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Confisca Allargata: la sproporzione del reddito basta

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro la confisca allargata di una somma di denaro. La Corte ha confermato che, per disporre la confisca, è sufficiente dimostrare la disponibilità del bene in capo all’imputato e la sua sproporzione rispetto al reddito, senza dover provare un nesso diretto con il singolo reato commesso.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Confisca Allargata: la Sproporzione tra Beni e Reddito è Decisiva

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali che regolano la confisca allargata, uno strumento cruciale nella lotta alla criminalità e all’accumulazione di patrimoni illeciti. La decisione chiarisce che, per procedere alla confisca, non è necessario dimostrare il collegamento diretto tra i beni e il singolo reato commesso, ma è sufficiente accertare una chiara sproporzione rispetto al reddito del condannato.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un procedimento penale conclusosi con una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (il cosiddetto “patteggiamento”) emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia. L’imputato era stato condannato per reati legati al traffico di sostanze stupefacenti, previsti dall’art. 73 del d.P.R. 309/90.

Contestualmente alla condanna, il Giudice aveva disposto la confisca di una somma di denaro trovata in sequestro, ritenendola sproporzionata rispetto alle condizioni reddituali dell’imputato. Contro questa statuizione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando la violazione delle norme sulla confisca (in particolare l’art. 240-bis cod. pen.) e un vizio di motivazione.

I Motivi del Ricorso e la Confisca Allargata

Il ricorrente contestava la legittimità della confisca, sostenendo che il giudice non avesse adeguatamente provato il nesso tra il denaro sequestrato e l’attività criminale. La difesa si basava su una lettura restrittiva della normativa, cercando di legare la confisca ai proventi diretti del reato specifico per cui era intervenuta la condanna.

Tuttavia, la misura applicata dal Giudice non era una confisca ordinaria, bensì la cosiddetta confisca allargata (o per sproporzione), disciplinata dall’art. 240-bis del codice penale. Questo istituto opera su presupposti diversi e più ampi, nascendo dalla presunzione che i beni sproporzionati posseduti da chi è condannato per determinati “reati spia” (come il traffico di droga) siano di provenienza illecita.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato” e, quindi, inammissibile. Nel farlo, ha colto l’occasione per riaffermare con nettezza i due pilastri su cui si fonda la confisca allargata.

La Corte ha specificato che, ai fini di tale misura, è del tutto irrilevante il “quantum” di denaro o il valore dei beni ricavati dalla commissione dello specifico reato per cui si è stati condannati. Ciò che il giudice deve accertare sono due distinti presupposti:

1. La disponibilità dei beni: I beni, il denaro o le altre utilità devono essere nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato.
2. La sproporzione: Il valore di tali beni deve essere sproporzionato rispetto al reddito dichiarato dal soggetto o all’attività economica che egli esercita.

Una volta accertati questi due elementi, scatta una presunzione di illecita provenienza dei beni. Spetta quindi al condannato fornire una giustificazione credibile sulla loro origine lecita. Nel caso di specie, il Giudice di merito aveva correttamente motivato su entrambi i punti: sia sulla disponibilità della somma in capo all’imputato, sia sulla sua evidente sproporzione rispetto alla sua situazione reddituale.

Citando un proprio precedente (Sez. 2, n. 3854/2021), la Corte ha ribadito che la finalità della norma è quella di colpire l’accumulazione di ricchezza illecita, superando la difficoltà di provare il collegamento specifico tra ogni singolo bene e un determinato reato.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La decisione della Cassazione conferma un orientamento consolidato e rafforza l’efficacia della confisca allargata come strumento di contrasto patrimoniale alla criminalità. L’ordinanza stabilisce chiaramente che chi viene condannato per un “reato spia” non deve solo rispondere della propria condotta penale, ma rischia anche di vedersi sottrarre tutti i beni di cui non riesce a giustificare la legittima provenienza.

In pratica, l’onere della prova si inverte: non è più lo Stato a dover dimostrare che ogni euro è frutto del reato, ma è il condannato a dover provare che il suo patrimonio sproporzionato ha un’origine lecita. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, a causa della colpa nella proposizione di un’impugnazione palesemente infondata.

Per applicare la confisca allargata è necessario provare che i beni derivino dal reato specifico per cui si è condannati?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non è necessario dimostrare un nesso di derivazione diretta tra i beni e il reato per cui è intervenuta condanna. A nulla rileva il “quantum” ricavato dalla commissione del cosiddetto “reato spia”.

Quali sono i presupposti per la confisca allargata secondo la Cassazione?
I presupposti sono due e devono coesistere: 1) i beni da confiscare devono trovarsi nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato; 2) il valore di tali beni deve essere sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata dal soggetto.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché i motivi proposti erano “manifestamente infondati”. L’imputato basava le sue lamentele su un’errata interpretazione dei requisiti della confisca allargata, requisiti che il giudice di merito aveva invece correttamente applicato e adeguatamente motivato nella sua sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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