Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36354 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36354 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/04/2025 della Corte di appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria redatta dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza, decidendo quale giudice dell’esecuzione all’esito del procedimento camerale instaurato ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., la Corte di appello di Lecce ha rigettato l’opposizione, avanzata da NOME COGNOME, nella veste di terzo interessato, avverso l’ordinanza assunta de plano dalla Corte di appello di Lecce il 10 settembre 2024, la quale aveva respinto l’istanza di revoca della confisca allargata dell’abitazione sita in Ischia, alla INDIRIZZO, int. 2, censita alla partita 1000682, foglio 9, part. 129, sub 6, disposta con sentenza della Corte d’appello di Lecce dell’Il aprile 2014, irrevocabile 1’11 novembre 2014, a carico di NOME COGNOME, condannato per il delitto di cui art. 291-quater d.P.R. n. 43 del 1973.
Avverso l’indicato provvedimento, NOME COGNOME, per il tramite del difensore di fiducia nonché procuratore speciale, propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
2.1. Con un primo motivo, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per avere il giudice disposto retroattivamente la misura di sicurezza patrimoniale, introdotta nel 1994 nell’ordinamento penale, con riferimento ad un bene che era stato acquistato dal COGNOME nel 1993 e perché, al momento della commissione del delitto ex art. 291-quater d.P.R. n. 43 del 1973 da parte del condannato NOME COGNOME, detto reato non era incluso nell’elenco di cui all’art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, con violazione dei principio di prevedibilità della misura affermato dalla Corte EDU con la sentenza COGNOME e recepito sia dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019, sia dalle Sezioni Unite con la sentenza delle 8052 del 2024, nella quale, come risulta dalla motivazione – i cui contenuti sono ampiamente riportati nel ricorso – il principio di prevedibilità della misura è stato applicato alla confisc allargata.
In subordine, si chiede di sollevare questione di illegittimità costituzionale degli artt. 200, comma 2, e 236, comma 2, cod. pen., in relazione agli artt. 3, 41 e 42 Cost., 1 e 4 Prot. Add. CEDU.
2.2. Con un secondo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per aver la Corte di merito considerato che, alla data del passaggio in giudicato della sentenza, il delitto di cui all’art. 291-quater d.P.R. n. 43 del 1973 (senza la contestazione dell’aggravante di cui al comma 2 dell’art. 295 del medesimo d.P.R.), in relazione al quale l’COGNOME è stato definitivamente condannato, non rientrava tra i “reati spia” che consentono l’applicazione della confisca allargata. Al proposito, la motivazione della Corte, secondo cui vi
sarebbe sostanziale sovrapposizione tra l’art. 295 e l’art. 291-quater d.P.R. n. 43 del 1973, non è condivisibile, perché viola il disposto di cui all’art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992.
2.3. Con un secondo motivo, censura la violazione di legge, per avere la Corte di merito applicato la confisca allargata per un “reato spia” – ossia l’art. 291-bis d.P.R. n. 43 del 1973, contestato al capo B) -, che era stato dichiarato prescritto in primo grado, sicché non può trovare applicazione l’art. 578-bis cod. proc. pen., che disciplina i casi in cui la dichiarazione di prescrizione è avvenuta nel grado di appello.
2.4. Con un quarto motivo, eccepisce vizio di motivazione con riferimento al criterio di ragionevolezza temporale tra la data di acquisto del bene (1993) e quella di commissione del reato (“fino al giugno 2002”): un lasso temporale così ampio, tale da escludere alcun nesso tra la compravendita dell’immobile e il reato, commesso otto anni dopo e considerando che il delitto ex art. 291-quater è stato introdotto con la I. 19 marzo 2001, sicché le condotte precedenti sarebbero prive di penale rilevanza.
2.5. Con un quinto motivo, deduce la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla intestazione fittizia del bene immobile, considerando che, come affermato dalla giurisprudenza indicata nel ricorso, è onere dell’accusa dimostrare con certezza che l’intestazione del COGNOME dell’immobile fosse solo fittizie e che detto bene fosse nella disponibilità dell’COGNOME. In ogni caso, la Corte di merito ha ignorato che taluni elementi offerti dalla difesa, ossia il costante utilizzo dell’immobile da parte del COGNOME e della moglie, NOME COGNOME, tanto da costituire la sede dell’impresa gestita dal COGNOME, e in presenza della allegazione di un’attività imprenditoriale esercitata dal proprio genitore, che poteva fornirgli la provvista per l’acquisto dell’immobile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
I primi quattro motivi, che attaccano i presupposti della misura ablativa, sono inammissibili perché proposti per casi non consentiti.
Come recentemente affermato dalle Sezioni Unite, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità dei beni confiscati, senza poter prospettare l’insussistenza dei presupposti applicativi
della misura, deducibile soltanto dal proposto (Sez. U, n. 30355 del 27/03/2025, Putignano, Rv. 288300 – 01).
4. Una conclusione del genere è pacificamente estensibile, per identità di ratio, alla confisca per sproporzione, trattandosi, in entrambi i casi, di misure ablative del tutto omogenee, che rientrano, come affermato dalla Corte costituzionale (cfr., ampiamente, sent. n. 24 del 2019, in particolare par. 10.3) e ribadito dalla Sezioni Unite (Sez. U, n. 8052 del 26/10/2023, dep. 2024, Rizzi, Rv. 285852 – 01, in particolare par. 5), nella categoria della “confisca dei beni di sospetta origine illecita”: si tratta di uno strumento strutturato attraverso uno schema legale di carattere presuntivo caratterizzato, come spiegato dalla Corte costituzionale, “sia da un allentamento del rapporto tra l’oggetto dell’ablazione e il singolo reato, sia, soprattutto, da un affievolimento degli oneri probatori gravanti sull’accusa”.
Proprio in quanto le misure ablative in parola sono species dell’unico genus “confisca dei beni di sospetta origine illecita”, il principio enunciato dalle Sezioni Unite Putignano con riferimento alla confisca di prevenzione trova piana applicazione anche alla confisca per sproporzione.
Ne deriva che anche in caso di confisca di sproporzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità dei beni confiscati, senza poter prospettare l’insussistenza dei presupposti applicativi della misura, deducibile soltanto dall’imputato.
Ne segue che i motivi qui al vaglio, i quali contestano, sotto diverse angolazioni, i presupposti applicativi della misura ablativa, sono inammissibili.
Il quinto motivo è inammissibile perché deduce censure di contenuto fattuale.
5.1. Invero, nel richiamare le argomentazioni del provvedimento opposto (cfr. p. 11-13), la Corte ha logicamente motivato in ordine alla fittizietà dell’intestazione dell’immobile al genero da parte dell’imputato, evidenziando, da un lato, il valore dichiarato dell’immobile, ossia 316.250.000 di lire, e, dall’altro, le pressoché nulle condizioni economiche del COGNOME, il quale è risultato avere svolto attività lavorativa nel 1993, anno di acquisto dell’immobile, che, come accertato dalla G.d.F., ha prodotto redditi di poco superiori a 20.000.000 di lire: una cifra del tutto inadeguata per l’acquisto dell’immobile in esame, e considerando che, in precedenza, il COGNOME aveva lavorato per poco meno di due anni – fra l’aprile del 1987 e il marzo 1989, quale titolare di un esercizio commerciale nel settore della calzature -, senza tuttavia che la RAGIONE_SOCIALE sia riuscita
a rinvenire dati reddituali riconducibili a tale attività, né, in tal senso, il Santo ha fornito alcun contributo.
5.2. La Corte di merito, inoltre, ha logicamente rigettato la prospettazione difensiva – secondo cui la provvista per l’acquisto dell’immobile proveniva dal padre del COGNOME, noto imprenditore del settore delle calzature -, essendo meramente allegata, senza che il ricorrente avesse anche solo allegato alcun elemento riscontro.
5.3. La Corte d’appello, infine, ha ritenuto irrilevante la circostanza che presso l’immobile di cui si discute, fosse stata stabilita la sede della ditta individuale di cui il COGNOME era titolare, trattandosi di un elemento del tutto neutro ai fini della prova dell’acquisto e pienamente compatibile con l’intestazione fittizia del bene medesimo.
5.4. A fronte di tale apparato argomentativo, esaustivo e immune da vizi logici, il ricorrente confeziona censure di contenuto fattuale, dirette ad attaccare le valutazioni di merito compiuto della Corte di appello, cesure che, quindi, esorbitano dal perimetro segnato dall’art. 606 cod. proc. pen.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 07/10/2025.