Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23228 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23228 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Catania in data DATA_NASCITA avverso l’ordinanza in data 29.02.2024 del Tribunale di Catania
Visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostitu Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza sopra indicata, il Tribunale di Catania rigettava la richies di riesame proposta da NOME COGNOME– in qualità di legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE – avverso il decreto d sequestro finalizzato alla confisca allargata ex art. 240 bis cod.pen., disposto Giudice per le indagini preliminari in data 20 dicembre 2023 ed avente ad oggetto la indicata società.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso il COGNOME, con atto sottoscritto dal suo difensore, AVV_NOTAIO, deducendo violazione di legge e illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen in relazione all’art. 240 bis cod. pen. per avere il Tribunale del riesame confermato la misura cautelare reale nonostante “la giustificazione della provenienza degli elementi patrimoniali” emergesse dalla documentazione e dalle stesse indagini svolte dalla guardia di finanza.
Il procedimento è stato trattato nell’odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da successive modifiche legislative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Ritiene la Corte che il ricorso non superi il vaglio di ammissibilità.
1.1. Occorre in limine litis chiarire i limiti di sindacabilità del giudice di legittimità in ordine ai provvedimenti in materia di cautela reale. Secondo la chiara indicazione normativa dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione contro i provvedimenti emessi in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge. In tale nozione vanno compresi gli errores in iudicando e/o in procedendo nonché i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’iter logico-argomentativo seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692; Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, P.M. in proc. RAGIONE_SOCIALE e altri, Rv. 242916; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, COGNOME, Rv. 248129).
È, dunque, preclusa alla Corte di Cassazione la revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice, cui è stata chiesta l’applicazione e/o il riesame della misura cautelare (personale o reale). Il controllo di legittimità sui punti devoluti va circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato, al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la
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congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6, n. 2146 del 25.05.1995, rv 201840).
1.2. Tale essendo la regula iuris da applicare, ritiene il Collegio che il ricorso sia stato proposto fuori dei casi ammessi, laddove il difensore ha prospettato il vizio di motivazione ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., mentre è inammissibile nel resto per aspecificità e genericità dei motivi.
L’iter argomentativo- solidamente poggiato dai Giudici della cautela reale sul contenuto delle intercettazioni e sugli esiti degli accertamenti patrimoniali condotti dalla guardia di finanza – ha dato atto – in modo esaustivo , congruo e sulla base di criteri logici – delle ragioni per le quali, nella vicenda sub iudice , sono stati in concreto ravvisati i presupposti, così come individuati dalla giurisprudenza di legittimità, che consentono l’adozione della misura reale del sequestro preventivo ai fini della confisca allargata ex art. 240 bis cod. pen.
1.3. Per inquadrare correttamente la questione portata all’attenzione di questa Corte, va evidenziato come nel caso di specie il Tribunale del riesame avesse confermato il vincolo reale ritenendo in fatto il ruolo formale, ovvero di mera di testa di legno, dell’attuale ricorrente, NOME COGNOME, e la effettiva riconducibilità della società in sequestro a tale NOME COGNOME, sottoposto a misura cautelare personale per il reato dì cui all’art. 416 bis cod. pen., perché gravemente indiziato di riciclare il danaro provento dell’attività criminosa del sodalizio di stampo mafioso capeggiato dal boss NOME COGNOME mediante la creazione di schermi societari, tra cui anche la srl “RAGIONE_SOCIALE“. Nella ricostruzione fattuale della vicenda sub ludice, il Tribunale del riesame spiegava che NOME COGNOME, quale referente della NOME, era un imprenditore edile a capo di un sofisticato meccanismo che consentiva di riciclare il danaro e di riversare nelle casse della NOME una parte dei ricavi della vendita degli immobili (cfr pag. 4 e ss dell’ordinanza impugnata). I giudici della cautela spiegavano come anche la “RAGIONE_SOCIALE” RAGIONE_SOCIALE , al pari di tutte le società riconducibili al COGNOME, fosse inserita nel “sistema” , per cui da un lato la “regolarità” dei rapporti economici e dei flussi finanziari era solo apparente e dall’altro lato – ad onta del carattere fittizio della intestazione societaria – il presupposto della sproporzione rispetto ai redditi andava riferito al COGNOME, vero deus ex machina, e non al COGNOME, mera testo di legno.
1.4. Al cospetto di tale trama motivazionale, scevro da vulnus motivazionali così radicali e penetranti da rendere incomprensibile l’iter argomentativo svolto, il ricorrente, senza realmente “dialogare” con gli argomenti che il Tribunale del riesame aveva posto a fondamento delle proprie decisioni, ha introdotto, in maniera ripetitiva e aspecifica, il “thema” relativo alla provenienza lecita dei beni e dei redditi, -a suo dire- emergente per tabulas (vedi
pagg. 6 e 7 dell’ordinanza impugnata). Il difensore, tuttavia, bypassa la ricostruzione in fatto della vicenda ed oblitera completamente il dato probatorio, estremamente significativo, della intestazione fittizia della società al COGNOME e della creazione di un sistema ad hoc basato sulla costituzione di schermi societari. La prospettiva di valutazione della difesa risente, dunque, di un tale errore di fondo, non potendo l’indagine patrimoniale essere diretta se non nei confronti del dominus effettivo della società e il requisito della proporzione rapportato alla effettiva situazione reddituale di NOME COGNOME, che risultava avere, nonostante la effettiva disponibilità di beni e società, redditi scarsissimi o addirittura nulli. Né va sottaciuto come il complessivo modus operandi -ricostruito nel dettaglio dai giudici della cautela- dovesse necessariamente apparire all’esterno “trasparente” e “formalmente” rispettoso della legge, al precipuo scopo di mascherare i sottostanti affari, riconducibili alla NOME.
2. Alla inammissibilità del ricorso consegue – ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. – la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (vedi Corte Costit., sent. n 186 del 13 giugno 2000), che si stima equo fissare in tremila euro.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.