Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26597 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26597 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a LA SPEZIA il 21/10/1948
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 12/12/2024, la Corte di appello di Genova ha respinto l’opposizione proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dalla stessa Corte di appello quale giudice dell’esecuzione che, ai sensi dell’art. 240bis , comma 1,cod. pen. ha disposto il sequestro e la confisca del buono postale n. NUMERO_DOCUMENTO intestato a NOME COGNOME (avente al 29/08/2023 controvalore pari ad euro 373.000,00) e nella disponibilità di NOME COGNOME.
Ha disposto comunque la restituzione all’avente diritto della somma di euro 128.204,48, pari alla differenza tra la somma investita nel buono postale e il suo valore attuale.
A seguito della sentenza della Corte di appello in data 21/06/2023, irrevocabile dal 22/10/2023, che aveva condannato NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 644 cod. pen. in danno di NOME COGNOME nell’aprile 2010, il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Genova aveva chiesto il sequestro e la confisca diretta o per equivalente ai sensi dell’art. 240bis cod. pen. di beni ed altre utilità nella sua disponibilità.
Dalla nota della Guardia di Finanza di La Spezia in data 08/02/2024 era emersa un’ingiustificata sproporzione tra le fonti di reddito lecite del nucleo familiare del condannato e i beni nella sua disponibilità diretta e indiretta; considerato che nØ COGNOME nØ altri suoi familiari esercitavano attività di impresa, in base agli indici valutati dalla Corte di appello, la sproporzione veniva commisurata in circa euro 500.000,00.
Per questo era stato sottoposto a sequestro e confisca l’investimento di euro 373.000,00 in un buono postale intestato alla moglie di COGNOME, NOME COGNOME, derivante da movimentazioni di capitali mediante investimenti e disinvestimenti effettuati in periodo ravvicinato a quello in cui erano stati commessi i fatti di usura.
La Corte di appello riteneva infondata l’opposizione con la quale gli interessati avevano contestato la sussistenza della sproporzione, deducendo che in capo alla loro famiglia erano nel tempo confluiti beni e capitali provenienti dalle precedenti generazioni dei COGNOME, fino
– Relatore –
Sent. n. sez. 1337/2025
CC – 16/04/2025
agli anni settanta imprenditori della ristorazione e titolari di diversi locali; COGNOME aveva inoltre percepito al momento del pensionamento una liquidazione pari a circa 100 milioni di lire, mentre il padre era titolare di un’officina meccanica e la madre disponeva di un buono postale di 70 milioni di lire, lasciatole da una zia.
Secondo il provvedimento impugnato, i valori patrimoniali addotti a giustificazione delle ingenti disponibilità risultavano in realtà del tutto insufficientie restava del tutto ingiustificato l’assai sintomatico movimento di assegni per un valore complessivo di circa 1.200,00 euro, con prelievi per circa 870.000,00 euro, documentato fino al 2008, quando nessuno della famiglia esercitava attività di impresa.
Il difensore di NOME COGNOME e NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la suddetta ordinanza e ha articolato tre motivi.
2.1 Con il primo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale e la carenza del requisito della ragionevolezza temporale.
Il decorso del tempo rende gravoso, se non impossibile, dimostrare, attraverso idonea documentazione, la provenienza lecita dei beni. Di tale difficoltà ha dato atto, nel corso degli accertamenti svolti in questo procedimento, la stessa Guardia di finanza, in considerazione del tempo ultradecennale trascorso, oltre il quale gli istituti di credito non conservano piø alcun documento. Pertanto il ricorrente doveva essere considerato in condizioni di assoluta impossibilità di allegazione documentale completa a sostegno della tesi della lecita formazione del proprio patrimonio.
2.2 Con il secondo motivo la difesa deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale e la carenza del requisito della sproporzione del patrimonio.
La Corte di appello avrebbe dovuto accertare come e quando le somme di denaro, ritenute sproporzionate, siano entrate nel patrimonio COGNOME–COGNOME perchØ poteva ritenere ingiustificate solo quelle riferibili ad un periodo prossimo alla commissione del reatospia.
Invece dall’informativa della Guardia di Finanza già emergeva che sin dal 1984 le disponibilità della famiglia erano rilevanti e provenivano dai risparmi dei rispettivi ascendenti dei coniugi.
L’incremento del patrimonio era derivato da continui disinvestimenti e contestuali reinvestimenti a basso rischio e ad alto profitto.
Inoltre la confisca allargata doveva considerarsi non di natura punitiva ma come naturale conseguenza dell’illecita acquisizione dei beni in forza di condotte illecite non episodiche e di rilevanti effetti lucrativi.
Nel caso di specie queste circostanze non si potevano riscontrare visto che la confisca era correlata ad una sola condotta isolata e con un assai esiguo vantaggio economico.
2.3 Con il terzo motivo la difesa lamenta la carente o contraddittoria motivazione circa la sussistenza del requisito della sproporzione del patrimonio, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen.
PoichØ l’applicazione dell’art. 240bis cod. pen. non può comportare un’inversione dell’onere della prova a sfavore degli odierni ricorrenti, la Corte di appello non ha tenuto conto delle giustificazioni offerte da COGNOME e COGNOME non ha considerato l’impossibilità da parte di costoro di reperire ed allegare documentazione a distanza di piø di dieci anni e non ha motivato in modo sufficiente ed esaustivo le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente un illecito incremento patrimoniale, peraltro quantificandolo in misura di euro
500.000,00.
E ciò, nonostante abbia preso atto del grande numero di disinvestimenti e contestuali reinvestimenti in buoni fruttiferi, titoli e beni immobili, accertati dalla Guardia di Finanza negli anni precedenti e successivi al reato-spia.
Anche senza allegare documentazione i ricorrenti avevano ricostruito le vicende dei cospicui patrimoni delle rispettive famiglie d’origine, la liquidazione al momento del prepensionamento di COGNOME (per la somma di 100 milioni di lire), la percezione di una somma ricevuta da una prozia di COGNOME a mezzo di un buono postale di 70 milioni di lire, i loro investimenti in BOT, titoli e polizze e altre operazioni di disinvestimento e reinvestimento delle loro risorse economiche.
Il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono complessivamente infondati.
I primi due motivi sono inammissibili.
Si lamenta l’erronea applicazione della legge penale e la carenza del requisito della ragionevolezza temporale, perchØ non si sarebbe tenuto conto del fatto che il lungo periodo trascorso rispetto all’epoca in cui i beni sono stati acquistati non avrebbe potuto permettere ai ricorrenti di produrre la documentazione necessaria a giustificare l’acquisto e quindi a dimostrare la lecita formazione del patrimonio. Tale impossibilità era attestata anche dagli investigatori che davano conto del fatto che gli istituti bancari non conservavano piø la documentazione relativa ai movimenti del periodo interessato.
Si lamenta anche l’erronea applicazione della legge penale e la carenza del requisito della sproporzione del patrimonio, poichØ i giudici di merito non avevano verificato in quale modo e in quale periodo le somme di denaro, diverse da quelle riconducibili al reddito lecitamente percepito, fossero entrate nel patrimonio COGNOME.
Tale carente accertamento refluiva sulla legittimità del provvedimento che doveva giustificare la confisca facendo riferimento solo alle risorse ingiustificate, eventualmente riferibili solo ad un periodo prossimo alla commissione del reato-spia.
Al contrario, la nota della Guardia di Finanza dava conto di disponibilità economiche ingenti in capo alla famiglia dei ricorrenti fin dal 1984, in ragione dei cospicui risparmi accumulati dai loro rispettivi ascendenti e dai continui disinvestimenti e contestuali reinvestimenti a basso rischio e ad alto profitto.
Tali censure propongono in termini reiterativi la tesi difensiva sostenuta nei precedenti gradi e in particolare nei motivi proposti a fondamento dell’opposizione e non si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato che ha dato corretta applicazione al principio posto da Sez. U, n. 27421 del 25/02/2021, COGNOME, Rv. 281561 – 01, verificando la sproporzione dei beni nella disponibilità del condannato, applicando il criterio di “ragionevolezza temporale”, in un arco temporale delimitato alla data di pronuncia della sentenza per il cd. “reato spia”, e motivando su beni eventualmente acquistati in epoca posteriore alla sentenza, ma con risorse finanziarie possedute prima.
La Corte territoriale ha esaminato i movimenti di capitali non compatibili con i redditi familiari e ha quantificato la sproporzione in euro 500.000; in ragione di tale commisurazione, solo genericamente contestata, ha proceduto al sequestro e alla confiscadella minor somma di euro 373.000,00, investita in un buono postale intestato alla moglie di NOME COGNOME, NOME COGNOME (di valore frattanto lievitato ad importo pari euro 501.204,48, ma per la differenza già restituita dal provvedimento impugnato), utilizzando una provvista derivante da movimentazioni di capitali mediante investimenti e
disinvestimenti effettuati in un periodo ravvicinato alla commissione del reato di usura in danno di NOME COGNOME (aprile 2010), oggetto di sentenza di condanna irrevocabile dal 22/10/2023 a carico dello stesso COGNOME.
La Corte territoriale si Ł anche pronunciata con riguardo ad altri beni, escludendo la loro confiscabilità proprio in ragione dell’assenza di prossimità temporale dell’acquisto rispetto ai fatti oggetto della condanna.
SicchŁ la censura in ordine alla mancata verifica della prossimità temporale degli acquisti rispetto al reato-spia Ł meramente assertiva e anzi contraria a quanto si rileva dal contenuto del provvedimento impugnato.
Anche il riferimento all’indisponibilità di documentazione bancaria e al tempo trascorso appare assertivo, visto che in sede di opposizione i ricorrenti hanno comunque prospettato una giustificazione alla disponibilità delle somme utilizzate per l’investimento nel buono postale e tale giustificazione Ł stata vagliata specificamente dal giudice dell’esecuzione.
Tuttavia, la Corte territoriale ha evidenziato che le risorse finanziarie da costoro indicate erano del tutto insufficienti e non potevano dare conto delle movimentazioni accertate di oltre un milione di euro, con volumi di versamenti di assegni e prelievi incompatibili con l’ordinaria gestione di una famiglia, in cui nessuno dei componenti Ł dedito ad attività di impresa.
Il giudice di merito ha pure congruamente valorizzato, oltre all’ammontare delle somme movimentate che per la sua entità già basterebbe ad escludere la proporzione con le risorse lecite (il ricorrente ha indicato un trattamento di fine rapporto pari a 100.000.000 di lire, i guadagni del padre esercente un’officina meccanica e un buono postale di una zia ereditato del valore di 70.000.000 di lire), anche le modalità vorticose delle movimentazioni, difficilmente giustificabili in un quadro di gestione ordinaria di cespiti di un patrimonio familiare.
Si verte in un’ipotesi di confisca in casi particolari, in origine disciplinata dal dl. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, convertito dalla legge n. 356 del 1992, e ora prevista dall’art. 240bis cod. pen. a seguito dell’introduzione con la legge n. 103 del 2017 del principio di riserva di codice, attuato dal d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 (sulla sussistenza di un rapporto di continuità normativa tra le due disposizioni cfr. Sez. 1, n. 35580 del 25/11/2020, Rebeshi, non mass.; Sez. 1, n. 15542 del 12/11/2019, dep. 2020, COGNOME Rv. 278900).
Quest’ultima disposizione stabilisce che, nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per taluno dei delitti previsti dall’articolo 51, comma 3- bis, del codice di procedura penale, o per una serie di altre ipotesi di reato tra le quali quello di cui all’art. 644 cod. pen. (per il quale COGNOME Ł stato condannato con sentenza irrevocabile), «Ł sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica».
La confisca in casi particolari, definita “atipica”, “allargata” o “estesa” per distinguerla dalle altre ipotesi di confisca obbligatoria, da esse si distingue perchØ non colpisce il prezzo, il prodotto o il profitto del reato per il quale sia stata pronunciata condanna, ma beni del reo che, al momento del loro acquisto, siano non giustificabili e di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività svolta. Si tratta di una misura di sicurezza, dalle movenze analoghe a quelle della confisca applicabile a seguito di procedimento applicativo di misura di prevenzione e trae giustificazione dalla presunzione relativa di accumulo di ricchezza illecita da parte del soggetto condannato penalmente.
SicchŁ le doglianze del ricorrente in ordine al fatto che non si sia tenuto conto del concreto vantaggio economico ottenuto con la condotta illecita per la quale Ł stato condannato e in ordine all’assenza di altre condanne o di altri procedimenti penali a suo carico per fatti analoghi non possono assumere alcuna rilevanza.
E difatti la scelta del legislatore di prevedere tale ipotesi di confisca come obbligatoria si lega al dato dell’accertata responsabilità per taluni reati tassativamente elencati di particolare gravità ed allarme sociale, che costituiscono indice presuntivo della commissione di altre attività illecite, fattori di un arricchimento che l’ordinamento intende espropriare per prevenirne l’utilizzo quale strumento per ulteriori iniziative delittuose.
SicchŁ l’asserzione posta a fondamento del secondo motivo di censura, secondo il quale la confisca allargata doveva considerarsi non di natura punitiva ma naturale conseguenza dell’illecita acquisizione dei beni in forza di condotte illecite non episodiche e di rilevanti effetti lucrativi, Ł manifestamente infondata.
4. Il terzo motivo Ł infine infondato perchØ attacca la motivazione sulla ricostruzione del patrimonio dei ricorrenti, contestandola, e tuttavia la Corte ha già risposto alle tesi difensive riguardo tutti i profili con esse dedotti, e in particolare riguardo l’insufficienza della documentazione prodotta, segnalando altresì che gli argomenti dedotti con l’opposizione erano già stati compiutamente affrontati nel provvedimento opposto.
Si deduce in ricorso che dall’applicazione del disposto di cui all’art. 240bis cod. pen. non può derivare un’inversione dell’onere della prova e, a fronte dell’impossibilità di documentare l’origine delle somme in ragione del lasso ultradecennale intercorso non solo dalla commissione del reato-spia ma anche da quello dell’acquisto del buono fruttifero, si doveva tenere conto del fatto che i coniugi erano figli unici di famiglie benestanti e che non vi erano stati incrementi repentini dei loro patrimoni.
Secondo la difesa, era proprio dal grande numero di disinvestimenti e contestuali reinvestimenti in buoni fruttiferi, titoli e beni immobili, accertati dalla Guardia di Finanza, che si doveva trarre la prova delle originarie disponibilità economiche dei ricorrenti.
Orbene, a fronte della presunzione prevista dall’art. 240bis cod. pen., il condannato nei confronti del quale deve essere disposto un provvedimento di confisca allargata ha l’onere di allegazione di elementi e di principi di prova in ordine alla provenienza dei beni sproporzionati, se quella presunzione vuole vincere.
E poichØ per rendere operante la presunzione iuris tantum che deriva dall’accertamento della sproporzione l’intervento che colpisce i beni del condannato del reato-spia deve essere circoscritto – come avvenuto nel caso di specie – ad un riferimento temporale precisamente circoscritto, le giustificazioni vanno dedotte al giudice con riferimento a quel periodo determinato, così che possano essere specifiche e puntuali e che, come tali, possano essere apprezzate dal giudice di merito a smentita dell’arricchimento illecito presunto (Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 226492).
Si tratta di un apprezzamento di merito, per il quale vale il principio secondo cui «in tema di confisca cd. allargata conseguente a condanna per uno dei reati di cui all’art. 12sexies, commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modifiche, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 (attualmente art. 240-bis cod. pen.), non Ł censurabile in sede di legittimità la valutazione relativa alla sproporzione tra il valore di acquisto dei beni nella disponibilità del condannato e i redditi del suo nucleo familiare, ove la stessa sia congruamente motivata dal giudice di merito con il ricorso a parametri suscettibili di verifica e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse deduzioni difensive» (Sez. 3, n. 1555 del 21/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282407 – 02)
La specificità della prova dovrà essere oggetto di un apprezzamento motivato secondo un percorso logico giuridico immune da vizi; e il grado di specificità richiesta non potrà che dipendere dall’intensità degli elementi accertati in ordine all’entità della sproporzione rispetto ai redditi leciti.
I ricorrenti fanno riferimento a risalenti ingenti disponibilità di risorse economiche, di risparmi e di beni, che non vengono temporalmente circoscritti; fanno riferimento altresì a laboriose attività di diversificazione negli investimenti, tutte volte con successo ad incrementare gradualmente il patrimonio nel tempo, ma la filiera di queste operazioni non viene precisamente ricostruita.
SicchØ appaiono del tutto generiche e motivatamente disattese le giustificazioni addotte riguardo alla provenienza lecita della somma destinata al titolo oggetto del sequestro, che il provvedimento impugnato lega congruamente all’epoca della commissione, all’assenza di relazione tra l’importo e i redditi leciti e a movimenti di assegni e capitali privi di una causale ragionevolmente correlabile alle esigenze economiche e ai proventi del nucleo familiare. 5. I ricorsi devono essere pertanto respinti e i ricorrenti vanno condannati alle spese del giudizio.
P.Q.M
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 16/04/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
COGNOME