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Confisca allargata: onere della prova e beni di lusso

La Corte di Cassazione ha confermato la confisca di beni di lusso, tra cui orologi e contanti, in applicazione della confisca allargata. La sentenza stabilisce che, una volta provata dall’accusa una significativa sproporzione tra i beni posseduti e il reddito dichiarato, sorge una presunzione di provenienza illecita. Spetta quindi al condannato fornire prove concrete e credibili per giustificare l’origine lecita del proprio patrimonio, un onere che nel caso di specie non è stato ritenuto assolto.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca Allargata: Quando la Prova della Sproporzione Sposta l’Onere sull’Imputato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato i principi cardine in materia di confisca allargata, nota anche come confisca per sproporzione, ai sensi dell’art. 240-bis del codice penale. Il caso riguardava la confisca di un ingente patrimonio, composto da 33 orologi di lusso e una somma di denaro contante, a seguito di una condanna per reati gravi come la corruzione in atti giudiziari. La decisione chiarisce in modo netto la ripartizione dell’onere della prova tra accusa e difesa quando emerge una palese discrepanza tra il tenore di vita dell’imputato e i suoi redditi leciti.

Il Contesto del Caso: Beni di Lusso e Redditi Incongruenti

La vicenda giudiziaria trae origine dalla condanna di un soggetto per gravi reati. In conseguenza di ciò, le autorità disponevano il sequestro di numerosi beni di lusso, tra cui una collezione di orologi di altissimo valore (oltre 500 mila euro) e circa 11 mila euro in contanti. La Corte di Appello, chiamata a decidere in sede di rinvio, aveva confermato la misura ablativa, ritenendo che l’imputato non fosse riuscito a giustificare la provenienza lecita di tali beni.

Il punto centrale della questione era una manifesta sproporzione, rilevata nel periodo 2012-2018, tra i modesti redditi dichiarati dall’imputato e dalla sua famiglia e il possesso di un patrimonio così cospicuo. La difesa aveva tentato di dimostrare l’origine lecita degli orologi producendo documentazione varia, ma i giudici l’avevano ritenuta inidonea a provare con certezza l’epoca e le modalità di acquisto.

I Motivi del Ricorso: La Difesa Contro la Confisca Allargata

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando principalmente tre aspetti:

1. Violazione sull’onere della prova: Secondo la difesa, la Corte di Appello avrebbe preteso una prova certa e diretta della provenienza lecita, mentre a carico dell’imputato vi sarebbe solo un “onere di allegazione” per rendere credibile la sua versione. Si contestava l’applicazione di una “presunzione diffusa” di illeceità.
2. Sproporzione tra reato e confisca: Il ricorrente sottolineava come il profitto dei reati per cui era stato condannato (i cosiddetti “reati spia”) ammontasse a circa ventimila euro, una cifra irrisoria rispetto al valore dei beni confiscati.
3. Errata attribuzione dei beni: La difesa sosteneva che alcuni orologi erano intestati a un trust e a una società, entità giuridiche distinte dalla persona fisica dell’imputato, e che quindi non potessero essergli attribuiti.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Confisca Allargata

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi. La sentenza offre importanti chiarimenti sui meccanismi della confisca allargata.

L’Onere della Prova nella Confisca per Sproporzione

La Cassazione ha confermato che il sistema della confisca per sproporzione si basa su una presunzione legale. L’accusa ha l’onere di provare due elementi: la condanna per uno dei “reati spia” previsti dalla legge e l’esistenza di una significativa sproporzione tra i beni posseduti e il reddito dichiarato. Una volta che l’accusa ha assolto a questo compito, scatta una presunzione “iuris tantum” (cioè fino a prova contraria) di origine illecita dei beni.

A questo punto, l’onere si sposta sul condannato, che deve fornire una giustificazione credibile e verificabile della provenienza lecita. Non è sufficiente una mera allegazione, ma è necessaria una prova logica e documentata. Nel caso di specie, i documenti presentati (fotocopie, certificati di gioiellieri privati senza data certa) sono stati correttamente ritenuti insufficienti, soprattutto considerando la natura di “bene di investimento” degli orologi, alcuni dei quali conferiti in un trust.

Irrilevanza del Nesso Diretto con il “Reato Spia”

La Corte ha ribadito un principio consolidato: la confisca allargata non richiede che i beni siano il profitto diretto del reato per cui è intervenuta la condanna. Il “reato spia” funziona solo come un presupposto, un indicatore di pericolosità sociale che attiva questo potente strumento. La misura non colpisce il provento di quel singolo reato, ma l’accumulazione patrimoniale illecita nel suo complesso, di cui la sproporzione è il sintomo principale.

La Riconducibilità dei Beni Tramite Trust e Società

Infine, la Cassazione ha avallato la tesi dei giudici di merito secondo cui i beni erano riconducibili all’imputato anche se formalmente intestati a un trust o a una società. La legge, infatti, permette la confisca anche dei beni di cui il condannato dispone “per interposta persona fisica o giuridica”. Essendo l’imputato il rappresentante del trust e il socio unico della società, la Corte ha concluso che egli ne avesse l’effettiva disponibilità.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su una rigorosa applicazione dei principi giuridici che governano la confisca per sproporzione. La valutazione della Corte d’Appello è stata ritenuta logica e coerente. I documenti difensivi sono stati giudicati inadeguati a fornire una giustificazione credibile per l’origine dei beni, data la loro natura (mere fotocopie, certificati non ufficiali) e il contesto (beni di lusso gestiti come investimenti). La struttura legale della confisca allargata (art. 240-bis c.p.) impone al condannato un onere probatorio significativo per superare la presunzione di illeceità che sorge dalla sproporzione patrimoniale accertata. La sentenza chiarisce inoltre che questa misura patrimoniale mira a contrastare l’arricchimento illecito in generale, senza richiedere un nesso causale diretto con il singolo reato che ne ha permesso l’applicazione.

Conclusioni

Questa pronuncia consolida l’orientamento giurisprudenziale in materia di confisca allargata, inviando un messaggio chiaro: di fronte a una palese sproporzione tra patrimonio e reddito, la difesa deve andare oltre le semplici affermazioni e fornire prove concrete, coerenti e verificabili. La sentenza evidenzia inoltre come gli schermi societari o fiduciari non siano sufficienti a proteggere i patrimoni illeciti, poiché la legge guarda alla disponibilità sostanziale dei beni, non solo alla loro intestazione formale.

In caso di confisca allargata, chi deve provare l’origine dei beni?
Una volta che l’accusa ha dimostrato una significativa sproporzione tra i beni del condannato e il suo reddito dichiarato, sorge una presunzione di origine illecita. A quel punto, l’onere di fornire una giustificazione credibile e documentata sulla provenienza lecita dei beni si sposta sul condannato.

La confisca può riguardare beni di valore molto superiore al profitto del reato per cui si è stati condannati?
Sì. La sentenza chiarisce che il reato per cui è avvenuta la condanna (il cosiddetto “reato spia”) funge solo da presupposto per l’applicazione della misura. La confisca allargata colpisce tutti i beni sproporzionati di cui non si riesce a giustificare la provenienza lecita, indipendentemente da un collegamento diretto con quel singolo reato.

I beni intestati a un trust o a una società possono essere confiscati?
Sì. La Corte ha confermato che i beni possono essere confiscati anche se formalmente intestati a terzi, come un trust o una società (definita “interposta persona fisica o giuridica”), qualora sia dimostrato che il condannato ne sia il reale beneficiario e ne abbia l’effettiva disponibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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