Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18757 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18757 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 15/12/1961
avverso il decreto del 27/11/2024 della Corte di appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME con atto del proprio difensore, impugna il decreto in epigrafe indicato, che ha confermato la confisca di tre immobili nella sua disponibilità, disposta a norma degli artt. 1, lett. b), 4, lett. c), 16, comma 1, lett. a), e 24, d. Igs. n. 159 del 2011.
Secondo la Corte d’appello, detti immobili sono stati acquistati nel periodo di pericolosità sociale di costui, che – secondo il decreto del Tribunale di Palermo del 24 settembre 2003, divenuto definitivo nel 2005, con il quale gli era stata applicata la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza – ha avuto inizio nel 1995 e si è
v
protratto fino alla cessazione di tale misura, avvenuta il 3 febbraio 2009, giacché, diversamente, la medesima sarebbe stata revocata.
Inoltre, nel corso di tale periodo, anche a voler tener conto delle allegazioni difensive, il nucleo familiare del Catalano, composto da cinque persone, avrebbe goduto di disponibilità reddituali ampiamente insufficienti a consentire l’acquisto di quei beni: vale a dire, circa 900.000 lire mensili dal 1996 al 2001, una situazione al di sotto della soglia di povertà negli anni 1998 e 2001, nonché, in alcuni anni, assenza totale di redditi).
2. Il ricorso denuncia una duplice violazione di legge.
2.1. In primo luogo, lamenta la contraddittorietà del provvedimento ablativo rispetto agli esiti del precedente procedimento di prevenzione, conclusosi con l’applicazione al Catalano della sorveglianza speciale, ma con il rigetto della richiesta di confisca.
In particolare, si rileva che uno degli immobili confiscati è stato acquisito nel 2018, per effetto di una permuta con altro immobile acquistato nel 1998 e non ritenuto frutto di proventi illeciti con il provvedimento che aveva definito precedente procedimento di prevenzione, pur ricadendo tale transazione nel periodo di pericolosità del proposto ivi ritenuto. Peraltro, l’immobile acquisito per effetto della permuta era di valore molto contenuto ed è stato arricchito mediante interventi in economia compiuti dal COGNOME, operaio edile specializzato, in un periodo successivo a quello di pericolosità.
In proposito, rileva la difesa che l’onere di allegazione gravante sul proposto non deve corrispondere al canone probatorio di un giudizio civile petitorio, soprattutto allorché si tratti di fatti risalenti nel tempo, dovendo aversi riguard piuttosto, alla globalità dei movimenti del patrimonio del proposto nel periodo considerato.
2.2. La difesa denuncia, inoltre, la violazione degli artt. 20, 21 e 22, d. Igs. n 159 del 2011, in quanto la proposta di sequestro dei beni in questione è stata avanzata dal Pubblico ministero il 29 settembre 2023, e quindi prim’ancora che divenisse definitivo il decreto dell’11 settembre precedente, con il quale la Corte d’appello di Palermo, decidendo a sèguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, aveva dichiarato l’inefficacia della confisca di quegli stessi beni, disposta con decreto del Tribunale di Palermo del 9 febbraio 2019 e confermata con decreto della stessa Corte d’appello del 9 marzo 2022.
Deduce la difesa che il sequestro di beni disposto in via d’urgenza in pendenza del termine per impugnare un precedente provvedimento di dissequestro degli stessi, e quindi prim’ancora della loro restituzione all’avente diritto, sia invalido.
Ha depositato la propria requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambe le doglianze non possono essere ammesse.
La prima non può esserlo, perché relativa essenzialmente ad un’erronea valutazione del compendio probatorio o, a tutto volere concedere, a vizi della motivazione: l’una, però, giammai deducibile in sede di legittimità (se non nei limiti estremi e patologici del travisamento) e gli altri non rilevabili nella mater delle misure di prevenzione, in cui il ricorso per cassazione è consentito soltanto in presenza di violazioni di legge (art. 10, comma 3, d. Igs. n. 159 del 2011).
Inoltre, la censura in esame si presenta generica, poiché non si misura specificamente con i dati e le argomentazioni utilizzati dalla Corte d’appello per perimetrare il periodo di pericolosità sociale del ricorrente e ritenere una sperequazione tra le sue disponibilità reddituali lecite e le somme occorsegli per l’acquisto degli immobili staggiti: il ricorso, infatti, si limita ad evidenziare il di esito del precedente procedimento di prevenzione subìto dal Catalano negli anni precedenti, senza peraltro specificare se la relativa base istruttoria fosse identica o si sia arricchita successivamente ad esso.
Il secondo motivo di ricorso, invece, è manifestamente infondato.
In tema di misure di prevenzione patrimoniale, considerata la natura della decisione che le applica, inidonea a determinare un giudicato in senso proprio, nessuna preclusione sussiste a che, annullato per vizi formali un decreto di confisca, si instauri una nuova procedura di sequestro e confisca sui medesimi beni oggetto del provvedimento annullato (così Sez. U, n. 36 del 13/12/2000, dep. 2001, Madonia, Rv. 217668, e, con particolare riferimento alla caducazione della confisca – come nel caso di specie – per l’inosservanza del termine perentorio di cui all’art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159, cit., stante la natura endoprocessuale di siffatto termine, Sez. 6, n. 41735 del 26/06/2019, Verterano, Rv. 277197).
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta
somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 1° aprile 2025.