Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37494 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37494 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/01/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la decisione indicata in epigrafe, la Corte di appello di Messina ha rigettato l’istanza di COGNOME NOME e COGNOME NOME tesa ad ottenere la revoca della confisca allargata, disposta in sede di cognizione in data 16 luglio 2012, riguardo a un appartamento in Messina ubicato in INDIRIZZO, un terreno sito in INDIRIZZO, nonché una autovettura Mercedes SLK.
La Corte di appello, con il provvedimento ora impugnato, decideva a seguito di annullamento della Corte di cassazione, Prima Sezione penale, sentenza n. 39770 del 12/07/2021, che aveva annullato il pi -f..cedente provvedimento della Corte di appello del 26 ottobre 2020.
In particolare, la sentenza rescindente ha dapprima chiarito che anche in sede di esecuzione è possibile la revoca della confisca allargata disposta in sede di
cognizione, in ragione della simmetria con la revoca ex art. 7 I n. 142 del 1956 e poi della revocazione dell’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2001, in tema di misure di prevenzione. Ha poi richiamato il principio di diritto fissato da Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 09/01/2002, Pisano, Rv. 220443 – 01 per cui in tema di revisione, per prove nuove rilevanti a norma dell’art.630 lett. c) cod. proc. pen. ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza – devono intendersi non Solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario.
La sentenza rescindente annullava, quindi, la prima decisione della Corte di appello rilevando come il Collegio di merito non «realizza una chiara esposizione dei dati storici rilevanti per la decisione e non consente – nel suo iter argomentativo – di comprendere appieno la logica che conduce al diniego della domanda».
In particolare «non viene esplicitato con la necessaria chiarezza – nella parte iniziale della ordinanza impugnata – quali siano gli elementi di fatto da qualificarsi, secondo le coordinate ermeneutiche sin qui esposte, in termini di nova, al di là della elaborazione consulenziale (che di per sé non assumerebbe, ove basata su dati storici già apprezzati, alcun carattere di novità, trattandosi esclusivamente di supporto tecnico teso alla elaborazione e confronto di dati storici di tipo contabile).
Manca, in altre parole, un adeguato confronto tra i dati storici già valutati anche implicitamente – in sede di cognizione e gli elementi eventualmente non considerati nella prima decisione, che andrebbero previamente identificati con la necessaria chiarezza, per poi apprezzarne l’incidenza sul mantenimento – parziale o totale- della statuizione ablatoria».
La Corte messinese si sarebbe dovuta confrontare, secondo la prima Sezione, con lo svincolo delle polizze (avvenuto nel 2007) quanto alle conseguenze sulle determinazioni di confisca, avendo in via logica riconosciuto a tale fatto storico il carattere della novità.
Si verteva, come si leggerà, in tema di polizze per euro 329.258,43, oggetto di investimento nel 2001, che la difesa adduceva essere state svincolate nel 2007, costituendo la provvista per l’acquisto dei beni confiscati.
Tuttavia, per la Corte di cassazione «la posteriore affermazione d ‘non incidenza’ di simile svincolo risulta effettivamente motivata in modo del tutto assertivo, essendo basata essenzialmente su una ipotesi di derivazione delle
risorse investite da una attività illecita (diversa da quella per cui è stata disposta la confisca in cognizione) i cui contorni e la cui idoneità a determinare simile provvista finanziaria non sono oggetto di alcun apprezzamento, al di là della avvenuta contestazione difensiva dell’assenza – in quanto tale – di una affermazione di penale responsabilità per il reato di truffa assicurativa».
Aggiunge la Corte di legittimità che «LA ciò che rileva, in rapporto al tema dedotto – che resta la rivalutazione del giudizio di sproporzione tra redditività lecita e valore degli investimenti passibili di confisca – è la compiuta e argomentata qualificazione della redditività lecita, in presenza di nove, quale ‘base storica’ del giudizio di sproporzione che legittima (a fronte della condanna per reato-spia) il mantenimento o meno della confisca estesa».
La sentenza rescindente conclude nel senso che « se da un lato è necessario, ove si affermi la intangibilità della confisca, confutare in concreto la concorrenza – quale fattore di riduzione della sproporzione – di un reddito apparentemente lecito (nel caso in esame lo svincolo di una polizza), dall’altro il tema deducibile in sede di revoca di una statuizione definitiva resta esclusivamente il punto ‘di fatto’ della esistenza o meno della sproporzione, non potendosi introdurre in simile procedura revocatoria nuovi temi in diritto (come quello della ragionevolezza temporale tra condotta illecita, per cui è intervenuta condanna, ed epoca degli acquisti) derivanti da elaborazioni giurisprudenziali posteriori alla trattazione del giudizio di cognizione (sul punto v. Sez. I n. 35756 del 30.5.2019, rv 278481)».
La Corte di appello di Messina, in sede di giudizio di rinvio, con l’ordinanza dell’Il gennaio 2024, ha rigettato l’istanza di revoca della confisca dei menzionati beni.
Avverso l’ordinanza predetta nell’interesse del solo NOME COGNOME viene proposto ricorso per cassazione, formulando un unico motivo.
Il motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 12 sexies I. n. 356 del 7 agosto 1992.
L’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto – rispetto alla pronuncia rescindente, che riconosceva la qualità di nova allo svincolo delle polizze – che la provvista investita nei prodotti assicurativi non sia conseguente alla lecita attività del COGNOME quale mediatore assicurativo, senza considerare che lo stesso era stato mandato assolto dai plurimi delitti di truffa assicurativa, con sentenza irrevocabile che la Corte territoriale in certa misura avrebbe eluso con ulteriori considerazioni.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, comma 8, dl. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicernbre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, dl. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
5. Il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in quanto lo stesso non si confronta con le indicazioni contenute nell’ordinanza circa le plurime condanne definitive per fatti di usura commessi nel periodo degli investimenti nelle polizze poi riscattate, a fronte dell’assoluta modestia dei proventi da bracciante agricolo, non essendo comprovato alcun ulteriore lecito reddito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e va, quindi, rigettato.
2. Va preliminarmente evidenziato come le Sez. U, n. 43668 del 26/05/2022, COGNOME, Rv. 283707 – a fronte della disomogeneità degli orientamenti in ordine alle questioni che consentono la revocazione ai sensi dell’art. 28 cit, quanto alla nozione di «prove nuove decisive» – hanno affermato che in tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 159, sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ovvero quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, mentre non lo è quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore.
Si tratta di un principio evidentemente di tenore diverso rispetto a quello di Sez. U, Pisano, richiamato dalla sentenza rescindente, che però, per lo stesso principio richiamato dalla Corte di legittimità, non può trovare ingresso in questo giudizio, in quanto il diverso indirizzo giurisprudenziale consolidatosi successivamente al provvedimento definitivo, anche se sancito dalle Sezioni Unite, non costituisce “fatto nuovo” rilevante ai fini della revoca “ex tunc” della misura, ai sensi dell’art. 7 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, non traducendosi nella modifica delle disposizioni di legge che regolano la specifica materia (conf. Sez. 1,
n. 10579/2020, non mass.; così Sez. 1, n. 35756 del 30/05/2019, Arona, Rv. 278481 – 01).
Non di meno il ricorso è caratterizzato da genericità ai limiti dell’inammissibilità, a fronte dell’ordinanza impugnata, che fa buon governo delle indicazioni provenienti dalla sentenza rescindente.
Correttamente il ricorrente rileva come i nova che costituiscono il Presupposto della invocata revoca siano costituiti dalle polizze svincolate, in quanto la Corte di cassazione ha certamente ritenuto corretta tale qualificazione.
Non di meno, però, il ricorso non si confronta con la circostanza che l’ordinanza impugnata accerta come il reddito investito nelle polizze nel 2001 e negli anni seguenti – poi svincolate in concomitanza con gli acquisti dei beni confiscati – fosse esso stesso frutto di una redditività ingiustificata, a fronte di una redditività lecita bastevole alla sola sussistenza. Osserva la Corte di merito come tali investimenti siano avvenuti da parte di COGNOME, allorché lo stesso risultava sostanzialmente impossidente.
La Corte di appello (fol. 5) procede ad una analisi accurata, anno per anno, a partire dal 2001, verificando come i premi versati non fossero giustificati dall’esistenza di redditi leciti. Chiarisce, poi, come non possa offrire giustificazione reddituale lecita alcuna la solo asserita attività di mediatore assicurativo, in assenza di alcuna prova riguardo alla effettività della stessa, punto sul quale non vi è alcuna specifica censura da parte del ricorrente, tanto più che la Corte di merito rileva come nello stesso processo cd. Strike – nel quale COGNOME fu assolto dai delitti di truffe assicurative, come prospettato – il ricorrente fu condannato per usura commessa dal 2002 al 2005, delitto commesso attraverso il prestito di ventimila euro, che si andavano ad aggiungere al primo investimento per la polizza di 25mila euro dei 2001, a fronte di redditi accertati e leciti di 10 mila euro nel 2001 e di poco superiori nel 2002.
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Tale ricostruzione, che verificava la sproporzione fra redditi leciti e disponibilità e forme di investimento, viene proseguita dalla Corte di appello in modo puntuale, non manifestamente illogico, e vede poi il richiamo alla consumazione di ulteriori delitti di usura dal 2003 al 2005, nei 2004, oltre a quelli tra il 2007 e 2009 per i quali COGNOME era stato condannato nel giudizio di cognizione nel quale veniva disposta la confisca: si tratta di analisi e argomentazioni pienamente rispondenti alle indicazioni della Corte rescindente, che chiedeva di verificare il permanere della sproporzione fra redditi leciti e acquisti. E dùnque con argomentazione certamente congrua, e non apparente, la Corte territoriale rende conto della assenza di giustificazione quanto ai redditi investiti nelle polizze a partire dal 2001.
A ben vedere, la circostanza che l’acquisto dei beni confiscati avvenga con ricorso a redditi illeciti, pur se reinvestiti, non rende lecita la provvista 00i utilizzata per l’acquisto dei beni confiscati, e non elide la sproporzione fra redditi e valore dei beni.
L’art. 240 -bis cod. pen., infatti, dispone che sia sempre disposta la confisca, anche in relazione al delitto di usura «del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o alla propria attività economica».
È stato anche correttamente affermato che in tema di confisca cd. allargata ex art. 240 -bis cod. pen., non rileva, ai fini della giustificazione della provenienza del bene, che la provvista impiegata per l’acquisto del bene sottoposto a sequestro sia costituita da somme erogate a titolo di mutuo, nel caso in cui il denaro destinato all’adempimento dell’obbligazione nascente da tale contratto provenga dallo svolgimento di attività criminosa (Sez. 2, n. 34630 del 12/05/2023, Verdoia, Rv. 285188 – 01). Si tratta di un principio che vale anche nel caso in esame, in cui l’investimento nelle polizie, poi svincolate, è effettuato ricorrendo a denaro del quale non sia stata dimostrata la lecita provenienza e la cui disponibilità risulta in sé sproporzionata rispetto alle fonti lecite di cui l’imputato disponeva.
In sostanza la ‘mediazione’ operata da strumenti contrattuali (come il contratto di mutuo o la polizza assicurativa) non rende lecite le provviste originariamente illecite o comunque non giustificate.
Pertanto può affermarsi che in tema di confisca cd. allargata ex art. 240bis cod. pen., non rileva, ai fini della giustificazione della provenienza del bene, che la provvista impiegata per l’acquisto del bene sottoposto a confisca sia costituito da somme tratte dallo svincolo di polizze, nel caso in cui il denaro destinato all’investimento nelle medesime provenga dallo svolgimento di attività criminosa o non ne risulti comunque giustificata la lecita provenienza.
Ne consegue il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/09/2023