Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6247 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6247 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME, nato in Romania il DATA_NASCITA
NOME NOMENOME nato a Afragola il DATA_NASCITA
NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
NOME, nata a Roma il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/01/2023 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi di
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, l’annullamento con rinvio limitatamente alla confisca in relazione al ricorso di NOME COGNOME e che i restanti ricorsi siano dichiarati inammissibili;
uditi l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, il quale, riportandosi ai motivi dei ricorsi, insiste p l’accoglimento degli stessi.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Roma, a seguito di giudizio abbreviato, accertata l’esistenza di una organizzazione criminale finalizzata all’attività di traffico di sostanz stupefacenti operante a Roma, nella piazza di spaccio del quartiere di INDIRIZZO Bella Monaca, condannava gli imputati in epigrafe per i delitti di associazione finalizzata alla cessione di sostanze stupefacenti (art. 74, comma 1, d.P.R. 31/10/1990, n. 309) (capo A) e per numerosi episodi di cessione (73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.) (capi B, variamente numerati).
In particolare, condannava alla pena di giustizia:
NOME COGNOME, per il reato di cui al capo A);
NOME COGNOME, per i reati di cui ai capi A), B3), B51), B52), B57), B58), B62), B64), B67), B68), B70), B71);
NOME COGNOME, per il reato di cui al capo A);
NOME COGNOME, per i reati di cui al capo A);
NOME COGNOME, per il reato di cui al capo A);
NOME COGNOME, per i reati di cui ai capi A), B57);
NOME COGNOME, per i reati di cui ai capi A), B34);
NOME COGNOME, per i reati di cui ai capi A), B12), B14, B50);
NOME COGNOME, per i reati di cui ai capi A), B-48), B-62), B72).
2. La Corte di appello di Roma, previa riqualificazione per tutti gli appellanti del fatto contestato al capo A) nel reato di cui all’art. 74, commi 3 e 6, d.P.R. n. 309 del 1990 cit. e dei restanti capi di imputazione nell’ipotesi di cui all’art. 7 comma 5, d.P.R. 309 del 1990 cit., accoglieva la richiesta di concordato in appello (art. 599-bis cod. proc. pen.) in relazione alla sola pena e, di conseguenza, rideterminava quest’ultima, per ciascuno degli imputati, nei seguenti termini:
NOME COGNOME, anni tre e mesi quattro di reclusione;
NOME COGNOME, anni cinque e mesi otto di reclusione;
NOME COGNOME, anni due e mesi dieci di reclusione;
NOME COGNOME, anni due e mesi dieci di reclusione;
NOME COGNOME, anni tre e mesi quattro di reclusione;
NOME COGNOME, anni quattro, mesi sei e venti giorni di reclusione;
NOME COGNOME, anni tre e mesi sei di reclusione;
NOME COGNOME, anni due, mesi otto e venti giorni di reclusione;
NOME COGNOME, anni due, mesi otto e venti giorni di reclusione.
Avverso la sentenza hanno presentato ricorso gli imputati.
NOME COGNOME ha dedotto, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, un unico motivo avente ad oggetto la violazione dell’articolo 240-bis cod. pen. e relativo vizio di motivazione.
Come rilevato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 27770 del 11/06/2015, dep. 2016, Testa, Rv. 267226), in relazione all’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 cit., non avrebbe potuto essere disposta la confisca ex art. 240-bis cod. pen. – nel caso di specie, caduta su 9.000 euro -, ma soltanto quella di cui all’art. 240 cod. pen. che presuppone, tuttavia, la riconducibilità dei beni sequestrati al reato.
La Corte d’appello avrebbe, quindi, dovuto motivare la pertinenza del denaro al reato contestato: operazione complessa, considerato che il ricorrente è stato assolto dal reato fine originariamente contestato e che ha preso parte all’associazione per un ridotto lasso di tempo.
Anche NOME COGNOME ha presentato, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, un unico motivo di ricorso in cui è dedotta l’illegalità della pena accessoria illegale, dal momento che, ai sensi dell’articolo 37 cod. pen., «quando la legge stabilisce che la condanna importa la pena accessoria temporanea, e la durata di questa non è espressamente determinata, la pena accessoria ha durata eguale a quella della pena principale inflitta».
Invece i giudici, nonostante la riqualificazione della originaria ipotes associativa in quella dell’art. 74, comma 6, d.P.R. 309 del 1990 cit., hanno disposto, sostituendo l’interdizione perpetua con quella temporanea, che quest’ultima avesse la durata di cinque anni piuttosto che la durata della pena definitiva (quattro anni, sei mesi e venti giorni).
Hanno presentato due distinti ricorsi NOME COGNOME e NOME COGNOME, entrambi per il tramite dell’AVV_NOTAIO, il quale ha eccepito per ognuno di essi violazione della legge penale e dell’art. 192 cod. proc. pen.
Premesso che l’accordo sulla pena non costituisce ammissione di colpevolezza, manca la prova della partecipazione dei ricorrenti all’associazione criminosa, la presenza dei ricorrenti nei luoghi di spaccio e la commissione di alcuni reati-fine dell’associazione non rappresentando prova della partecipazione alla stessa.
NOME COGNOME, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, ha dedotto un unico motivo di ricorso, con cui deduce vizio di motivazione quanto alla mancata verifica, da parte dei giudici, delle condizioni di cui all’art. 129 cod. proc. pen per non aver, in ogni caso, valutato la corretta qualificazione giuridica del fatto.
Per il tramite dell’AVV_NOTAIO, anche NOME COGNOME ha dedotto, in un unico motivo di ricorso, violazione della legge penale e vizio di motivazione in rapporto al mancato accertamento della responsabilità dell’imputato.
Dalle intercettazioni sarebbero infatti emersi i rapporti di COGNOME con il so NOME COGNOME, e non la consapevolezza e volontà dell’imputato di far parte dell’associazione criminosa, con la conseguenza che COGNOME avrebbe dovuto essere assolto.
NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, tre distinti ricorsi che si articolan nei seguenti due motivi, testualmente sovrapponibili.
9.1. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, n. 3, 129, 546, lett. cod. proc. pen.
La Corte d’appello non ha correttamente motivato in ordine all’assenza degli elementi che avrebbero potuto portare al proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., con conseguente compressione dei diritti di difesa e violazione dell’articolo 111, comma 6, Cost.
9.2. Errato riconoscimento della circostanza aggravante dell’art. 74, comma 3, d.P.R. n. 309 del 1990 cit., nonostante la qualificazione del fatto ai sensi dell’art 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 cit., con conseguente erroneo giudizio di bilanciamento per equivalenza con le circostanze attenuanti generiche e, in subordine, errore in relazione al mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla contestata aggravante.
Infatti, come specificato dalla giurisprudenza di legittimità, l’ipotesi cosiddetta piccola associazione rappresenta un reato autonomo.
Di conseguenza, non avrebbero dovuto trovare applicazione le circostanze aggravanti speciali previste dall’articolo 74, comma 3, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.,
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con l’effetto si sterilizzare la diminuzione di pena connessa riconoscimento delle attenuanti generiche.
Quand’anche, poi, si ritenesse applicabile la circostanza di cui all’art. 416, comma 5, cod. pen., sul numero dei partecipanti superiore a dieci (ciò che non dovrebbe essere possibile, non essendo tale disposizione richiamata dall’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.), il giudizio di bilanciamento della Corte d’appello avrebbe potuto portare ad un esito diverso.
I giudici di secondo grado hanno operato il bilanciamento tra: da un lato, le circostanze attenuanti generiche; dall’altro lato, non già la sola aggravante del numero dei partecipi superiore a dieci persone ma anche la presenza di associati dediti all’uso di sostanze stupefacenti (prevista sempre all’art. 74, comma 3, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.).
Non prevendo, peraltro, l’art. 416, comma 5, cod. pen. tale ultima ipotesi (la presenza, tra i partecipanti, di persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti), ci si sarebbe trovati in presenza una sola circostanza aggravante – non più di due circostanze aggravanti -, e di una sola circostanza attenuante, sicché non si sarebbe potuto escludere che prevalessero le attenuanti generiche.
A causa dell’omessa comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza in Cassazione al nuovo difensore di NOME COGNOME, è stata disposta la separazione del procedimento di tale imputato e, per analogia di contenuto del ricorso, del procedimento di NOME COGNOME, la cui trattazione dei quali è stata rinviata ad altra udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato e deve essere accolto.
1.2. A carico dell’imputato, condannato per la sola ipotesi associativa di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 cit. (c.d. piccola associazione), a seguito di riqualificazione in essa dell’ipotesi di cui al comma 1 del medesimo articolo e successivo accoglimento della richiesta di concordato in appello, è stata confermata la confisca della somma di 9.000 euro, disposta dal giudice di primo grado ai sensi degli artt. 85-bis d.P.R. n. 309 del 1990 cit. e 240-bis cod. pen., rispetto alla quale già nei motivi di appello l’imputato aveva contestato il requisito della sproporzione.
1.3. Ciò premesso, va ricordato che, per insegnamento pacifico di questa Corte, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di
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accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla qu prevista dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170).
1.4. Nonostante l’esclusione della confisca non fosse rientrata nell’oggetto dell’accordo, tale circostanza è irrilevante, poiché la confisca di cui agli artt. d.P.R. n. 309 del 1990 cit. e art. 240-bis cod. pen. (c.d. confisca allargata) non avrebbe potuto essere disposta, trattandosi di sanzione illegale, per le ragioni di seguito esposte.
Sez. U, n. 34475 del 23/06/2011, COGNOME, Rv. 250352, seppur al diverso fine di decidere della presunzione di pericolosità di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ha desunto da indici testuali, sistematici e teleologici la volont legislativa di riservare all’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 19 cit., in ragione del minor allarme sociale suscitato dai fatti e della minor pericolosità degli autori degli stessi, un regime diverso da quello previsto per l’ipotesi criminosa contemplata dall’art. 74, comma 1, dello stesso d.P.R.
In particolare, ha concluso come la fattispecie contempli non già una semplice ipotesi circostanziale, bensì un reato autonomo, con rinvio quoad factum (e non quoad poenam) all’art. 416 cod. pen.
Tale ratio decidendi, che ha influenzato il corso della giurisprudenza in numerosi altri ambiti applicativi, percorre anche il precedente richiamato dal ricorrente (Sez. 3, n. 27770 del 11/06/2015, dep. 2016, Testa, Rv. 267226) che ha, dunque, coerentemente statuito come, in caso di condanna per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di fatti di lieve entità di cui all’art. 74, comma 6, del d.P.R. n. 309 del 1990 cit., non possa essere disposta la confisca di beni ai sensi dell’art. 12-sexies, comma 1 della I. 7 agosto 1992, n. 356 – oggi art. 240-bis cod. pen. -, potendo il giudice soltanto disporre la confisca ex art. 240 cod. pen. qualora si tratti di beni ritenuti profitto o prodotto del rea
1.5. La sentenza impugnata è, dunque, annullata relativamente alla disposta confisca. Non residuando spazi per la deliberazione, l’annullamento deve essere disposto senza rinvio.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
2.1. Vero è che la fissazione della durata della pena accessoria in misura superiore ai limiti edittali si sarebbe tradotta in una ipotesi di illegalità della p
sottraendosi all’accordo delle parti e legittimando il ricorso in Cassazione (Sez. 6, n. 29898 del 10/01/2019, Maesano, Rv. 276228).
Tuttavia, nel caso di specie, la durata della pena accessoria è stata definita in misura corretta.
La pena concretamente applicata all’imputato a seguito di concordato in appello è stata, infatti, di quattro anni, sei mesi e venti giorni di reclusione e, base all’art. 29 cod. pen. – rispetto al quale l’art. 37 cod. pen., richiamato da ricorrente, ha carattere residuale (opera nei soli casi in cui la durata delle pene accessorie temporanee non sia normativamente predeterminata: tra le altre, Sez. 2, n. 53001 del 06/10/2016, Cardinale, Rv. 268541) -, la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni (ma non superiore a cinque, nel qual caso l’interdizione è perpetua) importa l’interdizione dei pubblici uffici per l durata di anni cinque, come in effetti disposto dal Giudice dell’appello.
2.2. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
Anche i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili.
3.1. In tema di concordato in appello, come già ricordato, è infatti ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice.
Sono invece inammissibili le doglianze relative alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (ex multis, Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170), in quanto riferibili ai motivi che hanno formato oggetto di rinuncia (si rinvia a Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Fazio, Rv. 284481).
3.2. Segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen
Del pari inammissibili sono, infine, i ricorsi di NOME e NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
4.1. Il primo motivo dei ricorsi deduce, infatti, la mancata considerazione, da parte del giudice dell’appello, di elementi probatori suscettibili di condurre all’assoluzione dell’imputato. E per esso si rinvia ai consolidati principi di dirit poc’anzi richiamati.
4.2. Il secondo motivo dei ricorsi è manifestamente infondato e in parte non consentito.
È stato già chiarito, infatti, che all’associazione finalizzata a commettere fatti in materia di stupefacenti di lieve entità, prevista dall’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 cit., si applicano le aggravanti di cui ai precedenti commi 3, 4 e 5 (Sez. 6, n. 10685 del 19/01/2023, Moccia, Rv. 284466), fermo restando, quanto all’ipotesi dell’associazione armata, che la stessa può applicarsi anche al di fuori della ricorrenza dei primi tre commi dell’art. 74 cit. con aumento della pena fino ad un terzo (sul punto si richiama Sez. 6, n. 53687 del 09/10/2018, Greco, Rv. 274512).
A tale conclusione – che il Collegio ribadisce nel caso di specie – la Corte è giunta rilevando l’assenza di contrari indici testuali (clausole di riserva o salvezza nella disposizione di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.) e non ravvisando profili di incompatibilità strutturale tra le diverse ipotesi (le situazio fattuali descritte nelle circostanze sono infatti naturalisticamente compatibili con la “piccola associazione”), salva, semmai, la possibilità di una valutazione di merito, con cui si rilevi l’incompatibilità dell’associazione minore con i dat sintomatici rivenienti dagli elementi che integrano quelle aggravanti. Deve aggiungersi che, pur alla luce di quanto osservato in merito al significato attribuibile al richiamo dell’art. 416 cod. pen., la fattispecie è nondimeno inserita in un quadro normativo che contiene profili di disciplina aggiuntivi e specifici, che giustificano le conclusioni ora formulate.
Deve inoltre rilevarsi che il motivo è comunque inidoneo a vulnerare la sentenza impugnata, non essendo consentita la contestazione del giudizio di comparazione, in quanto la pena irrogata corrisponde a quella oggetto di concordato incentrato proprio su un giudizio siffatto, con rinuncia ad ogni ulteriore doglianza esposta nell’originario atto di appello, con la conseguenza che in questa sede il tema avrebbe potuto formare oggetto di ricorso solo alla condizione che fosse stata irrogata una pena illegale, ciò che deve escludersi anche alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (si richiama in tema di pena illegale Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886).
4.3. Segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
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Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla confisca, che elimina, disponendo la restituzione all’ave diritto di quanto in sequestro. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc pen.
Così deciso il 11/01/2024