Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22475 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22475 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOMECOGNOME nato a Licata il 20/06/1964 NOME nato a Licata il 05/07/2001
avverso la sentenza del 18/06/2024 della Corte d’appello di Palermo udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, ai fini qui di interesse, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la pronuncia emessa dal G.u.p. del Tribunale di Agrigento all’esito del giudizio abbreviato e appellata dagli imputati, la quale aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia in relazione a plurime violazioni all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, come contestate ai capi A), B), C), D), E) della rubrica, nonché, il solo NOME COGNOME, anche dei capi A), B), e C) del procedimento riunito n. 210/22, disponendo altresì la confisca, ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., del denaro in sequestro e dei beni immobili di cui al contratto di compravendita del 7 agosto 2019.
Avverso l’indicata sentenza, NOME COGNOME e NOME COGNOME per il ministero del comune difensore di fiducia, con il medesimo atto hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo:
2.1. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. perché la Corte di merito avrebbe dovuto applicare la pena nel minimo edittale, previa applicazione, con riferimento ad NOME COGNOME, delle circostanze attenuanti generiche;
2.2. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art. 240-bis cod. pen., posto che la motivazione, sul punto, si fonda su un quadro probatorio carente, in quanto, per un verso, dalle emergenze processuali non risulta che gli imputati avessero l’uso esclusivo dell’immobile oggetto di confisca, e, per altro verso, la sproporzione reddituale si desume unicamente dalle indagini patrimoniali, da cui non emerge peraltro il requisito della ragionevolezza temporale, come acclarato dalla consulenza redatta dal dott. NOME COGNOME della quale si era chiesta l’acquisizione mediante rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, richiesta che la Corte di merito ha immotivatamente ritenuto superflua, posto che essa dimostrerebbe la provenienza, inclusi pagamenti delle retribuzioni in contanti, riconducibili alle attività “in nero” svolte, delle somme pagate degli imputati per l’acquisto dell’immobile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Il primo motivo è inammissibile perché generico e, comunque, manifestamente infondato.
2.1. Rammentato che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché non è consentita la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, nel caso in esame la Corte di appello, nel confermare le statuizioni assunte dal primo giudice in tema di determinazione del trattamento punitivo, ha giustificato sia lo scostamento dal minimo edittale comunque inferiore al valore mediano – sia gli aumenti di pena – peraltro contenuti – per la continuazione in ragione delle accertate modalità della condotta, chiaramente indicative di una certa organizzazione dell’attività di spaccio, della qualità e della quantità dello stupefacente e dell’intensità del dolo.
Si tratta di una valutazione di fatto che, correttamente valorizzando i criteri previsti dall’art. 133 cod. pen., certamente non sconfina nell’arbitrio, né è viziata da aporie logiche, sicché non è sindacabile in questa sede di legittimità.
2.2. Con riguardo, poi, al diniego delle circostanze attenuante generiche nei confronti di NOME COGNOME la Corte di merito non ha ravvisato elementi valorizzabili a tale scopo, anche considerando il comportamento dell’imputato durante l’arresto, il quale, tra l’altro, ha opposto resistenza all’agente operante, provocandogli lesioni personali, in ciò correttamente applicando il principio secondo cui l’applicazione delle circostanze in esame non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590); sul punto, il motivo è oltretutto generico, non indicando alcun elemento che, ove valutato, avrebbe condotto ad una mitigazione della pena.
Il secondo motivo è inammissibile perché di contenuto valutativo e, comunque, perché generico.
3.1. Si rammenta che, per costante orientamento di questa Corte di legittimità, ai fini della confisca cd. “allargata” prevista dall’art. 240-bis cod. p occorre unicamente avere riguardo al duplice presupposto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato, purché dichiara responsabile di uno di tali reati, e che il loro valore sia sproporzionato rispetto a reddito dichiarato o all’attività economica esercitata (da ultimo, Sez. 2, n. 3854 del 30/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282687 – 01).
3.2. Orbene, nel caso di specie, la Corte di merito ha fatto buon governo del principio appena richiamato.
In primo luogo, la Corte di merito ha accertato che gli imputati avevano la disponibilità dei beni immobili (un terreno e un villino) siti in INDIRIZZO, ciò desumendosi dal fatto che costoro, al momento dell’arresto, si trovano proprio in tale abitazione, mentre i genitori, formalmente intestatari dei beni, vivevano stabilmente in paese in un altro appartamento.
In secondo luogo, la Corte di merito ha compiuto una analitica ricostruzione dei redditi dichiarati complessivamente dai componenti del nucleo famigliare dei COGNOME (vale a dire, gli imputati, i genitori e la convivente di uno dei fratell nel quinquennio antecedente l’acquisto del bene per l’importo di 50 mila euro, evidenziando che, complessivamente, tali redditi – da lavoro dipendente e da indennità di disoccupazione – ammontavano a 8-9.000 euro per i primi tre anni, e a circa 12.000 euro per i due restanti; orbene, anche a considerare le dichiarazioni dei genitori degli imputati (la madre ha riferito di lavorare come badante e di confezionare vestitini per neonati con l’uncinetto, mentre il padre ha affermato di lavorare in nero come bracciante agricolo e, a tempo perso, come fabbro), tenuto conto che gli imputati non svolgevano alcuna attività lavorativa, la Corte territoriale ha appurato, con una valutazione di fatto non manifestamente illogica, come non sia emersa alcuna entrata patrimoniale, tale da giustificare l’acquisto degli immobili in parola, aventi un valore sproporzionato rispetto alle disponibilità finanziarie degli imputati e del loro nucleo famigliare.
La Corte di merito, inoltre, ha messo in luce che, dopo l’acquisto, avvenuto il 27 ottobre 2016, dell’immobile di INDIRIZZO ove risiedevano i genitori, utilizzando i risparmi di una vita di lavoro “in nero”, come riferito dalla madre, non è dato comprendere come gli imputati, a fronte delle entrate dichiarate, dinanzi indicate, e tenuto conto delle spese di mantenimento di un nucleo familiare di cinque persone, in tre anni siano riusciti a procurarsi le risorse per acquistare il terreno agricolo, del valore dichiarato di 50.000 euro, peraltro pagato con assegni di piccolo taglio.
3.3. Quanto, poi, all’acquisizione delle relazioni tecniche redatte, rispettivamente, dal commercialista dott. NOME COGNOME e dall’ing. NOME COGNOME, la Corte di merito ne ha evidenziato la superfluità, non offrendo detti atti alcun elemento di novità, posto che le indennità di disoccupazione e i proventi dell’attività lavorativa dei genitori degli imputati sono di import contenuto e, in ogni caso, non sono in grado di giustificare l’esborso di 50.000 euro per l’acquisto del terreno.
Sotto altro profilo, la Corte territoriale ha parimenti ritenuto irrilevante modesto valore del fabbricato, logicamente osservando che, essendo ancora in
fase di costruzione, tale circostanza era indicativa del fatto che gli imputati disponessero di ulteriori risorse economiche – evidentemente provento
del’attività di spaccio – per ultimare i lavori.
4. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 26/03/2025.