Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5350 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 5350  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a GIOIA TAURO il DATA_NASCITA NOME nato a MAZARA DEL VALLO il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 06/05/2022 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME e per il rigetto del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto deliberato il 13/02/2013, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE Calabria, per quanto è qui di interesse, applicava a NOME COGNOME la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e disponeva la confisca di beni ritenuti riconducibili al proposto e intestati, tra gli altri, stesso COGNOME e a NOME COGNOME. Investita del giudizio di impugnazione, la Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE Calabria, sempre per quanto è qui di interesse, con decreto del 06/05/2022 rigettava la proposta di applicazione della misura di prevenzione personale nei confronti di NOME e di applicazione della confisca relativamente ad alcuni beni intestati a NOME, confermando nel resto il decreto di primo grado.
Avverso l’indicato decreto della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE Calabria ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, attraverso il difensore AVV_NOTAIO, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo deduce l’incompetenza territoriale dei giudici reggini, richiamando il decreto del Tribunale di Roma del 16/10/2007, che rigettò la proposta avanzata dalla Procura di Velletri senza porsi alcun problema in ordine alla competenza dello stesso Tribunale di Roma, laddove il risalente decreto del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE Calabria applicò la sola misura di prevenzione personale, non apparendo controversa l’origine lecita e accertabile del patrimonio del proposto.
2.2. Il secondo motivo denuncia violazione del ne bis in idem in relazione al citato decreto del Tribunale di Roma, rispetto al quale il decreto impugnato si è espresso in termini generici, non effettuando un rigoroso scrutinio in ordine ai beni per i quali era intervenuta la proposta di confisca e alle ragioni della stessa, anche alla luce dell’informativa di P.G. che aveva escluso la sproporzione tra valore dei beni e redditi e attività delle imprese.
2.3. Il terzo motivo riguarda il giudizio di pericolosità soggettiva, deducendo che le attività descritte dal decreto impugnato sono riferibili alla categoria dei soggetti dediti abitualmente a traffici delittuosi, affermando che la pericolosità del proposto si è protratta fino al 2008, laddove nel periodo indicato 2005/2008 – erano in corso anche le condotte di gestione e trasformazione dei beni siti nel comune di Ardea, tanto più che la stessa Corte di appello ha indicato i rilevanti compensi conseguiti dalle società nel 2007 e nel 2008, circostanza che avrebbe imposto un’idonea e diversa valutazione del requisito della sproporzione.
2.4. Il quarto motivo deduce, con riferimento ai presupposti della confisca, che il decreto del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE Calabria del 22/06/2000 applicò al
ricorrente la misura di prevenzione personale, ma rigettò la proposta relativa a quella reale per difetto dei presupposti di legge, circostanza non evidenziati dai giudici di merito.
Avverso il medesimo decreto della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE Calabria ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, attraverso il difensore AVV_NOTAIO, articolando cinque motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Il primo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 2-bis, terzo comma, legge n. 575 del 1965 e dell’art. 8 del Concordato del 18/02/1984, in quanto, nell’applicare la presunzione di fittizia intestazione, il decreto impugnato non ha tenuto conto della sentenza ecclesiastica, efficace nella Repubblica italiana, che ha dichiarato nullo ex tunc il matrimonio della ricorrente con il proposto, ritenendo apoditticamente una convivenza tra i due e senza considerare che la presunzione citata non può essere applicata al caso di specie, essendo gli acquisti anteriori al quinquennio dalla proposta.
3.2. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2-bis, terzo comma, legge n. 575 del 1965, avendo il decreto impugnato confermato la confisca dei beni sulla base di una “mera presunzione” di disponibilità e in assenza di ulteriori elementi di fatto, non uniformandosi alle indicazioni della giurisprudenza di legittimità, senza motivare in ordine ai specifici momenti logici dimostrativi della titolarità dei beni in capo al proposto e senza utilizzare alcun altro elemento probatorio a sostegno della decisione, invertendo l’onere della prova e privando di valore gli elementi prodotti o richiesti dalla difesa.
3.3. Il terzo motivo denuncia “motivazione apparente” in ordine alla disponibilità diretta in capo al proposto della quota societaria del 20% della sRAGIONE_SOCIALE, intestata a NOME COGNOME, avendo il decreto impugnato motivato esclusivamente in ordine alla quota del 80% ceduta dal proposto alla madre della ricorrente NOME COGNOME e senza i dati afferenti alla capacità reddituale e alle disponibilità economiche dello stesso NOME COGNOME, dimostrate documentalmente dalla consulenza tecnica del dott. NOME COGNOME.
3.4. Il quarto motivo denuncia, rinviando alle deduzioni proposte con il motivo precedente, “motivazione apparente” in ordine alla disponibilità diretta in capo al proposto della quota societaria del 80% della s.nRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. NOME intestata ad NOME COGNOME, rispetto alla quale il rilascio di una delega ad operare sul conto corrente non indica se la stessa sia stata utilizzata, non risultando alcuna effettiva ingerenza del proposto nella società. (*)
3.5. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 27, comma 6, d. Igs. n. 159 del 2011, in quanto il decreto di confisca doveva essere dichiarato inefficace per violazione dei termini, e, in subordine, eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 117 d.lgs. n. 159 del 2011 per violazione degli artt. 3, 41, 42, 111 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 1 prot. add. I alla Cedu.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il ricorso di NOME COGNOME non merita accoglimento, mentre quello di NOME COGNOME deve essere accolto.
Il ricorso di NOME COGNOME deve essere rigettato, pur presentando plurimi profili di inammissibilità.
2.1. Il primo motivo non è fondato. Come chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte, nel procedimento di prevenzione la competenza territoriale si radica nel luogo in cui, al momento della decisione, la pericolosità si manifesti e, nel caso in cui tali manifestazioni siano plurime e si verifichino in luoghi diversi, là dove le condotte di tipo qualificato appaiano di maggiore spessore e rilevanza (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260245 – 01); in questa prospettiva, si è ulteriormente puntualizzato che nel procedimento di prevenzione la competenza territoriale si radica nel luogo in cui la pericolosità si manifesta e, nel caso in cui tali manifestazioni siano plurime e si realizzino in luoghi diversi, nel luogo in cui le condotte di tipo qualificato appaiano di maggiore spessore e rilevanza (Sez. 2, n. 22512 del 24/04/2019, Frisina, Rv. 276424 – 01).
Il decreto impugnato si è attenuto ai princìpi di diritto indicati, richiamando, oltre alla condizione di pericolosità correlata all’appartenenza al sodalizio di tipo mafioso, in relazione alla quale la competenza del tribunale va individuata nel luogo in cui si trova il centro organizzativo e decisionale del gruppo criminale, il giudizio di pericolosità generica, fondato, principalmente, sulla partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al conseguimento, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE Calabria e della Regione Calabria, di indebite erogazioni pubbliche; in particolare, la Corte distrettuale ha ritenuto accertato in sede prevenzionale che il proposto, avvalendosi di società a lui riconducibili amministrate da prestanome all’interno delle quali operava come dominus, abbia lucrato ingenti somme erogate dall’ASP RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Calabria e dalla Regione Calabria in forza di convenzioni che sarebbero state precluse dalla condizione di soggetto condannato per il reato di associazione mafiosa e sottoposto a misura di prevenzione, sicché – osserva ancora il decreto impugnato – le emergenze
processuali giustificano il giudizio di pericolosità generica ex art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 protrattasi fino al maggio del 2008. Di qui il rilievo che, anche in epoca successiva ai fatti oggetto della condanna per il delitto di cui all’art. 416bis cod. pen., le manifestazioni di pericolosità sociale di maggior numero e rilievo si sono verificate non già nel Lazio, bensì nella provincia di RAGIONE_SOCIALE Calabria, dove si è protratta per circa quattro anni la menzionata attività truffaldina in forma associata.
Le censure proposte dal ricorrente non inficiano le conclusioni raggiunte sul punto dal decreto impugnato. Quanto al decreto del Tribunale di Roma del 16/10/2007, la deduzione è generica, in quanto – anche a prescindere dal carattere non vincolante delle valutazioni svolte in quella sede – il ricorso non ne delinea, con la necessaria specificità, il contenuto, avuto riguardo, in particolare, alla partecipazione al sodalizio criminoso finalizzato alla realizzazione di truffe valorizzata dalla Corte distrettuale reggina, mentre del tutto generico è il riferimento al decreto del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE Calabria che applicò la misura personale, decreto che, evidentemente, ritenne la competenza territoriale di quella Autorità Giudiziaria.
2.2. Il secondo motivo è, invece, inammissibile, in quanto la questione non risulta specificamente devoluta con l’atto di appello, e, comunque, è manifestamente infondata, posto che a sostegno della censura il ricorrente richiama il già citato decreto del Tribunale di Roma del 16/10/2007 e un’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Palmi del 2009 in tema di confisca c.d. allargata, mentre il giudizio di pericolosità generica formulato dai giudici della prevenzione nel presente processo valorizza la sentenza del Tribunale di Palmi del 19/12/2017 relativa al già descritto reato associativo, sicché il ricorso risulta carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849).
2.3. Anche il terzo motivo – che investe il giudizio di pericolosità, facendo anche riferimento al giudizio di sproporzione, il che gli attribuisce un tenore confuso e scarsamente perspicuo (Sez. 2, n. 7801 del 19/11/2013, dep. 2014, Hussien, Rv. 259063) – non merita accoglimento. Lungi dal far leva sulla categoria di pericolosità dichiarata illegittima dalla sentenza n. 24 del 2019 della Corte costituzionale, il decreto impugnato, come già si è accennato, ha formulato nei confronti del proposto un giudizio di pericolosità generica ex art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 protrattasi fino al maggio del 2008, richiamando gli accertamenti in base ai quali è risultato che egli si avvaleva di società a lui riconducibili amministrate da COGNOME all’interno delle quali operava come dominus, così lucrando ingenti somme erogate dall’RAGIONE_SOCIALE Calabria e dalla
Regione Calabria grazie alle convenzioni che non avrebbe potuto stipulare giusta la condizione di soggetto condannato per il reato di associazione mafiosa e sottoposto a misura di prevenzione; attività, questa, protrattasi per un arco temporale significativo (quasi quattro anni), durante il quale NOME ha conseguito profitti illeciti di rilevante entità, costituenti la componente più significativa del suo reddito. Nei termini indicati, le valutazioni del decreto impugnato risultano in linea – oltre che con le indicazioni della citata sentenza n. 24 del 2019 – con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si è assestato sul principio di diritto in forza del quale, in tema di misure di prevenzione, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di cd. pericolosità generica, ai sensi dell’art. 1, lett. b), del d. Igs. n. 159 del 2011, devono presentare il triplice requisito per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280145 – 03; Sez. 2, n. 27263 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 275827; conf. Sez. 6, n. 21513 del 09/04/2019, COGNOME, Rv. 275737; Sez. 1, n. 27696 del 01/04/2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 275888). Le censure del ricorrente non scalfiscono le conclusioni del decreto impugnato, richiamando, tra l’altro, proprio quei proventi che il giudice della prevenzione ha ritenuto espressivi della pericolosità generica riconosciuta in capo al proposto.
2.4. Il quarto motivo è inammissibile, in quanto aspecifico (facendo leva su atti di cui non viene neppure prospettata l’acquisizione al procedimento), e comunque manifestamente infondato, in quanto il decreto impugnato – rilevata, peraltro, la genericità del motivo di appello sul punto – richiama, in particolare, l’analitica ricostruzione del giudice di primo grado (con la quale l’appellante aveva omesso di confrontarsi) delle vicende che hanno riguardato RAGIONE_SOCIALE e la coincidenza temporale delle stesse con i periodi per i quali è stata riconosciuta la pericolosità del proposto.
Il ricorso di NOME COGNOME deve essere accolto, per le ragioni e nei termini di seguito indicati.
3.1. Muovendo, in ordine di priorità logico-giuridica dall’ultimo motivo, esso è manifestamente infondato. L’inapplicabilità al caso di specie della disciplina dettata dall’art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011 discende dalla disciplina transitoria stabilita dall’art. 117 del medesimo d.lgs., disposizione, quest’ultima, rispetto alla l’eccezione di illegittimità costituzionale proposta dalla ricorrente
manifestamente infondata. Invero, questo Corte ha già ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 27 e 41 Cost., della norma transitoria di cui all’art. 117, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che esclude la perdita di efficacia della confisca, ex art. 27, comma 6, d.lgs. cit., per i procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore di tale decreto, sia già stata formulata la proposta di applicazione, in quanto la scelta di regolare, nei processi in corso, gli effetti di nuovi istituti delle modifiche a istituti esistenti costituisce espressione di un ragionevole esercizio del potere discrezionale del legislatore (Sez. 6, n. 20572 del 09/05/2019, Posillico, Rv. 275684 – 01); nella stessa prospettiva, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost., della norma transitoria di cui all’art. 117, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui prevede l’applicazione della disciplina previgente per i procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del detto decreto, sia già stata formulata la proposta di applicazione della misura, essendo la disposizione coerente con il criterio direttivo di cui all’art. 1, comma 3, lett. i) della legge delega 13 agosto 2010, n. 136 e non irragionevole per disparità di trattamento, in relazione alla diversità delle situazioni sotto il profilo temporale (Sez. 5, n. 11242 del 26/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 277241 – 02). Rilievi, questi, validi all’evidenza anche per gl ulteriori evocati, peraltro genericamente, dalla ricorrente.
3.2. Il primo motivo, invece, è fondato. Il decreto impugnato dà atto, per un verso che i due immobili sono stati acquistati da NOME (sposata con il proposto il DATA_NASCITA) il DATA_NASCITA e il 15/06/1995 e, per altro verso, che dal 2004 NOME aveva instaurato una relazione con un’altra donna, sicché rileva la Corte distrettuale – opera con riguardo ai menzionati acquisiti, la presunzione di fittizia intestazione di cui all’art. 2-bis, comma 3, I. n. 575 del 1965. Ora, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di misure di prevenzione patrimoniali, il termine di riferimento da cui far decorrere il quinquennio utile per le indagini riguardanti i conviventi del proposto a norma dell’art. 19 del d.lgs. n. 159 del 2011 (che ripropone la norma di cui all’art. 2bis, comma 3, cit.), corrisponde alla data nella quale il rappresentante della pubblica accusa propone istanza per l’applicazione del sequestro o della confisca nei confronti del destinatario della misura, in quanto le investigazioni relative ai terzi sono comunque finalizzate alla ricostruzione del patrimonio del soggetto investito in via principale dalla richiesta (Sez. 1, n. 12987 del 29/01/2014, Scerbo, Rv. 259169 – 01). Nel caso di specie, come si desume dal decreto di primo grado, la proposta risale al 03/08/2011, sicché è di tutta evidenza che la convivenza tra la ricorrente e il proposto (e a fortiori l’epoca di acquisto degli
immobili in questione) è ben anteriore al quinquennio stabilito dalla legge, il che – come rilevato anche dal P.G. presso questa Corte – esclude, anche ritenendo assorbite le ulteriori doglianze proposte con il motivo, l’applicabilità del regime presuntivo valorizzato dal decreto impugnato.
Né in senso contrario può argomentarsi sulla base dei rilievi svolti dal decreto impugnato in ordine alle modalità di acquisto dei due immobili (pagg. 41 e 42), rilievi svolti nella prospettiva di escluderne l’idoneità a superare la presunzione di fittizia intestazione (erroneamente) applicata. Pertanto, assorbito il secondo motivo, il decreto impugnato deve essere annullato relativamente alla confisca degli immobili acquistati il 10/06/1994 e il 15/06/1995.
3.3. Anche il terzo e il quarto motivo, relativi alle quote di RAGIONE_SOCIALE, intestata a RAGIONE_SOCIALE, già intestate ai genitori deceduti della ricorrente NOME e NOME COGNOME, devono essere accolti.
Coglie nel segno il quarto motivo, lì dove sottolinea l’assoluta carenza di motivazione in ordine alla quota societaria del 20% della s.RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dr. NOME intestata a NOME COGNOME (deceduto nelle more del procedimento), posto che l’argomentare del decreto impugnato si riferisce esclusivamente alla quota dell’80°/0 ceduta da RAGIONE_SOCIALE alla madre della ricorrente NOME COGNOME (anch’ella deceduta).
Quanto al quinto motivo, che richiama le deduzioni svolte nel precedente, mette conto osservare che la motivazione del decreto impugnato si rivela effettivamente apparente, soffermandosi esclusivamente sulla disponibilità della società in capo a COGNOME, ma senza in alcun modo esaminare le deduzioni degli appellanti circa le disponibilità di redditi documentate dalla consulenza allegata all’atto di appello dell’odierna ricorrente. Il che inficia la decisione sul punto, tanto più che, come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte in tema di confisca di prevenzione, «l’onus probandi a carico del soggetto inciso non è certamente calibrato sui canoni di uno statuto probatorio rigoroso e formale, modulato su quello vigente in materia petitoria, sì da assurgere, in determinati casi, al rango di probatio diabolica», sicché, per il suo assolvimento è «sufficiente la mera allegazione di fatti, situazioni od eventi che, ragionevolmente e plausibilmente, siano atti ad indicare la lecita provenienza dei beni oggetto di richiesta di misura patrimoniale e siano, ovviamente, riscontrabili» (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli Rv. 262606).
Ne consegue che anche per questa parte, il ricorso deve essere accolto.
Pertanto il ricorso di NOME COGNOME deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. Nei
confronti di NOME COGNOME, invece, il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE Calabria; come chiarito Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, «la natura di decreto non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto di cui all’art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; per contro, la natura decisoria dell’atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l’incompatibilità dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione» (con?. Sez. 5, n. 19426 del 20/04/2021, Mastrolia, Rv. 281253). 
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato nei confronti di NOME COGNOME, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE Calabria.
Rigetta il ricorso di NOME COGNOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 09/01/2024.