Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21604 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21604 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CUTRO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CUTRO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a REGGIO EMILIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CROTONE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a REGGIO EMILIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a REGGIO EMILIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/08/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata nel preambolo, la Corte di appello di Bologna ha rigettato l’opposizione proposta nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il provvedimento con cui era stata disposta, ex artt. 240-bis cod. pen., 667, comma 4, cod. proc. pen. e 183-quater disp. att. cod. proc. pen., la confisca allargata in sede esecutiva di una pluralità di beni (società, partecipazioni societarie, ditte, beni immobili e mobili registrati, rapporti finanziari), formalmente intestati, oltr che a COGNOME NOME, condannato con sentenza del 17 dicembre 2020, divenuta irrevocabile il 7 maggio 2022, per il delitto di associazione mafiosa, alla moglie (NOME COGNOME) ai figli della coppia (NOME, NOME e NOME COGNOME) e alla nuora (NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME) nonché alla società “RAGIONE_SOCIALE” RAGIONE_SOCIALE
Secondo la Corte distrettuale, il materiale probatorio acquisito, anche tenuto conto delle allegazioni e deduzioni difensive, dimostra adeguatamente la sussistenza di tutti gli elementi necessari per disporre la misura ablatoria.
Tutti i beni e i rapporti finanziari, a prescindere dalla loro formale intestazione, peraltro ad appartenenti al nucleo familiare ristretto, devono essere confiscati perché nella disponibilità di NOME COGNOME ed entrati a far parte del suo patrimonio in prossimità temporale dell’epoca di consumazione del reato di associazione mafiosa, accertato dall’anno 2004 al 31 ottobre 2018 (data della sentenza che ha definito il primo grado del giudizio), grazie all’impiego di risorse finanziarie d provenienza illecita, considerati i redditi complessivi percepiti nel medesimo arco temporale da tutti i componenti del nucleo familiare, spesso al di sotto della soglia di povertà. Peraltro, tra NOME COGNOME, la moglie e i figli, nel periodo di interesse sono avvenuti ripetuti trasferimenti di rilevanti somme di denaro in contanti a riprova dell’esistenza di un unico centro di interessi.
Avverso l’illustrata decisione hanno proposto ricorso per – cassazione, per il tramite dei rispettivi difensori di fiducia, NOME COGNOME, nella qualità di condannato, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di terzi interessati, articolando due motivi.
2.1. Con il primo deducono violazione dell’art. 640-bis cod. pen. per inosservanza del principio di ragionevolezza temporale nonché difetto di motivazione in relazione ai singoli cespiti patrimoniali oggetto di confisca.
Sostengono i ricorrenti che il provvedimento impugnato non ha correttamente applicato i criteri fissati dalla giurisprudenza di legittimità per giungere al determinazione di un intervallo temporale ragionevole tra l’epoc:a della pericolosità e quella di acquisto del singolo bene confiscato. Non ha, in particolare, tenuto conto, come sollecitato dalla difesa nell’atto di opposizione, né del pregresso stato
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th di incensuratezza di NOME COGNOME né dell’assenza di elementi di fatto indicativi di una sua propensione a realizzare reati analoghi a quello “spia” in epoche diverse.
Non ha nemmeno chiarito perché i beni acquistati da soggetti diversi da NOME COGNOME debbano comunque considerarsi contigui alla condotta criminosa di quest’ultimo, anche se avvenuti in epoca diversa e con risorse finanziarie la cui derivazione illecita è stata giustificata soltanto ricorrendo a congetture e presunzioni. La media dei redditi del condannato è stata individuata con riferimento ad un periodo diverso e molto più lungo rispetto a quello di consumazione del reato spia.
Risulta disatteso il principio giurisprudenziale in forza del quale il carattere sproporzionato deve essere valutato non in relazione all’intero patrimonio, ma in maniera scomposta; quindi, in relazione ad ogni singolo bene e con riferimento al momento in cui è stato operato l’acquisto, mettendo a raffronto il reddito e le attività di tale specifico periodo con il valore dei beni di volta in volta acquistati.
Erroneamente l’epoca di operatività della presunzione di accumulazione illecita è stata fatta coincidere con quella indicata nel capo di imputazione del reato di associazione mafiosa (anno 2004), del tutto trascurando che la condotta partecipativa è stata desunta da episodi avvenuti nell’anno 2012,
Non sono state prese in esame le valutazioni dei consulenti di parte, i quali, dopo avere indicato con precisione l’ammontare dei redditi dichiarati ed il valore del compendio immobiliare, hanno quantificato le differenze tra redditi percepiti e patrimonio in misura inferiore a quanto evidenziato nella proposta della Direzione investigativa antimafia e, comunque, al di sotto delle soglie previste per i reati tributari.
2.2. Con il secondo motivo deducono violazione dell’art. 12-sexies, comma 1, d.l. n. 306 del 1992 e vizio di motivazione in merito allo squilibrio patrimoniale tra i beni ritenuti confiscabili ed il reddito del ricorrente.
Lamentano che la Corte di appello non ha tenuto conto dei finanziamenti ottenuti per l’acquisto dei beni e della sostenibilità dei relativi oneri nonché delle effettive modalità di acquisto da parte dei terzi. Si tratta di operazioni lecite come dimostrato dall’allegazione di prove contrarie alle deduzioni del pubblico ministero procedente.
Evidenziano che i beni specificamente indicati nelle pagine da 8 a 15 del ricorso sono stati acquistati, almeno in parte, in epoca o precedente alla consumazione del reato spia, peraltro erroneamente individuata, o successiva e financo dopo la deliberazione della sentenza di condanna di primo grado
Contraddittoriamente, l’ordinanza impugnata, pur riconoscendo che la transazione del 2009 con UNICREDIT si riferisca a rapporti bancari sviluppati prima
del 2003 ha incluso le somme percepite attraverso di essa nel periodo di pericolosità che sarebbe cominciato nel 2004.
Lo standard probatorio ritenuto sufficiente per disporre la confisca non garantisce che, come richiesto anche dalle direttive dell’Unione europea, siano stati appresi beni per un valore superiore a quello dell’arricchimento di origine criminosa. La confisca allargata ha, in tal modo, assunto un carattere punitivo che non gli è proprio, venendosi ad aggiungere alle pene inflitte nel processo di cognizione, ovvero alla pena principale e a quelle accessorie, a cominciare dalla confisca ordinaria, senza però essere collegata ai reati accertati e al lucro che hanno generato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’istituto della “confisca in casi particolari” o “allargata”, originariament disciplinato dall’art. 12-sexies D.L. n. 306 del 1992, è oggi previsto dall’art. 240bis cod. pen., introdotto dal d.lgs. 1 marzo 2018 n. 21, che ha dato attuazione al principio di riserva di codice previsto dalla legge n. 103 del 2017.
L’art. 240-bis cod. pen. prevede, al primo comma, che nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per alcuni reati, tra cui, per quanto di interesse in questa sede, quello previsto dall’art. 416 bis cod. pen., inserito nel catalogo di cui all’art. 5 comma 3-bis, cod. proc. pen., è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Aggiunge l’ultimo comma che “quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona”.
L’istituto è stato delineato dal legislatore quale misura di sicurezza patrimoniale atipica, replicante i caratteri della misura di prevenzione antimafia ed avente la medesima finalità preventiva (Sez. U., n. 29022 del 30/05/2001, Derouach, Rv. 219221). Il suo fondamento è costituito dalla presunzione relativa di accumulo di ricchezza illecita nei confronti di coloro che sono condannati per reati di particolare gravità ed allarme sociale; suo presupposto applicativo indispensabile è la sproporzione tra il valore del bene ed i redditi denunciati e l’attività economica dallo stesso svolta. Ricorrendo siffatta peculiare situazione, è il condannato, titolare o detentore di quei beni, che ha l’onere di giustificarne la
provenienza mediante specifica allegazione di elementi in grado di superare la presunzione, perché dimostrativi della loro lecita origine e di elidere in tal modo l’efficacia probatoria dei dati contrari offerti dall’accusa.
1.1. Non è, invece, necessario / ai della confisca in esame / né un collegamento tra i beni del condannato ed il delitto “presupposto” quale profitl:o o provento dello stesso, né un nesso pertinenziale tra i beni sottoposti a confisca e il reato per il quale è stata riportata condanna(Cass. Sez. Un., n. 920 del 17 dicembre 2003, Montella, Rv. 226490-492).
Ciò non significa che è del tutto indifferente l’epoca dell’acquisto del bene ed il suo valore. Muovendo dalla prerrssa indiscussa che principale circostanza indicativa della illecita accumulazioneCacquisto dei beni . ,Vnell’arco temporale in cui il delitto è stato commesso e dalla necessità di fornire una lettura costituzionalmente orientata dell’istituto in esame anche quando applicato in fase esecutiva, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo inserito tra i presupposti applicativi quello della cosiddetta della “ragionevolezza temporale” (Sez. 2, n. 32626 del 26/10/2018, COGNOME, Rv. 274468; Sez. F., n. 56596 del 03/09/2018, COGNOME ed altri, Rv. 274753; Sez. 5, n. 21711 del 28/02/2018, COGNOME, Rv. 272988, Sez. 1, n. 41100 del 16/04/2014, COGNOME, Rv. 260529; Sez. 4, n. 35707 del 07/05/2013, COGNOME, Rv. 256882; Sez. 1, n. 2634 del 11/12/2012, COGNOME, Rv. 254250, Sez. 1, n. 11049 del 05/02/2001, COGNOME, Rv. 226051).
Come precisato da ultimo da Sezioni unite n. 27421 del 25/02/2021, Crostella, l’assenza di un collegamento di natura cronologica tra l’ingresso nel patrimonio del soggetto di ricchezza, sproporzionata ed ingiustificata nella sua origine, e l’attività criminosa presupposta, di per sé consentirebbe applicazioni illimitate della misura ablativa con effetti fortemente pregiudicanti i diritti proprietà e di iniziativa economica del destinatario, oltre a rendergli molto difficoltosa, se non impossibile, la dimostrazione della legittima provenienza degli incrementi patrimoniali distanziati dal reato, specie se ad esso di molti anni antecedenti. E’, quindi necessario circoscrivere le possibilità applicative della confisca allargata in funzione del criterio della “ragionevolezza temporale”. Con tale locuzione si intende significare che il momento di acquisto del bene non deve essere talmente lontano dall’epoca di realizzazione del “reato-spia” da determinare l’irragionevolezza della presunzione di derivazione da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella giudicata
La giurisprudenza costituzionale in più occasioni ha sottolineato la rilevanza del criterio della “ragionevolezza temporale”, come elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, assumendolo a parametro di verifica della tenuta costituzionale della confisca in casi particolari.
Nella sentenza n. 33 del 2018 la Consulta ha riconosciuto la coerenza col sistema dei valori costituzionali della presunzione relativa di illecita accumulazione dei beni di valore sproporzionato, purché « circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale», specificando che la distanza tra reato ed acquisto del bene confiscabilei essere determinata in riferimento «alle caratteristiche della singola vicenda concreta e, dunque, del grado di pericolosità sociale che il fatto rivela» e che compete al giudice verificare se, in relazione a tali circostanze e alla personalità del reo, la vicenda criminosa risulti episodica ed occasionale e produttiva di modesto arricchimento, così da non corrispondere al “modello” normativo che fonda la presunzione che ricostruisce in via indiziaria la illiceità della ricchezza acquisita.
Ferma restando la natura non pertinenziale della relazione tra cosa e reato e l’assenza del nesso di derivazione della prima dal secondo, possono essere confiscati anche beni acquisiti prima o dopo la perpetrazione del reato, purché non distaccati da questo da un lungo lasso temporale che renda “irragionevole” la ablazione sempreché siano entranti a far parte del patrimonio nella disponibilità del condannato fino al momento della pronuncia della sentenza per il c.d. “reatospia”.
Se, tuttavia, vi è congruo riscontro probatorio, sono assoggettabili a confisca anche i beni pervenuti nel patrimonio del condannato in data successiva alla pronuncia della sentenza se si tratta di cespiti frutto del reimpiego di mezzi finanziari acquisiti in un momento antecedente alla sentenza stessa, oppure si tratti di denaro o di altri strumenti di investimento mobiliare, preesistenti alla sentenza e solo in seguito scoperti o rinvenuti, ossia di beni che si sarebbe potuto confiscare nel processo di cognizione (Sez. U, n. 27421 del 25/02/2021, Crostella, Rv. 281561 – 01; Sez. 1,n. 51 del 19/12/2016, dep. 2017, Cecere Rv. 269293; Sez. 1, n. 36499 del 06/06/2018, RAGIONE_SOCIALEne, Rv. 273612).
1.2. La giurisprudenza di legittimità, oltre a ribadire i principi sin qui illustra divenuti patrimonio del diritto vivente, ha avuto modo di distinguere la posizione del condannato rispetto ai terzi formali intestatari dei beni.
Con riferimento al condannato, una volta dimostrata da parte della pubblica accusa la sproporzione tra guadagni e patrimonio/scatta la presunzione “iuris tantum” d’illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall’interessato, specialmente nel caso di confusione tra risorse di provenienza lecita e illecita, sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si poss desumere la legittima provenienza del bene confiscato attingendo al patrimonio legittimamente accumulato. (Sez. 2, n. 43387 del 08/10/2019, Novizio, Rv. 277997 – 04′, in motivazione la Corte ha sottolineato che l’imputato, in considerazione del principio della cd. “vicinanza della prova”, può acquisire o
quantomeno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva).
Non è, tuttavia, censurabile in sede di legittimità la valutazione relativa alla sproporzione tra il valore di acquisto dei beni nella disponibilità del condannato e i redditi del suo nucleo familiare, ove la stessa sia congruamente motivata dal giudice di merito con il ricorso a parametri suscettibili di verific:a e sia preceduta da un adeguato e razionale confronto con le avverse deduzioni difensive (Sez. 3, n. 1555 del 21/09/2021, dep. 2022, Rv. 2824017 – 02).
Quando è il terzo a subire l’ablazione è , innanzitutto, onere dell’accusa dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene in capo al condannato. Dal materiale utilizzabile per la decisione deve potersi desumere con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fin di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo ad altri e di salvaguardarli dal pericolo della confisca. Tale prova può essere desunta anche per “facta concludentia”, potendosi fare ricorso alla sproporzione di valore tra il bene formalmente intestato e il reddito effettivamente percepito, da confrontarsi con le altre circostanze concrete del caso, in modo che la stessa risulti sicuramente dimostrativa della natura simulata dell’intestazione (Sez. 1, n. 31663 dell’08/07/2004, COGNOME, Rv. 229300; Sez. 2, n. 17287 del 23/03/2011, COGNOME, Rv. 250488; Sez. 6, n. 42717 del 05/11/2010, COGNOME, Rv. 248929; Sez. 2, n. 3620 del 12/12/2013, dep. 2014, Patané, Rv. 258790).
Per il terzo non opera la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale; è quindi l’accusa che deve dimostrare la sproporzione dei beni intestati al terzo rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitat dallo stesso, da valutarsi con riferimento al momento dei singoli zicquisti e al valore dei beni di volta in volta acquisiti, non già a quello dell’applicazione della misura. (Sez. 5, n. 53449 del 16/10/2018, NOME COGNOME, Rv. 275406 – 01).
L’ordinanza impugnata non si è discostata dagli illustrati principi ed ha seguito, anche attraverso ampi richiami al provvedimento oggetto di opposizione, un percorso argomentativo immune dai vizi dlenunciati in entrambi i motivi di ricorso, che, per la connessione logica tra le questioni poste, possono essere esaminati congiuntamente.
2.1. Ha correttamente utilizzato nella ricostruzione quale punto di partenza, non più contestabile perché risultato dell’accertamento in sede cognitiva con sentenza irrevocabile, l’epoca di consumazione del reato spia – individuata nella partecipazione di NOME COGNOME all’associazione mafiosa dal 2004 al febbraio 2018 – ed ha assoggettato a confisca i beni che, a prescindere dalla loro intestazione
formale, sono stati acquistati o direttamente dal condannato o a da altri componenti del suo nucleo familiare ristretto (la moglie, i figli, il genero e le nuore) o da persone giuridiche direttamente controllate dall’uno e dagli altri (RAGIONE_SOCIALE) in tale lasso temporale o in quelli immediatamente precedenti o successivi. Si tratta, infatti di beni che, in assenza di proventi da fonti lecite / sono stati acquistati grazie all’impiego di risorse finanziarie ed economiche riconducibili all’unica fonte di redditi giudizialmente accertata ovvero l’attività illecita locupletazione generata dall’ingresso di NOME COGNOME nel sodalizio mafioso. D’altra parte, né il proposto né i suoi familiari sono stati in grado, attraverso la produzione di adeguato supporto documentale / nonostante gli sforzi compiti in tal senso dai consulenti di parte, a fornire una chiave di lettura diversa degli incrementi patrimoniali del tutto sproporzionati rispetto alle entrate giustific:ate, anche tenuto conto delle spese di mantenimento (cfe. pagg.8 e seg. del provvedimento del 10 gennaio 2023, richiamato da quello impugnato, nonché le successive pagine che danno conto della sproporzione non solo per il nucleo familiare di COGNOME NOME ma anche di quello dei figli per somme non rivalutate assai rilevanti variabili da “non meno di 1.496.000,00 euro” per il nucleo di COGNOME NOME a “1.50.000,00” per il nucleo di COGNOME NOME, che, tuttavia, fino ad epoca recente aveva convissuto con il padre e la madre).
La società RAGIONE_SOCIALE, pur fondata nel 1995 ed interamente controllata da NOME COGNOME e dal figlio NOME dal 23 marzo 2005, ha continuato ad operare negli anni successivi fino al 2015 grazie y Vagli apporti di liquidità dei due soci, i quali, considerati i redditi assai modesti di NOME COGNOME, non potevano che provenire dal padre NOME. Non a caso, proprio NOME COGNOME nel 2019 è rimasto l’unico creditore per avere finanziato, con fondi del patrimonio familiare, una transazione a saldo e stralcio per fare fronte all’indebitamento bancario.
I rapporti finanziari confiscati, come spiegato nel provvedimento confermato in sede di opposizione alle pagine da 20 a 27, da 35 a 43, da 47 e 53 e da 56 a 38, sono stati tutti costituiti o alimentati nel periodo di pericolosità.
Lo stesso può dirsi per i beni immobili, come indicato nelle pagine da 28 a 30, da 38 a 40, 48 a 49 e da 57 a 59 del provvedimento citato, che ha valutato il rapporto di sproporzione tra le risorse utilizzate per l’acquisto di ogni singolo cespite ed il reddito e le attività economiche degli intestatari formali, tutti lega da rapporti familiari e, comunque, di cointeressenza economica, con NOME COGNOME, l’unico in grado, attraverso la partecipazione all’associazione mafiosa i di reperire i mezzi impiegati per ogni singolo acquisto.
Tanto l’indisponibilità di risorse economiche di provenienza lecita in capo ad NOME COGNOME quanto il carattere fittizio dell’intestazione dei beni a lui riconducibili (moglie, figli, generi e nuore) sono stati, quindi, desunti dalla rilevantissima
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“sproporzione patrimoniale cumulativa e non rivalutata” di tutti i nuclei familiari coinvolti proprio nel periodo di manifestazione della pericolosità sociale di COGNOME (variabile da “non meno di 1.496.000,00 del nucleo di NOME COGNOME” a “non meno di 150.000,00 del nucleo di NOME COGNOME“).
Quanto ai rapporti di cointeressenza economica tra i familiari e NOME COGNOME nel periodo della pericolosità di quest’ultimo, sintomatici dell’esistenza di un unico centro di interesse, sono stati desunti dalle numerose deleghe conferite al padre per operare sui rapporti finanziari innestati ai secondi e dai trasferimenti di denaro periodicamente avvenuti tra tutti i familiari (47 trasferimenti per complessivi 759.044,66 euro)
2.2. L’ordinanza impugnata ha escluso, sulla scorta di argomentazioni, logiche e razionali, fondate sui dati contenuti nella perizia contabile non contrastati né da idonea documentazione di segno contrario né dalle osservazioni dei consulenti di parte, la formazione, nel periodo antecedente a quello di manifestazione della pericolosità sociale, di una provvista proveniente da attività economiche lecite. Al riguardo ha rilevato che la ricostruzione dei flussi finanziari in entrata ed in uscita a partire dal 1977 degli appartenenti al nucleo familiare di NOME COGNOME non era compatibile con l’accumulo, sia pure progressivo, di risorse ingenti o comunque adeguate ad investimenti successivi della consistenza di quelli effettuati da COGNOME una volta entrato a far parte dell’associazione mafiosa (la media dei redditi percepiti da NOME COGNOME tra il 1973 ed il 2003 è stata pari a poco più di 7.000,00 euro all’anno).
Quanto alle somme accreditate sul conto corrente della moglie di NOME COGNOME, NOME COGNOME, e in quello del figlio NOME, a seguito di accordo transattivo con UNICREDIT ed a titolo di risarcimento dei danni corrisposti da tale istituto bancario a più correntisti vittime di ammacchi negli anni dal 2005 al 2009, risulta che le provviste utilizzate per gli investimenti bancari confluiti nel conto corrente beneficiario del risarcimento erano stati effettuati negli anni immediatamente precedenti al 2009, quindi in pieno periodo di pericolosità del condannato, ed avevano un ammontare del tutto sproporzionato rispetto alle entrate di NOME COGNOME e degli altri compenti del suo nucleo familiare.
Anche l’autovettura Mercedes intestata ad COGNOME NOME è suscettibile di confisca allargata perché acquistata, con il reimpiego di fondi provenienti dal condannato, in data 23 agosto 2018, quindi in epoca precedente alla sentenza di condanna per il delitto associativo che è del 31 ottobre 2018.
2.3. Va, in conclusione osservato che le censure dei terzi interessati sono generiche nella parte in lamentano l’omessa considerazione di tutte le circostanze del caso concreto che avrebbero dovuto essere valutate perché indicative di una autonoma capacità patrimoniale comunque idonea a conseguire i finanziamenti
necessari per l’acquisto dei singoli beni loro intestati e a sostenere i relat a prescindere dall’intervento del condannato, perché, oltre a non allegare al indicazione specifica e suscettibile di verifica in punto di fatto / non deduce nemmeno specifici profili di erroneità o parzialità nella considerazione dei fattuali rilevanti. Altrettanto generica è l’affermazione dei terzi, condiv condannato, secondo cui sarebbero stati appresi con la confisca beni per un valo superiore a quello dell’arricchimento di origine criminosa.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento del spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processua Così deciso, in Roma 20 febbraio 2024.