Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8116 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8116 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a CREMONA il 16/03/1977
avverso l’ordinanza del 25/09/2024 del TRIBUNALE RAGIONE_SOCIALE di BRESCIA
visti gli atti, letto il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del PG COGNOME il quale conclude per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME del foro di LATINA in difesa di COGNOME insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Brescia ha confermato il provvedimento in data 25 luglio 2024 del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Brescia, con cui è stato convalidato il sequestro preventivo di urgenza disposto dal pubblico ministero con decreto del 17 luglio 2024 (ed eseguito dalla G.d.F. il 19 luglio 2024), nei confronti di COGNOME NOME, ravvisandosi il fondamento del vincolo reale nel fumus dei delitti di falsità ideologica di cui ai capi 51 (artt. 48-479 cod. pen.) e 52 (artt. 48-480 cod. pen.) e di istigazione alla corruzione di cui al capo 48 (artt. 110, 322, comma 2, cod. pen.) della rubrica provvisoria.
Quanto ai delitti di falso, si contesta al ricorrente, titolare della scuola di guid “Nuova Verola”, in cambio della corresponsione di denaro contante, di avere certificato falsamente lo svolgimento delle lezioni da parte dei docenti, nonché di avere apposto le firme di presenza alle lezioni, e così di avere rilasciato l’attestato di superamento del corso, per la guida di mezzi pesanti, così inducendo in errore i funzionari della Motorizzazione Civile sulla necessaria frequenza del corso di qualificazione iniziale, quale atto propedeutico alla procedura amministrativa volta ad ottenere la carta di qualificazione del conducente.
Quanto all’istigazione alla corruzione, si contesta al ricorrente, in concorso con COGNOME NOME, di avere chiesto, dietro alla promessa di un regalo, alla guardia giurata preposta anche al controllo – mediante metal detector -dell’ingresso in aula dei candidati agli esami di teoria per il conseguimento della patente di guida, di evitare il controllo ad un suo amico, ovvero, in alternativa, di allontanarlo qualora avesse rilevato la presenza di apparecchiature elettroniche non consentite (offerta che veniva rifiutata dalla guardia giurata).
All’indagato erano sequestrati, ai sensi degli artt. 321 cod. proc. pen., 240, comma 2, e 240-bis cod. pen. tutte le risorse economiche sproporzionate (beni mobili ed immobili) individuate dalla G.d.F. e in suo possesso, fino al corrispondente valore di euro 1.134.705,00, tra cui tre fabbricati meglio specificati nel provvedimento di sequestro.
La difesa, dopo avere richiamato l’excursus giudiziario relativo alla vicenda in oggetto, sia con riguardo agli esiti di merito che di legittimità, affida il ricors diversi motivi – seppur rubricati nell’ambito di un unico titolo con cui si denunciano sia violazioni di diverse norme di legge che vizi della motivazione – che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
3. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME con requisitoria-memoria del 16 dicembre 2024, ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata tanto con riguardo al reato di cui al capo 48), in relazione alla mancata precisazione dell’utilità promessa (“regalo”) e alla sussistenza di un rapporto di proporzionale corrispettività tra l’offerta e l’esercizio dei poteri o della funzione, ovvero al compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio, nonché con riferimento alla disposta confisca allargata, risultando la motivazione del tutto priva di qualunque esame delle argomentazioni difensive sollevate sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo la difesa lamenta la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione alla ritenuta configurabilità dell’induzione in errore del pubblico ufficiale rispetto ai reati di falsità ideologica contestati al ricorrente ai c 51) e 52) della rubrica, per avere rilasciato false attestazioni di frequenza dei corsi per conseguire la carta di qualificazione del conducente (CQC), queste ultime, poi, utilizzate dai candidati per accedere all’abilitazione a svolgere l’attività d autotrasportatore.
In particolare, secondo la difesa, premessa l’assenza di prova che il ricorrente abbia agito con l’intento di indurre in errore i funzionari della p.a., essendo più verosimile che l’asserita condotta di falso fosse a vantaggio del corsista, si evidenzia come il rilascio dell’abilitazione resta pur sempre ancorata ad una valutazione di esclusiva competenza della p.a., rappresentando l’attività svolta dal privato titolare della scuola di formazione, soltanto uno dei requisiti, del tutto marginale, per il conseguimento del titolo, il cui rilascio è subordinato al superamento di un esame organizzato, diretto e gestito sotto l’esclusivo e diretto controllo della MTCT.
Con la conseguenza che soltanto il rilascio dell’abilitazione può assurgere alla categoria dell’atto rilevante ai fini dell’integrazione del reato e quale requisito tipi di fattispecie e non anche le attestazioni intermedie e/o comunque accessorie eventualmente fornite dal privato. Soltanto al primo, infatti, può riconoscersi la valenza di documento destinato a provare la verità, altrimenti operandosi un non consentito ampliamento della fattispecie. Ciò che rileva, insomma, non è l’accertamento della falsità del dichiarato, ma l’aggressione patita, in conseguenza di ciò, dal mezzo di prova (documento) la cui genuinità vien compromessa nella sua destinazione fide facente.
Il motivo non è fondato.
Il Tribunale ha precisato che il rilascio dell’attestato di avvenuta
frequentazione del corso da parte della scuola guida gestita dal ricorrente si inserisce nella concatenazione causale degli atti che precedono il rilascio dell’abilitazione CQC (carta qualificazione del conducente), quest’ultima certamente conseguibile solo all’esito dell’esame sostenuto presso la Motorizzazione Civile.
È, pertanto, condivisibile l’affermazione contenuta all’interno dell’ordinanza impugnata secondo cui l’utilizzo dell’attestato di avvenuta frequenza del corso mendace costituisce un antefatto che incide sul rilascio di una abilitazione che si basa, oltre che sul superamento della prova di esame, anche sul preventivo conseguimento di tale attestazione; conseguentemente, il funzionario della Motorizzazione civile indotto in errore commette in astratto la falsità ideologica di cui agli artt. 479 e 480 cod. pen. nel rilasciare un’abilitazione sulla base della falsa attestazione del previo superamento del corso di qualificazione conducente.
Il contenuto e la valenza probatoria del documento “carta di qualificazione del conducente” non può, infatti, scindersi dagli altri atti che, per espressa previsione legale, ne costituiscono presupposto e condizione di validità.
Sebbene il rilascio sia conseguenza del superamento dell’esame teoricopratico presso la MTCT, è pur vero che all’ammissione della prova si può giungere soltanto dopo avere frequentato il corso che, a differenza di quanto prospettato nel ricorso, non risulta affatto marginale, in quanto mira a garantire che i conducenti abbiano le competenze e le conoscenze necessarie per operare in sicurezza e rispettare le normative vigenti allorché siano chiamati a svolgere, in modo professionale e a certe condizioni, il trasporto di merci e persone.
Se si ha riguardo al contenuto della direttiva 2003/59/CE, a cui si deve l’introduzione nel nostro ordinamento della CQC, risulta come la fissazione di nuove norme comunitarie sia intesa a garantire che il conducente, tramite la sua qualificazione, possieda il livello necessario sia per l’accesso che per l’esercizio dell’attività di guida.
In particolare, l’obbligo di una qualificazione iniziale e di una formazione periodica – a cui si condiziona anche il mantenimento della CQC alla scadenza – è intesa a migliorare la sicurezza stradale e la sicurezza del conducente e degli altri utenti della strada, tanto che è la stessa direttiva a stabilire dei requisiti minim della qualificazione e della formazione.
Pertanto, il documento a cui la legge affida la valenza dimostrativa dei requisiti di legge si nutre necessariamente anche di quelli che, pur avendo carattere sussidiario e strumentale, ne condizionano la validità, essendo formati nell’ambito delle specifiche fasi in cui si articola il procedimento amministrativo (requisiti
formazione, esame e rilascio). Con la conseguenza che la falsa dichiarazione dell’autore dell’inganno non può tenersi distinta dall’attestazione finale rilasciata dal p.u. in quanto ad essa finalizzata ed eziologicamente strumentale.
Con il secondo motivo si lamenta, sotto differenti profili, la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del fumus del delitto di cui all’art. 322 cod. pen. (capo 48).
2.1. Anzitutto, assume la difesa che alla guardia giurata non possa attribuirsi la qualità di incaricato di pubblico servizio. In particolare, si osserva come nel caso in esame si sia al cospetto dello svolgimento di un’attività non affatto strumentale all’esercizio delle funzioni di vigilanza dei beni mobili ed immobili che, in forza della normativa primaria (il riferimento è alle norme del TULPS), consente di riconoscere alle guardie giurate preposte la qualità di incaricato di pubblico servizio.
Né, parimenti, la qualifica pubblicistica poteva trarsi dallo svolgimento di mansioni che, nell’occasione, la guardia giurata sarebbe stata chiamata a compiere (compiti di controllo dei candidati all’ingresso della MTCT di Brescia), trattandosi di attività estranea ai compiti istituzionali e contrattuali alla stessa affidati, potendo farsi dipendere l’attribuzione della qualifica pubblicistica da un’impropria delega di funzioni.
Il motivo è infondato.
Correttamente la guardia giurata è stata sussunta nell’alveo della categoria dell’incaricato di pubblico servizio.
Dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che questa era addetta al controllo dei candidati all’ingresso e, quindi, aveva il potere di impedirne l’accesso in caso di violazione delle regole sottese alla preventiva ispezione e, pertanto, era titolare di quel minimo di potere discrezionale che la giurisprudenza di legittimità richiede perché possa incardinarsi la qualità in discussione, in quanto si tratta di attività svolta nell’interesse dell’ente pubblico e quale diretta promanazione della volontà dello stesso.
A nulla vale, poi, che tale controllo non fosse la diretta emanazione dei compiti contrattualmente attribuiti al soggetto, in quanto, ai fini della corret individuazione della qualifica soggettiva deve aversi riguardo anche alle concrete funzioni esercitate, di cui l’ente pubblico si è, in modo manifesto, consapevolmente avvalso poiché strumentali al perseguimento delle finalità istituzionali che in quella sede e specifica occasione venivano esercitate.
Agli effetti della legge penale, infatti, deve pure farsi riferimento – per come si ricava dal riferimento contenuto nell’art. 358 cod. pen. alla dizione «a qualunque titolo», all’esercizio di fatto dell’attività svolta, essendo necessaria e sufficiente
tal fine che da parte del soggetto vi sia stata la prestazione di un pubblico servizio senza una formale o regolare investitura, e che a tale effettivo esercizio si accompagni quantomeno l’acquiescenza o la tolleranza o il consenso anche tacito della pubblica amministrazione.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, “al fine di individuare se l’attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 c.p., ha rilievo esclusivo la natura d funzioni esercitate, che devono essere inquadrabili tra quelle della P.A. Non rilevano, invece, la forma giuridica dell’ente e la sua costituzione secondo le norme di diritto pubblico, né lo svolgimento della sua attività in regime di monopolio, né tanto meno il rapporto di lavoro subordinato con l’organismo datore di lavoro” (Sez. 6, n. 11417 del 21/02/2003, Sannia, Rv. 224050 – 02; Sez. 6, n. 17109 del 22/03/2011, COGNOME, 230315 – 01).
Nel caso in esame, il controllo svolto dalla guardia giurata è strumentale al proficuo svolgimento di un esame pubblico e, dunque, si lega eziologicamente e finalisticamente all’interesse pubblicistico che caratterizza l’intera procedura volta al rilascio del titolo di qualificazione che abilita alla guida.
Del resto, se l’attività della guardia giurata, per come evidenziato dal Tribunale, si fosse esaurita in compiti meramente materiali, eseguiti dietro ordini o istruzioni altrui, difficilmente sarebbe stata avvicinata dal ricorrente e da complice, dato che l’obiettivo perseguito era quello di evitare il controllo dei corsisti e, in particolare di uno che occultava un’apparecchiatura elettronica non consentita, controllo che implica necessariamente l’esercizio di un minimum di potere discrezionale.
In tale contesto, quindi, i compiti di reception eventualmente svolti dall’addetto vanno quindi ad aggiungersi – in modo complementare – all’attività di accertamento dallo stesso esercitata, così conferendogli, semmai, un ulteriore compito di natura intellettiva, lato sens* intesa, che contribuisce a riempire di contenuto la nozione di incaricato di pubblico servizio, in ossequiovdettami normativi dell’art. 358 cod. pen. e alle coordinate applicative indicate dalla giurisprudenza di legittimità (sul rilievo delle attività complementari all’esercizio delle funzioni di vigilanza, Sez. 1, n. 8532 del 24/06/1996, Montescuro, Rv. 205627 – 01).
2.2. Si lamenta, altresì, l’assenza di una condotta causalmente ed eziologicannente idonea ad integrare l’istigazione alla corruzione. Tenuto conto che la guardia giurata mai aveva parlato di soldi, ma solo ed esclusivamente della promessa di un regalo, senza mai specificare esso in che cosa consistesse,
difettava l’idoneità della condotta, richiedendo la fattispecie incriminatrice, i aderenza con la natura di reato di pericolo, che l’offerta del “prezzo” destinato alla corruzione non sia irrisoria, da valutarsi alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto, affinché si possa ritenere la condotta teleologicannente rivolta all’esercizio della funzione o del potere da parte dell’intraneus (in quanto destinata ad assumere rilevanza nell’ambito di una remunerazione effettuata a causa dell’esercizio della funzione o del potere da parte dell’agente pubblico).
Il motivo è infondato.
Il tema relativo all’esatto contenuto del vantaggio patrimoniale oggetto del proposto mercimonio – che assume rilievo ai fini del rapporto di proporzionale corrispettività rispetto all’esercizio dei poteri o della funzione, ovvero compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio – non può ritenersi essere stato disatteso dal Tribunale perché si è specificato che è “semmai tema meritevole di approfondimento in sede dibattimentale”.
Tale rinvio, infatti, è coerente con l’ambito di giudizio demandato al giudice della cautela in sede di verifica del fumus delicti. Con ciò non si vuole affatto affermare che la natura sommaria del giudizio in ordine al fumus consenta una sorta di non liquet sul tema, ma ribadire come una tale verifica non possa essere condotta alla stregua dei canoni di valutazione della prova per come esige la difesa.
Invero, il riferimento al “regalo”, quale oggetto dell’offerta corruttiva, assume valenza determinativa in relazione al paradigma dell’utilità quale requisito di fattispecie, soprattutto se si tiene conto delle circostanze di fatto nell’ambito de quale il termine è stato utilizzato. Non si è, infatti, al cospetto di u compravendita in cui l’uso del termine è espressivo di “convenienza” e, dunque, di un prezzo basso, ma di consentire ad un candidato di accedere sottraendosi ai controlli, al fine di conseguire un documento che, notoriamente, ha un costo particolarmente elevato (potendo giungere sono a diverse migliaia di euro a seconda della tipologia richiesta, per come peraltro accertato anche dal provvedimento genetico). Con la conseguenza che correttamente è stato escluso che il termine impiegato potesse riferirsi ad un’offerta simbolica.
2.3. Si lamenta, poi, l’assenza di elementi idonei a configurare l’effettivo coinvolgimento del ricorrente nella condotta posta in essere da COGNOME (autore materiale dell’istigazione), fondata esclusivamente sulle dichiarazioni del coindagato e non tenendosi conto di altri elementi che ne smentiscono l’attendibilità (il riferimento è al contenuto di un’intercettazione telefonica).
Il motivo è inammissibile poiché assume valenza di merito in quanto volto a
sollecitare alla Corte di legittimità una rilettura non consentita degli elementi di prova. Peraltro, la chiamata in correità del terzo, legata anche al riscontro logico costituito dalla riconducibilità al ricorrente della scuola di provenienza del candidato da favorire, è pienamente idonea, in questa sede, ad assumere valenza dimostrativa del concorso nel reato. E tanto a prescindere dal decisivo rilievo che l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non trova applicazione nell’ambito della valutazione del fumus delicti, a differenza, invece, di quanto il legislatore espressamente richiede con riguardo al giudizio inerente alla gravità indiziaria ex artt. 273, comma 1-bis in relazione all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
Con il terzo motivo si deduce la violazione del principio di sproporzione con riguardo alla confisca allargata, anche con riferimento al rispetto del requisito della ragionevolezza temporale, nonché ai fini della confisca diretta, stante l’assenza di pertinenzialità tra la condotta illecita ipotizzata (caratterizzata da un numero esiguo di episodi) e l’imponente somma di denaro sottoposta a sequestro.
Con il quarto motivo si deduce la violazione di legge anche sotto il profilo della mancanza e/o apparenza della motivazione in ordine alle ragioni per le quali non sono state ritenute attendibili le prove della difesa, decisive e contrarie alla conferma del sequestro finalizzato alla confisca allargata.
I motivi sono fondati, limitatamente alla confisca allargata.
Anzitutto va precisato che dalla lettura dell’ordinanza impugnata (v. pag. 4) risulta compiutamente esplorato, anche mediante il richiamo alle motivazioni addotte dal Gip, il tema legato alla confisca diretta di cui il ricorrente comunque si duole.
Al riguardo, risulta che a base del sequestro si sia fatto riferimento al complesso delle somme ricevute dal ricorrente quale prezzo dei reati di falso in relazione ai periodi contestati, al numero dei candidati e al costo da ciascuno sostenuto (v. pag. 3 dell’ordinanza del Gip).
Peraltro, ai fini della determinazione del quantum confiscabile si è anche aggiunto il prezzo delle varie fattispecie di reato di cui all’art. 1 e 2 della legge 475/1925 (contestate anche quali delitti fine del sodalizio criminoso di cui al capo 1 della rubrica), sul rilievo che i candidati hanno riferito di avere corrisposto a ricorrente una somma di denaro a titolo di corrispettivo per la realizzazione del reato, così giungendosi ad un importo complessivo di gran lunga superiore alla somma rinvenuta in possesso dell’indagato.
Inoltre, valga comunque il rilievo che il valore dell’importo oggetto di sequestro finalizzato alla confisca diretta è riferibile al prezzo dei reati di falso e violazione della legge n. 475 del 1925 (fattispecie di reato per le quali si è
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Rigetta il ricorso nel resto.
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Così deciso, il 4 febbraio 2025.
asseverata, unitamente al delitto associativo e all’istigazione alla corruzione, anche la gravità indiziaria, come da ordinanza cautelare del 15 maggio 2024, richiamata in atti e dapprima oggetto di ricorso per cassazione del ricorrente, dichiarato inammissibile per carenza di interesse con sentenza della Sez. 6, n. 44802 del 13/11/2024 stante l’intervenuta revoca nelle more della misura cautelare personale).
Deve essere ribadito che la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037 – 01).
Quanto, invece, alla confisca allargata che, oltre il denaro, ha investito anche i tre fabbricati meglio specificati nel decreto di sequestro, si tratta di un tema che, per come sottolineato anche dalla stessa requisitoria del P.G., non rinviene alcuna specifica motivazione, limitandosi l’ordinanza impugnata a richiamare l’esistenza del c.d. reato spia (da ravvisarsi in quello di cui all’art. 322 cod. pen.) e il divi di cui all’art. 240-bis, comma 1, secondo periodo, cod. pen. (che preclude al proposto la possibilità di giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che sia provento o reimpiego da evasione fiscale) riferito però al denaro contante rinvenuto, così omettendo un effettivo confronto con gli argomenti e la documentazione prodotta dalla difesa con la richiesta di riesame che involge l’intero asset patrimoniale sequestrato.
5. In conclusione, il ricorso deve essere accolto limitatamente alla confisca di cui all’art. 240-bis cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Brescia. Va, invece, rigettato il ricorso nel resto, in ragione della rilevat infondatezza e/o manifesta infondatezza degli altri motivi dedotti.
P.Q.M.