Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23676 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23676 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/02/2024 del TRIB. LIBERTA’ di TORINO
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità.
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del riesame, ha confermato i provvedimento di convalida e nuova emissione di sequestro preventivo d’urgenza del GIP a carico di COGNOME NOME e COGNOME NOME, avente a oggetto, quanto al primo, la somma di euro 4.400,00 e quella di mille franchi svizzeri, oltre a un’autovettura AUDI di recentissima immatricolazione, acquistata per euro 53.000,00; quanto alla seconda, un’autovettura MERCEDES acquistata per il prezzo dichiarato di euro 16.000,00, valutati in effettivi euro 23.000,00 alla stregua del compendio intercettativo, misura finalizzata alla confisca di cui all’art. 85-bis d.P.R. 309/90, in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 contestato al primo.
Il Tribunale, affermata l’irrilevanza della verifica della pertinenzialità delle som rispetto al reato contestato, stante la diversa natura del sequestro di che trattas finalizzato cioè alla confisca c.d. allargata, consentita per il reato per il qual procede, ha ritenuto sussistente una sproporzione tra i redditi dichiarati e leciti d COGNOME (e della RAGIONE_SOCIALE) e la disponibilità delle somme e dei beni di cui alla misura reale disposta. In particolare, l’esame incrociato dei dati trasmessi dalla PG (annotazione del 3/1/2024) aveva, secondo quel giudice, confermato la sproporzione, essendo emerso che il COGNOME era stato il dominus delle provviste (pari a euro 53.000,00, corrisposti in parte con la permuta di due diverse autovetture di sua proprietà, in parte con il versamento di euro 10.000,00 in contanti, in parte con la permuta di altri tre veicoli, formalmente intestati a terzi, risultati però meri prestanome che su suo impulso avevano sottoscritto l’atto presso il rivenditore), impiegate per l’acquisto dell’auto intestata alla convivente RAGIONE_SOCIALE, egli essendo stato il protagonista dell relative trattative negoziali, solo formalmente concluse dalla donna. Quanto ai redditi accertati, l’attività avviata a fine 2022 dal COGNOME (autocarrozzeria) non ne aveva prodotti in base alla dichiarazione dei redditi per il 2023, essendo state reperite due sole fatture per la somma di euro 9.300,00, non confluite nella prima, in assenza di prova dell’avvenuta percezione degli importi; quanto poi alle fatture attive emesse nel 2023 (periodo gennaio-aprile per servizi resi all’unico committente COGNOME NOME), le stesse ammontavano a un totale di euro 15.000,00, cosicché, secondo il ragionamento del Tribunale, anche a voler considerare tali redditi, neppure confluiti nella dichiarazione annuale, dovendosi tener conto dei mezzi necessari a fronteggiare le esigenze di vita, le provviste impiegate e le somme rinvenute al COGNOME sarebbero incompatibili con i redditi leciti, anche considerati la vincita di gioco pari a 14.000,00 e i limitati redditi della RAGIONE_SOCIALE (euro 4.000,00 per il 2020, circa euro 9.000,00 per il 2021 e il 2022, con redditi medi di euro 700,00 mensili). Esiguità ritenuta anche considerato il ricavo della vendita di una FIAT Panda per euro 5.400,00, quanto agli altri due bonifici a suo nome, essendo emerso dalle Corte di Cassazione – copia non ufficiale
intercettazioni che la somma di euro 5.000,00 era di pertinenza del COGNOME, laddove non era nota la causale di quella ulteriore di euro 3.000,00, nulla essendo stato chiarito quanto ai rapporti con tale COGNOME e, in riferimento alla ulteriore somma di euro 2.300,00 essendo stata valutata come del tutto generica la causale “aiuti familiari”, in assenza di tracciamento della datio, asseritamente avvenuta in contanti.
Avverso l’ordinanza, la difesa di COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE NOME ha proposto ricorsi con il medesimo atto, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto i vizi di errata applicazione e interpretazione degli artt. 85 bis kd.P.R. n. 309/1990 e 240 bis, cod. pen., oltre a vizio di errata e illogica motivazione, osservando che, nella specie il sequestro era stato operato in difetto di elementi indicativi del nesso pertinenzialità dei beni rispetto al reato di cui alla domanda cautelare, le vettur essendo state acquistate diversi mesi prima dell’arresto del COGNOME, allegando, in riferimento alla ritenuta sproporzione, che il predetto aveva goduto nel primo quadrimestre del 2023 di redditi pari a euro 40.000,00.
Sotto altro profilo, si è contestata l’utilizzabilità, ai fini per i quali si dell’intercettazione ambientale captata all’interno di altro procedimento penale, siccome mai trasmessa dal pubblico ministero, ad essa facendo riferimento unicamente l’annotazione di PG., contestandosi, infine, la qualità di semplice prestanome della RAGIONE_SOCIALE quanto alla MERCEDES, mezzo utilizzato dalla stessa.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
I ricorsi sono inammissibili.
La difesa ha reiterato l’erronea premessa sulla quale ha articolato l’impugnazione di merito, ancora una volta opponendo rilievi inerenti alla asserita assenza di nesso di pertinenzialità tra le somme e le auto in sequestro e il reato di cui alla contestazione cautelare, deducendo una violazione di legge insussistente e definitivamente smentita dalla natura della misura reale della quale si discute, finalizzata cioè alla c.d. confisca allargata, ai cui fini il vaglio giudiziale è circo da un lato, alla natura del reato per il quale si procede (nella specie rientrante t quelli previsti dalla legge), rispetto al quale non consta alcuna censura in ordine al relativo fumus; dall’altro, alla sussistenza di una sproporzione tra i redditi lecit goduti e i beni e le provviste dei quali l’imputato è risultato avere la disponibil Tale tipo di confisca, infatti, ha struttura e presupposti diversi da quella ordinaria quanto, mentre per quest’ultima assume rilievo la correlazione tra un determinato
bene e un certo reato, nella prima viene in considerazione il diverso nesso che si stabilisce tra un patrimonio ingiustificato e una persona nei cui confronti sia sta pronunciata condanna o applicata la pena patteggiata per uno dei reati indicati nell’articolo citato. Ne consegue che, ai fini del sequestro preventivo di ben confiscabili ai sensi di tale diversa misura di sicurezza reale, è necessario accertare, quanto al fumus commissi delitti, l’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato, di uno dei reati in esso indicati e, quanto al periculum in mora, la presenza di seri indizi di esistenza delle condizioni legittimanti la confisca, sia quan alla sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche de soggetto, sia con riferimento alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi (sez. 6, n. 26832 del 24/3/2015, COGNOME, Rv. 263931; sez. 1, n. 19516 del 1/4/2010, Bari/ari, Rv. 247205).
A ciò si aggiunga che, ai fini della confisca cd. “allargata” prevista dall’art. 2 bis cod. pen., a nulla rileva il quantum ricavato dalla commissione dei cd. “reati spia”, dovendosi unicamente avere riguardo al duplice presupposto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato, pu dichiarato responsabile di uno di tali reati, e che il loro valore sia sproporziona rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata (sez. 2, n. 3854 d 30/11/2021, Aprovitola, Rv. 282687).
Inoltre, stante la non coincidenza tra la titolarità formale di parte dei be sequestrati e la disponibilità di essi (o delle relative provviste utilizzate per i acquisto) in capo all’indagato, deve pure precisarsi che, in tema di confisca ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen., la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale opera, oltre che in relazione ai beni del condannato, anche per quelli intestati al coniuge e ai figli, qualora la sproporzione tra il patrimonio nella tito di tali soggetti e l’attività lavorativa dagli stessi svolta, rapportata alle u circostanze del fatto concreto, appaia dimostrativa della natura simulata dell’intestazione (sez. 2, n. 23937 del 20/5/2022, COGNOME, Rv. 283177; sez. 5, n. 26041 del 26/5/2011, COGNOME, Rv. 250922, in tema di sequestro preventivo propedeutico alla confisca di cui all’art. 12 sexies, d.l. n. 306 del 192, conv. in I. n. 356 del 1992 con riferimento al fratello e altri componenti della famiglia dell’indagato, in cui la Corte ha ritenuto sussistente una presunzione di illecit accumulazione patrimoniale in forza della quale è sufficiente dimostrare che il titolare apparente non svolge un’attività tale da procurargli il bene per invertire l’onere dell prova ed imporre alla parte di dimostrare da quale reddito legittimo proviene l’acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo). Principi che, si precisa, devono ritenersi validi anche con riferimento alla condizione di convivenza dei due ricorrenti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3. Quanto alla censura che inerisce alla ritenuta sproporzione, poi, va rilevato che la difesa, pur enunciando il vizio di violazione di legge, ha sostanzialmente censurato la motivazione del provvedimento impugnato. Il che rende il ricorso inammissibile già sotto tale, assorbente aspetto, avendo questa Corte chiarito che avverso provvedimenti del tipo di quello impugnato, il ricorso per cassazione è esperibile nei ristretti limiti indicati dall’art. 325 cod. proc. pen., a tenore del “Contro le ordinanze emesse a norma degli artt. 322 bis e 324, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge”. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste dall’art. 606, lett. e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. e) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c) . Pertanto, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 comma 1 cod. proc. pen. citato, rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692), ma non l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 co. 1, lett. e), c.p.p. ( ex multis: Sez. 6 n. 7472 del 21/1/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916).
Le censure articolate da parte ricorrente, invece, costituiscono una critica al ragionamento esplicativo dei giudici territoriali con riferimento al requisito de sproporzione tra la capacità patrimoniale del ricorrente e le somme e i beni di valore trovati in suo possesso.
4. Sotto altro profilo, poi, deve ribadirsi la non deducibilità in cassazione d vizi che attengono alla verifica GLYPH in concreto dei GLYPH presupposti di fatto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui si discute (sez. 3 n. 20432 de 04/03/2009, Rv. 244074, in fattispecie relativa all’art. 12 sexies d.l. n. 306 del 1992, conv. in I. n. 356 del 1992, nella quale le doglianze concernevano la mancata giustificazione del possesso di beni da parte dell’indagato per reati connessi al traffico di stupefacenti e la sproporzione rispetto al reddito dichiarato ai fini Irpe all’attività economica svolta dall’indagato), principio che conserva validità anche all’indomani della introduzione dell’art. 240 bis. cod. pen.
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Del tutto generica, poi, é la censura con la quale la difesa sembra aver agitato il tema dell’inutilizzabilità del compendio intercettativo, siccome disposto in alt ambito processuale: da un lato, infatti, non ha tenuto conto del disposto di cui all’ar 270, cod. proc. pen. che disciplina tale utilizzabilità; dall’altro, ha omesso considerare che, in questa fase, il giudice può condurre la valutazione circa l’esistenza del relativo fumus, neppure contestato, sulla scorta della sola annotazione della PG che contiene esplicito riferimento agli elementi ricavati dall’attività intercettazione, come peraltro ammesso dalla stessa difesa.
All’inamnnissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (cfr. Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Deciso in data 8 maggio 2024.
La Consigliera est.
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