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Confisca beni culturali: onere della prova e prescrizione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata, confermando la confisca di beni culturali di interesse archeologico nonostante il reato di ricettazione fosse stato dichiarato prescritto. La decisione si fonda sul principio che, per ottenere la restituzione, spetta al privato fornire una prova rigorosa e inequivocabile della proprietà dei reperti in data anteriore al 1909, anno in cui la legge ha attribuito la proprietà di tali beni allo Stato. In assenza di una prova di innocenza “evidente”, la prescrizione non osta alla confisca beni culturali.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca Beni Culturali: Legittima anche se il Reato è Prescritto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14374/2025, affronta un tema cruciale: la legittimità della confisca beni culturali anche quando il reato presupposto, come la ricettazione, è dichiarato estinto per prescrizione. Questa decisione ribadisce principi fondamentali riguardo l’onere della prova per la restituzione di reperti archeologici e chiarisce i limiti dell’assoluzione nel merito in presenza di una causa estintiva.

I Fatti: Il Ritrovamento dei Reperti e il Processo

Il caso riguarda una persona accusata di ricettazione in concorso per aver detenuto numerosi beni di interesse archeologico appartenenti allo Stato. Il processo si è concluso in primo e secondo grado con una sentenza che dichiarava l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ma disponeva la confisca dei reperti sequestrati.

L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di dover essere assolta nel merito in quanto i beni facevano parte di una collezione ereditata dagli antenati. A supporto di tale tesi, ha evidenziato una richiesta di notifica avanzata dal defunto marito nel 1988 e ha contestato la confisca, ritenendola una violazione del divieto di reformatio in peius (peggioramento della sua posizione in appello).

La Decisione della Corte: La confisca beni culturali è confermata

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la sentenza d’appello e, di conseguenza, la confisca dei beni. La decisione si articola su due punti cardine: l’impossibilità di un’assoluzione nel merito in assenza di prove evidenti e la correttezza della misura ablatoria della confisca.

Le Motivazioni: Prescrizione non equivale a Prova di Innocenza

Il nucleo della sentenza risiede nella distinzione tra la declaratoria di prescrizione e l’accertamento dell’innocenza. I giudici hanno chiarito che, di fronte a una causa di estinzione del reato come la prescrizione, il proscioglimento nel merito (ai sensi dell’art. 129 c.p.p.) è possibile solo se le prove dell’innocenza dell’imputato emergono ictu oculi, ovvero in modo palese e incontrovertibile dagli atti processuali, senza necessità di ulteriori approfondimenti.

L’assenza di “evidenza” per l’assoluzione

Nel caso specifico, le prove addotte dalla difesa, tra cui un atto notarile del 1894, non sono state ritenute sufficienti a dimostrare in modo inequivocabile la legittima provenienza dei beni. La Corte ha osservato che la documentazione era generica e non consentiva un collegamento certo con i reperti sequestrati. Pertanto, in assenza di una prova “evidente” di innocenza, i giudici di merito hanno correttamente applicato la prescrizione senza procedere a un’assoluzione più favorevole.

Onere della prova per la restituzione dei beni

Un altro aspetto fondamentale riguarda l’onere della prova per ottenere la restituzione dei beni sequestrati. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: mentre nel processo penale spetta all’accusa dimostrare la colpevolezza, nella procedura di restituzione è il privato a dover fornire la prova rigorosa del suo diritto di proprietà. Per i beni archeologici, ciò significa dimostrare un possesso legittimo anteriore alla legge del 1909, che ha stabilito la proprietà statale originaria su tutti i reperti rinvenuti nel sottosuolo. L’imputata non è riuscita a fornire tale prova, rendendo legittima la confisca beni culturali non come sanzione, ma come ripristino della condizione di proprietà dello Stato.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia consolida due importanti principi giuridici:
1. La prescrizione non cancella il fatto storico: La declaratoria di estinzione del reato per prescrizione non implica automaticamente un giudizio di innocenza. L’assoluzione nel merito richiede una prova schiacciante, che non necessiti di alcuna valutazione discrezionale.
2. Chi detiene beni culturali ha l’onere di provarne la provenienza: Per evitare la confisca e ottenere la restituzione di reperti archeologici, il possessore deve dimostrare in modo inconfutabile di averli acquisiti legittimamente prima che la legge ne sancisse l’appartenenza allo Stato. In mancanza di tale prova, la proprietà statale prevale, e la confisca diventa un atto dovuto.

Se un reato come la ricettazione di beni culturali è prescritto, si può essere comunque assolti nel merito?
Sì, ma solo se la prova dell’innocenza è talmente evidente (“ictu oculi”) da risultare dagli atti in modo assolutamente non contestabile, senza richiedere alcun approfondimento o valutazione. In mancanza di tale evidenza, il giudice dichiara l’estinzione del reato per prescrizione.

In caso di prescrizione del reato, la confisca beni culturali è sempre legittima?
La confisca può essere disposta anche in caso di prescrizione. Per i beni culturali che per legge (dal 1909) si presumono di proprietà dello Stato, la confisca non opera come una sanzione accessoria al reato, ma come un provvedimento che ripristina la condizione di proprietà statale originaria sui beni.

Chi deve provare la proprietà di beni archeologici trovati in possesso di un privato per ottenerne la restituzione?
Ai fini della restituzione dei beni sequestrati, l’onere di provare la legittima proprietà spetta al privato che li detiene. Egli deve fornire una prova rigorosa che i beni sono stati acquisiti in proprietà privata prima dell’entrata in vigore della legge n. 364 del 1909.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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