Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14048 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14048 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOME, nata a Palermo il DATA_NASCITA
NOME, nata a Palermo il DATA_NASCITA
NOME, nata a Palermo il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Ficarazzi il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 19/06/2023 della Corte di appello di Palermo letti gli atti, il ricorso e il decreto impugnato;
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
letta la memoria depositata dall’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha confermato il decreto del 12 gennaio 2022 con il quale il Tribunale di Palermo, Sezione Misure
di Prevenzione, aveva disposto la confisca dei beni intestati a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rispettivamente figlie, genero e moglie del defunto COGNOME NOME, già destinatario della misura della sorveglianza speciale per la durata di 4 anni in ragione della risalente appartenenza alla famiglia mafiosa di Villagrazia e già condannato per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. La pericolosità qualificata del NOME ai sensi dell’art. 4, lett. a) e b) d.lgs. n.159 del 2011, gi riconosciuta con decreto del 1985, era stata ulteriormente confermata dalle indagini svolte nel procedimento penale n. 19347/11, nel cui ambito era stata emessa l’ordinanza cautelare dell’Il marzo 2016 per i reati di partecipazione all’associazione mafiosa RAGIONE_SOCIALE con ruolo direttivo e concorso in numerose estorsioni aggravate dal metodo e dalla finalità di agevolare il sodalizio RAGIONE_SOCIALE.
Il decesso del COGNOME, avvenuto un mese dopo l’emissione di detta ordinanza cautelare, non aveva impedito al Tribunale di valutare ai fini del giudizio incidentale di pericolosità le risultanze delle intercettazioni telefoniche ambientali, che documentavano il ruolo di vertice assunto dal COGNOME alla guida del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Villagrazia/Santa Maria del Gesù e il ruolo di coordinamento delle attività estorsive assunto nel periodo 2013- dicembre 2014.
Dopo aver ricostruito il percorso criminale del proposto e aver delimitato il perimetro della pericolosità dagli anni 80 fino alla morte, il Tribunale aveva disposto la confisca di due immobili e dell’impresa di distribuzione di carburanti intestata a COGNOME NOME, in quanto beni acquistati tra il 1998 e il 2006 ovvero nel periodo di accertata manifestazione della pericolosità del NOME, ravvisando la sproporzione tra i redditi del nucleo familiare del proposto e degli eredi e la mancanza di fonti lecite.
La Corte di appello ha confermato la decisione sia in ordine alla perimetrazione della pericolosità del proposto, ravvisando la continuità dell’appartenenza mafiosa del COGNOME anche nel periodo dal 2001 al 20132014 (dalla scarcerazione al periodo delle intercettazioni, che ne avevano rivelato la posizione apicale e l’attivismo nel settore delle estorsioni) in ragion della forzata e solo apparente inoperatività del COGNOME dovuta all’osservanza delle prescrizioni della misura di prevenzione eseguita dal 2001 al 2005, sia in ordine alla misura patrimoniale.
I giudici di appello hanno ritenuto che, anche a seguito della ulteriore documentazione prodotta dagli appellanti, i nuclei familiari del proposto e della figlia COGNOME NOME, coniugata con il COGNOME, non avessero redditi adeguati o risparmi tali da giustificare gli investimenti necessari per l’edificazione degl immobili e per l’acquisto della impresa di carburanti, risultando evidente e costante nel tempo la sperequazione tra i redditi dichiarati e le risorse necessarie a finanziare gli acquisti.
Avverso il decreto hanno proposto ricorso i difensori delle figlie, della moglie e del genero del NOME.
Il difensore e procuratore speciale di COGNOME NOME e COGNOME NOME con separati ricorsi di identico contenuto articola un unico motivo con il quale denuncia la violazione degli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011 nonché il vizio di motivazione.
Sostiene che la motivazione è del tutto illogica e apparente, omette di confrontarsi con gli elementi decisivi offerti dalla difesa, presumendo l’illiceità d ogni acquisizione patrimoniale, ed elevando a unica regola di giudizio gli indici RAGIONE_SOCIALE.
Il primo punto sul quale è resa una motivazione apparente riguarda la mancata considerazione delle somme incassate a seguito della cessione di un terreno ereditato dalle ricorrenti e dalla sorella; la Corte di appello non ha tenuto conto del versamento sui conti correnti di ben 85 mila euro in assegni circolari a seguito del preliminare di vendita di un terreno a COGNOME NOME, che ha confermato l’esistenza del contratto; neppure ha considerato che dagli stessi accertamenti della polizia giudiziaria è emerso che i lavori per l’immobile destinato ad abitazione del NOME, della moglie e delle due figlie erano stati eseguiti in economia e con materiali scadenti, sicché l’esborso necessario era stato modesto e compensato dalle somme ottenute dalle sorelle NOME a titolo di indennità di espropriazione.
Si contesta la svalutazione del decreto del 1985 con il quale era stata inizialmente disposta la confisca di terreni pervenuti al COGNOME con atti notarili del 1977 con annesso edificio per civile abitazione, ma in seguito il Tribunale ne aveva riconosciuto la legittimità e li aveva restituiti al COGNOME, in tal modo riconoscendogli una capacità reddituale lecita; analogamente il 20 settembre 2002 ed ancora il 23 ottobre 2007 era stata revocata la confisca di altre porzioni di terreno così legittimando gli esborsi per la realizzazione degli immobili confiscati nel presente procedimento, apoditticamente ritenuti dalla Corte di appello beni improduttivi di reddito.
Peraltro, la Corte non ha considerato che l’acquisizione dei beni non è avvenuta durante i periodi di accertata pericolosità del proposto; che negli anni 2003-2008 in cui vennero eseguiti i lavori non sono documentate attività illecite del proposto, sicché l’illiceità delle acquisizioni è fondata sulla pretes sperequazione reddituale ricavata dagli indici RAGIONE_SOCIALE, risultata, invece, inesistente o erronea in base alla consulenza di parte. Il COGNOME era titolare di redditi leciti prima del 1997, risultanti dagli estratti conto prodotti, dal trattamento pensionistico riconosciutogli nel 2002; per la moglie è stato prodotto l’estratto previdenziale relativo all’attività agricola svolta dal 1975 al 1992, da cui ha
ricavato redditi non considerati; l’unico esborso sostenuto dal COGNOME nel periodo 2007-2008 con il documentato aiuto delle figlie ha ad oggetto la ristrutturazione di un vecchio magazzino, adibito a civile abitazione, ma di tali elementi la Corte non ha tenuto conto né ha considerato il modesto tenore di vita della famiglia, che, vivendo dei frutti del fondo agricolo, risparmiava spese, tra cui anche quelle di affitto fino al 2005, venendo ospitata da parenti.
Per la costruzione dell’edificio, realizzato tra il 2003 e il 2005 e intestat pro quota alle tre figlie del NOME, i lavori sono stati eseguiti in economia con documentate risorse lecite del nucleo COGNOME NOME, COGNOME NOME e il muratore COGNOME ha confermato tempi, modalità e costi dei lavori, compatibili con le disponibilità economiche del nucleo familiare. La Corte di appello ha esteso la confisca all’intero, comprendendo anche le quote delle due sorelle sul presupposto che i lavori sono stati eseguiti solo da COGNOME NOME, benché non vi sia un atto di cessione delle quote delle sorelle, che rimangono proprietarie di 1/3 dell’immobile. Analoghe conclusioni valgono per l’immobile abitato da NOME NOME e dalla figlia COGNOME NOME, realizzato mediante ristrutturazione di una vecchia stalla intorno agli anni 2007-2009 e la cui modestia è stata verificata dagli inquirenti: pertanto, la Corte di appello ha utilizzato unicamente la ricostruzione reddituale effettuata dai CC, superata dagli accertamenti del consulente di parte.
Il difensore di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME denuncia la violazione degli artt. 19 e 24 del d.lgs. n.159 del 2011 nonché degli artt. 192, commi 1 e 2, 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e 111 Cost.
Il decreto impugnato è fondato su una valutazione congetturale e apodittica dei dati offerti dai ricorrenti, che hanno assolto l’onere d giustificazione dell’origine lecita dei beni, avendo prodotto documentazione, una consulenza contabile e una consulenza tecnica. La Corte di appello si è limitata a confermare la valutazione del Tribunale; ha rifiutato l’approfondimento contabile richiesto e non ha considerato che la consulenza tecnica del geometra Cancelliere, acquisita in appello, sconfessava i conteggi delle spese di realizzazione degli immobili utilizzati dal Tribunale, al pari delle note contabil ulteriori della consulente di parte dott.ssa COGNOME, relative ai costi acquisizione del distributore e ai mezzi leciti del proposto e dei terzi, che smentivano la presunta sproporzione. La decisione si fonda, quindi, su una presunzione di illiceità delle acquisizioni patrimoniali in base agli indici RAGIONE_SOCIALE, elevati a unico criterio di valutazione.
Il decreto non considera che i precedenti provvedimenti di prevenzione avevano riconosciuto la legittimità delle acquisizioni del NOME e restituito i
beni confiscati, in particolare l’immobile adibito a magazzino-stalla, identificato al catasto fg. 115, part. 103; riconduce all’attività illecita del proposto qualsia acquisto, anche la gestione a costo zero del distributore RAGIONE_SOCIALE, acquistata da COGNOME NOME nel 1998, quando il padre era detenuto da 9 anni, nonostante sia stato documentato l’acquisto a costo zero mediante contratto di comodato d’uso gratuito; non considera le fonti lecite impiegate per l’edificazione nel 20032005 dell’immobile ad uso abitativo sulla particella 122 sub 2 e 3 e per i lavori di ristrutturazione del vecchio magazzino nel 2007-2008.
Irragionevole è la valutazione della Corte di appello circa l’inesistenza di accordi compensativi e l’entità dei crediti reciproci; altrettanto irragionevole l svalutazione della deposizione del COGNOME, che, invece, ha riferito di una integrale compensazione. La Corte di appello ha ignorato la produzione documentale e le dichiarazioni della COGNOME; ha stigmatizzato la datazione del rilascio della garanzia fideiussoria, nonostante la richiesta di integrazione probatoria finalizzata ad acquisire l’intero carteggio per poi ritenere, in modo congetturale, che nell’avviamento fossero confluiti redditi illeciti del COGNOME, accumulati prima della carcerazione, iniziata nel 1989 e terminata nel 2001. Irragionevolmente la Corte territoriale non ha considerato tra le provviste lecite dei ricorrenti i redditi dell’attività del distributore; ha ignorato che per i l eseguiti nel 2003-2005 furono utilizzati gli introiti del distributore; non ha tenut conto dei finanziamenti concessi per 36 mila euro, della somma di 15 mila euro proveniente dal rimborso della garanzia fideiussoria né considerato che dal preliminare di vendita sottoscritto dalle tre sorelle COGNOME nel 2007 con la COGNOME derivarono 85 mila euro, redditi idonei a eliminare la presunta sperequazione relativa agli esborsi sostenuti per la ristrutturazione della stalla di cui alla particella 103, fg. 115, la cui modesta entità è stata riscontrata anche dai CC nell’informativa del maggio 2021. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con ulteriori note depositate nell’interesse di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME il difensore ha ribadito e ulteriormente argomentato i motivi di ricorso e ha allegato due comunicazioni provenienti dall’istituto di credito, che escludono che la NOME avesse stipulato una fideiussione con scadenza 30 marzo 2003, invece, rilasciata dalla Banca Popolare di Lodi in favore della RAGIONE_SOCIALE. Sulla scorta di tale produzione e della mancata esecuzione della perizia contabile richiesta, ha insistito per l’annullamento con rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili ed esaminabili congiuntamente perché formulano motivi comuni e solo formalmente deducibili, risultando, in realtà,
meramente oppositivi e diretti a contestare la motivazione del provvedimento impugnato, riproponendo censure e una lettura alternativa dei fatti, già motivatamente disattese con argomentazioni lineari e corrette.
È noto che in materia di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge (Corte Cost. sent. n. 106 del 2015), rimanendo esclusa la deducibilità dei vizi della motivazione, a meno che non sia denunciato il difetto assoluto dell’apparato giustificativo ovvero la sua natura meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29 maggio 2014, COGNOME e altri, Rv. 260246); è, quindi, sindacabile la sola “mancanza” del percorso giustificativo della decisione, nel senso di redazione di un testo del tutto privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità o di un testo del tutto inidoneo a far comprendere il percorso logico seguito dal giudice. In tali casi, infatti, non è la congruità logic delle singole affermazioni probatorie ad essere valutata, quanto la mancata osservanza del generale obbligo di motivazione, imposto dall’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.
Il decreto impugnato, che va letto congiuntamente a quello di primo grado, non incorre nei vizi dedotti, risultando esaminate le allegazioni e le deduzioni difensive, confutate con motivazione puntuale e completa.
La prima censura ha ad oggetto la perimetrazione della pericolosità qualificata del proposto (dagli anni 80 alla morte del proposto nell’aprile 2016) e la correlazione tra la stessa e i beni confiscati, acquistati in un periodo (tra 1998 e il 2006-2007) in cui, a parere della difesa, non si registrano concrete manifestazioni di pericolosità del NOME che possano giustificarne l’ablazione.
Si tratta di un profilo già ampiamente affrontato dai giudici di merito, che hanno reso sul punto una risposta affatto illogica e apparente alla luce del consolidamento della posizione del COGNOME nell’associazione mafiosa, emerso dalle intercettazioni- eseguite dal 2013 fino al dicembre 2014-, riportate nell’ordinanza cautelare del 2016 e di cui dà dettagliatamente conto il decreto impugnato (pag. da 3 a 10).
Non illogicamente la Corte di appello, al pari del Tribunale, ha ritenuto che l’evoluzione criminale del COGNOME – già condannato per 416 bis cod. pen., latitante dal 1984 al 1989, sottoposto a misura di prevenzione personale con decreto del 1985, ma eseguito solo dal 2001 al 2005-, e il ruolo di vertice assunto, dimostrato dall’attivismo nel settore delle estorsioni e dall’esercizio di prerogative apicali nella guida del RAGIONE_SOCIALE Villagrazia/Santa Maria di Gesù, deponessero per la continuità dell’appartenenza mafiosa del proposto e per la perdurante pericolosità qualificata, se non sino alla data della morte, almeno sino al dicembre 2014 (epoca delle intercettazioni), tenuto altresì conto della tendenziale stabilità del vincolo associativo e della risalente
appartenenza mafiosa del COGNOME, posta a base del precedente decreto del 1985, e dell’ordinanza cautelare del marzo 2016, la cui emissione presuppone un giudizio di gravità indiziaria nonché di concretezza e attualità delle esigenze cautelari ben più pregnante di quello richiesto nel giudizio di prevenzione.
Con argomentazione logica la Corte di appello ha confutato l’obiezione difensiva, attribuendo rilievo all’assenza di momenti di cesura nel percorso criminale del proposto, rilevandosi piuttosto un’ascesa e un consolidamento di posizione dopo il periodo di detenzione, tanto da doversi ritenere solo apparente la situazione di stasi nel periodo intercorrente tra la scarcerazione e il 2013, trattandosi di scelta non spontanea, ma obbligata dalla sottoposizione alla misura di prevenzione e dalla necessitata osservanza delle prescrizioni imposte. L’apparente inattività forzata, infatti, non aveva fatto venir meno l’appartenenza e l’intraneità a cosa RAGIONE_SOCIALE né sminuito il prestigio criminale del COGNOME, che proprio in ragione del risalente ruolo di rappresentante della famiglia di Villagrazia, riferito da numerosi collaboratori, e della pregressa esperienza criminale aveva nuovamente assunto incarichi di responsabilità e ruolo di garante del rispetto delle regole tradizionali dell’associazione, come emerso dalle intercettazioni, sicché, pur rimanendo in posizione defilata, non ne era mai venuta meno l’intraneità all’associazione mafiosa. Altrettanto logicamente risulta valorizzato il riferimento nei colloqui intercettati a pregressi accordi illec risalenti ad epoca precedente alla sua detenzione, dei quali esigeva il rispetto, quale elemento dimostrativo della protratta appartenenza mafiosa con ruolo persino consolidatosi ed evolutosi nella posizione apicale e di coordinamento dell’attività estorsiva. (pag. 24-25).
Del tutto infondata è la critica delle modalità ricostruttive dello squilibr patrimoniale per mancata considerazione delle allegazioni difensive, invece, valutate, analizzate, persino accolte in parte e in altra parte motivatamente disattese.
Nel decreto si dà atto che il Tribunale aveva già considerato le allegazioni e i dati offerti dalla difesa, alla luce dei quali aveva corretto gli accertamen patrimoniali compiuti dalla polizia giudiziaria e modificato le tabelle di calcolo, giustificando in modo analitico il mancato inserimento di alcuni elementi per le ragioni puntualmente illustrate (v. pag. 12-18 decreto impugnato). Si dà altresì atto dell’acquisizione nel giudizio di secondo grado della relazione del geometra Cancelliere e delle ulteriori note redatte dalla consulente di parte, che rendevano superflua la perizia contabile richiesta e l’audizione del Cancelliere. Ne deriva che la censura è meramente oppositiva e diretta a riproporre una diversa lettura dei dati contabili e della situazione patrimoniale dei nuclei familiari del proposto e della figlia COGNOME NOME, non in grado di superare l’accurata ricostruzione
patrimoniale operata dai giudici di merito e l’oggettività della costante e progressiva sproporzione emergente dai dati esaminati dai giudici di merito e dalle tabelle rimodulate, anche tenendo conto dei dati offerti dalla difesa.
Analoga sorte spetta alla contestata utilizzazione degli indici RAGIONE_SOCIALE, assunti, a parere della difesa, ad unico parametro ricostruttivo della sperequazione rilevata.
Sul punto la risposta fornita dai giudici di merito è corretta, risultando giustificata dal metodo di analisi utilizzato l’affidabilità dei valori espressi da d indici per le annualità esaminate, come già ritenuto da questa Corte che, infatti, ha affermato che ai fini della valutazione della sproporzione tra redditi dichiarati e valore degli acquisti effettuati, le spese di sostentamento del nucleo familiare del proposto, che determinano il reddito netto rilevante per la capacità di acquisto, possono essere desunte anche dalle analisi RAGIONE_SOCIALE, precisando che le elaborazioni statistiche forniscono un risultato di tipo essenzialmente indiziario circa l’effettività delle spese, restando a carico della parte interessata l’oner dimostrativo della propria capacità di investimento (Sez. 2, n. 36833 del 28/09/2021, Caroppo, Rv. 282361).
In linea con tale orientamento ; la Corte di appello non ha mancato di sottolineare il valore presuntivo degli indici Istat e di giustificare il ricorso a parametri in mancanza di allegazioni specifiche e per l’impossibilità di ricostruire in maniera puntuale le spese di mantenimento dei nuclei familiari nelle annualità considerate, come già aveva fatto il Tribunale, che sul punto aveva ritenuto generiche le allegazioni difensive relative all’autoconsumo dei prodotti alimentari, frutto dell’attività agricola dei familiari del proposto, rilevando sia la mancanza di prova di una intensa produzione, sufficiente anche a soddisfare il fabbisogno familiare per un così lungo periodo, sia la mancata quantificazione del risparmio di spesa (v. pag. 15-16 decreto impugnato).
Manifestamente infondati perché meramente reiterativi sono i motivi relativi all’acquisto del distributore di carburante della RAGIONE_SOCIALE da parte di NOME.
La tesi difensiva riproposta nel ricorso, secondo la quale l’acquisto sarebbe avvenuto nel 1998 a costo-zero, è stata disattesa con ampia e approfondita motivazione sin dal primo grado in ragione della mancanza di dati oggettivi e certi in grado di smentire il duplice esborso necessario all’acquisto e di provare una pregressa disponibilità di redditi leciti.
4.1. Quanto alla somma di 11 mila euro dovuta al precedente gestore COGNOME NOME per le giacenze di carburante, che nella prospettazione difensiva sarebbe stata oggetto di compensazione con i crediti vantati dal marito della COGNOME nei confronti del COGNOME per il quale egli aveva lavorato per alcuni
anni in nero, il ricorso trascura che: a) la deposizione del COGNOME era risultata generica, non avendo saputo precisare a quanto ammontasse il credito del COGNOME per TFR; b) l’accordo compensativo non era stato redatto in forma scritta; c) dalle dichiarazioni dei redditi del COGNOME risultavano l’assunzione nel 1994 presso il COGNOME e redditi da lavoro nella misura dichiarata, cui poteva corrispondere una buonuscita al massimo pari a 2.500 euro; d) degli ulteriori crediti, riferiti da COGNOME NOME, non vi era prova né indicazione del loro ammontare; e) i redditi dichiarati dal nucleo familiare della COGNOME derivavano dall’attività di impresa, mentre in precedenza erano minimi, sfiorando l’indigenza, sicché non potevano generare risparmi da investire nell’acquisto dell’attività, evidentemente finanziato con ricorso a risorse illecite; f) anche l situazione reddituale del nucleo familiare di provenienza della COGNOME, corretta in bonam partem alla luce delle allegazioni prodotte, era deficitaria, sicché gli esborsi connessi all’avviamento dell’attività non trovavano giustificazione nei redditi leciti della famiglia.
4.2. Quanto alla fideiussione di 15 mila euro in favore della RAGIONE_SOCIALE per ottenere una dilazione del pagamento delle forniture,che, si sostiene, sarebbe stata prestata in epoca successiva all’avvio dell’attività e alla scadenza nel 2003 la RAGIONE_SOCIALE avrebbe ottenuto la relativa liquidità, la tesi difensiva risulta nuovamente confutata anche a seguito della prodotta integrazione della consulenza tecnica.
Nel condividere la valutazione del Tribunale, integralmente riportata (pag. 27-31), con argomentazione logica la Corte di appello ha disatteso la tesi sostenuta dalla consulente di parte circa la stipula della fideiussione in epoca successiva all’avvio dell’attività (2000-2001) e pagata con i ricavi dell’attivit ritenendola non solo priva di supporto documentale, ma, soprattutto, incompatibile con la stessa finalità della garanzia, necessaria proprio nella fase di avvio dell’attività della neoimpresa piuttosto che in quella successiva (pag. 31).
La Corte di appello ha, inoltre, rimarcato che l’intestazione dell’attività alla figlia del proposto piuttosto che al genero, che pur aveva maturato esperienza nel settore, appena un anno dopo la cessazione della convivenza nella casa familiare e in regime di sperequazione reddituale, deponeva per il finanziamento dell’acquisto con provviste illecite, non ostando a tale ricostruzione lo stato di detenzione del proposto, la cui risalente appartenenza mafiosa non esclude la pregressa accumulazione e percezione, anche in costanza di detenzione, di profitti illeciti. A differenza di quanto obiettato dalla difesa, la valutazione no affatto congetturale, ma riposa sullo stretto rapporto familiare, di certo non interrotto dalla cessazione del rapporto di convivenza con il padre; sulla documentata incapacità economica di COGNOME NOME; sulla persistente e coeva manifestazione di pericolosità del proposto e sulle provviste illecite
accumulate negli anni precedenti mediante l’attività illecita svolta, certamente remunerativa in ragione della accertata operatività nel settore delle estorsioni e dei riferimenti a pregressi investimenti, emersi dalle intercettazioni, come già detto, nonché del mantenimento assicurato dal sodalizio agli affiliati detenuti.
In ragione della ritenuta provenienza illecita dei fondi investiti nell’avviamento dell’attività imprenditoriale correttamente sono stati espunti dalla ricostruzione della situazione patrimoniale i redditi derivati dalla gestione del distributore, ove lo stesso COGNOME, appena scarcerato, era stato assunto come dipendente, trattandosi di redditi derivanti dall’impiego di un bene il cui acquisto iniziale non risulta giustificato (Sez. 1, n. 30219 del 15/01/2016, COGNOME e altri, n. m.).
4.3. Quanto alla documentazione allegata alla memoria,va rilevato che la stessa difesa è consapevole della inutilizzabilità in questa sede di elementi nuovi, non valutati dal giudice di appello, ma la allega, comunque, al fine di corroborare la tesi della mancata prestazione della fideiussione all’atto dell’avvio dell’attivit nonostante risulti unicamente attestato che la polizza fu emessa dalla Banca Popolare di Lodi in favore della RAGIONE_SOCIALE, ma non era stata sottoscritta dalla COGNOME, sicché risulta ignoto il cliente che l’aveva richiesta in favore del beneficiario e siano rilevabili incongruenze sulla data di scadenza (indicata inizialmente al 30.3.2002, poi al 30.3.2003).
Parimenti inammissibili sono i motivi relativi alla confisca degli immobili, sorretta da analoga coerenza e correttezza argomentativa.
A differenza di quanto sostenuto nei ricorsi, non risulta affatto svalutato l’esito del precedente procedimento di prevenzione, in quanto la Corte di appello ha dato atto che: 1) i terreni confiscati e poi restituiti al proposto erano divers da quelli cui accedono gli immobili confiscati; 2) l’abitazione realizzata sulla part. 122 e destinata ad abitazione della coppia COGNOME, dove era stato ospitato nel 2006 anche il proposto, era stata costruita tra il 2003 e il 2005, sostenendo spese per 50-60 mila euro, secondo il teste COGNOME, per 70-80 mila euro in nero, secondo la COGNOME con ricavi del distributore: somme incompatibili con i prospetti di entrate e uscite del nucleo familiare del proposto e di COGNOME NOME, che presentavano saldi negativi costanti e tenuto altresì conto della impossibilità di computare i ricavi del distributore perché reimpiego di somme di origine illecita; 3) l’immobile realizzato sulla part. 103, acquistato dalle tre sorelle COGNOME nel maggio 2003, risulta realizzato mediante la trasformazione di un magazzino preesistente e destinato dal 2007 ad abitazione della COGNOME e della figlia NOME; l’esborso per i lavori, eseguiti tra il 2006-2007, benché modesto, non era sostenibile in base al notevole deficit economico (v. pag. 35 del decreto impugnato) risultante dalla documentazione
reddituale dei nuclei familiari del proposto e della figlia NOME (in quanto le due sorelle convivevano con il padre), non potendo tenersi conto della somma di 85 mila euro, derivante dal preliminare di vendita di immobili ereditati dalla COGNOME e dalle tre figlie alla COGNOME in ragione delle numerose anomalie rilevate e puntualmente indicate nel decreto (v. pag. 35).
La Corte di appello ha, infatti, evidenziato che il contratto non aveva data certa, non era stato trascritto né registrato; la promissaria acquirente avrebbe versato un acconto di 5 mila euro e una consistente parte del prezzo -30 mila euro- in assegni all’atto del preliminare senza poi concludere il definitivo, la cui stipula era prevista per il 31 dicembre 2007 -non 2017, come, invece, indicato dalla COGNOME-, ma detti assegni provenivano da banche diverse e da conto intestato a soggetto non identificato né risultavano emessi nello stesso giorno, sì da poterli ricondurre a tale causale lecita. Pertanto, in mancanza della stipula del contratto definitivo e di pagamenti ulteriori fino all’importo di 85 mila euro, non avvenuti secondo le previsioni contrattuali, del tutto correttamente non si è tenuto conto di detta provvista, asseritamente utilizzata per la ristrutturazione del magazzino.
A fronte della esaustiva e analitica ricostruzione contenuta nel decreto impugnato le censure difensive si rivelano meramente oppositive e trascurano che la posizione del coniuge, dei figli e dei conviventi del proposto è del tutto distinta da quelli degli altri terzi, in quanto nei confronti dei primi la disponib dei beni da parte del proposto è presunta, senza necessità di specifici accertamenti ex art. 26 d.lgs. 159/11, a differenza di quanto richiesto per gli altri terzi, della cui interposizione fittizia, invece, devono risultare gli element prova (Sez. 5, n. 8922/16 del 26 ottobre 2015, Poli e altro, Rv. 266142; Sez. 1, n. 5184/16 del 10 novembre 2015, COGNOME, Rv. 266247). Risulta pertanto, coerente la valutazione dei giudici di merito fondata sulla sperequazione rilevata e l’assenza di disponibilità lecite da destinare ad investimenti immobiliari.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in tremila euro ciascuno.
C> GLYPH
P. Q. M.
ct GLYPH Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle CL GLYPH spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, 15 febbraio 2024 Il consigliere estensore