Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14374 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14374 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME nata a Candela il 28/2/1943
avverso la sentenza resa il 9 giugno 2023 dalla CORTE di APPELLO di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; YY1 sentite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che, anche richiamando lainTo -í15 trasmessa, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Trani il 21/6/2016, che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato ascritto in concorso ad NOME COGNOME di ricettazione di beni culturali appartenent allo Stato, e in particolare di beni di interesse archeologico, e ha disposto la confisca de beni in sequestro.
2.Avverso detta sentenza propone ricorso l’imputata, con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, deducendo:
2.1Vizio di motivazione poiché il giudice di appello, nonostante i rilievi puntuali dedott con il gravame, ha confermato la pronuncia di primo grado, che aveva dichiarato il reato ascritto estinto per prescrizione adottando formule di stile, e ha di conseguenza disposto
la misura ablatoria della confisca di quanto in sequestro, in palese violazione del divieto di reformatio in peius, stante l’assenza di impugnazione del pubblico ministero.
Osserva il ricorrente che i reperti di interesse archeologico rinvenuti nell’abitazione della ricorrente facevano parte di una collezione ricevuta dagli antenati e che anche il consulente della pubblica accusa aveva confermato che gran parte dei reperti erano stati schedati dalla Sovrintendenza in quanto era stata avanzata dal 1988 richiesta di notifica da parte del marito della ricorrente, coimputato poi deceduto; le operazioni di schedatura erano state sospese per l’intervento della Guardia di finanza e che solo nel 1996 la Sovrintendenza comunicò che l’attività di inventariazione era stata completata. Nel caso di specie le fonti dichiarative assunte 2 dibattimento smentiscono la prospettazione accusatoria, essendo stata ampiamente fornita la prova della catalogazione dei beni in oggetto, che equipara il soggetto detentore a custode autorizzato alla detenzione di res archeologiche.
2.2 Violazione degli artt. 129, 578 bis cod.proc.pen. in relazione alla sanzione della confisca, poiché la pronuncia di prescrizione non può essere condivisa in quanto elude i dettami di cui all’art. 578 bis cod.proc.pen. in tema di declaratoria di estinzione de reato. La Corte di appello ha illegittimamente disposto la sanzione accessoria della confisca, laddove il primo giudice aveva disposto la restituzione dei beni all’autorità territorialmente competente; in assenza di impugnazione della prima sentenza e di un corretto accertamento della responsabilità penale dell’imputata è incorsa nel divieto di reformatio in pejus della pronuncia gravata.
2.3 Con memoria trasmessa ex art. 611 cod proc.pen. il 20 gennaio 2025 l’avv. NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
2.4 Con nota trasmessa il 29 gennaio 2025 l’avv. COGNOME ha replicato alla requisitoria del pubblico ministero ribadendo la violazione dell’art. 578 bis cod.proc.pen. poiché la confisca è stata disposta in assenza di una sentenza di condanna e di un accertamento della sussistenza del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Non è superfluo premettere che la norma prevista dall’art. 176 del Codice dei beni culturali , di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, che puniva l’impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, è stato abrogato dall’articolo 5 della marzo 2022 n. 22, entrato in vigore il 23 marzo 2022, ed è stato sostituito dagli artt. 518 bis e ter cod.pen. che puniscono il furto e l’appropriazione indebita di beni culturali. La ricettazione di beni culturali è prevista dall’articolo 518 quater cod.pen.
La riforma operata con la legge n. 22 del 2022 si è limitata a riprodurre nel codice penale, in ossequio al principio della riserva di codice, i delitti del patrimonio culturale ospitati in seno al codice di settore – ove ora restano allocate le sole contravvenzioni
contestualmente abrogati all’art. 5, comma 2, lettera b), dalla stessa legge n. 22 del 2022» (Sez. 3, n. 36265 del 15/06/2023, COGNOME, Rv. 284907), con conseguente continuità normativa del tipo di illecito, già punito secondo la legge previgente e che conserva rilevanza penale anche sotto la nuova disciplina codicistica» (Sez. 3, n. 36265 del 15/06/2023, cit.).
Va poi osservato che dalla entrata in vigore della legge 20 giugno 1909, n. 364, la proprietà sui reperti archeologici appartiene, a titolo originario, allo Stato, sicchè il pri che rivendichi il proprio diritto di proprietà su detti beni può solo eccepire, fornendone relativa prova, che i beni stessi sono stati acquisiti in proprietà privata prima del 190 ovvero far valere una delle ipotesi nelle quali la legge 1 giugno 1939, n. 1089 consente che quei beni ricadano in proprietà di privati. (Sez. 1, n. 22501 del 01/12/2004, Rv. 578633 – 01)
Occorre al riguardo precisare che l’imputazione si riferisce a tutti i beni indicati n verbale di sequestro, in quanto l’espressione “in particolare” ripetuta per due volte nel corpo dell’imputazione vuole introdurre una precisazione nell’ambito del più ampio compendio sequestrato e non limitare la contestazione alla detenzione dei reperti non denunziati in sede di inventariazione da parte della Sovrintendenza.
Tanto premesso, nel caso in esame la difesa non contesta il rilevante interesse archeologico dei beni in sequestro e, con il primo motivo, si appunta sulla mancata assoluzione dell’imputata dal delitto di ricettazione dei beni archeologici, che è stat dichiarato prescritto.
La censura è generica e manifestamente infondata.
La risalente giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. sez. 6, 25 marzo 1999 n. 3945, P.G. in proc. COGNOME ed altro, rv. 213882) ritiene che in presenza di una causa estintiva del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p. solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile; tanto che la valutazione da compiersi appartiene più al concetto di “constatazione” che a quello di “apprezzamento”. Ed invero il concetto di “evidenza”, richiesto dal secondo comma dell’art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara, manifesta ed obiettiva, che renda superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia,.
Di recente è stato ribadito che, a fronte di una sentenza di appello confermativa della declaratoria di prescrizione, il ricorso per cassazione che deduca la mancata adozione di una pronuncia di proscioglimento nel merito, ai sensi dell’ art. 129, comma 2, cod. proc. pen., deve individuare i motivi che permettano di apprezzare “ictu oculi”, con una mera attività di “constatazione”, l’evidenza” della prova di innocenza dell’imputato, idonea ad escludere l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte di lui, ovvero la sua rilevanza penale. (Sez. 6, n. 33030 del 24/05/2023, COGNOME, Rv. 285091 – 01)
Nel caso in esame il collegio del gravame, seppure con motivazione succinta, risponde alle censure, mosse in modo piuttosto generico dall’appellante, in ordine alla mancata applicazione dell’art. 129 cod.proc.pen., osservando che non è stata prodotta alcuna prova evidente della legittima provenienza dei beni archeologici rinvenuti nel possesso dei due imputati; ha spiegato che l’atto notarile del 1894, l’unico documento richiamato anche nel ricorso a sostegno di tale assunto, non consente un collegamento certo con i beni incriminati, perché contiene una descrizione sommaria degli oggetti che non coincidono con le descrizione di quelli indicati nel verbale; ha pertanto confermato la correttezza della dichiarazione di prescrizione del reato in assenza di prova evidente della sua innocenza.
tC ricorrente non si confronta con questa motivazione e in modo del tutto aspecifico contesta la mancata assoluzione dell’imputata, valorizzando l’opera di catalogazione intrapresa su richiesta dei coniugi COGNOME e COGNOME risalente al 1988, che tuttavia si riferisce solo ad alcuni dei beni e, comunque, non costituisce prova evidente della loro innocenza, la sola rilevante in presenza di una causa estintiva.
Non è superfluo osservare che un più approfondito accertamento del fatto, avrebbe potuto avere luogo solo in presenza di una rinunzia alla causa estintiva.
1.2 Anche il secondo motivo relativo alla confisca è generico e in parte carente di interesse.
Se per l’accertamento del reato di impossessamento illecito di beni culturali, valgono le normali regole processuali per cui non deve essere il privato a fornire la prova della legittima provenienza dei beni detenuti, tale regola, valida per l’accertamento della responsabilità penale, non trova applicazione nel caso in esame, che concerne il tema della restituzione dei beni sottoposti a sequestro preventivo, disciplinato dalle norme (art.263 cod. proc.pen.) che indicano la procedura per la restituzione del bene a chi fornisca la prova rigorosa del suo diritto (Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202268; Sez. 5, n. 9284 del 15/10/2014, dep.2015, COGNOME, Rv. 262892; Sez. 3, n. 9579 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 254749; Sez. 1, n. 26475 del 09/06/2009, COGNOME, Rv. 244035)
Pertanto la ricorrente, in sede di restituzione, era gravata dall’onere, non assolto, di provare il fatto fondamentale posto alla base della domanda, cioè il possesso dei suoi danti causa, anteriore alla legge n.364/1909 (Sez.3, n.43569 del 24/09/2014, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 49439 del 04/11/2009, COGNOME, Rv. 245743; Sez. 3, n. 24654 del 03/02/2009, Raffaele, Rv. 244102).
Nel caso in esame la Corte ha osservato che il documento prodotto dalla difesa, l’atto notarile del 1894 ( presente in atti e relativo alla compravendita di una farmacia e della dotazione di vasi inseriti in una vetrina) non appare idoneo allo scopo, ” parlando genericamente di vasi di varia grandezza e quantità, laddove la collezione in questione ricomprende anche anfore, piatti, ciotole, statuette, coppe, tazze, alzatine ed altri oggetti
vari, poco compatibili con la descrizione relativa a vasi di farmacia , come emerge dalla documentazione fotografica allegata alla consulenza in atti.
La difesa non si confronta con questa affermazione, che neppure contesta in modo specifico, e si limita a reiterare il motivo di appello e a richiamare genericamente
reformatio in pejus l’efficacia dimostrativa della scrittura privata, invocando il divieto di
in ordine alla confisca disposta dalla Corte di appello.
Ma se è vero che in assenza del presupposto costituito da una pronuncia di condanna, non può essere disposta la confisca di cui al primo comma dell’art. 240 c.p. qualora venga
dichiarata la prescrizione del reato di ricettazione di reperti archeologici di particola valore; ne può applicarsi il precetto, di cui al secondo comma n. 2, della medesima
disposizione – in tema di confisca obbligatoria – trattandosi di beni il cui trasferiment pur se assoggettato a particolari condizioni o controlli, non rende gli stessi illeciti e la
detenzione non può reputarsi vietata in assoluto, bensì subordinata a determinate condizioni volute dalla legge; è evidente che la restituzione dei medesimi beni può essere
effettuata solo in favore di chi risulti proprietario in base alla normativa civilistica e disposizioni speciali di cui alla I. n. 1089/39 e succ.. E il Tribunale ha negato
restituzione alla Turchiarelli sul rilievo della mancata prova del proprio diritto di propri in epoca precedente al 1909 e del conseguente diritto di proprietà dello Stato.
Né possono residuare dubbi in ordine al fatto che il provvedimento dei giudici di merito si riferisca a tutto il materiale in giudiziale sequestro, in quanto l’attiv catalogazione richiesta dal detentore nel 1988, e relativa alla maggior parte dei reperti in sequestro, non dimostra che la sua proprietà fosse risalente ad epoca precedente al 1909.
La difesa con il ricorso non censura in modo specifico questa affermazione e nel contempo contesta la confisca, disposta dalla Corte ad integrazione del rigetto dell’istanza di restituzione già pronunziata dal Tribunale, così formulando una doglianza priva di concreto interesse poichè, in assenza di prova idonea a dimostrare la proprietà dei beni in sequestro e il suo conseguente diritto alla restituzione degli stessi – prova il cui one incombe sulla parte istante – non ha interesse a contestare la disposta confisca, che è stata pronunziata solo per ripristinare la condizione di proprietà dello Stato ab origine dei beni rinvenuti.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma che si ritiene congruo liquidare in euro 3000 in favore della cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
Così deciso, il 5 febbraio 2025