proposto, unitamente ai relativi arredi), la disposizione di bonifici in favore di NOME COGNOME, senza alcuna specificazione al riguardo; il che non consente di per sé di comprendere in che termini da tali operazioni consegua la disponibilità delle giacenze del conto corrente in capo al proposto, a fortiori se si considerano le doglianze sollevate con l’atto di appello in ordine ad esse, al loro ammontare e alla collocazione nel tempo, mancando dunque un’effettiva argomentazione nel provvedimento impugnato che consenta di comprendere il percorso logico a sostegno della decisione.
Tanto meno un iter in effetti dimostrativo della disponibilità in capo a NOME COGNOME dei beni intestati alla sorella NOME può fondarsi sul riferimento – che pure si legge nel decreto impugnato – alle movimentazioni bancarie relative al proposto e non correlate a rapporti nella titolarità della seconda (bensì a un conto corrente intestato al proposto e a un altro soggetto), volte a dissimulare la provvista illecita ottenuta dal primo.
Rimane solo, nella motivazione del decreto impugnato, il dato secondo cui altra parte del prezzo di acquisto dell’immobile sito in Roma, appena sopra citato, sia avvenuto tramite un assegno circolare tratto da RAGIONE_SOCIALE «di cui era titolare COGNOME NOME, soggetto usurato dal padre e dal fratello di NOME», dato anch’esso esposto genericamente e che non consente neppure di comprendere in che termini l’immobile sia da attribuire alla disponibilità di NOME, e non del padre, e per l’intero.
Quanto poi ai rimanenti beni apparentemente nella disponibilità di NOME COGNOME (un orologio marca Chanel e una giacenza di denaro), nel decreto impugnato manca del tutto la motivazione.
Ne deriva, dunque, l’annullamento con rinvio in parte qua del decreto impugnato.
Il ricorso di NOME COGNOME – i cui motivi possono essere trattati congiuntamente – è fondato limitatamente all’immobile sito in Roma, INDIRIZZO nonché alle quote sociali ed al compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE a lei intestate; ed è inammissibile nel resto.
La ricostruzione appena esposta non è minata ex se dalla previsione delle presunzioni di cui all’art. 26, comma 2, d. Igs. 159/2011 e dal disposto dell’art. 19, comma 3, cit. (di cui pure si è detto retro). Invero, l’art. 26, comma 1,
prevede in generale che il Giudice della prevenzione, «quando accerta che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con il decreto che dispone la confisca dichiar la nullità dei relativi atti di disposizione»: ta declaratoria «non è pregiudiziale ai fini della validità della confisca, ma costituisce un obbligo conseguenziale all’accertamento della fittizietà, la cui inosservanza non integra vizi rilevanti ai sensi degli artt. 177 ss. cod. proc. pen., bensì un’omissione rimediabile, anche d’ufficio, con la procedura ex art. 130 cod. proc. pen.»; e ciò in quanto l’art. 26, comma 1, «nulla aggiungendo a quanto già previsto dall’art. 24 d.lgs. cit., individua nell’accertamento giudiziale della fittizietà della intestazione o del trasferimento del bene il presupposto del provvedimento ablativo, contestualizzando la dichiarazione di nullità dei relativi atti di disposizione al momento della emissione del decreto di confisca» (Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016 – dep. 2017, cit., Rv. 270083 – 01). E il «meccanismo delle presunzioni di fittizietà destinate ad agevolare le misure di prevenzione patrimoniale» (ivi) poste dall’art. 26, comma 2, cit. («2. Ai fini di cui al comma 1, fino a prova contraria si presumono fittizi: a) i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell’ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado; b) i trasferimenti e le intestazioni, a titol gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione») non depone nel senso affermato dal Tribunale e dalla Corte di appello, poiché tali presunzioni iuris tantum che operano «in deroga alla disposizione di cui all’art. 24 d.lgs. cit., ove in linea generale si prevede che incombe sull’accusa l’onere di provare, sulla base di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, la sussistenza della disponibilità dei beni in capo al proposto» (Sez. U, n. 12621/2016 – dep. 2017, cit.) – non pongono alcun limite alle allegazioni volte a vincerle e non incidono (se non nei limiti della detta deroga) sul disposto dell’art. 24, comma 1, d. Igs. 159 del 2011 (come da ultimo modificato, nei termini già evidenziati, il cui testo si riporta di nuovo, per maggior chiarezza), secondo cui «in ogni caso il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale»; per detti terzi resta ferma, invece, la previsione dell’art. 23, comma 3, d. Igs. 159 cit., in forza della quale «gli interessati possono svolgere le loro deduzioni con l’assistenza di un difensore, nonché chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca»; e rimane pure fermo per i soggetti oggi contemplati dall’art. 19 d. Igs. 159 del 2011 (ossia il coniuge, i figli ed i conviventi del proposto) il diverso parametro Corte di Cassazione – copia non ufficiale
dell’accertamento giudiziale della disponibilità, in capo al proposto, dei beni a loro formalmente intestati che non limita però le loro allegazioni volte a offrire indicazioni della sussistenza di risorse economiche proprie (cfr. Sez. U, n. 12621/2016 – dep. 2017, cit.: «Sulla base di tali presunzioni, si introduce un’inversione dell’onere della prova a carico del terzo, intestatario formale, che deve dimostrare il carattere reale, non fittizio, dell’atto di disposizione, deducendo la fonte dei mezzi di pagamento o della capacità reddituale idonea a giustificare l’acquisto con risorse proprie e commisurate al valore del bene. Se la prova è fornita, la confisca non può essere pronunciata perché il bene deve reputarsi appartenere effettivamente al terzo (anche se il proposto può subire, comunque, la confisca per equivalente); se la prova non è fornita, il giudice ordina la confisca, perché il bene si presume del proposto, e dichiara la nullità dell’atto di trasferimento. L’art. 26, comma 2, lett. a), in particolare, introduce nel sistema un’ulteriore presunzione, dotata di propria autonomia, che non fa venire meno quella prevista dall’art. 19, comma 3, d.lgs. cit.»).
Tanto più che l’art. 26, comma 2, cit. pone le presunzioni per gli atti di trasferimento «esclusivamente realizzati dal soggetto portatore di pericolosità» e non per gli acquisti di beni, da parte dei terzi interessati, eicto /9- 13 trattty S~V come si trae da quanto chiarito dalle Sezioni Unite a proposito dell’applicabilità di esse agli atti dispositivi degli eredi del proposto (cfr. Sez. U, n. 12621/2016 – dep. 2017, cit., Rv. 270084 – 01: «in tema di misure di prevenzione patrimoniali, le presunzioni di fittizietà previste dall’art. 26, comma secondo, D.Lgs. n. 159 del 2011 si riferiscono esclusivamente agli atti realizzati dal soggetto portatore di pericolosità e non riguardano anche gli atti dei suoi successori», che ha precisato che la non operatività delle regole sulle presunzioni di fittizietà in questione comporta l’applicazione della disciplina generale sulla prova della disponibilità indiretta dei beni in capo al soggetto proposto, secondo quanto previsto dagli artt. 20-24, D.Lgs. cit.»).
D’altra parte, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato il principio – poi codificato dalla legge n. 161 del 2017 nell’art. 24, comma 1, cit.) – secondo cui, in tema di confisca di prevenzione, la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non possa essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, proprio nel presupposto che il medesimo proposto non possa sottrarsi alla pretesa ablativa dello stato giovandosi dei proventi dei propri illeciti, anche qualora distinti da quelli posti a sostegno della sua qualificazione in una delle categorie di cui all’odierno art. 4 d. Igs. cit. (il tema si era posto dapprima, non occorre immorare sul punto, per la pericolosità mafiosa), quale pure è l’evasione fiscale; e ciò in quanto «le disposizioni sulla confisca di prevenzione mirano a sottrarre alla disponibilità del proposto tutti i
beni che siano frutto di attività illecite e che ne costituiscano il reimpiego, di talché non è necessario distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso, essendo sufficiente la dimostrazione dell’illecita provenienza dei beni confiscati, qualunque essa sia, anche se gli stessi costituiscano il reimpiego dei proventi dell’evasione fiscale» (così, per tutte Sez. U, n. 33451/2014, cit.: «in tema di confisca di prevenzione di cui all’art. 2 ter legge 31 maggio 1965, n. 575 (attualmente art. 24 D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159), la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, atteso che le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità dell’interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso»; nel medesimo senso, con riguardo ai soggetti portatori di pericolosità generica, Sez. 6, n. 4908 del 12/01/2016, COGNOME, Rv. 266312 – 01: «in tema di confisca di prevenzione, la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, qualunque sia la categoria di pericolosità sociale riferibile al proposto»). Tale principio vale, si ribadisce, per il proposto che è il soggetto i cui illeciti accumuli di ricchezza sono oggetto del procedimento di prevenzione; e non anche per coloro che nel procedimento sono terzi, i cui beni possono essere confiscati nella misura in cui siano nella disponibilità del preposto e frutto del suo agire antisociale; ovviamente, in presenza dei presupposti di legge, anche chi è terzo in un procedimento di prevenzione a carico di altri ben può divenire proposto e patire, nella sede propria e in relazione alle proprie condotte espressive di pericolosità sociale, un’ablazione dei propri illeciti accumuli di ricchezza che in quella sede non potrà giustificare con l’evasione fiscale (cfr. Sez. 5, n. 37297/2022, cit.).
In altri termini, gli acquisti dei beni nella disponibilità del proposto non possono essere giustificati da quest’ultimo adducendo l’evasione fiscale; ma la disponibilità dei beni in capo al proposto, da parte dei soggetti terzi intestatari/interessati, può essere confutata allegando la derivazione di essi dalla propria evasione fiscale; ovviamente, tale prospettazione dovrà rispondere agli ordinari parametri probatori che per essi rilevano (non essendovi dubbio che, nel procedimento di prevenzione, il proposto e il terzo interessato abbiano il diritto di difendersi provando, in quanto – come già chiarito da questa Corte anche alla luce della giurisprudenza della Corte EDU e di quella costituzionale – pur nella diversità di struttura e di finalità rispetto al processo penale, «non è discutibile che si tratti di procedimento giurisdizionale, sottoposto al rispetto di principi fondamentali del processo penale e qualificato come tale»: Sez. 1, n. 49180 del 06/07/2016, COGNOME, Rv. 268652, che ha condivisibilmente richiamato Sez. U,
n. 4880 del 26/06/2014 – dep. 2015, COGNOME, Rv. 262606); e dovrà essere valutata apprezzando il compendio in atti (anche di segno contrario) e – ove ne ricorrano i presupposti (cfr. artt. 19, comma 3, e 26, comma 2, d. Igs. 159) anche alla luce del regime presuntivo posto dalla legge.
Invero, a ritenere diversamente non si distinguerebbe il piano della prova dal piano dell’illecito che è presupposto della confisca e che, si è già osservato, deve essere quello attribuito al soggetto (ritenuto socialmente pericoloso) a carico del quale è stato instaurato il procedimento di prevenzione, l’unico nei confronti del quale in tale sede – in presenza dei presupposti di legge – può essere disposta la confisca (anche di beni formalmente intestati a terzi di cui egli, invece, abbia la disponibilità).
6.2. L’ablazione ordinata nei confronti delle COGNOME non è conforme a quanto sopra esposto in diritto, proprio perché – come anticipato – esclude che ella possa giustificare la disponibilità dei cespiti e l’acquisto di essi (dunque, nella prospettazione difensiva, non riferibili al proposto NOME COGNOME) in ragione dei redditi sottratti all’imposizione tributaria, e segnatamente delle somme a lei rimesse dalla propria famiglia di origine (che, si esporrà appena oltre – il decreto impugnato in effetti non correla aliunde a NOME COGNOME e ai fatti da cui ne è stata tratta la pericolosità sociale). Sotto tale profilo, non è dirimente in senso contrario il rapporto tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispetto al quale il decreto impugnato si è limitato a qualificare la COGNOME come «compagna» del proposto: si è già esposto, infatti, che anche qualora operi il più rigoroso parametro tratto dall’art. 19, comma 3, cit. – non avendo il decreto impugnato dato conto di trasferimenti da parte del proposto alla COGNOME passibili di essere vagliati sub specie dell’art. 26, comma 2, cit. – è comunque consentito al terzo, nei termini chiariti, dedurre la provenienza dall’evasione fiscale (non del proposto) delle proprie disponibilità. Piuttosto, nel caso di specie già il decreto di primo grado aveva erroneamente applicato la presunzione di cui all’art. 26, comma 2, cit. non ad atti di disposizione in favore di NOME COGNOME da parte di NOME COGNOME, bensì ad atti dispositivi di terzi mediante i quali ella ha acquisito la titolarità delle res sopra indicate. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Inoltre, nell’impianto argomentativo del decreto impugnato non può ravvisarsi altrimenti una giustificazione della confisca dei cespiti intestati alla Filippi in conformità alla disciplina posta dal d. Igs. 159 del 2011. Difatti, l’iter in discorso – che ha trascritto quanto affermato dal Tribunale – è incentrato sui versamenti in contanti che hanno alimentati i conti dai quali sono stati disposti trasferimenti in favore della Filipi (dalla madre, dal padre e dai fratelli), il cui montante è stato da lei impiegato per l’acquisto dell’immobile di INDIRIZZO senza indicare alcun elemento specifico che consentisse di trarne la riferibilità a
NOME COGNOME e al suo agire illecito (ciò è a dirsi per i bonifici in favore della ricorrente ordinati dalla madre e dal fratello NOME); quanto agli assegni circolari accreditati sul conto della Filipi si è affermato, senza alcuna specificazione effettiva, che la relativa emissione è stata richiesta da NOME COGNOME «soggetto risultato collegato e in affari con il proposto COGNOME NOME», indicazione con evidenza evasiva che nulla lascia comprendere in ordine al collegamento e agli affari; quanto ai rapporti bancari intrattenuti dalla COGNOME e dalla sorella NOME, si è evidenziato che la ricorrente avrebbe venduto una vettura a un prezzo maggiore di quello di acquisto (pochi giorni dopo averla comprata), limitandosi a osservare come non vi sia traccia dell’esborso per l’acquisto ma nulla argomentando in ordine all’incapienza delle disponibilità di NOME COGNOME per farvi fronte e riportando, quanto al conto di NOME COGNOME, che ella ha ricevuto un accredito (con causale saldo vettura) da NOME COGNOME nuovamente indicato come «soggetto con stretti legami con Casamonica NOME», legami per nulla chiariti dalla Corte di merito; infine, quanto alle rimesse provenienti dal padre, NOME COGNOME pur osservando che esse «sembrerebbero riconducibili ad emolumenti lavorativi del COGNOME», si è affermato che non consterebbe con quali somme la famiglia COGNOME abbia fatto fronte alle proprie spese per la vita quotidiana – non indicando per nulla in che termini esse comunque fossero da ricondurre a NOME COGNOME (non avendo i Giudici di merito esposto che NOME COGNOME e la sua famiglia fossero con lui conviventi e non potendo, dunque, per il COGNOME operare la presunzione tratta dall’art. 19, comma 3, cit.); e si è pure affermato – senza indicare alcun dato al riguardo – che «disponibilità finanziarie» accantonate da NOME COGNOME quando lavorava in Germania non erano «proporzionate al notorio costo della vita tedesco», enunciati del tutto privi dei dati di fatto da porre in comparazione e che, dunque, difettano di contenuto argomentativo, senza che in senso contrario possa deporre la trascrizione di un passo – di per sé per nulla esplicativo – della sentenza emessa nei confronti di NOME COGNOME secondo cui «la situazione reddituale del padre della COGNOME non appare compatibile con le disponibilità finanziarie evidenziate dai versamenti effettuati in favore della figlia». In sostanza, quantunque nel procedimento di prevenzione possano valorizzarsi, al fine di attribuire al proposto la disponibilità dei beni passibili di ablazione, «gl elementi indiziari più diversi, come quelli inerenti alla prossimità delle relazioni in ambito familiare , ovvero ai rapporti di tipo affettivo e sentimentale, lavorativo e di collaborazione, poiché sintomatici, tutti, di un più intenso legame che può rendere particolarmente agevole l’operazione di fittizia intestazione da parte del proposto» (Sez. U, n. 12621/2016 – dep. 2017, cit.), la motivazione del Corte di Cassazione – copia non ufficiale
decreto impugnato si fonda su proposizioni prive di efficacia dimostrativa al fine di valorizzare anche tali relazioni.
Alle medesime conclusioni deve pervenirsi in relazione alle quote sociali e al compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE Non solo perché la Corte di merito ha esteso a tali beni le argomentazioni già poste a sostegno della confisca dell’immobile di INDIRIZZO, la cui contrarietà a legge è stata appena evidenziata. Ma anche perché ad esse ha accostato il concorso di NOME COGNOME con NOME COGNOME alle condotte estorsive in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME «al fine di acquisire la piena ed esclusiva disponibilità e titolarità della RAGIONE_SOCIALE» (rimarcando come la ricorrente non abbia esitato a proseguire in prima persona l’attività delittuosa in danno del COGNOME dopo l’arresto del compagno), senza tuttavia esporre in alcun modo – pur a fronte di quanto dedotto con l’atto di appello – la ragione per cui la titolarità delle quote in capo alla COGNOME fosse solo formale e invece tutti i beni a lei intestati fossero nella «piena ed esclusiva disponibilità del compagno COGNOME». Risultato decisorio cui ben potrebbe pervenirsi ma che, nella specie, alla stregua di quanto già osservato per le altre res, manca del tutto di una motivazione dotata di efficacia dimostrativa; e ciò quantunque, alla luce di quel che pure si è già chiarito, costituisca un presupposto indefettibile per disporne la confisca in seno a un procedimento di prevenzione nei confronti di NOME COGNOME (in cui NOME COGNOME è terza intestataria).
Dunque, deve disporsi l’annullamento con rinvio del decreto impugnato nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla confisca dell’immobile sito in Roma, INDIRIZZO nonché alle quote sociali ed al compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE a lei intestate.
6.3. Il secondo motivo di ricorso, nella parte relativa alla G.C.R.C. s.r.l.s., e il terzo motivo di ricorso, inerente ai rimanenti beni intestati a COGNOME COGNOME ed oggetto di confisca, sono inammissibili in quanto con riguardo alle res in oggetto non è stata articolata alcuna censura con l’atto di appello; ragion per cui la statuizione ablativa che le ha attinte non è stata devoluta alla Corte territoriale e non può essere qui ritualmente censurata (cfr. Sez. 5, n. 37875 del 04/07/2019, Bondì, Rv. 277637 – 01; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 – 01; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, COGNOME; cfr. Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, COGNOME, Rv. 282095 – 01).
I ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, in amplissima misura del medesimo tenore, possono essere esaminati
congiuntamente, pur dando conto – nei limiti in cui qui rileva – delle diverse allegazioni articolate (segnatamente, da NOME COGNOME).
7.1. Deve, in primo luogo, aversi riguardo al terzo motivo di impugnazione di NOME COGNOME e COGNOME NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui si è assunto che la Corte di merito si sarebbe pronunciata quando era già decorso il termine di un anno e sei mesi dal deposito degli atti di appello posto dall’art. 27, comma 6, d. Igs. n. 159 del 2011 («in caso di appello, il provvedimento di confisca perde efficacia se la corte d’appello non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso. Si applica l’articolo 24, comma 2»).
Detto termine, «qualora avverso il provvedimento di confisca vengano presentati più ricorsi in appello, depositati in date diverse, decorre dalla data di deposito dell’ultimo ricorso» (Sez. 6, n. 27913 del 23/09/2020, COGNOME Rv. 279681 – 02; Sez. 1, n. 13422 del 29/01/2020, Drago, Rv. 279329 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 3360 del 03/11/2022 – dep. 2023, COGNOME, Rv. 284119 – 01) e, dunque, nel caso in esame dal 21 febbraio 2022 (ultima data in cui sono stati depositati gli atti di appello).
Inoltre, ai sensi dell’art. 27, comma 6, cit., per determinare il termine in discorso, «si applica l’articolo 24, comma 2», d. Igs. 159 cit. (relativo all’efficacia del termine del sequestro nella pendenza del giudizio di primo grado), a mente del quale, per quanto qui rileva:
si tiene conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare previste dal codice di procedura penale, in quanto compatibili, vale a dire del differimento dovuto all’impedimento dell’imputato o del suo difensore o disposto su richiesta dell’imputato o del suo difensore, sempre che l’istanza di differimento non sia fondata su inderogabili esigenze difensive che rendano necessario il rinvio della trattazione per il riequilibrio del contraddittorio (cfr. art. 304, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; Sez. 5, n. 3360/2022 – dep. 2023, cit.; Sez. 1, n. 17164 del 17/12/2021 – dep. 2022, COGNOME NOME Rv. 283057 – 01; Sez. 5, n. 30757 del 29/09/2020, Nicosia, Rv. 279747 – 01); fermo restando che, in caso di procedimento nei confronti di più soggetti, ai fini della produzione dell’effetto sospensivo, non è necessario che l’istanza sia formulata da tutti gli interessati, essendo sufficienti l’adesione anche implicita o la non opposizione delle parti che non l’hanno avanzata» (Sez. 1, n. 40518 del 20/10/2016 – dep. 2017, Sama, Rv. 270968 – 01), il che esime dal rilevare come nel caso in esame non consti alcuna opposizione bensì pure differimenti (cfr. infra) su concorde richiesta dei difensori;
– e il termine resta sospeso «durante la pendenza dei termini previsti dai commi 10 -sexies, 10 -septies e 10 -octies dell’articolo 7» per la stesura della
motivazione del decreto decisorio (che opera anche per il decreto reso all’esito del giudizio di appello: cfr. Sez. 1, n. 4489 del 26/10/2022 – dep. 2023, COGNOME, Rv. 284166 – 02, in motivazione).
Ebbene, nel giudizio di secondo grado il termine di un anno e sei mesi dal 21 febbraio 2022 è rimasto sospeso per complessivi 357 giorni (60 giorni dal 30 marzo 2023, dal 22 giugno 2023 e dal 28 settembre 2023, per un totale di 180 giorni, in ragione del rinvio per legittimo impedimento delle dette udienze a data successiva al sessantesimo giorno; 37 giorni dal 12 dicembre 2023 al 18 gennaio 2024 e 50 giorni dal 18 gennaio 2024 al giorno 8 marzo, in ragione del rinvio su richiesta difensiva di tali udienze; infine, per 90 giorni da quest’ultima data, durante la pendenza del termine per la stesura della motivazione del decreto impugnato, come indicato dalla Corte di merito all’esito della discussione); dunque, sarebbe spirato il 12 agosto 2024; tuttavia, il decreto impugnato è stato depositato il 6 giugno 2024 (cfr. Sez. 1, n. 4489/2022 – dep. 2023, cit.).
Ragion per cui la prospettazione difensiva è manifestamente infondata.
7.2. Occorre poi avere riguardo al secondo motivo di ricorso presentato da NOME COGNOME che ha denunciato la violazione degli artt. 179 e 180 cod. proc. pen. e l’omessa pronuncia della Corte di appello rispetto alla mancata ammissione della sua costituzione nel giudizio di primo grado.
Il motivo è inammissibile poiché manifestamente infondato e generico, nei termini che si chiariscono.
Per costante giurisprudenza, «in tema di procedimento di prevenzione, il terzo interessato, portatore di interessi meramente civilistici, non può stare in giudizio personalmente ma solo a mezzo di difensore munito di procura speciale alle liti ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ.» (Sez. 5, n. 880 del 26/11/2020 dep. 2021, Mattina, Rv. 280403 – 01); e – come prospettato dallo stesso ricorrente – il Tribunale (che ne ha dato conto, per vero, nel decreto decisorio) ha tra l’altro rilevato il difetto della procura speciale da lui rilasciata al difensor ponendolo pure a fondamento della propria statuizione, il che è dirimente. E non è consentita dal rito alcuna sanatoria al riguardo (cfr. Sez. U, n. 47239 del 30/10/2014, COGNOME, Rv. 260894 – 01, relativa al ricorso per cassazione del terzo interessato e che, tuttavia, pone un principio che vale anche per il suo intervento nel giudizio di merito), divenendo superfluo immorare: per evidenziare che l’allegazione del fatto processuale (ossia del successivo deposito della procura speciale) da parte del ricorso sia del tutto assertiva e, dunque, generica (cfr. Sez. 6, n. 36612 del 19/11/2020, COGNOME Rv. 280121 – 01; Sez. 1, n. 34351 del 11/05/2005, COGNOME, Rv. 232508 – 01); e per argomentare sulle conseguenze processuali della mancata partecipazione del terzo (che deduce di
essere proprietario di un bene in sequestro) al giudizio di prevenzione celebrato secondo il d. Igs. 159 del 2011.
Basti solo aggiungere che non può avere alcun rilievo la mancata pronuncia sul punto della Corte territoriale: difatti, in relazione alla prospettata violazione della legge processuale non può utilmente dedursi il vizio di motivazione poiché, «qualora sia sottoposta al vaglio del giudice di legittimità la correttezza di una decisione in rito, la Corte è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla e persino nel caso in cui la motivazione sia del tutto assente» (Sez. 1, n. 22337 del 23/03/2021, COGNOME, Rv. 281391 – 01; cfr. pure Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 05; Sez. 5, n. 15124 del 19/03/2002, COGNOME, Rv. 221322 – 01). Rimane, dunque, fermo – in ordine al vizio denunciato – quanto appena sopra rilevato (non occorrendo ricordare che il vizio di motivazione non può essere denunciato con il ricorso per cassazione avverso provvedimenti quale quello qui impugnato).
Si argomenterà appena oltre sul rigetto, da parte della Corte territoriale, della prospettazione anche di NOME COGNOME che ha comunque partecipato al giudizio di appello (partecipazione che è stata ritenuta rituale già da Sez. U, n. 47239 del 30/10/2014, COGNOME, Rv. 260894 – 01, sia pure nella vigenza della disciplina anteriore al codice antimafia, a proposito del terzi non citati che non hanno partecipato al giudizio di primo grado; e che non deve escludersi neppure a mente dell’art. 23 d. Igs. n. 159 del 2011), deducendo di essere proprietario dei beni di cui meglio si dirà infra.
7.3. Sono fondati – nei termini che si chiariscono:
il primo motivo di ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME e il primo motivo di ricorso di NOME COGNOME (del medesimo contenuto),
il secondo motivo di ricorso di NOME COGNOME
che censurano tutti (con riguardo alle res di rispettivo interesse) la disposta ablazione dei beni in relazione ai quali, nel giudizio penale celebrato nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME è stata dichiarata la nullità degli atti di disposizione in favore degli imputati (qui proposto e terza interessata) compiuti dai ricorrenti (in quanto vittime di usura ed estorsione) e ne ha ordinato la restituzione a questi ultimi.
La Corte di appello, richiamando quanto già ritenuto dal Tribunale ha affermato che:
la finalità tipica delle misure di prevenzione è la sottrazione dei beni accumulati illecitamente, osservando come nel procedimento di prevenzione «non possano trovare ingresso le pretese delle parti civili costituite nel procedimento di cognizione», che non rientrano tra i casi in cui l’art. 20, comma
3, d. Igs. n. 159 del 1991 consente la revoca del sequestro e la chiesta restituzione alle vittime dei delitti per i quali NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno riportato condanna;
«non è ipotizzabile, nel procedimento di prevenzione, la scelta di soddisfare le esigenze dei terzi che non siano proprietari o comproprietari dei beni sequestrati, ovvero terzi che vantano diritti reali o personali di godimento nonché diritti reali di garanzia sui beni in sequestro, come disposto dall’art. 23» d. Igs. n. 159 del 2011, il cui ultimo comma prevede che «se non ricorre l’ipotesi di intestazione fittizia di cui all’art. 26, “per la liquidazione dei relativi diri applicano le disposizioni di cui al titolo IV del presente libro”; cioè le norme relative alla tutela dei terzi di cui agli artt. 52 e SS.»;
«il sequestro è intervenuto quando dei beni era di fatto titolare il COGNOME e l’eventuale restituzione della RAGIONE_SOCIALE e degli immobili aziendali in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME determinerebbe una soluzione di privilegio» in favore dei medesimi «soggetti privati, ancorché vittime dei delitti realizzati dal proposto COGNOME NOME e dalla terza interessata intestataria fittizia dei beni, NOME, a svantaggio dello Stato che deve esercitare gli strumenti normativi» di cui al d. Igs. n. 159 del 2011 (così il decreto impugnato);
così imponendosi la conferma della confisca.
Il medesimo ordine di considerazioni è stato esteso al COGNOME e alla COGNOME, rinviando nel resto a quanto esposto nel primo decreto (oltre che compendiandolo e trascrivendolo); e, quanto alle polizze di pegno, il decreto impugnato ha attribuito al COGNOME sia la qualità di vittima dell’usura perpetrata «da parte dei Casamonica» sia quella di soggetto che avrebbe presentato a NOME COGNOME persone cui prestare denaro con interessi usurari, ha fatto riferimento «all’usura perpetrata dai fratelli COGNOME ai danni di COGNOME», comunque, a fronte della contestazione di tale ricostruzione nell’atto di appello, ha osservato che «anche ammettendo la legittima provenienza in capo al COGNOME e alla COGNOME dei beni in questione» e che «la concessione in pegno de beni» sia stata determinata dall’esigenza di reperire denaro per «pagare l’usura perpetrata da NOME COGNOME», sarebbe comunque emersa la loro «condizione di assoggettamento [al COGNOME che di conseguenza ha «di fatto determinato l’impiego e la destinazione dei preziosi e delle polizze in discorso che ne giustificherebbe la confisca dato che «non può in alcun modo escludersi la riconducibilità delle polizze al proposto» (ivi).
7.3.1. Il piano argomentativo a sostegno dell’ablazione dei beni in discorso non è conforme alle norme richiamate dallo stesso provvedimento si
secondo grado e, più in generale, ai princìpi che regolano la confisca di prevenzione.
La giurisprudenza di legittimità ha già affermato che i crediti derivanti da fatto illecito del proposto, ivi compresi quelli vantati dalle parti civili dei proces penali instaurati nei suoi confronti, non possono ex se incidere sulla confisca, nel procedimento di prevenzione, dei beni di cui il medesimo proposto ha la disponibilità e che si ritengano – secondo i parametri probatori di tale ultimo procedimento – nella sua disponibilità (cfr. art. 24 d. Igs. n. 159 del 2011), potendo essi trovare tutela – qualora ne ricorrano i presupposti – ai sensi degli artt. 52 s. (cfr. Sez. 6, n. 13474 del 21/03/2023, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284276 – 01; Sez. 1, n. 22222 del 26/01/2022, Fallimento n. 624/2017 RAGIONE_SOCIALE, Rv. 283123 – 01; Sez. 6, n. 45115 del 13/10/2015, Boiardi, n.m.; sussiste contrasto, di cui sono già state investite le Sezioni Unite, sul momento rilevante per determinare se il credito da fatto illecito abbia «data certa anteriore al sequestro» ex art. 52, comma 1, d. Igs. n. 159 del 2011; cfr. Sez. 5, ord. n. 47294 del 03/12/2024, Arri).
Parimenti, si è già chiarito che la nozione di «disponibilità a qualsiasi titolo» (art. 24, comma 1, d. Igs. n. 159 del 2011), che rileva per la confisca di prevenzione, non possa «ritenersi limitat alla mera relazione naturalistica o di fatto col bene, ma va estes, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di altri» (Sez. 1, n. 18423 del 22/03/2013, Commisso, Rv. 257394; Sez. 1, n. 6613 del 17/01/2008, COGNOME, Rv. 239359 – 01; cfr. pure Sez. U, n. 12621/2016 – dep. 2017, cit., in motivazione), trattandosi peraltro di «nozione ampia ed aperta a qualsiasi figura giuridica» (Sez. 2, n. 33538 del 31/03/2017, Bnp Paribas Leasing Solutions Spa, Rv. 270714 – 01). Difatti, «al fine di un efficace contrasto alla criminalità LI nel disciplinare gli istituti d sequestro e della confisca dei beni, non ha preso in considerazione la titolarità piena o limitata da parte del soggetto passivo ovvero il semplice possesso», ma ha ritenuto «sufficiente la disponibilità diretta o indiretta dei beni» da parte del proposto, incentrandola su «una situazione di fatto» tra costui «e la cosa, a nulla rilevando l’esistenza dei vari titoli giuridici» (Sez. 1, n. 27558 del 27/05/2010, confl. comp. in proc. COGNOME, Rv. 247674 – 01, a proposito dell’indiziato di appartenere ad un’associazione di stampo mafioso, la cui argomentazione vale più in generale per le categorie di soggetti pericolosi che sono oggi presupposto della confisca di prevenzione).
Ancora, vero è che nel procedimento di prevenzione manca una disposizione come l’art. 104-bis, comma 1-sexies, d. att. cod. proc. pen. secondo cui, «in tutti i casi di sequestro preventivo e confisca restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno», volta a regolare i rapporti tra pretesa ablativa dello Stato e diritti della persona offesa; e non potrebbe che essere così (a prescindere dal fatto che oggi, come nel procedimento di prevenzione, anche «nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni sequestro, di cui l’imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo»: cfr art. 104-bis, comma 1-quinquies, cit.), dato che nel procedimento di prevenzione non si procede per uno o più reati specifici a carico del proposto, in relazione ai quali si possono individuare le persone offese (e i danneggiati dal reato che possono costituirsi di parte civile) ma il suo agire illecito è il presupposto della sua qualificazione come soggetto socialmente pericoloso e, eventualmente, per affermare la derivazione illecita dei suoi beni (senza che la confisca di prevenzione richieda la diretta individuazione del nesso tra l’acquisizione di un cespite e uno specifico reato illecito). Purtuttavia, occorre considerare che il codice antimafia contempla diverse categorie di terzi e, in particolare, per quel che qui rileva al fine di provvedere (senza che occorrano ulteriori specificazioni):
i terzi che risultino proprietari o comproprietari dei beni sequestrati, che devono essere chiamati ad intervenire nel procedimento (art. 23, comma 2, cit.) e all’udienza «possono svolgere le loro deduzioni con l’assistenza di un difensore, nonché chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca»; tanto che il tribunale ordina la restituzione dei beni ai proprietari «se non ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 24» (che, come già esposto, comprende tra i presupposti della confisca, la disponibilità dei beni in discorso in capo al proposto, oltre che la derivazione di essi, quale frutto o reimpiego, dai suoi illeciti, anche in ragione della sproporzione di essi rispetto al reddito da lui dichiarato o alla sua attività economica; cfr. art. 23, comma 3, cit.);
i terzi che vantano diritti reali o personali di godimento nonché diritti reali di garanzia sui beni in sequestro, che devono pure essere chiamati a intervenire nel procedimento, e «per la liquidazione dei diritti si applicano le disposizioni di cui al titolo IV del presente libro», ossia gli artt. 52 ss. dello stesso decreto, sempre che non ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 26, ossia di intestazione fittizia (art. 23, comma 4, cit.);
e, comunque, i terzi i cui diritti di credito (anche se non assistiti da garanzia reale) non sono pregiudicati nei limiti e nelle forme di cui agli artt. 52 SS.
Ebbene, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel presente procedimento, hanno dedotto di essere proprietari dei beni (come da ciascuno specificato nel rispettivo ricorso: cfr. supra) sequestrati nei confronti di NOME COGNOME ed hanno posto a fondamento della loro allegazione, in particolare, le statuizioni rese dal G.u.p. del Tribunale di Roma nel giudizio penale instaurato nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, irrevocabili quando già si è celebrato il giudizio di appello, che ha dichiarato la nullità degli atti di disposizione dei medesimi beni in favore degli imputati (compiuti dai ricorrenti, per l’appunto, in quanto vittime di usura ed estorsione) e ha ordinato la restituzione degli stessi. Consta, in effetti, che in detto giudizio sia stata dichiarata la nullità dei contratti da costoro «ottenuti tramite le condotte estorsive», «disponendo la restituzione di tutti i beni oggetto di compravendita» in favore delle parti civili ivi costituite. Dunque, i ricorrenti in discorso hanno assunto di avere una pretesa restitutoria (art. 185, comma 1, cod. pen.), fondata su una statuizione di nullità che è, per consolidata giurisprudenza civile, dichiarativa (cfr. Sez. 3 civ., ord. n. 31831 del 10/12/2024, Rv. 673197 – 01).
Tale allegazione – con cui, si ribadisce, i ricorrenti hanno assunto di essere proprietari dei beni in discorso – non può essere disattesa per il tramite delle argomentazioni spese dai Giudici di merito. L’acquisto di beni a titolo originario da parte dello Stato in forza della confisca di prevenzione (art. 45 d. Igs. n. 159 del 2011) opera, in presenza degli altri presupposti di legge, solo ove tali beni siano nella disponibilità del proposto; tuttavia, la nozione ampia di disponibilità non può giungere al punto da negare rilievo, nel procedimento di prevenzione, a una pretesa restitutoria quale quella allegata dai ricorrenti, assumendo la prevalenza della pretesa ablativa dello Stato che opera nei confronti del proposto. In tal senso depone proprio l’art. 23, comma 1, cit., che attribuisce rilevanza – per quel che qui rileva – alla situazione soggettiva dei proprietari di detti beni e consente loro di chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca. In tale ottica, dalla natura dichiarativa della nullità degli acquisti discende che la titolarità del bene sia in capo al soggetto che lo rivendica nel procedimento di prevenzione quale terzo proprietario, prima che sopraggiunga la statuizione ablativa per l’appunto a titolo originario in favore dello Stato, fermo restando che il giudice della prevenzione deve verificare che si tratti dei medesimi beni sottoposti a sequestro e, più in generale, apprezzare i fatti accertati con la sentenza penale definitiva che potrebbero determinare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della confisca (che, se la sentenza penale definitiva sopravvenisse o fosse conosciuta in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione,
consentirebbero di chiedere la revocazione della confisca: cfr. art. 28, comma 1, lett. b), d. Igs. n. 159 del 2011, disposizione il cui «valore sistematico, di orientamento della interpretazione» è stata già evidenziata: Sez. 1, n. 4489/2022 – dep. 2023, cit.)
La stessa nozione di disponibilità (poco sopra descritta) nel sistema della prevenzione, ma anche nell’ambito del procedimento penale (cfr. per tutte Sez. 6, n. 18766 del 18/02/2014, COGNOME, Rv. 259131 – 01), è funzionale a coprire tutte le ipotesi di rapporto effettivo di fatto del proposto (e nel procedimento penale, della persona sottoposta a indagini o dell’imputato) con le res per impedire che gli schemi negoziali (e l’apparenza tramite essi creata) possa paralizzare la pretesa ablativa dello Stato: in altri termini, essa è volta a impedire che schemi comunque fittizi non consentano di giungere alla confisca. Tuttavia, alla situazione soggettiva dei proprietari effettivi (e non fittizi: cfr. pur l’art. 26, comma 1, cit.), ove legittima, non può negarsi tutela. D’altra parte, a ritenere diversamente:
lo Stato acquisirebbe a titolo originario, nel procedimento di prevenzione, beni che sono nella titolarità effettiva di soggetti diversi da quello socialmente pericoloso nei confronti dei quali esso è stato instaurato (così giovandosi, in pregiudizio dell’effettivo proprietario, dell’agire contra legem del proposto); tanto che, già nella vigenza della disciplina anteriore al d. Igs. n. 159 del 2011, si era chiarito che il trasferimento in favore dello Stato «non può avere ad oggetto “un diritto di contenuto diverso e più ampio di quello che faceva capo al precedente titolare”, né lo Stato può “legittimamente acquisire facoltà di cui il soggetto passivo della confisca aveva già perduto la titolarità”» (Sez. 1, n. 27558/2010, cit.; Sez. U., n. 9 del 28/04/1999, COGNOME, Rv. 213510);
l’effettivo proprietario, pur avendo diritto alla restituzione del bene secondo una pronuncia definitiva già resa, rimarrebbe la diversa e più limitata tutela (come assunto dai giudici di merito) apprestata dagli artt. 52 s. d. Igs. n. 159 cit., qualora «il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l’inconsapevole affidamento» (art. 52, comma 21, lett. b), cit.), presupposti che il terzo intestatario invece non è chiamato a dimostrare poiché è sufficiente che egli «spezz il nesso di riferibilità del bene alla persona pericolosa» (Sez. 1, n. 42238 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270974 – 01); tutela più limitata pure in ragione del limite di cui all’art. 53 e del concorso con altri creditori (tenuto conto delle cause legittime di prelazione).
Ne deriva che è erroneo il presupposto che il decreto impugnato ha posto alla base della ritenuta infondatezza della prospettazione dei terzi NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Con riguardo alla posizione degli ultimi due l’iter argomentativo esposto dalla Corte distrettuale non è conforme a legge anche sotto altro profilo. La confisca dei beni di cui costoro hanno assunto di essere proprietari è stata disposta, «anche ammettendo la legittima provenienza in capo al COGNOME e alla COGNOME», nel presupposto che il COGNOME non sarebbe stato solo vittima dell’usura perpetrata «da parte dei Casamonica» – senza un puntuale riferimento a NOME COGNOME o a un altro dei proposti nel presente procedimento – e dall’altro attribuendo al COGNOME un agire illecito (sempre condotte usurarie), che non può giustificare in questa sede un’ablazione nei confronti dello stesso COGNOME (potendo venire qui in rilievo, come esposto al par. 6.1, le condotte illecite del proposto NOME COGNOME e le sue illecite acquisizioni di ricchezza); e senza affermare la disponibilità dei beni de quibus in capo a NOME COGNOME bensì soltanto che «non in alcun modo escludersi la riconducibilità delle polizze al proposto», peraltro in ragione della «condizione di assoggettamento» del COGNOME e della COGNOME al Casamonica, che non chiarisce effettivamente in che termini le polizze costituiscano frutto degli illeciti attribuiti al proposto e sian nella sua disponibilità. Ricorre, dunque, una motivazione priva di un’effettiva capacità esplicativa (e, dunque, utilmente censurabile in questa sede di legittimità) e, comunque, non conforme a legge nella parte in cui non dà conto della derivazione dei beni dagli illeciti del proposto e non da quelli attribuiti al COGNOME che – si ribadisce – è terzo interessato, il che esclude la confisca nel presente procedimento dei beni nella sua disponibilità.
Si impone, dunque, l’annullamento del decreto impugnato nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME con rinvio per nuovo giudizio sui punti indicati alla Corte di appello di Roma, che si atterrà ai princìpi di diritto sopra esposti nel verificare l’effettiva titolarità o meno dei ben in discorso, anche alla luce di quanto statuito agli effetti civili nel richiamato giudizio penale. Restano assorbite tutte le rimanenti censure avanzate dai medesimi ricorrenti.
8. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. NOME COGNOME e NOME COGNOME, devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi formulati impone di attribuire loro profili di colpa (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267585 – 01).
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato limitatamente: ai beni intestati a
NOME; all’immobile sito in Roma in INDIRIZZO ed alle quote sociali ed al compendio aziendale della srls RAGIONE_SOCIALE intestati a NOME COGNOME; nei
confronti di COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME con rinvio per nuovo giudizio sui punti indicati alla Corte di appello di Roma.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di NOME COGNOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Casamonica NOME e di Casamonica
COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 28/01/2025,