Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17177 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17177 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a CORI il 20/08/1989
avverso l’ordinanza del 16/10/2024 del TRIB. LIBERTA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore, avv. COGNOME COGNOME che conclude chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATI -0
Con ordinanza del 16 ottobre 2024 il Tribunale del riesame di Roma ha confermato, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen. cod. proc. pen., il decreto emesso dal locale Giudice per le indagini preliminari il 12 luglio 2024, con cui è stato disposto, ai sensi degli artt. 240-bis cod. pen. e 321 cod. proc. pen., il sequestro preventivo, nei confronti di NOME COGNOME – sottoposto a misura cautelare detentiva per i reati di associazione mafiosa, rapina aggravata, associazione finalizzata al narcotraffico, violazione dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 – di 98.925 euro in contanti, quattro orologi Rolex ed uno COGNOME.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME, ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
In proposito, ha, da un canto ascritto al Tribunale del riesame di avere ancorato la sussistenza del prescritto fumus boni iuris ad un laconico e apodittico richiamo alla concomitante emissione di titolo custodiale senza considerare che i reati oggetto di provisori addebito non offendono il patrimonio e venendo, comunque, meno al dovere, sancito dalla giurisprudenza di legittimità, di valutare in concreto la sussistenza del fumus delicti, verificando in modo puntuale e coerenti gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato configurato.
Ha, quindi, aggiunto che il provvedimento impugnato è privo di motivazione in ordine al periculum in mora e non tiene conto, con riferimento alla ventilata sproporzione tra i suoi redditi di fonte lecita ed beni posti in sequestro, che egli ha dimostrato, depositando la relativa dichiarazione, che nel 2023 egli, titolare di un esercizio commerciale, ha prodotto notevoli volumi di affari, sicuramente idonei a giustificare la disponibilità dei contanti e degli orologi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate.
L’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. prevede che «Contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e 324, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge».
La giurisprudenza di legittimità ha, in proposito, chiarito che nella nozione di «violazione di legge», per la quale soltanto può essere proposto ricorso per cassazione in ragione della espressa previsione del citato comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710; Sez. 1, n. 40827 del 27/10/2010, COGNOME, Rv. 248468).
Ha, altresì, precisato che la «violazione di legge» comprende sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argonnentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269296).
Discutendosi, nella fattispecie, di sequestro preventivo finalizzato alla confisca allargata per sproporzione ex art. 240-bis cod. pen., è opportuno ricordare, con la migliore giurisprudenza di legittimità, che il giudice, nel valutare il fumus commissi delicti, non può limitarsi all’astratta verifica della sussunnibilità del fatto in un’ipotesi di reato, ma è tenuto ad accertare l’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, indicativi della riconducibilità dell’evento alla condotta dell’indagato, pur se il compendio complessivo non deve necessariamente assurgere alla persuasività richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali (così, tra le altre, Sez. 4, n. 20341 del 03/04/2024, COGNOME, Rv. 286366 – 01; Sez. 5, n. 3722 del 11/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278152 – 01).
Il ricorrente è, altresì, legittimato a contestare l’oggettiva confiscabilità del bene in difetto del fumus commissi delicti e del periculum in mora; tanto, sul postulato che, ai fini del sequestro preventivo finalizzato alla confisca allargata per sproporzione, è necessario accertare, quanto al fumus commissi delicti, l’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato, di uno dei reati indicati dalla norma citata, e quanto al periculum in mora, attesa la coincidenza di quest’ultimo requisito con la confiscabilità del bene, la presenza di seri indizi di esistenza delle condizioni che legittimano la confisca, e cioè da un lato la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, e dall’altro la mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi (Sez. 1, n. 16207
del 11/02/2010, COGNOME, Rv. 247237 – 01; Sez. 6, n. 27710 del 14/04/2008, brio, Rv. 240527 – 01; Sez. 1, n. 15908 del 19/01/2007, COGNOME, Rv. 236430 – 01).
Il provvedimento impugnato appare pienamente rispettoso delle regole ermeneutiche testé enunciate.
Il Tribunale del riesame, invero, ha, per un verso, dato atto della contestazione, a carico di Nabil, di gravissimi reati, alcuni dei quali ricompresi nell’ambito applicativo dell’art. 240-bis cod. pen. e, a dispetto di quanto eccepito dal ricorrente, senz’altro suscettibili di garantire al loro autore una consistente locupletazione.
Assolutamente ragionevole appare, al riguardo, il sintetico richiamo, quanto alla plausibilità dell’ipotesi di accusa, all’adozione, a carico di Nabil, di ordinanza applicativa della misura cautelare personale della custodia in carcere, che presuppone il positivo scrutinio dei gravi indizi di colpevolezza, ovvero una soglia di accertamento ampiamente superiore a quella richiesta per l’applicazione ed il mantenimento del vincolo sulle cose, ritualmente compiuto nell’ambito del medesimo procedimento penale in termini che il ricorrente si astiene dal contestare.
Per quanto concerne, poi, l’enucleazione dei rapporti tra i reati provvisoriamente ascritti al ricorrente ed i beni della legittimità del cui sequestro si discute, è utile evocare il consolidato e condiviso indirizzo ermeneutico secondo cui «La confisca prevista dall’art. 12 sexies del D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992 n. 356, ha struttura e presupposti diversi da quella ordinaria, in quanto, mentre per quest’ultima assume rilievo la correlazione tra un determinato bene e un certo reato, nella prima viene in considerazione il diverso nesso che si stabilisce tra un patrimonio ingiustificato e una persona nei cui confronti sia stata pronunciata condanna o applicata la pena patteggiata per uno dei reati indicati nell’articolo citato. Ne consegue che, ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili ai sensi di tale articolo, è necessario accertare, quanto al “fumus commissi delicti”, l’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato, di uno dei reati in esso indicati e, quanto al “periculum in mora”, la presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi» (Sez. 6, n. 26832 del 24/03/2015, COGNOME, Rv. 263931 – 01; Sez. 1, n. 19516 del 01/04/2010, COGNOME, Rv. 247205 – 01; Sez. 1, n. 9218 del 14/01/2009, COGNOME, Rv. 243544 – 01)
Ciò posto, il Tribunale del riesame ha correttamente rivolto il fuoco dell’attenzione sul requisito della sproporzione tra il valore dei beni di cui egli aveva la disponibilità ed i redditi da lui dichiarati.
In proposito, ha attentamente considerato gli esiti degli espletati accertamenti patrimoniali, univoci nell’attestare che i redditi prodotti da NOME, titolare di un autosalone, e dalla compagna tra il 2017 ed il 2022 sono senz’altro insufficienti a giustificare investimenti di quella portata ed aggiunto, in merito all’esibizione, da parte dell’indagato, della dichiarazione dei redditi prodotti nel 2023 asseritamente ammontanti, al lordo delle imposte, a circa 104.000 euro – che il documento, presentato in epoca successiva all’esecuzione delle misure cautelari, ha limitata attitudine ad incidere sul convincimento del giudice, attesa la natura dell’atto, costituente mera dichiarazione di scienza, e l’assenza di qualsivoglia riscontro che ne confermi la veridicità.
Ha, in particolare, stimato che l’inverosimiglianza di una improvvisa, repentina ed eclatante inversione di tendenza dell’andamento dell’impresa gestita da RAGIONE_SOCIALE e l’assenza di prova del versamento, da parte dell’indagato, delle imposte corrispondenti concorrono a svilire la significativa del dato da lui rappresentato, non idoneo a comprovare la provenienza lecita del denaro e degli orologi in sequestro.
A fronte di un percorso argomentativo esente da tangibili vizi logici e coerente con la cornice normativa di riferimento, il ricorrente svolge censure prive di pregio.
Ribadisce, in termini di assoluta genericità, le obiezioni già proposte innanzi al Tribunale,del riesame in merito sia alla sussistenza del fumus boni furis che alla rilevanza, a supporto della tesi alternativa rispetto a quella avallata dai giudici della cautela, della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2023.
Così facendo, non si emancipa da una logica di mera confutazione di quanto esposto – in termini alieni da fratture razionali, aderenti alle evidenze disponibili e coerenti con la cornice normativa e la relativa interpretazione giurisprudenziale – nel provvedimento impugnato, reiterando argomenti e censure che, già articolate innanzi al Tribunale del riesame, hanno ivi ricevuto risposte non sindacabili, per le ragioni già chiarite, in sede di legittimità, posto, in specie, che, ha avuto modo di precisa la Corte di cassazione, «In tema di confisca cd. allargata conseguente a condanna per uno dei reati di cui all’art. 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modifiche, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 (attualmente art. 240-bis cod. pen.), non è censurabile in sede di legittimità la valutazione relativa alla sproporzione tra il valore di acquisto dei beni nella disponibilità del condannato e i redditi del suo nucleo familiare, ove la stessa sia
congruamente motivata dal giudice di merito con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse
deduzioni difensive» (Sez. 3, n. 1555 dl 21/09/2021, COGNOME, Rv. 282407 – 02).
7. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n.
186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/02/2025.