Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35126 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35126 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VICO EQUENSE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/02/2025 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in sede di rinvio dalla Cort cassazione, disposto con sentenza del 13 settembre 2023, parzialmente riformando la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata, emessa il 23 novembre 2011 – che aveva affermato la responsabilità del ricorrente in relazione ai reati di corruzione in atti giudiziari, falsa testimonianza e falsa perizia, non ogge censura nei gradi successivi -ha revocato la confisca, disposta ai sensi dell’art. 240-bis co pen. con riguardo al reato di cui all’art. 319-ter cod. pen., limitatamente ai veico
sequestro (in quanto acquistati tra il 2002 ed il 2014, periodo ritenuto eccessivament risalente rispetto a quello di commissione dei fatti avvenuti tra il marzo 2017 e l’ott 2018), confermando il provvedimento ablativo inerente agli altri beni, costituiti da orologi di marca Rolex e danaro contante per euro 10.880,00.
La Corte territoriale, riepilogato l’excursus processuale ed i principi di diritto in tema di confisca cd. allargata ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., ha ritenuto, quanto agli oro che la documentazione prodotta dalla difesa non consentisse di risalire all’epoca del lor acquisto, salvo che per alcuni di essi, che erano stati acquisiti in periodo coevo o successi alla data di commissione dei reati, nel quale era stata rilevata la sproporzione tra il va dei beni del ricorrente ed i redditi percepiti dal medesimo e dalla sua famiglia, anche origine.
Inoltre, in quel periodo, alcune intercettazioni avevano documentato l’attivism dell’imputato nell’acquisto di orologi Rolex, sicché non poteva darsi credito alla versio difensiva volta a valorizzare la circostanza che alcuni orologi fossero intestati ad un trust (del quale l’imputato era rappresentante dal 2012 e conferitore di beni dal 2013) ed uno di essi ad una società (nella quale sempre l’imputato era socio unico nel 2017).
Quanto al denaro contante, la Corte di appello non ha ritenuto che i contratti di locazion prodotti dalla difesa valessero a giustificarne la lecita provenienza, dal momento che essi erano divenuti efficaci in epoca successiva al sequestro, ferma restando la già rileva sproporzione tra i cespiti patrimoniali e i redditi dichiarati.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, deducendo:
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’applicazione dell’art. 24 cod. pen.
Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello, pur a fronte delle alleg documentali difensive, intese a provare la lecita provenienza degli orologi, avrebb illegittimamente preteso la prova certa della correlazione tra patrimonio e impiego di ess nell’acquisto dei beni di valore asseritamente sproporzionato rispetto al reddito, addiritt esigendo da parte dell’imputato la prova della data di ingresso del bene nel suo patrimonio. Al contrario, la valutazione di contrastanti interessi – quello ablativo dello Stato a della collettività rispetto alla circolazione di beni di origine illecita e quello del difendere diritti costituzionalmente garantiti come la proprietà – avrebbe dovuto portare far ritenere sufficiente in capo al ricorrente “un onere di allegazione che renda credibil provenienza lecita di detti beni”, che nel ricorso si sostiene essere stato assolto, a maggior ragione ove esso onere riguardi, come nella specie, beni mobili non soggetti a particolari formalità di trasferimento e oggetto di transazioni intervenute a parecchia distan temporale dall’accertamento giudiziario.
La Corte, a fronte della consulenza difensiva prodotta al processo e corredata da documentazione, avrebbe offerto una motivazione apparente, non analizzando i documenti
relativi ad ogni singolo orologio e definendoli genericamente inidonei a dare certezza sull data di acquisto di ciascun bene, attraverso l’applicazione di una “presunzione diffusa” ch tutti gli orologi in patrimonio fossero stati acquistati dopo il novembre 2014, peri reputato congruo dal punto di vista temporale a giustificare la lecita provenienza, così come ritenuto per i veicoli del ricorrente che, per questo, erano stati dissequestrati.
La Corte di appello, inoltre, avrebbe valorizzato solo la capacità reddituale e non quel patrimoniale del ricorrente, invero, come dimostrato, assai cospicua ed ottenuta per successione, richiedendo una prova circa l’impiego del patrimonio per l’acquisto dei singol orologi che non era esigibile in relazione alla tipologia dei beni ed al tempo del loro acqui non potendosi pretendere che il ricorrente conservasse lo scontrino o la fattura pe l’acquisto ultradecennale di oggetti personali di mero godimento, non essendo fondato su alcunché l’assunto della Corte che si fosse trattato di investimenti;
2) violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte valutato che il profi dei reati “spia”, per i quali il ricorrente è stato condannato, non superava i ventimila e a fronte di un valore degli orologi di oltre 500 mila euro, senza che fossero emersi element sintomatici di una reiterazione frequente della condotta illecita nel period ragionevolezza temporale e di un rilevante arricchimento illecito nel caso concreto;
3) violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte valorizzat adeguatamente la circostanza che alcuni orologi erano intestati ad un trust costituito del tutto lecitamente e la cui autonomia giuridica e patrimoniale dalla persona fisica d ricorrente non avrebbe potuto far ritenere che le conversazioni intercettate fossero relati agli orologi intestati al trust e che tali beni avessero origine illecita, essendo stata prodotta documentazione attestante il regolare acquisto degli orologi da parte del trust.
Del pari, con riguardo all’orologio di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, non sar conducente la circostanza che il ricorrente fosse socio unico di tale compagine all’epoca dell’acquisto del bene (2017), non essendo stata analizzata la capacità reddituale autonoma della persona giuridica.
In ordine, infine, alla somma di danaro in contanti, la Corte avrebbe omesso ogni confronto con quanto affermato e documentato nella consulenza tecnica a proposito dei contratti di locazione di immobili afferenti al ricorrente e produttivi di somme liquide durante la gestione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, proposto con motivi complessivamente infondati, deve essere rigettato.
I parametri giuridici su cui fondare la decisione sono quelli fissati dalla senten annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione con sentenza del 13 settembre 2023.
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1.Quanto al primo motivo,(de” (rilevar5irche)la sentenza impugnata ha, in primo luogo, rilevato l’esistenza di una rilevante sproporzione tra i modesti redditi del ricorrente e sua famiglia, anche di origine, nel periodo 2012-2018, a fronte di un tenore di vita ass elevato e del possesso di beni di lusso, come i 33 orologi in sequestro, del valor complessivo di oltre 500 mila euro.
A fronte di questo dato, la Corte di appello ha compiutamente analizzato le allegazioni de ricorrente volte a provare la lecita provenienza dei beni, ritenendole non idonee a tal fi In particolare, è stato ritenuto che i documenti prodotti dalla difesa – circostanza c ricorso non riesce a smentire – non provavano l’epoca di acquisto di molti degli orologi sequestro, salvo che per alcuni di essi che erano stati acquistati nel periodo di commissione dei reati o poco dopo (2017-2020) e, dunque, in un periodo temporalmente ragionevole per far ritenere che fossero stati acquistati con il provento dei delitti.
Tali circostanze documentali sono state ritenute anomale, tenuto conto del valore dei beni e dell’importanza della prova delle loro specifiche di acquisto ai fini di scambio, non avuto riguardo al fatto che le certificazioni allegate alla consulenza tecnica difensiv disparte l’assenza di scontrini fiscali o fatture di acquisto, erano mere fotocopie, nemmen integrali, non provenienti dalla casa madre Rolex ma da gioiellieri privati, senza indicazio del timbro di importazione (trattandosi di orologi di provenienza statunitense) e senz alcuna indicazione sulla data di emissione della certificazione.
E ciò era apparso ancora più anomalo in relazione agli orologi conferiti nel trust, che la Corte ha ritenuto, per questo, essere stati acquistati a scopo di investimento.
Per tale ragione, non è stata ritenuta provata e credibile, da parte dell’imputato circostanza che gli orologi, ritrovatigli in pendenza del procedimento, fossero st acquistati in epoca temporale risalente, ragionevolmente tale da escludere la loro derivazione da cespiti illeciti.
Inoltre, la sentenza ha precisato che l’acquisto degli orologi non poteva ritenersi giustifi neanche tenendo in considerazione il patrimonio immobiliare del ricorrente e della sua famiglia di origine, essendo state impiegate ingenti risorse per acquisti immobiliari che n avevano lasciato spazio per la canalizzazione di ulteriori economie verso beni di lusso come quelli in sequestro.
Si tratta di valutazioni di merito, non manifestamente illogiche e per tale ragione rivedibili in questa sede, non avversate in ricorso se non genericamente e conformi agli obblighi giuridici imposti in casi come quello in esame dalla giurisprudenza di legittim anche in relazione alle modalità con le quali si conforma l’onere probatorio a cari dell’imputato nelle ipotesi di confisca allargata, il quale, in ogni caso, deve sempre ess calibrato in relazione al contesto di riferimento ed alla tipologia di beni.
Infatti, come è stato correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, al fine d disporre la confisca conseguente a condanna per uno dei reati indicati nell’art. 12-sexies,
commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356 (modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa) allorché sia provata l’esistenza di una sproporzione t il reddito dichiarato dal condannato o i proventi della sua attività economica e il val economico dei beni da confiscare e non risulti una giustificazione credibile circa provenienza di essi, è necessario, da un lato, che, ai fini della “sproporzione”, i termin raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori econom in gioco, siano fissati nel reddito dichiarato o nelle attività economiche non al momen della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel momento dei singoli acquisti rispett valore dei beni di volta in volta acquisiti, e, dall’altro, che la “giustificazione” consista nella prova della positiva liceità della loro provenienza e non in quella negat della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna (Sez. U, n. 920 d 17/12/2003, dep. 2004, Montella, Rv. 226491-01; Sez. 1, n. 10756 del 18/02/2009, Pelle, Rv. 242896-01; Sez. 2, n. 43387 del 08/10/2019, Novizio, Rv. 277997-01)
Nell’ultima delle sentenze citate si sottolinea che, nel caso di confisca ex art. 12-sex d.l. 8 giugno 1992 n. 306 (ora art. 240-bis cod. pen.), dall’accertata sproporzione guadagni e patrimonio, che spetta alla pubblica accusa provare, scatta una presunzione “iuris tantum” d’illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall’interessato, specialmente nel caso di confusione tra risorse di provenienza lecita illecita, sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desume legittima provenienza del bene confiscato attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (in motivazione la Corte ha sottolineato che l’imputato, in considerazione del principio della cd. “vicinanza della prova”, può acquisire o quantomeno fornire, tramit l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva).
I rilevati principi giuridici, espressi dalla Corte di cassazione, si conformano alle indic espresse sulla questione anche dalla Corte costituzionale, che nella sentenza n. 33 del 2018, ha, in motivazione, precisato che “la presunzione di origine illecita dei beni condannato insorge, d’altro canto, non per effetto della mera condanna, ma unicamente ove si appuri – con onere probatorio a carico della pubblica accusa – la sproporzione tr detti beni e il reddito dichiarato o le attività economiche del condannato stess sproporzione che – secondo i correnti indirizzi giurisprudenziali – non consiste in qualsiasi discrepanza tra guadagni e possidenze, ma in uno squilibrio incongruo e significativo, da verificare con riferimento al momento dell’acquisizione dei singoli beni
La presunzione, d’altra parte, è solo relativa, rimanendo confutabile dal condannato tramite la giustificazione della provenienza dei cespiti. Per giurisprudenza costante – almeno partire dalla citata sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 920 del 200 non si tratta neppure di una vera e propria inversione dell’onere della prova, ma di u semplice onere di allegazione di elementi che rendano credibile la provenienza lecita dei
beni (per la valorizzazione di analogo elemento, al fine di escludere l’illegitt costituzionale della presunzione di destinazione illecita di determinati oggetti da parte condannato per delitti contro il patrimonio – tra cui anche la ricettazione – si veda g sentenza n. 225 del 2008)”.
2. In ordine al secondo motivo, ferma restando la non necessità della prova della diretta derivazione dei beni confiscati dallo specifico delitto per il quale si è riportata cond (non a caso denominato come reato con funzione di “spia” della commissione di altri illeciti – principio sulla cui applicazione anche il ricorrente concorda (fg. 8 del ricorso sentenza impugnata, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, ha posto in risalto la decisiva circostanza che al processo era emerso come l’illecita attività criminal dell’imputato aveva generato “enormi entrate del tutto sproporzionate rispetto ai reddi dichiarati e all’attività lavorativa svolta” (cfr. fg. 6 della sentenza impugnata).
Tale assunto, emerso fin dal primo grado del giudizio, non era stato mai contestato dal ricorrente, almeno con riguardo al primo segmento dell’accertamento inerente all’ottenimento di “enormi entrate”, posto che l’imputato, nel grado di appello, avev rinunciato ai motivi relativi alla prova della sua responsabilità, successivamen addentrandosi a voler dimostrare non la mancata esistenza di enormi entrate quanto la loro lecita provenienza.
In ordine al terzo motivo, anche in questo caso la motivazione della Corte di appello, proposito della riconducibilità al ricorrente di tutti i beni in sequestro, è priva di vizi e logico-ricostruttivi rilevabili in questa sede.
La sentenza, infatti, ha dedotto del tutto plausibilmente, da dati di fatto oggettivi e al processo – quali la circostanza risultante da intercettazioni che l’imputato fo impegnato nell’acquisto di orologi Rolex nel periodo di commissione dei reati, ovvero i fatto che egli fosse rappresentante del trust dal 2012 e conferitore di beni dal 2013, nonché socio unico della società intestataria di uno degli orologi in sequestro – che tutti gli o in sequestro appartenessero al ricorrente, “anche per interposta persona fisica o giuridica” secondo l’indicazione contenuta nell’art. 240-bis cod. pen.
Infine, la motivazione resa dalla Corte di appello risulta intangibile, perché manifestamente illogica, nella ricostruzione di merito effettuata anche in relazione al somma di denaro in contanti oggetto di confisca, della quale il ricorrente aveva il possess in epoca coeva rispetto a quella di commissione dei reati per i quali ha riportato condann e che non è stata ritenuta riconducibile alla esecuzione dei contratti di locazione di immob prodotti in giudizio, produttivi di effetti a decorrere da date successive al sequestro danaro.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso, il 24/09/2025.