Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14377 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14377 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a SARNO il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 17/05/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 17 maggio 2023, la Corte di appello di Salerno, sezione per le misure di prevenzione, revocava, per quanto di interesse, la confisca di alcuni beni immobili confermando, invece, il vincolo su altri, tutti meglio indicati in dispositivo e intestati all’odierna ricorrente, la proposta NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME, anch’egli sottoposto alla misura di prevenzione patrimoniale.
Nei confronti del COGNOME (già giudicato socialmente pericoloso da un precedente provvedimento, essendo stato ritenuto il referente della clan malavitoso, appartenente alla galassia della “RAGIONE_SOCIALE“, nel territorio di Sarno), infatti, ma anche dei suoi più stretti familiari – la moglie NOME COGNOME ed i figli NOME e NOME COGNOME – il Tribunale aveva applicato anche la misura di prevenzione personale, misura che, però, la Corte aveva revocato non ritenendo sussistere il requisito dell’attualità della pericolosità sociale qualificata.
Nel contempo, la Corte aveva confermato il decreto del Tribunale nella parte in cui aveva ampliato (rispetto a quanto si era già valutato nel precedente provvedimento di prevenzione n. 11 del 1998) il perimetro cronologico della ritenuta pericolosità sociale, ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, fino al 2014, essendo emerso che COGNOME, anche durante la detenzione, si serviva della moglie (e dei figli) per mantenere l’operatività del clan che la loro famiglia aveva continuato a capeggiare.
Quanto ai beni sottoposti al vincolo reale, la Corte revocava la confisca di quelli che risultavano essere pervenuti alla famiglia COGNOME (e, in gran parte, alla stessa NOME COGNOME) in modi leciti e, in particolare, attraverso risalent donazioni (dissimulate dai relativi atti di compravendita) che NOME, madre del NOME, aveva elargito alla nuora.
1.1. La Corte aveva, innanzitutto, così riassunto le censure mosse al decreto del Tribunale nell’appello proposto nell’interesse dell’odierna ricorrente:
non erano stati esclusi dalla confisca gli immobili pervenuti alla COGNOME dalla famiglia del NOME ed in particolare dalla suocera, per donazione;
non avendo, NOME COGNOME, concorso nel consumare alcuna illecita condotta a partire dal 1997, non potevano essere sottoposti a confisca tutti gli immobili che ella aveva acquistato in epoca successiva (non essendo, altresì, provato che gli stessi fossero nella disponibilità del NOME NOME COGNOME e che, pertanto, potessero essere vincolati in riferimento al diverso perimetro cronologico rispetto al quale questi era stato giudicato socialmente pericoloso);
– il Tribunale non aveva tenuto in alcun conto le considerazioni e le valutazioni fatte dai consulenti tecnici della difesa sulla stima dei redditi (in specie quell
discendenti dall’attività agricola) e dei costi della famiglia COGNOME–COGNOME e sull conseguente, contestata, sproporzione fra gli stessi e gli acquisti immobiliari conclusi.
1.3. Censure che, così, la Corte aveva (nella parte in cui aveva confermato il decreto del Tribunale) confutato.
Quanto al perimetro della giudicata pericolosità sociale qualificata della COGNOME, si era già detto come lo stesso dovesse essere (come quello del COGNOME) procrastinato al 2014, per la sua provata appartenenza al clan manifestatasi nel corso dei colloqui tenuti con il medesimo in carcere.
Quanto agli immobili sottoposti, dal Tribunale, al vincolo reale, la Corte annotava come proprio COGNOME risultasse essere l’intestataria di gran parte dei beni di proprietà della famiglia e come gli stessi potessero essere suddivisi in quattro diversi complessi immobiliari, tutti ubicati in Sarno: il primo in INDIRIZZO (folio 20), il secondo in INDIRIZZO, INDIRIZZO e INDIRIZZO (folio 35), il terzo in INDIRIZZO e INDIRIZZO (folio 33), i quarto in contrada Fossalupara (folio 31).
La Corte osservava, inoltre, che già con il precedente decreto di applicazione della misura patrimoniale (revocato in appello per motivi processuali), n. 11 del 1998, si erano esclusi dalla confisca gli immobili pervenuti a COGNOME per via ereditaria ed in epoca remota, perchè di origine lecita.
Si trattava, quanto al primo complesso immobiliare (catastalnnente individuato nel folio 20), dei cespiti indicati ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e (tutti riferiti al capo A); il Tribunale, tuttavia, nel nuovo provvedimento del 2022, ne aveva disposto la confisca ritenendo che la vendita degli stessi – dalla madre di NOME COGNOME, NOME COGNOME, alla nuora NOME COGNOME – non dissimulasse una donazione ma costituisse una reale compravendita (e NOME non disponeva delle somme, di origine lecita, che avrebbe dovuto versare alla suocera in corrispettivo); la Corte, invece, riteneva di revocare il vincolo, affermando che, anche in considerazione della coabitazione delle due donne nella medesima abitazione, dovesse ritenersi che le dette compravendite dissimulassero la donazione degli immobili così da non gravare la COGNOME del pagamento di alcun prezzo.
1.4. La Corte confermava, invece, la confisca degli immobili di cui ai punti 11, 12 e 13 (del folio 20 indicati al capo A), perché il primo era un fabbricato acquistato da NOME COGNOME il 14 maggio 1986, e gli altri erano due locali adibiti a box ceduti a COGNOME dalla RAGIONE_SOCIALE
Richiamava così il provvedimento n. 11 del 1998 in cui si era osservato che né NOME né il NOME risultavano avere espletato attività lavorativa dal 1986 al
1990. Né l’attività agricola della COGNOME ne giustificava i mezzi finanziari impiegati, non essendovi prova alcuna che avesse generato quei guadagni che il solo consulente di parte aveva riferito, del tutto assertivamente.
Si aggiungeva poi, quanto al perimetro della pericolosità sociale della NOME, che, comunque, andava anche considerato come ella fosse la moglie del NOME, la cui pericolosità sociale era stata accertata in riferimento ad un lunghissimo periodo di tempo.
1.5. Ancora in riferimento alla sproporzione fra i redditi familiari e gli acquisti immobiliari effettuati da NOME COGNOME e NOME, la Corte ricordava come in prime cure la si fosse accertata, in relazione al periodo fra il 1980 ed il 2013, nella misura di euro 263.413,82, ritenendo poi corretto il calcolo della spesa familiare alla luce dei dati ISTAT, pur tenendo conto della specificità di una famiglia che generava anche in proprio di beni alimentari.
1.6. Quanto agli immobili che componevano il secondo complesso – in INDIRIZZO, folio 35 – la Corte revocava la confisca di quelli descritti ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 12, 13 e 14 (del capo B), e la confermava, invece:
per i beni di cui ai numeri 7 ed 8 (sempre folio 35), trattandosi di un fabbricato che, pur essendo pervenuto a COGNOME in epoca risalente, aveva subito, nel periodo in cui era stata accertata le pericolosità della ricorrente e del NOME, una rilevante ristrutturazione, del tutto sproporzionata ai proventi leciti dei due coniugi;
per gli altri immobili censiti al folio 35, indicati ai numeri 9, 10, 11, perch acquistati dalla prevenuta da NOME COGNOME il DATA_NASCITA, in assenza di disponibilità finanziarie lecite.
1.7. Quanto agli immobili del terzo complesso – siti in INDIRIZZO e INDIRIZZO, censiti al folio 33 – revocata la confisca, per le ragioni già sopra evidenziate, degli immobili individuati ai numeri 1 e 2 (capo C), la Corte manteneva il vincolo sugli immobili indicati ai numeri 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14 (inseriti nel capo C), perché tutti acquistati da COGNOME da terzi soggetti in date riconnprese nel periodo rispetto al quale se ne era ritenuta la pericolosità sociale (sempre in assenza di mezzi finanziari leciti): il 3 dalle sorelle COGNOME nel 2010, il 4 ed il 5 da NOME COGNOME rispettivamente nel 2007 e nel 2001, il 6, 7,e 8 dai fratelli COGNOME il 24.9.91, il 9 da NOME COGNOME il 24.DATA_NASCITA.DATA_NASCITA, il 10 dalle sorelle COGNOME il 14.DATA_NASCITA.DATA_NASCITA, 1’11 ed il 12 dai fratelli COGNOME il 24.9.91, il 13 ed 14 da NOME ed NOME COGNOME nel 1987.
1.8. Tutti gli immobili costituenti il quarto complesso – siti in INDIRIZZO e in INDIRIZZO (folio 33) – venivano dissequestrati dalla Corte perché lecitamente pervenuti a NOME in quanto donatigli dalla suocera NOME.
Propone ricorso NOME, proposta essa stessa e coniuge del proposto NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, articolando le proprie censure in una complessiva argomentazione, non suddivisa in singoli, numerati, motivi.
2.1. Con una prima argomentazione lamenta la violazione di legge e la motivazione apparente in ordine alla applicazione delle norme che consentono le misure di prevenzione patrimoniali (di cui faceva un’articolata rassegna, accompagnandola con l’individuazione degli indirizzi giurisprudenziali di legittimità).
Affermava, poi, la difesa che la ricorrente, come titolare di una serie di ditte individuali operanti nel settore agricole, aveva generato redditi e guadagni tali da giustificare tutti gli acquisti degli immobili che, invece, erano stati sottoposti vincolo di prevenzione reale.
L’origine della provvista era pertanto perfettamente lecita come lecito era stato l’acquisto degli immobili donatigli dalla suocera NOME COGNOME.
Gli stessi non potevano neppure essere sottoposti al vincolo ipotizzando l’intestazione fittizia, visto che non si era dimostrato come rientrassero nella disponibilità del coniuge, NOME COGNOME. Né lo si poteva dedurre dal solo vincolo parentale posto che la presunzione in parola, dettata dall’art. 26 d.lgs. n. 159/2011, è prevista per i soli beni trasferiti nel biennio precedente la proposta di misura.
Quanto alla presunta sproporzione fra i guadagni conseguiti e gli acquisti immobiliari, nel determinare i primi si erano calcolato il costo di mantenimento della famiglia COGNOME in base ai meri dati RAGIONE_SOCIALE che sono però assolutamente generici e sui quali, comunque, può essere offerta la prova contraria.
Non si era neppure concretamente accertato che l’acquisto dei beni fosse avvenuto nel perimetro temporale rispetto al quale era stata ritenuta la pericolosità sociale dei proposti.
Del tutto errati erano i calcoli circa i guadagni riportati da NOME e NOME ne periodo di interesse, dal 1980 al 2013, poiché gli stessi sarebbero stati così esigui da smentire la stessa sussistenza del clan malavitoso di cui avrebbero fatto parte.
Si erano trascurati i rilievi mossi dal consulente di parte, dott. letto, ne redigere le tabelle da cui sarebbe emersa l’ipotizzata sproporzione reddituale: non si era, ad esempio, riportato all’anno successivo il saldo, a volte positivo, dell’anno
precedente e già la sola correzione di tale errore avrebbe comportato la diminuzione della sproporzione, in origine calcolata, da euro 375.301,82 ad euro 373.138.97.
La Corte, comunque, aveva ridotto la cennata sproporzione alla minor somma di euro 263.413,82, peraltro non considerando una donazione in contanti che NOME aveva fatto elargito alla nuora.
Non si erano considerate né le osservazioni del consulente dott. COGNOME sugli errori di calcolo del costo, anno per anno, della vita familiare, nè quelle dell’altro consulente, dott. COGNOME, un agronomo, sulla redditività dei terreni agricoli di proprietà della ricorrente (43 ettari), tali da ammontare, essi soli, alla somma complessiva, per gli anni dal 1989 al 2013, di euro 342.559,41, redditi che non avrebbero potuto emergere da alcuna scrittura, non dovendosi tenere le stesse per l’attività agricola.
Non si era neppure provato che i fondi, oltre agli immobili, fossero nella disponibilità del proposto e fossero solo fittiziamente intestati alla prevenuta.
In conclusione, il patrimonio immobiliare della famiglia COGNOME era risalente alle precedenti generazioni e non aveva subito alcun incremento che potesse far ritenere un reimpiego in esso dei proventi delle attività illecite.
Si elencavano gli immobili già di proprietà di NOME COGNOME (donati alla RAGIONE_SOCIALE) che la stessa aveva acquisito dal 1945 al 1976 e, quindi, non negli anni rispetto ai quali era stata accertata la pericolosità sociale del figlio NOME.
2.2. Si passava così alla verifica della fondatezza della confisca dei singoli immobili.
2.2.1. Quanto agli immobili siti in Sarno in INDIRIZZO – indicati nell’elenco dei beni sequestrati ai numeri 4, 5, 7, 15, 16, 17, 18, 19, 30, 31, 32, 38 e 39, almeno parte degli stessi proveniva da atti di donazione e di compravendita della NOME collocabili negli anni ’30 del secolo scorso (ed erano nel patrimonio di famiglia di costei, e del proposto, da ancor più tempo) ed i più recenti nel 1965 e nel 1976.
2.2.2. Quanto ai terreni siti in Sarno alla INDIRIZZO ed in INDIRIZZO – indicati nell’elenco dei beni sequestrati ai numeri 1, 2, 3, 8, 10, 11, 12, 13, 14 e 36 – si annotava come uno di questi fosse stato acquistato dalla madre del proposto nel 1969 e, quindi, prima del periodo rispetto al quale si doveva valutare la sproporzione fra redditi leciti ed acquisti.
2.2.3. I terreni siti in Sarno, INDIRIZZO, erano tutti di proprietà di NOME e questa li aveva donati (già nel 1989) alla nuora.
2.3. Riprendendo le fila della più generale argomentazione, la difesa osservava come la Corte non avesse valutato il portato della consulenza letto, in cui si erano ricostruiti i guadagni da fonti lecite, tali da giustificare pienamente gl investimenti fatti.
Ripercorreva, anno per anno, dal 1986 al 2010, i dati riportati nella consulenza, in cui si era concluso per una sproporzione positiva (e, quindi, non negativa come ritenuto dai giudici della prevenzione) di oltre 300.000 euro, anche considerando i redditi effettivi dell’attività agricola.
In particolare, si era giunti a quantificare i proventi leciti in complessivi euro 569.778,13, invece che gli euro 418.117,51 indicati nei decreti.
Si aggiungevano le ulteriori fonti di lecito guadagno non considerate, fra i quali un contributo di 106.545,00 versato a COGNOME per i danni cagionati dall’alluvione del 1998, versato nel corso degli anni successivi. Ed un’ulteriore somma di circa 15.000 euro versata al COGNOME per danno patito dal proposto nel 2006 per complessivi euro 15.000.
Si rinnovava la censura relativa al calcolo dei costi sostenuti per mantenere la famiglia, ricordando che, nell’arco temporale fra il 1980 ed il 2013, era stata calcolata una spesa complessiva di euro 692.091,82, assolutamente esagerata. Quanto alla spesa alimentare si era omesso di considerare che di alcuni prodotti la famiglia già disponeva. Per quanto riguarda gli altri consumi si erano inserite voci inesatte, alcune delle quali solo figurative. Non si era tenuto conto del dimesso stile di vita riferito da una pluralità di testimonianze offerte dalla difesa.
2.4. La difesa lamentava, inoltre, che non si fosse deciso di disporre una perizia volta a quantificare redditi conseguiti e costi sostenuti dalla famiglia NOME al fine di verificare se sussistesse in concreto la ritenuta sproporzione fra gli stessi e gli acquisti immobiliari effettuati nel periodo.
2.5. Da ultimo, la difesa deduce la mancata verifica del requisito dell’attualità, della ritenuta pericolosità sociale della prevenuta.
Passava, dapprima, in rassegna la normativa sul punto e gli orientamenti interpretativi di questa Corte di Cassazione.
Ricordava, poi, le condanne da questa patite e le informative di polizia giudiziaria che la riguardavano, osservando come la ricorrente avesse fatto parte dell’RAGIONE_SOCIALE, ormai invero smantellata, solo per un breve periodo di tempo, tanto che la stessa non risultava fra gli imputati dei procedimenti penali tuttora in corso.
In conclusione, non risultavano condotte illecite della stessa in epoca successiva al 2000, così da non potersene oggi ritenere la permanente pericolosità sociale.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME, ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso promosso nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE non merita accoglimento.
Deve, innanzitutto, ricordarsi che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575 (ed ora dall’art. 10, terzo comma, per le misure personali, e 27, secondo comma, per le misure reali, d. Igs. 6 settembre 2011 n. 159); ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogic manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso l’omessa o apparente motivazione (così la pronuncia delle Sezioni unite n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
Le successive pronunce hanno prestato adesione a tale orientamento: Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080 in cui si è affermato che il vizio ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio; da ultimo confermata dalla sentenza Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435 in cui si è osservato che il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. è estraneo al procedimento di legittimità, a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge.
Chiariti così i limiti del presente giudizio, risultano manifestamente prive di fondamento le doglianze mosse nel ricorso sul giudizio di pericolosità sociale qualificata della proposta (oltre che di riflesso, del NOME), sulla sproporzione fra i redditi leciti e l’acquisto dei beni sottoposti a confisca, avendo la Corte offerto s
tali punti una motivazione che non può considerarsi né assente né meramente apparente.
Peraltro l’argomentare stesso del ricorso – non adeguatamente suddiviso in precise scansioni – non consente di agevolmente isolare e comprendere le doglianze che lo compongono, lasciando il dubbio che si siano riprodotte le censure mosse con l’appello al provvedimento di prime cure, del Tribunale, in cui appunto più che violazioni di legge (e quindi omesse o apparenti motivazioni) si erano denunciati i ben diversi vizi motivazionali.
Nel ricorso, infatti, si rinvengono, anche, censure del tutto superate alla luce del contenuto del decreto oggi impugnato, quali quelle che riguardano gli immobili pervenuti alla COGNOME per le donazioni (peraltro dissimulate) da parte della suocera, NOME COGNOME, tutti, invece, già restituiti dalla Corte.
E, ancora, nell’ultimo capitolo, si censura la ritenuta attualità del giudizio di pericolosità sociale della prevenuta quando tale requisito, che costituirebbe il fondamento della sola misura di prevenzione personale, era già stato escluso dal primo giudice che aveva, proprio per tale ragione, rigettato la richiesta di applicazione alla COGNOME, e ad altri familiari fra cui il COGNOME, le misure di prevenzion personali.
Non resta allora che ripercorrere il percorso argomentativo seguito dalla Corte d’appello per saggiarne la intrinseca logicità e completezza e che risulterà ben lungi dal mostrare quei vizi di omessa o apparente motivazione che nel ricorso si era inteso prospettare.
Quanto alla pericolosità sociale della prevenuta, la Corte aveva fatto adeguato riferimento non solo alle emergenze che deponevano per il pieno concorso della COGNOME nel clan capeggiato dal NOME NOME COGNOME (e in prosieguo di tempo anche con gli altri familiari interessati, il figlio NOME prima ed il figlio NOME poi alla data indicata nella relativa condanna, divenuta definitiva, e quindi al 1997, ma aveva speso ampia argomentazione per dimostrare che, anche in riferimento ad anni largamente successivi, si potesse concludere per la sua “appartenenza” al sodalizio.
Come avevano dimostrato le conversazioni intercettate in carcere, nel corso dell’anno 2013 (riportate, nel dettaglio, nel decreto del Tribunale da pagina 43, dopo che si erano ricordate le propalazioni di alcuni collaboratori di giustizia che avevano riferito dell’esistenza e dell’operatività di tale RAGIONE_SOCIALE criminale in tutti gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso), intrattenute con lo stesso NOME COGNOME, la figlia NOME, l’altro figlio (rispetto a NOME e NOME) NOME, in appunto, si era ampiamente discusso degli affari del clan, ancora pienamente
operativo e capeggiato, all’esterno, dai già citati NOME e NOME COGNOME, figli della coppia COGNOME–COGNOME (la cui famiglia naturale continuava così a costituire il vertice della consorteria).
Così che pienamente giustificato era il giudizio sul perimetro cronologico della pericolosità sociale della prevenuta ampliato fino al 2014.
E ciò senza soluzione di continuità (fra la condanna definitiva per i fatti commessi fino al 1997 e le conversazioni di cui si è detto) posto che il contenuto stesso delle conversazioni aveva mostrato come il clan avesse, negli anni, sempre operato mantenendo intatta la propria presa sul territorio di riferimento, provvedendo a sostituire il detenuto NOME, con il figlio NOME prima ed anche con il figlio NOME poi ; cui la madre NOME era rimasta sempre vicina.
Anche sul giudizio di sproporzione fra gli acquisti di beni, nel lungo periodo in esame, e la disponibilità di redditi leciti, la motivazione della Corte non mostra discrasie logiche (e tantomeno omette passaggi motivazionali su punti decisivi).
In buona sostanza infatti le censure della difesa muovono dalla pretesa di rivalutare ex post i redditi agricoli tratti dalla COGNOME (a cui, significativamente, erano stati intestati immobili e terreni, compresi quelli provenienti dall’originario patrimonio della famiglia del NOME, donati a lei, e non al figlio o ai nipoti, dal suocera, restando, la stessa la meno direttamente coinvolta, fra i suoi familiari, nella concreta attività del sodalizio) dai terreni di sua proprietà, in assenza di qualsivoglia reale e concreta documentazione e, quindi, in modo del tutto assertivo e meramente congetturale.
Peraltro, senza neppure considerare che, superando un certo reddito, pur se agricolo, la tenuta della contabilità sarebbe stata dovuta.
Di minino rilievo quantitativo erano poi le osservazioni inerenti la spesa complessiva familiare (in presenza accertata di almeno quattro figli della coppia genitoriale composta dalla COGNOME) sol perché alcuni beni alimentari di prima necessità erano autoprodotti dai COGNOME–COGNOME.
Né avrebbe dovuto tenersi conto delle somme pervenute a titolo di risarcimento danni, posto che le stesse, appunto, erano state erogate sulla scorta di un danno, anche patrimoniale, precedentemente cagionato e quindi sostanzialmente a “somma zero”.
Né aveva rilievo l’eventuale accertamento della disponibilità da parte di NOME COGNOME degli immobili sui quali era stato confermato il vincolo, sia perché questo appare scontato (tutti gli immobili della famiglia COGNOME–COGNOME, erano stati intestati a quest’ultima evidentemente confidando nel fatto che meno probabile sarebbe stato il loro sequestro se intestati alla persona meno coinvolta nell’operatività del
clan) sia perché il giudizio di pericolosità sociale qualificata riguardava, in proprio, anche la stessa NOME COGNOME.
A fronte di ciò, nessun contributo ad una più corretta valutazione di siffatta sproporzione poteva derivare dalla perizia contabile invocata dalla difesa considerando che i redditi leciti della coppia COGNOME erano già stati accertati ed erano quelli che emergevano dalle dichiarazioni da questi presentate negli anni e che deponevano, detratti i costi, per l’impossibilità da parte dei due proposti di derivarne guadagni tali da consentire loro di effettuare quei numerosi acquisti di immobili che avevano invece realizzato nel corso degli stessi anni rispetto ai quali era stata ritenuta la loro pericolosità sociale qualificata.
Così che la conferma della confisca degli immobili individuati in motivazione dalla Corte territoriale (esclusi, lo si ripete, quelli donati dalla NOME all COGNOME) risulta adeguatamente motivata, senza potervi rinvenire alcuna delle violazioni di legge ipotizzate nel ricorso.
Al rigetto del quale segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma il
1 febbraio 2024.