Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18143 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18143 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nata a Palermo il 16/06/1968, avverso l’ordinanza del 06/11/2024 del Tribunale di Palermo; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 6 novembre 2024 il Tribunale di Palermo, in parziale accoglimento della richiesta di riesame, ha annullato il decreto del G.I.P. del Tribunale di Palermo in data 14/10/2024, che ha disposto il sequestro preventivo della somma di euro 26.095,00 nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato di cui all’art. 648 cod. pen., confermando il sequestro in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, lamenta violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione al requisito del periculum di cui all’art. 240-bis cod. pen. pe aver confermato il decreto che disponeva il sequestro preventivo della somma di euro 26.095,00, nonostante sia stata fornita la prova in ordine alla provenienza lecita di tale somma.
Deduce la difesa di aver dato prova della provenienza lecita delle somme sequestrate, esse costituendo un lascito ereditario della madre, NOME COGNOME, deceduta il 10/09/2024, un mese prima del sequestro: tali somme erano state accantonate dalla madre, titolare di una pensione di circa 2.000,00 euro mensili che era solita fra prelevare e custodire in casa. Aggiunge la ricorrente che, dalle ricevute dei prelievi prodotte, relative alle annualità 2022, 2023 e 2024, risulta come i plurimi prelievi mensili fossero cospicui, non sempre inferiori a seicento euro, in ogni caso pari ad un ammontare mensile di circa 2.000,00 euro, tanto da lasciare un saldo disponibile sempre assolutamente esiguo, senza che l’ordinanza impugnata si sia confrontata con tale dato oggettivo.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione al requisito del periculum di cui all’art. 240-bis cod. pen ed in particolare per aver confermato il decreto che disponeva il sequestro preventivo della somma rinvenuta, nonostante le condotte criminose ascritte alla ricorrente non risultino essere state lucro genetiche.
Deduce la difesa che il provvedimento impugnato non aveva verificato se le condotte criminose ascritte alla ricorrente risultino essere state fonte di profit illeciti, secondo un orientamento di legittimità che, anche in tema di confisca allargata, richiede il requisito della proporzionalità della confisca rispetto al idoneità a produrre redditi illeciti, desumibile dal reato per cui si procede.
2.3 Con il terzo motivo, lamenta violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione al requisito del periculum di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc.
pen. relativamente al reato di detenzione di sostanza stupefacente ex art. 73 T.U.Stup. di cui al capo 1.
Deduce la difesa che l’ordinanza impugnata ha messo in evidenza indizi non prospettati dall’accusa, non coincidenti con le reali risultanze processuali e sintomo di mancato confronto con le allegazioni difensive: l’appartamento dove era stata rinvenuta la sostanza stupefacente era stato abitato da un diverso parente, mai dalla ricorrente che ne possedeva le chiavi unitamente a tutti gli altri eredi a seguito della morte della madre e che aveva sempre abitato, unitamente alla madre, nell’appartamento sito al terzo piano dello stabile dove era stata rinvenuta la somma di denaro. Inoltre, non risulta che le chiavi dell’appartamento incriminato fossero state cercate durante le perquisizioni degli altri immobili, né che fosse stato chiesto ai familiari della ricorrente, presenti durante l perquisizioni, se costoro ne fossero in possesso.
Lamenta poi la difesa un palese travisamento nell’affermazione che, unitamente a una parte dei soldi rinvenuti, sia stato trovato un foglio manoscritto contenente date e cifre che non lasci trasparire alcuna causale, dal momento che il verbale di sequestro, descrivendo il contenuto del foglio manoscritto, riporta che questo contenesse date, cifre e causali.
Quanto all’affermazione che il fumus comnnissi delicti risulti inglobato dal riconoscimento della gravità indiziaria in ordine all’adozione del titolo coercitivo deduce la difesa che il requisito era insussistente nel caso in esame, in quanto l’ordinanza che aveva disposto la misura cautelare dell’obbligo di dimora e dell’obbligo di presentazione alla P.G. era sub iudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare deve richiamarsi la costante affermazione di questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione contro le ordinanze in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., ammesso per sola violazione di legge, in tale nozione dovendosi riconnprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, COGNOME, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Basi, Rv. 245093; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656). Ed è stato anche precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento
impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e riter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, NOME, Rv. 254893).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.
Tanto premesso, il ricorso è manifestamente infondato, dovendo ritenersi che, nel caso di specie, rispetto alla compiuta valutazione del fumus commisi delicti, non sia configurabile né una violazione di legge, né un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione di parziale accoglimento del riesame cautelare.
2.1 In particolare, le censure di cui al primo e al terzo motivo di ricorso, da valutarsi congiuntamente perché connesse, travalicano l’ambito del sindacato riservato a questa Corte sul provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., risultando finalizzate ad ottenere una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dai giudici del merito, senza individuare profili di assenza o apparenza motivazionale.
Nel caso in esame, il sequestro è stato disposto in forma mista, ovverosia in forma diretta in relazione all’art. 648 cod. pen. (con annullamento sul punto del Tribunale del riesame), e finalizzato alla confisca, ai sensi degli artt. 85-bis d.P.R n. 309/90 e 240-bis cod. pen., in relazione all’art. 73 del d.P.R. n. 309/90.
In particolare, l’art. 85-bis d.P.R. n. 309/90 dispone che, nei casi di condanna o di applicazione della pena su accordo delle parti a norma dell’articolo 444 cod. proc. pen., per taluno dei delitti previsti dall’articolo 73 d.P.R. n. 309/90, si appl l’articolo 240-bis cod. pen. L’art. 240-bis cod. pen., a sua volta, consente i sequestro di beni di valore sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati di cu l’indagato risulti titolare, anche per interposta persona, dei quali abbia l disponibilità e non fornisca una credibile dimostrazione della lecita provenienza.
2.1.1 Contrariamente a quanto sostenuto nel primo motivo di ricorso, il Tribunale cautelare, nell’effettuare l’esame della documentazione offerta dalla difesa, pur dando atto di prelievi effettuati subito dopo gli accrediti delle pension di reversibilità e di invalidità percepite dalla madre della ricorrente, evidenzia ch tali prelievi erano sempre stati sensibilmente inferiori rispetto agli impor pensionistici accreditati e agli altri redditi documentati, non avendo la difesa prodotto la documentazione utile (estratti conto) a dimostrare in ipotesi le scarse od inconsistenti giacenze nel tempo dei conti dove venivano accreditate le pensioni, sicchè il Tribunale conclude, non illogicamente, nel senso che i prelievi
effettuati fossero per intero destinati alle spese ordinarie del nucleo familiare e in tal modo integralmente consumati.
2.1.2 La doglianza secondo la quale l’ordinanza impugnata aveva evidenziato indizi non prospettati dall’accusa e non coincidenti con le risultanze processuali relativamente alla ricostruzione del possesso dell’appartamento dove era stata rinvenuta la sostanza stupefacente, poiché detto appartamento era stato abitato da un diverso parente, mai dalla ricorrente, che ne possedeva le chiavi unitamente agli altri coeredi, non risultando inoltre che dette chiavi fossero state cercate durante le perquisizioni degli altri immobili, né che fosse stato chiesto alla ricorrente se altri fossero in possesso delle chiavi, si traduce in realtà in un diversa lettura del compendio indiziario, non consentita in questa sede. Il Tribunale cautelare ha, infatti, riportato una circostanza oggettiva, ovverosia il possesso delle chiavi dell’appartamento in cui è stata rinvenuta la sostanza stupefacente in capo alla ricorrente, che ella consegnò agli operanti non spontaneamente, ma solo quando era ormai evidente che costoro intendessero accedere all’appartamento materno del piano terreno, anche con eventuale rimozione di ostacoli fissi. La circostanza viene poi logicamente collegata dal Tribunale a due ulteriori obiettive circostanze che immediatamente seguono e che valgono a smentire una ipotesi di co-detenzione dell’immobile dove era stata rinvenuta la sostanza stupefacente: altri esemplari delle chiavi non erano stati rinvenuti nelle perquisizioni degli al appartamenti dello stabile, né la ricorrente aveva prospettato, nella immediatezza, agli operanti di polizia giudiziaria, il compossesso della casa materna con altri familiari.
Il travisamento dedotto in relazione all’affermazione del Tribunale cautelare secondo la quale la somma di euro 7.530,00 in contanti, anche di piccolo taglio, rinvenuta all’interno della cassaforte, era corredata di un appunto manoscritto con annotate date e cifre, senza alcuna causale, rispetto a quanto contenuto nel verbale di sequestro, in cui si dà atto del rinvenimento di un foglio manoscritto ed anche della presenza su di esso di una causale, è inammissibile per genericità e difetto di autosufficienza, in mancanza della allegazione del dato documentale a fondamento del lamentato travisamento.
In buona sostanza, gli argomenti contenuti nelle censure difensive, che si sviluppano in una contestazione del significato probatorio degli elementi indiziari e in una lettura alternativa degli stessi, sono smentiti dal complessivo impianto motivazionale del provvedimento giurisdizionale, e non integrano pertanto una violazione di legge, unico vizio deducibile in sede di legittimità.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, siccome non prospettato con i motivi di riesame e, quindi, precluso in sede di legittimità.
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Il principio secondo cui non sono proponibili questioni coinvolgenti valutazioni in fatto mai prima sollevate trova applicazione anche nel caso di ricorso avverso ordinanza del Tribunale del riesame in tema di misura cautelare reale (Sez. 3, n. 24081 del 29/05/2024, Starita; Sez. 5, n. 11099 del 29/01/2015, Rv. 263271, secondo cui non sono deducibili per la prima volta davanti alla Corte di cassazione le questioni giuridiche che presuppongono un’indagine di merito; Sez. 3, n. 35889 del 01/07/2008, Rv. 241271).
Sussiste, infatti, violazione del divieto di “novum” nel giudizio di legittimi quando siano per la prima volta prospettate in detta sede questioni coinvolgenti valutazioni in fatto, mai prima sollevate ovvero siano dedotti motivi di censura attinenti capi e/o punti della decisione ormai intangibili per non essere investiti da tempestiva doglianza nella fase di merito e, perciò, assistiti dalla presunzione di conformità al diritto (Sez. 4, Sentenza n. 7985 del 18/05/1994 Rv. 199216; v. Sez. 3, Sentenza n. 32699 del 27/02/2015 Rv. 264518).
Ed il principio secondo cui non sono proponibili questioni coinvolgenti valutazioni mai prima sollevate trova applicazione, come anticipato, anche nel caso di ricorso avverso ordinanza del Tribunale del riesame in tema di misura cautelare. Tale regola è ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. e trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione del provvedimento di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo del giudice dell’impugnazione, perché non segnalato con i motivi di gravame (Sez. 1, n. 26997 del 31/03/2023, Portale; Sez. 2, n. 33732 del 08/06/2017, Surgo; Sez. 4, Sentenza n. 10611 del 04/12/2012 – dep. 07/03/2013 – Rv. 256631).
In ogni caso, il Tribunale cautelare ha precisato che il sequestro del denaro era stato disposto dal G.I.P. in forma mista, e, dunque, oltre che in forma diretta in relazione all’art. 648 cod. pen. (annullato sul punto dal Tribunale del riesame), anche finalizzato alla confisca, ai sensi degli artt. 240-bis cod. pen. e 85-bis d.P.R. n. 73/1990, in relazione al reato di cui al capo 1 (art. 73 d.P.R. n. 309/1990). All’esito della valutazione della richiesta di riesame, il Tribunale ha confermato il sequestro relativamente al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, ritenendo sussistente la sproporzione tra le somme rinvenute e la capacità reddituale lecita della famiglia dell’indagata, nonché l’assenza di giustificazione del loro così rilevante accumulo, collegando tale affermazione alla elevata capacità predittiva di un accertamento di responsabilità in capo all’indagata di detenzione di sostanza stupefacente a fini di spaccio o, comunque, di custodia per conto terzi di detta sostanza.
E, nell’ambito del perimetro del giudizio di legittimità in tema di misure cautelari reali, limitato come sopra ricordato ai soli profili di violazione di legge,
motivazione dei giudici cautelari, quindi, deve ritenersi ampiamente esistente, esauriente e comunque sicuramente tale da escluderne quella assenza o
apparenza di esistenza che sola concreta il vizio di violazione di legge eccepibile in questa sede.
4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non
ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di tremila euro
in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista
dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 aprile 2025.