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Confisca allargata: limiti e onere della prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro un sequestro finalizzato alla confisca allargata per un valore di oltre 78.000 euro. La Corte ha confermato che i proventi da evasione fiscale non possono giustificare la sproporzione patrimoniale, salvo per i beni acquisiti in una specifica finestra temporale (2014-2017), come correttamente applicato dal tribunale di merito. Il ricorso è stato respinto per la sua genericità e perché la strategia processuale del ricorrente aveva limitato l’oggetto della discussione.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca allargata: limiti e onere della prova secondo la Cassazione

La confisca allargata, disciplinata dall’art. 240-bis del codice penale, rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione dello Stato per colpire i patrimoni di illecita provenienza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 36112/2024) ha ribadito i principi fondamentali che regolano questa misura, in particolare riguardo al rapporto con l’evasione fiscale e all’onere della prova a carico dell’imputato. Vediamo nel dettaglio il caso e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Sequestro e Ricorsi

Il caso trae origine da un decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca allargata, emesso per un importo di 78.539,38 euro nei confronti di un soggetto indagato per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.). Il Tribunale del riesame di Palermo aveva confermato il sequestro, scatenando il ricorso per Cassazione da parte dell’interessato.

Il ricorrente basava la sua difesa su due motivi principali:
1. Una presunta carenza di motivazione sui presupposti della confisca allargata.
2. La presunta lecita percezione di canoni di locazione non dichiarati, che a suo dire non potevano essere considerati provento di evasione fiscale.

La Questione Giuridica: Confisca Allargata e Proventi da Evasione

Il cuore della controversia risiedeva nel determinare se i redditi non dichiarati al fisco potessero essere usati per giustificare la legittima provenienza di un patrimonio altrimenti sproporzionato. Sul punto, la Cassazione ha richiamato una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 8052/2023, Rizzi), che ha tracciato una linea netta.

Il principio generale è che il denaro frutto di evasione fiscale non può essere utilizzato per giustificare la provenienza dei beni. Tuttavia, le Sezioni Unite hanno individuato una specifica “finestra temporale” in cui questa regola non si applica: per i beni acquistati tra il 29 maggio 2014 e il 19 novembre 2017, è possibile far valere anche i proventi da evasione per dimostrarne la liceità.

Le Motivazioni della Cassazione: coerenza con i principi sulla confisca allargata

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, e quindi inammissibile, per diverse ragioni.

In primo luogo, ha evidenziato come il Tribunale del riesame avesse scrupolosamente applicato il principio enunciato dalle Sezioni Unite. Infatti, il giudice di merito aveva calcolato i canoni di locazione percepiti all’interno della suddetta finestra temporale (per un totale di 94.500 euro) e li aveva considerati come componente positiva del reddito, diminuendo così l’entità della sproporzione e riducendo l’importo del sequestro alla cifra finale di 78.539,38 euro.

La Strategia Processuale e la Genericità dei Motivi

La Cassazione ha inoltre respinto la censura relativa al fumus commissi delicti (ovvero l’esistenza di indizi del reato presupposto). I giudici hanno osservato che, fin dal primo ricorso, la strategia difensiva si era concentrata esclusivamente sull’entità del sequestro e sulla sproporzione patrimoniale, senza mai contestare la sussistenza del reato. Questa scelta processuale ha di fatto limitato il thema decidendum (l’oggetto del giudizio) alle sole questioni quantitative.

Infine, il secondo motivo di ricorso, relativo ai canoni di locazione, è stato giudicato generico e perplesso. Il ricorrente non ha specificato quale ulteriore somma avrebbe dovuto essere sottratta dal sequestro, né ha dimostrato un interesse concreto all’impugnazione, dato che il Tribunale aveva già operato la decurtazione più favorevole possibile in base alla giurisprudenza vigente.

Le Conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento rigoroso in materia di confisca allargata, confermando che l’onere di giustificare la provenienza lecita dei beni grava interamente sull’interessato. I proventi da evasione fiscale non costituiscono una valida giustificazione, ad eccezione del limitato periodo temporale individuato dalle Sezioni Unite. La decisione sottolinea anche l’importanza della strategia processuale: le scelte difensive operate nelle prime fasi del giudizio possono precludere la possibilità di sollevare determinate questioni in seguito. Per la sua manifesta infondatezza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

I proventi da evasione fiscale possono giustificare la provenienza di beni ai fini della confisca allargata?
No, in linea generale non possono. La sentenza, richiamando una decisione delle Sezioni Unite, specifica però che esiste un’eccezione per i beni acquistati nella finestra temporale tra il 29 maggio 2014 e il 19 novembre 2017, per i quali è possibile far valere anche tali proventi.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato e generico. Il Tribunale aveva già correttamente applicato i principi di diritto indicati dalla stessa Cassazione in un precedente rinvio, e il ricorrente non ha saputo specificare quale ulteriore somma avrebbe dovuto essere detratta dal sequestro né ha dimostrato un interesse concreto a impugnare.

Cosa implica limitare i motivi di ricorso a un solo aspetto del provvedimento?
Focalizzare l’impugnazione solo su un aspetto, come l’entità del sequestro, può limitare l’oggetto del giudizio (il cosiddetto thema decidendum). Nel caso di specie, la difesa, concentrandosi solo sulla sproporzione patrimoniale, ha di fatto precluso la possibilità di contestare in una fase successiva l’esistenza degli indizi del reato presupposto (fumus commissi delicti).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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