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Confisca beni a terzi: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni familiari di un soggetto sottoposto a misura di prevenzione, i cui beni erano stati confiscati. La decisione si basa sul principio che, nei procedimenti di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge e non per vizi di motivazione, a meno che questa non sia del tutto mancante o meramente apparente. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica, seppur contestata dai ricorrenti, per la confisca per sproporzione, rendendo il ricorso inammissibile.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca per sproporzione: i limiti del ricorso per i terzi proprietari

La confisca per sproporzione è uno strumento cruciale nella lotta alla criminalità economica, ma cosa succede quando colpisce beni intestati a terzi, come i familiari del soggetto proposto? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 20139/2024) offre chiarimenti fondamentali sui limiti del ricorso in questi casi, stabilendo paletti precisi per l’accesso al giudizio di legittimità. Il caso analizzato riguarda proprio la contestazione di un provvedimento ablativo da parte dei familiari, che si sono visti negare la possibilità di un riesame nel merito.

I Fatti del Caso: La Confisca dei Beni ai Familiari

La vicenda ha origine da un decreto del Tribunale di Bologna che, nell’ambito di un procedimento di prevenzione, disponeva la confisca di un cospicuo patrimonio. Nello specifico, si trattava di cinque immobili (tre appartamenti e due garage) e delle somme giacenti su due conti correnti. La particolarità risiedeva nel fatto che tali beni erano formalmente di proprietà dei familiari del soggetto sottoposto alla misura (la moglie, la figlia e il genero), i quali figuravano come terzi interessati.

La Corte di Appello di Bologna, adita dai familiari, confermava integralmente il provvedimento di primo grado. Secondo i giudici, non era stata fornita una prova sufficiente della provenienza lecita dei fondi utilizzati per l’acquisto di tali beni, lasciando quindi intatta la presunzione di una sproporzione rispetto ai redditi dichiarati e di una riconducibilità, di fatto, al patrimonio illecito del proposto.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

I familiari, ritenendo la decisione ingiusta e immotivata, proponevano ricorso per cassazione. Le loro doglianze si concentravano principalmente sulla presunta omessa o apparente motivazione da parte della Corte di Appello. Essi sostenevano che i giudici di secondo grado non avessero adeguatamente valutato le prove documentali prodotte e avessero ingiustamente rigettato le richieste istruttorie, come l’audizione di un consulente tecnico e di un testimone. Tali prove, a loro dire, avrebbero dimostrato la piena capacità economica dei familiari di acquistare autonomamente gli immobili, smontando così l’accusa di essere meri intestatari fittizi.

L’Analisi della Corte: Limiti del Ricorso e la confisca per sproporzione

La Suprema Corte ha dichiarato tutti i motivi di ricorso inammissibili, basando la propria decisione su un principio cardine del procedimento di prevenzione. I giudici hanno ribadito che, in questa specifica materia, il ricorso per cassazione è consentito soltanto per violazione di legge, come previsto dal Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011). È quindi escluso il cosiddetto “vizio di motivazione”, ovvero la possibilità di contestare il modo in cui il giudice di merito ha valutato i fatti e le prove.

L’unica eccezione a questa regola si verifica quando la motivazione è talmente carente da essere considerata inesistente o meramente apparente. Ciò accade, spiega la Corte, solo quando il ragionamento del giudice è “fittizio”, basato su clausole di stile o affermazioni generiche, e non dà conto del percorso logico seguito per arrivare alla conclusione.

Le motivazioni della decisione

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che la motivazione della Corte di Appello, sebbene contestata dai ricorrenti, non fosse né mancante né apparente. I giudici di merito avevano, infatti, esplicitato le ragioni del loro convincimento. Avevano spiegato perché l’escussione di un testimone fosse superflua (le presunte donazioni non sarebbero state comunque sufficienti a giustificare gli investimenti) e perché le prove documentali non superassero il quadro indiziario della sproporzione. La Corte d’Appello aveva compiuto una valutazione complessiva, correlando la mancanza di entrate lecite sufficienti con il momento degli acquisti e le spese sostenute per la ristrutturazione.

Di fronte a un ragionamento esplicitato, la Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Il suo compito non è decidere se le prove sono state valutate “bene” o “male”, ma solo se il giudice ha violato una norma di legge o ha omesso completamente di motivare. Poiché ciò non è avvenuto, il ricorso è stato respinto.

Conclusioni: L’Inammissibilità del Ricorso e le Implicazioni Pratiche

La sentenza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione rappresenta un’importante conferma dei rigidi limiti di accesso al giudizio di legittimità nei procedimenti di prevenzione patrimoniale. Per i terzi che vedono i propri beni coinvolti in una confisca per sproporzione, questa pronuncia sottolinea che non è sufficiente dissentire dalla valutazione probatoria del giudice d’appello. Per sperare in un annullamento in Cassazione, è necessario dimostrare un errore di diritto o una motivazione talmente illogica e scollegata dagli atti da risultare, di fatto, inesistente.

In un procedimento di prevenzione, un terzo proprietario di un bene confiscato può fare ricorso in Cassazione lamentando che il giudice non ha valutato bene le prove?
No. La sentenza chiarisce che il ricorso per cassazione nei procedimenti di prevenzione è ammesso solo per “violazione di legge”. Non si può contestare la valutazione dei fatti o delle prove (vizio di motivazione), a meno che la motivazione del giudice sia totalmente assente o puramente apparente, cioè fittizia e priva di reale capacità dimostrativa.

Cosa significa che una motivazione è “meramente apparente”?
Secondo la Corte, una motivazione è “meramente apparente” (e quindi inesistente) quando è del tutto slegata dalle risultanze processuali, si basa su argomentazioni generiche, affermazioni apodittiche o frasi di stile che non spiegano il percorso logico seguito dal giudice per arrivare alla sua decisione.

Qual è stata la conseguenza della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
I ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, poiché l’evidente inammissibilità dei motivi ha fatto emergere un profilo di colpa nella proposizione del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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