Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20758 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20758 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a San Gavino Monreale il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nata a San Gavino Monreale il DATA_NASCITA,
avverso la sentenza del GIP presso il Tribunale di Cagliari del 06/09/2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 06/09/2023 il GIP presso il Tribunale di Cagliari applicava ex art. 444 cod. proc. pen. a COGNOME NOME e COGNOME NOME la pena di anni 4 mesi 8 giorni 26 ed C 21.333,00 di multa, per i delitti di cui agli articoli 81 cpv. cod. pen., 73 d.P.R. 309/19
648 cod. pen., disponendo, nel contempo, la confisca dello stupefacente e di quant’altro in sequestro, ad eccezione di alcuni beni dell’NOME di cui disponeva la restituzione.
Avverso la sentenza ricorrono gli imputati.
2.1. NOME NOME censura la mancanza di motivazione in relazione al disposto aumento per la continuazione.
2.2. COGNOME NOME deduce, con il primo motivo, la carenza assoluta di motivazione quanto alla decisione di confisca facoltativa della autovettura sequestrata, che conteneva lo stupefacente.
Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, ritenendo che il reato di ricettazione debba essere assorbito in quello relativo a stupefacenti.
Con il terzo motivo, lamenta violazione di legge in riferimento all’articolo 131-bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRMO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, in quanto, pur lamentando il vizio di legittimi non ne coltiva in alcun modo il contenuto, risultando totalmente generico.
Inoltre, il Collegio ribadisce che, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. – disposizione introdotta con la I. 23 giugno 2017, n. 103, il pubblico ministero l’imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difet correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’ille della pena o della misura di ‘sicurezza.
Nel caso in esame il ricorrente non ha posto a sostegno del suo ricorso alcuna della ipotesi per le quali è attualmente consentito il ricorso per cassazione avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta, non avendo sollevato questioni attinenti all’espressione della propria volontà, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza, ma solo, peraltro genericamente e modo assertivo, l’insufficienza della motivazione in ordine alla insussistenza di cause di proscioglimento: si tratta di doglianze non consentite nel giudizio di legittimità avverso sentenz di applicazione della pena su richiesta, con la conseguente inammissibilità del ricorso.
Il ricorso di COGNOME NOME è, invece, fondato nei limiti che seguono.
Il Collegio, per ragioni di ordine logico, affronterà prima i motivi concernenti la responsabil e quindi quello concernente la confisca.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla sentenza Sez .U. n. 5 del 19/01/2000, Rv 215825, in tema di patteggiamento, l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo delle parti recepito dal giudice, può essere denunciata in sede di legittimità in quanto la qualificazione giuridica del fatto è materia sottratta disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi 606, lett. b) cod. proc. pen. ( Sez. 5, n. 14314 del 29/01/2010, COGNOME, Rv. 246709; Sez. 4, n. 39526 del 17/10/2006, P.G. in proc. Santoro, Rv. 235389).
Ciò non di meno, avuto riguardo alla natura del rito speciale che si connota per l’accordo tra le parti su una pena in relazione ai reati contestati, in cui l’imputato rinuncia ad avvalersi facoltà di contestare l’accusa ed esonera l’accusa dall’onere probatorio dei fatti, la possibilit ricorrere per cassazione avverso la sentenza, emessa ai sensi dell’art. 444 cod.proc.pen., per errata qualificazione giuridica del fatto, deve ritenersi limitata alle ipotesi in cui tratta errore manifesto e tale, quindi, da far ritenere che vi sia stato un indebito accordo non sulla pen ma sul reato, dovendosi, per converso, escludere detta possibilità, anche sotto il profilo de difetto di motivazione, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazio presenti margini di opinabilità (ex multis, Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015, COGNOME, R 264153; Sez. 6, n. 15009 del 27.11.2012, COGNOME, Rv. 254865; Sez. 4, n. 10692 dell’11/03/2010, COGNOME, Rv. 246394; Sez. 6, n. 45688 del 20/11/2008, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Dunque l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai casi in cui tal qualificazione risulti palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, dovendo in particolare escludersi l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino c immediatezza dalla contestazione, situazione che non ricorre nel caso in esame.
Deve pertanto essere riaffermato il principio secondo cui in tema di patteggiamento, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezz palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, dovendo in particolare escludersi l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dall contestazione (Sez. 3, n. 28747 del 19/04/2016, Cenicola, n.nn.), circostanza sicuramente non ravvisabile nel caso di specie.
4. Il terzo motivo di ricorso è del pari inammissibile.
Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza della Corte, che il Collegio condivide ribadisce, che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso sentenza di patteggiamento sul motivo del mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in quanto siffatta causa di non punibilità non rientra nel novero delle ragioni di immediato proscioglimento previste dall’art
129 cod. proc. pen., alla cui insussistenza è subordinata la pronuncia che accoglie la richiesta di applicazione di pena concordata.
Ed infatti, per il riconoscimento della causa di esclusione della punibilità per la specia tenuità del fatto di reato è richiesto un apprezzamento di merito, volto a riscontrare l sussistenza dei presupposti applicativi richiesti dalla norma, non equiparabile al rilievo immediato di una causa estintiva del reato (Sez. 4, n. 9204 del 01/02/2018, COGNOME, Rv. 272265 – 01; Sez. 4, n. 43874 del 06/10/2016, COGNOME, Rv. 267926 – 01).
5. Fondato è, invece, il primo motivo.
Preliminarmente, nell’evidenziare come nel caso di specie ci si trovi di fronte ad un caso di confisca facoltativa di cui all’articolo 240, primo comma, cod. pen., va osservato come l’art. 25, comma 1, lett. a), d.lgs., 10/10/2022, n. 150 abbia modificato l’articolo 444 cod. proc. pen. mediante la previsione di un comma 1-bis, a mente del quale «l’imputato e il pubblico ministero possono altresì chiedere al giudice … di non ordinare la confisca facoltativa o di ordinarla c riferimento a specifici beni o a un importo determinato».
La c.d. «legge Cartabia» ha anche modificato l’articolo 445, comma 1, stabilendo che la sentenza di patteggiamento «non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento nè l’applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall’articolo 240 del codice penale».
Quindi, anche in caso di patteggiamento, è possibile procedere alla confisca facoltativa.
La Corte, in una ipotesi relativa all’articolo 73-bis del t.u.s., che prevede un caso di confisca obbligatoria e «estesa», ma esprimendo un principio che può essere applicato a tutti i casi di ablazione patrimoniale, ha affermato che, anche in caso di sentenza di applicazione della pena, è comunque necessaria una motivazione sulla ricorrenza delle relative condizioni (Sez. 6, n. 11497 del 21/10/2013 – dep. 10/03/2014, Musaku, Rv. 26087901).
Proprio con riferimento ai beni strumentali, la Corte ha ritenuto che il giudice «è tenuto ad argomentare, in concreto, la ritenuta sussistenza del nesso di strumentalità fra il bene ablato e il reato commesso, valutando sia il ruolo effettivamente rivestito dal primo nel compimento dell’illecito, sia le modalità di realizzazione dello stesso» (Sez. 3, n. 33432 del 03/07/202 Esposito, Rv. 285062 – 01).
In questa analisi in concreto delle «condizioni» per disporre la confisca, in riferimento al «cose che servirono o furono destinate a commettere il reato», la questione relativa alla portata applicativa di tale norma si è posta in termini particolarmente problematici proprio quando per il trasporto dell’oggetto del reato sia stato utilizzato un autoveicolo: la situazione più ricorr nelle pronunce della giurisprudenza di legittimità è proprio quella del trasporto in auto di un cer quantitativo di stupefacente.
A fronte di difformi orien.tamenti, tra pronunce che non ritenevano sufficiente il semplice impiego di tale uso, essendo invece necessario un «collegamento stabile con l’attività criminosa»,
che esprima con essa un rapporto funzionale (Sez. 6, n. 24756 del 01/03/2007, Muro Martinez Losa, Rv. 236973; Sez. 4, n. 43937 del 20/09/2005, COGNOME, Rv. 232732), collegamento desumibile anche dall’impiego di manipolazioni, di particolari accorgimenti insidiosi o di modifiche strutturali al mezzo, strumentali per l’occultamento o il trasporto di droga (Sez. 4, n. 13298 de 30/01/2004, COGNOME, Rv. 227886; Sez. 6, n. 34088 del 06/07/2003, COGNOME, Rv. 226687; Sez. 4, n. 9937 del 29/02/2000, COGNOME, Rv. 217376; Sez. 6, n. 3334 del 29/10/1996, Oliverio, Rv. 206885), ed altre che ritenevano sufficiente una prognosi negativa circa la commissione in futuro di altri reati servendosi della cosa in questione, nel senso che la stessa è ablabile se comunque potenzialmente utile per la consumazione di altri delitti della stessa natura (c.d. «strumentalit astratta»), si è fatta strada una posizione intermedia, che il Collegio condivide e ribadisce, quale supera l’idea di un necessario nesso di indispensabilità tra la cosa ed il reato, ritenendo tuttavia, indispensabile un controllo sulla esistenza di una «strumentalità in concreto» tra il be ed il reato, in ragione delle specifiche caratteristiche del primo e delle modalità e circostanza commissione del secondo (Sez. 6, n. 18531 del 27/04/2012, Coman, Rv. 252526 – 01).
In questo contesto, si è affermato che, per «cose che servirono a commettere il reato», ai sensi dell’art. 240, comma 1, cod. pen., devono intendersi quelle impiegate nella esplicazione dell’attività punibile, senza che siano richiesti requisiti di «indispensabilità», ossia senza debba sussistere un rapporto causale diretto e immediato tra la cosa e il reato nel senso che la prima debba apparire come indispensabile per l’esecuzione del secondo (Sez. 5, n. 14307 del 07/03/2006, Guadagno, Rv. 234591; Sez. 5, n. 2158 del 04/06/1993, Raia, Rv. 194836).
Ed allora, il nesso di strumentalità tra la cosa ed il reato – bastevole per legittim l’adozione del provvedimento applicativo della misura di sicurezza reale – va ricercato in concreto, considerando quello che è il ruolo rivestito dalla cosa nella realizzazione dell’illeci per il quale vi è sentenza di condanna o di applicazione di pena su richiesta, cioè il modo di commissione dello stesso.
In tal senso, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato integra una misura di sicurezza patrimoniale che tende a prevenire la consumazione di futuri reati mediante l’esproprio di cose che, per essere collegate all’esecuzione di illeciti penal manterrebbero, se lasciate nella disponibilità del reo, viva l’idea e l’attrattiva del reato. Ne de che la confisca in esame implica un rapporto di «asservimento» tra cosa e reato, nel senso che la prima deve essere oggettivamente collegata al secondo da uno stretto nesso strumentale che riveli effettivamente la possibilità futura del ripetersi di un’attività punibile, non essendo in sufficiente un rapporto di mera occasionalità (Sez. 6, n. 444 del 10/02/1994, Rilande, Rv. 198483).
E’ stato quindi ritenuto, a titolo esemplificativo, che la confisca di una autovettura legittima, in ipotesi di detenzione illecita di stupefacente, laddove la sostanza trasportata sia quantitativo tale da rendere «indispensabile» l’automezzo (Sez. 4, n. 1598 del 21/06/1996, COGNOME, Rv. 206546).
Nel caso in esame, tuttavia, il giudice non ha operato alcuna valutazione in ordine alla strumentalità in concreto della vettura da sottoporre a (eventuale) confisca.
In tali limiti, quindi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza annullata con rinvio nuovo esame sul punto al Tribunale di Cagliari in diversa persona fisica.
Alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso dell’COGNOME consegue, a norma dell’art. 61 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n: 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca della autovettura con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Cagliari in diversa persona fisica.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 08/03/2024.