Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 23112 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 23112 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BOVILLE NOME il 12/08/1961
avverso la sentenza del 01/07/2024 della Corte d’appello di Roma Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 1° luglio 2024, la Corte d’appello di Roma ha confermat la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Frosinone, in data 17 ottobre 2023, che aveva condannato COGNOME NOME, alla pena di anni uno di reclusione, in relazione al reato ex art. 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, perché, in qualità di socio di maggioranza (90%) della “RAGIONE_SOCIALE“, al fine di evadere le imposte sui redditi, ometteva di presentare, per l’anno d’imposta 2013, essendovi obbligata, la dichiarazione relativa a dette imposte, risultando l’imposta evasa superiore ad euro 50.000,00, in particolare IRPEF per euro 527.298,00.
Con la medesima sentenza il Tribunale di Frosinone aveva disposto la confisca dei beni in sequestro, come da decreto 11.1.2020.
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Avverso la sentenza d’appello, l’imputata, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod.proc.pen.
2.1. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) in relazione all’art. 143 Legge 24 dicembre 2007, n. 244, e agli artt. 322-ter e 240 cod.pen. Deduce la ricorrente l’erronea applicazione della confisca per equivalente, avente ad oggetto beni immobili appartenenti a COGNOME NOME, coniuge dell’imputata, e dunque terzo estraneo al reato.
I giudici del merito non avrebbero infatti chiarito il “contributo” all’ipotetico acqu fornito dall’imputato e/o l’esistenza di un “rapporto interpositorio”, costituen presupposto necessario ai fini della disposizione della confisca.
2.2. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) in relazione all’art. 12, comma 1, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Argomenta la ricorrente la mancanza di qualsivoglia indagine per dimostrare un effettivo contributo economico che l’imputata avrebbe investito nell’acquisto dei beni immobili del coniuge, e il conseguente “rapporto interpositorio”, costituente presupposto indefettibile ai fini della disposizione del confisca, essendo provenienti, i beni immobili oggetto di confisca, da un lascito ereditario in favore del coniuge dell’imputato, come emergerebbe dalla documentazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, i cui motivi possono essere congiuntamente trattati, è inammissibile per difetto di legittimazione e interesse della ricorrente.
La ricorrente, quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, impugna la disposta confisca dei beni immobili che allega essere appartenenti a NOME NOME, coniuge dell’imputata, terzo estraneo al reato.
Va evidenziato che l’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., la cui lettura non può essere disgiunta dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., sancisce l’inammissibilità dell’impugnazione proposta “da chi non è legittimato o non ha interesse”.
All’elaborazione del concetto di interesse ad impugnare hanno contribuito le Sezioni Unite della Corte di cassazione che, in adesione ad una nozione “utilitaristica”, hanno affermato che la facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulti idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione, o la riforma della decisione gravata, renda possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso. Dunque, la legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione o la correttezza formale del procedimento. Non ammette, in altri termini, un’impugnazione che non produca alcun effetto pratico favorevole alla posizione giuridica del soggetto, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente
rilevante e non un mero interesse di fatto (S.U., n. 12234 del 23/11/1985, Di Trapani,
Rv. 171394; Sez. U, n. 6563 del 16/03/1994, COGNOME, Rv. 197536; Sez. U, n. 42 del
13/12/1995, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995,
COGNOME, Rv. 202269; Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, P.C. in proc. Guerra, Rv. 240815
39; Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 244108 40; Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, COGNOME, Rv. 249002).
Con riferimento alla confisca disposta su beni appartenenti a terzi, secondo il costante orientamento di questa corte, è inammissibile per difetto di interesse il ricorso
proposto avverso la confisca di un bene da parte dell’imputato del reato in riferimento al quale la confisca viene disposta, che non sia titolare o gestore del bene stesso (Sez. 5,
n. 18508 del 16/02/2017, Rv. 270209).
Detti principi devono essere applicati anche al caso della confisca disposta, come nel caso in esame, nei reati tributari.
4. Quanto al caso in esame, la ricorrente assume la titolarità dei beni immobili confiscati in capo ad un soggetto terzo (coniuge), a cui le cose confiscate dovrebbero
essere eventualmente restituite. Da tale prospettazione deriva la constatazione che la ricorrente è priva di legittimazione e di un concreto interesse, non potendo conseguire l’effetto restitutorio, interesse che non può che essere individuato esclusivamente in capo allo stesso coniuge dell’imputata, essendo dunque questi l’unico soggetto legittimato ad invocare la restituzione dei beni immobili confiscati (si veda in proposito Sez. 6, n. 11496 del 10/03/2014), soggetto terzo che potrà fare valere le sue pretese restitutorie davanti al giudice dell’esecuzione penale, così come previsto dall’art. 676 del codice di rito.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 07/05/2025.