Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44059 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44059 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal COGNOME COGNOME nato negli Stati Uniti d’America il 20/01/1980; Nel procedimento a carico del medesimo avverso la ordinanza del 19/03/2024 del tribunale di Crotone; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. ssa NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Crotone, quale giudic:e dell’esecuzione, adito nell’interesse di COGNOME COGNOME per la revoca della disposta confisca di uno specchio in bronzo di epoca greca, di cui rivendicava la proprietà, ordinata con sentenza n. 90/22 del medesimo tribunale in data 18.05.2022, rigettava la richiesta.
Avverso la predetta ordinanza COGNOME mediante il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione sollevando due motivi di impugnazione.
Si rappresenta il vizio di violazione di legge, evidenziandosi la piena proprietà del bene in capo al ricorrente. Si aggiunge che provenendo il bene dal nonno del ricorrente, residente negli Stati Uniti d’America, lo stesso sarebbe di provenienza statunitense, insistendo ivi prima del 1900, con successivo legittimo invio, da parte del ricorrente, ad una casa d’aste. A fronte della intervenuta pronunzia di estinzione del reato nel procedimento afferente il bene rispetto al quale il ricorrente sarebbe terzo, sarebbe stato violato l’art. 240 cod. pen. e gli artt. 111 Cost. comma 6 e 6 della Cedu. Oltre ad emergere la mancanza di motivazione per la confisca. Sarebbero stati violati anche gli artt. da 10 a 17 del Dlgs. 42/2004, in assenza di una dichiarazione statale di interesse per il bene.
Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione. Sarebbe illogica la motivazione laddove si sostiene la mancanza di prova della titolarità dello specchio, e della sufficiente dimostrazione, ai fini della proprietà, del possesso di un tale bene mobile, a fronte della comprovata legittima provenienza del bene. Il giudice sul punto neppure avrebbe tenuto conto dell’elaborato relativo alle analisi effettuate sul bene. E la stessa casa d’asta, quale depositario del bene, aveva indicato il ricorrente quale proprietario, nel cui confronti non si è svolto alcun procedimento penale e sussistendo quindi per lo stesso la qualifica di terzo. Nel dubbio il giudice avrebbe potuto svolgere ulteriori utili indagini.
I due motivi, tra loro omogenei, devono esaminarsi congiuntamente. Il ricorso è inammissibile, in assenza di un pieno confronto con l’ordinanza impugnata. Va premesso che il giudice ha precisato che si tratta di confisca ai sensi dell’art. 240 cod. pen. e che, nel caso in esame, si tratterebbe di un bene culturale oggetto di presunzione di proprietà pubblica, superabile solo ove il privato – nel quadro, si deve ritenere, dell’art. 240 comma 4 cod. pen. dimostri di essere il legittimo proprietario siccome assegnatario o cessionano legittimo di beni archeologici ovvero acquirente in epoca anteriore alla legge n. 364/1909. Ha quindi escluso che sia intervenuta in favore del ricorrente la dimostrazione di una delle predette circostanze legittimanti la regolare titolarità del bene, evidenziando l’insufficienza delle dichiarazioni della sedicente zia dell’COGNOME e di ogni altro dato documentale.
Rispetto a tale motivazione, il ricorrente non si confronta appieno, con particolare riferimento ai tema di una intervenuta legittima assegnazione o cessione del bene archeologici ovvero del suo acquisto in epoca anteriore alle legge 364/1900, atteso che, da una parte, non si fa menzione di alcuno degli atti formali evocati dai concetti di assegnazione, cessione o acquisto, dall’altra, il ricorrente si limita a dare per scontata la titolarità del bene prima della predetl:a legge senza alcuna specificazione al riguardo, effettivamente dimostrativa in tal
senso, a fronte, tra l’altro, della incontestata limitatezza significativa del dichiarazioni della “sedicente” zia, che fa solo generico riferimento alla conoscenza della circostanza per cui l’COGNOME sarebbe proprietario dello specchio in questione. Quanto poi alla dedotta violazione degli artt. gli artt. da 10 a 17 del Dlgs. 42/2004, in assenza di una dichiarazione statale di interesse per il bene in questione, è sufficiente osservare che quando si tratti di beni quali i beni archeologici, non si richiede l’accertamento del cosiddetto interesse culturale nè che i medesimi siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, essendo sufficiente che la “culturalità” sia desumibile dalle caratteristiche del bene (cfr. amplius in motivazione, Sez. 3 – n. 30653 del 05/06/2024) Rv. 286801 – 01).
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2024.