Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 38267 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 38267 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2024
SENTENZA
Sul ricorso presentato da NOME COGNOME, nato in Albania il DATA_NASCITA,
avverso la sentenza del Giudice per le indagini preliminari di Tribunale di Asti del 2705/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore ger erale AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
PREMESSO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 23/05/2024, il Giudice per le indagini GLYPH di Asti, decidendo a seguito di annullamento con rinvio per ragioni processuali operatO da questa Corte con sentenza n. 10100/2024, applicava a NOME la pena concordata di anhi 4 i reclusione per il delitto di cui agli articoli 81 cpv. cod. pen., 73 d.P.R. 309/1990, sostituita Con l detenz domiciliare sostitutiva.
Avverso la sentenza l’COGNOME propone ricorso per cassazione, censurando, con un unico motivo, la violazione dell’articolo 240-bis cod. pen. e il correlato vizio di motivazione, in qu il tribunale avrebbe disposto la c.d. “confisca allargata” pur in presenza di puntuali allegazi da parte dell’odierno ricorrente, che avrebbero dimostrato la lecita provenienza della provvista necessaria all’acquisto dei beni poi confiscati.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
L’istituto della confisca allargata o “per sproporzione” è stato delineato dal legislato quale misura di sicurezza patrimoniale atipica, replicante i caratteri della misura di prevenzion antimafia ed avente la medesima finalità preventiva (Sez. U., n. 29022 del 30/05/2001, Derouach, Rv. 219221). Il suo fondamento è costituito dalla presunzione relativa di accumulo di ricchezza illecita nei confronti di coloro che sono condannati per reati di particolare gravità allarme sociale; suo presupposto applicativo indispensabile è la sproporzione tra il valore del bene ed i redditi denunciati e l’attività economica dallo stesso svolta.
Come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, grava sull’imputato, titolare o detentore dei beni da confiscare, l’onere di giustificarne la provenie mediante specifica allegazione di elementi in grado di superare la presunzione e di elidere l’efficacia dimostrativa dei dati probatori offerti dall’accusa.
Grava su di esso, in altre parole, l’onere di allegare il contrario sulla base di concreti oggettivi elementi fattuali, poiché è l’imputato che, in considerazione del principio della c «vicinanza della prova», può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gl elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (così Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 – 01).
Questa Corte (Sez. 2, n. 43387 del 08/10/2019, Novizio, Rv. 277997 – 04; Sez. 4, n. 51331 del 13/09/2018, S., Rv. 274052 – 01) ritiene, con principio che il Collegio condivide e ribadisce che all’imputato non si chiede all’imputato di allegare o provare un fatto negativo, bensì d indicare specifiche «circostanze positive e concrete, contrarie a quelle provate dalla pubblica accusa (“i miei averi e le operazioni che ho posto in essere sono proporzionati ai miei redditi ed alla attività lecita che ho anche esercitato”), con indicazione, quindi, dei dati fattual contraddicono le conclusioni alle quali sono pervenuti i Giudici, dalle quali possa desumersi che detta sproporzione non esiste».
In ogni caso, non è censurabile in sede di legittimità la valutazione relativa alla sproporzion tra il valore di acquisto dei beni nella disponibilità del condannato e i redditi del suo nu familiare, ove la stessa sia congruamente motivata dal giudice di merito con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse
deduzioni difensive (Sez. 3, n. 1555 del 21/09/2021, dep. 2022, Rv. 282407 – 02; Sez. 1, n. 21604 del 20/02/2024, COGNOME, n.m.).
Nel caso in esame il GIP ha sufficientemente motivato in relazione alle condizioni per l’applicazione del provvedimento di confisca ai sensi dell’articolo 240-bis cod. pen. (applicabil stante il richiamo operato dall’articolo 85 d.P.R. 309/1990):
ricostruendo (pagina 8) la situazione reddituale e patrimoniale del condannato e del suo nucleo familiare, basata su dati oggettivi provenienti dall’RAGIONE_SOCIALE, dall’RAGIONE_SOCIALE, documentazione bancaria e dalla stessa documentazione difensiva relativa ai redditi di NOME prodotta dalla difesa;
ricordando la evidente sproporzione tra la capacità reddituale del nucleo familiare dell’imputato ed il patrimonio dallo stesso posseduto, ritenuto acquistato con il provento dell cospicua attività di spaccio per la quale ha chiesto e ottenuto l’applicazione di pena su richiesta a tal proposito, la sentenza richiama gli accertamenti contenuti nell’informativa del 20 april 2023, che il ricorrente non si cura neppure di indicare e confutare, con ciò difettando dell necessaria specificità e violando il principio di autosufficienza del ricorso;
sottolineando di aver fatto applicazione del criterio della c.d. “ragionevolezza temporale” elaborato dalla giurisprudenza per evitare una eccessiva dilatazione dei confini dell’istituto (Sez U, n. 27421 del 25/02/2021, Crostella, Rv. 281561 – 01; Sez. 1, n. 36499 del 06/06/2018, Quattrone, Rv. 273612 – 01);
evidenziando, in fine, con una valutazione di merito incensurabile in questa sede, che le allegazioni difensive – anche riguardanti le attività economiche – non sono state in grado d superare la presunzione iuris tantum di origine illecita del patrimonio ritenuto «sproporzionato» a disposizione del condannato.
Meramente assertive, inoltre, sono le deduzioni relative al (dedotto) erroneo apprezzamento RAGIONE_SOCIALE spese di noleggio di due auto, che secondo il ricorrente «non emergerebbero dagli atti di indagine», i quali atti di indagine, tuttavia, non risultano allegati né indicati a confutaz contrariamente a quanto effettuato dal GIP a sostegno RAGIONE_SOCIALE proprie deduzioni in senso contrario.
In conclusione il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità dei motivi e per violazione del principio di autosufficienza.
Ed infatti, il requisito della specificità dei motivi, cui è condizionata l’ammissibilità del di gravame, comporta non solo l’onere di dedurre le censure che l’imputato intende muovere su punti circoscritti della decisione, ma altresì, allorquando sia dedotto il vizio di manifesta illo e/o contraddittorietà della motivazione rispetto ad atti specificamente indicati, quello di curar l’integrale trascrizione o allegazione al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, cos rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, anche provvedendo a produrli in copia nel giudizio di cassazione (ex multis Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015 – dep.
26/11/2015, COGNOME, Rv. 265053, Sez. 2, n.26725 dell’01/03/2013 – dep. 19/06/2013, COGNOME, Rv. 256723).
In particolare, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione esige, anche a segui dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7 de 11/2018, un onere di puntuale indicazione e contestuale allegazione degli atti che si assumono travisati, attività quest’ultima materialmente devoluta alla Cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (Sez. 2, Sentenza n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432), con la conseguenza che incorre nell’inammissibilità il ricorso contenente un limitato stralcio di dichiarazioni neppure decisive perché inidonee a disarticolare il puntuale ragionamento probatorio svolto nel provvedimento impugnato, ovvero un limitato stralcio di passaggi estrapolati dagli atti asseritamente travistati, la cui frammentazione non consente di apprezzarne il senso complessivo (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 – dep. 29/05/2015, COGNOME e altri, Rv. 26360101).
Quale che sia la modalità di indicazione degli altri atti del processo, che può esser soddisfatta nei modi più diversi (quale, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel te del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processual merito), è comunque necessario che la Corte venga messa nelle concrete condizioni di averne contezza, senza essere costretta ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011 – dep. 11/05/2011, COGNOME, Rv. 25016801; Sez. 2, n. 47035 del 3.12.2013, Giugliano, Rv. 257499).
6. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende. Così deciso il 02/10/2024.