Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19136 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19136 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME nato a Reggio Calabria il 25/07/1976
avverso l’ordinanza del 7/01/2025 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostitut Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per inammissibilità del ricorso; letta la memoria dell’Avvocato NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe, il Tribunale per il riesame di Reggio Calabria ha confermato l’ordinanza emessa in data 22 novembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale è stata rigettata l’istanza di dissequestro della somma di etiro 49 mila in relazione al sequestro preventivo disposto in data 24 giugno 2020 dell’intero patrimonio della
RAGIONE_SOCIALE di cui è amministratore e socio unico il ricorrente NOME COGNOME perché ritenuta impresa mafiosa, in ragione della ravvisata gravità indiziaria per il reato di partecipazione mafiosa ascritto al ricorrente.
Il Tribunale, in sede di giudizio di appello cautelare reale, ha confermato il rigetto del dissequestro evidenziando che l’assunto del ricorrente, secondo cui la somma di 49 mila euro da esso conferita alla società deriva dai proventi della vendita di beni personali di lecita provenienza, è privo di fondamento in ragione, sia, della insufficienza delle prove fornite sulla lecita provenienza e, sia dell’accertata destinazione di tali somme a favore di una attività di impresa gestita per interessi mafiosi.
Si osserva comunque che anche i beni venduti (orologi) da cui originano i 49 mila euro conferiti nella società, possono essere considerati frutto dell’attività criminosa del COGNOME, già condannato in primo grado per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., essendo tutti i suoi beni comunque suscettibili di confisca ex art. 240-bis cod.pen.
Tramite il proprio difensore di fiducia, NOME COGNOME ha proposto ricorso chiedendo l’annullamento del provvedimento ed articolando un unico motivo per violazione di legge con riferimento all’assenza di un nesso di correlazione della somma di denaro dal predetto bonificata a favore della società con la commissione di reati.
Si rappresenta che la confisca ex art. 240-bis cod.pen. richiede comunque la prova della provenienza illecita dei beni confiscati e che essendo stata già disposta la confisca dell’intero patrimonio della società RAGIONE_SOCIALE non si giustifica pure la confisca della somma di denaro di cui è stata richiesta la restituzione, in quanto bene personale del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La richiesta di restituzione di 49 mila euro è stata rigettata perché sia la società (recte, il patrimonio societario) di cui il ricorrente è socio unico e sia la totalità dei beni personali del ricorrente sono stati ritenuti suscettibili di confis allargata ex art. 240-bis cod.pen. in relazione al procedimento a suo carico per il reato di associazione mafiosa.
Nulla si deduce nel ricorso sul c.d. fumus del reato e sulla assenza di proporzionalità con i redditi leciti, non oggetto di censure, sicchè neppure si chiarisce la ragione per cui tale somma dovrebbe essere ritenuta di provenienza
lecita solo perché derivante dalla vendita di altri beni della cui provenienza nulla si specifica.
Devesi preliminarmente ricordare che ( in tema di provvedimenti cautelari reali ( il ricorso per cassazione è consentito solo per violazione di legge ex art. 325 cod. proc. pen. e che tale vizio ricomprende, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692).
Orbene, nel caso in esame, non vi è alcun vizio radicale della motivazione ( poiché il Tribunale del riesame con argomenti logici e conducenti ha ribadito la legittimità del sequestro dell’intero patrimonio societario, senza occuparsi della sussistenza del fumus del reato perché non oggetto di censure.
Inoltre, va ricordato che nel caso del sequestro finalizzato alla confisca per sproporzione (c.d. confisca allargata) di cui all’art. 240-bis cod. pen. (in origin disciplinata dal dl. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, convertito dalla legge n. 356 del 1992), e senza considerare la confisca per equivalente che qui non rileva, contrariamente a quanto dedotto non è affatto necessario dimostrare il vincolo di pertinenzialità del bene da sequestrare con i reati per cui si procede, poiché dall’accertata sproporzione tra guadagni (desumibili dal reddito dichiarato ai fini delle imposte) e patrimonio scatta una presunzione “iuris tantum” d’illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall’interessato sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (cfr. Sez 4, n. 51331 del 13/09/2018, COGNOME, Rv. 274052).
Si deve, in definitiva, rilevare che le argomentazioni del Tribunale sono del tutto coerenti rispetto alle questioni dedotte per la mancanza di elementi di prova della provenienza lecita dei beni in sequestro e della loro proporzionalità con i redditi leciti del ricorrente, che non vengono neppure specificati.
Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagament delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa d
ammende.
Così deciso il 9 aprile 2025
GLYPH
Il Consigliere estensore
Il Pres;dente